Cassazione civile Sez. II sentenza n. 4472 del 15 maggio 1987

(1 massima)

(massima n. 1)

Il principio in claris non fit interpretatio, anche se non può essere inteso nel suo significato letterale, posto che al giudice del merito spetta sempre l'obbligo di individuare esattamente la volontà delle parti, è sostanzialmente operante quando il significato delle parole usate nel contratto sia tale da rendere, di per sé stesso, palese l'effettiva volontà dei contraenti, nel quale caso l'attività del giudice può — e deve — limitarsi al riscontro della chiarezza e univocità del tenore letterale dell'atto per rilevare detta volontà e diventa inammissibile qualsiasi ulteriore attività interpretativa che condurrebbe il giudice a sostituire la propria soggettiva opinione alla volontà dei contraenti.

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