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Articolo 1920 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Assicurazione a favore di un terzo

Dispositivo dell'art. 1920 Codice Civile

È valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo [741], [1411](1).

La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per testamento [587](2); essa è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente [628](3). Equivale a designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta nel testamento a favore di una determinata persona.

Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione [1411](4).

Note

(1) Tale stipula costituisce, appunto, un contratto a favore di terzo (1411 ss. c.c.).
(2) La designazione è un negozio unilaterale (1324 c.c.) non recettizio verso il beneficiario, ma che deve essere comunicato all'assicuratore. Essa può anche essere revocata (v. 1921 c.c.).
(3) Il beneficiario, però, deve essere determinato o determinabile al momento della morte dello stipulante, cioè quando gli deve essere corrisposta l'indennità.
(4) Il diritto del terzo nasce con la designazione e non con la stipulazione, come nella ordinaria disciplina del contratto a favore di terzo (1411, comma 2 c.c.). Una volta che si verifica l'evento morte, questo diritto diventa esigibile. Inoltre, esso è acquistato non a titolo successorio, anche se il terzo dovesse essere erede dello stipulante, ma per effetto del contratto di assicurazione: ciò significa che la somma dovuta a titolo di indennità non entra nel patrimonio ereditario ma viene trasferita direttamente dall'assicuratore al beneficiario (v. 1923 c.c.).

Ratio Legis

Nell'assicurazione sulla vita a favore di un terzo l'indennizzo deve essere corrisposto dopo la morte dello stipulante: ciò spiega le regole, di cui alla norma, volte a garantire il rispetto della sua volontà nell'individuazione del beneficiario.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

750 L'assicurazione può essere conclusa in nome altrui (rappresentanza) ovvero in nome proprio o per conto altrui o per conto di chi spetta. Nel primo caso solo se il contraente non ha i poteri necessari rimane, come si è già detto (n. 638), tenuto personalmente agli obblighi derivanti dal contratto e quindi al pagamento dei premi; ciò fino a quando l'assicuratore ha avuto notizia della ratifica o del rifiuto di questa (art. 1890 del c.c., secondo comma). Nel secondo caso il contraente è sempre tenuto in proprio al contratto, salvo per quegli obblighi che possono essere adempiuti solo dall'assicurato. L'assicurazione sulla vita può concludersi a favore di un terzo (art. 1920 del c.c., primo comma), designato per iscritto, o nel contratto di assicurazione o con successiva comunicazione all'assicuratore o per testamento anche mediante la semplice attribuzione a una persona determinata della somma coperta dall'assicurazione (art. 1920, secondo comma). Con le medesime forme la designazione può revocarsi; ma solo ad opera dello stipulante, non ad opera dei suoi eredi e sempreché, verificatosi l'evento, il beneficiario non abbia dichiarato di volere profittare del beneficio (art. 1921 del c.c., primo comma). E poiché il beneficio, nelle assicurazioni per causa di morte, implica prestazione da farsi al terzo dopo il decesso dello stipulante, resta inteso che è applicabile anche l'art. 1412 del c.c., primo comma. Il beneficiario decade dal beneficio se attenta alla vita dell'assicurato (art. 1922 del c.c., primo comma): nel caso di irrevocabilità la designazione a titolo gratuito può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli (art. 1922, secondo comma).

Massime relative all'art. 1920 Codice Civile

Cass. civ. n. 29583/2021

Nell'assicurazione sulla vita "per il caso di vita", l'assicuratore è obbligato a pagare se, ad un determinato momento, una data persona è ancora in vita; per converso, ove l'assicurazione sulla vita sia stipulata "per il caso di morte", l'assicuratore è obbligato a pagare se, in un dato momento, una certa persona sia deceduta. La polizza può essere peraltro stipulata anche nella forma cd. mista sulla vita di un terzo e, cioè, tanto "per il caso di vita", quanto "per il caso di morte".

Le polizze vita a contenuto finanziario - caratterizzate, per l'appunto, dal rischio finanziario che, in quelle cd. "linked" "pure", grava interamente sull'assicurato, non garantendo la compagnia la restituzione del capitale, né eventuali rendimenti minimi - conferiscono all'impresa di assicurazioni, al posto dell'obbligo restitutorio, una sorta di mandato di gestione del denaro investito, rispetto al quale l'investitore matura il diritto al mero risultato di detta gestione, che varia in base ad una serie di fattori, quali l'andamento del mercato o dei titoli (polizze cd. "unit linked" ed "index linked", il cui rendimento è parametrato, rispettivamente, all'andamento di fondi comuni di investimento e ad indici di vario tipo, generalmente consistenti in titoli azionari). In esse la componente vita ed investimento risulta, pertanto, preponderante rispetto a quella demografico-previdenziale tipica delle assicurazioni sulla vita cd. "tradizionali" ex art. 1882 c.c., con la stipulazione delle quali l'assicurato mira, generalmente, a garantire la disponibilità di una somma ai familiari ovvero a terzi al momento della propria morte ed il rischio di perdita del capitale è pari a zero, essendo predeterminato l'importo da erogare al contraente o al beneficiario alla scadenza del contratto.

L'obbligo di collazione previsto dall'art. 741 c.c. relativamente a ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti, per soddisfare, tra l'altro, premi relativi a contratti sulla vita a loro favore, riguarda tanto l'ipotesi dell'assicurazione stipulata dal discendente sulla propria vita, "sub specie" di pagamento del debito altrui, quanto quella di assicurazione sulla vita del discendente (o del "de cuius"), che rientra nello schema della donazione indiretta, quale contratto a favore di terzo. Peraltro, giacché il capitale assicurato può rivelarsi, di fatto, inferiore ai premi - che costituiscono, in linea di principio, l'oggetto del conferimento ex art. 2923, comma 2, c.c. - l'obbligo di collazione va precisato nel senso che, indipendentemente dalla natura cd. tradizionale o finanziaria della polizza, il conseguente conferimento riguarda la minore somma tra l'ammontare dei premi pagati ed il capitale, non potendo la collazione avere ad oggetto che il vantaggio conseguito dal beneficiario (o dai suoi discendenti), sul quale grava l'onere della relativa prova.

Cass. civ. n. 11421/2021

Allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest'ultimo.

Nel contratto di assicurazione sulla vita la designazione generica degli "eredi" come beneficiari, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell'indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della "eadem causa obligandi", una quota uguale dell'indennizzo assicurativo, il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall'assicuratore nella rispettiva misura.

Nel contratto di assicurazione sulla vita la designazione generica degli "eredi" come beneficiari, in una delle forme previste nell'articolo 1920, comma 2, c.c., comporta l'acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione da parte di coloro che, al momento della morte del contraente, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione indicata all'assicuratore per individuare i creditori della prestazione.

Cass. civ. n. 25635/2018

Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1920, comma 3, c.c., un diritto proprio che trova la sua fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante non potendo, di conseguenza, essere oggetto delle sue (eventuali) disposizioni testamentarie, né di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicché la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che, qualora i beneficiari siano individuati negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all'eredità.

Cass. civ. n. 29636/2017

In tema di contratto di assicurazione a favore di terzo, il diritto di quest’ultimo di rendere non revocabile la stipulazione nei propri confronti è condizionato dalla conoscenza che il terzo stesso abbia della stipulazione in suo favore, conoscenza che deve essere resa attuale perché egli possa esercitare il diritto di profittare di tale stipulazione.

Cass. civ. n. 26606/2016

Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1920, comma 3, c. c., un diritto proprio che trova la sua fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante e non può, quindi, essere oggetto delle sue (eventuali) disposizioni testamentarie né di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicché la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che qualora i beneficiari siano individuati, come nella specie, negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità.

Cass. civ. n. 19210/2015

Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore di terzo, la disciplina secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un proprio diritto ai vantaggi assicurativi, si interpreta nel senso che ove sia prevista, in caso di morte dello stipulante, la corresponsione dell'indennizzo agli eredi testamentari o legittimi, le parti abbiano non solo voluto individuare, con riferimento alle concrete modalità successorie, i destinatari dei diritti nascenti dal negozio, ma anche determinare l'attribuzione dell'indennizzo in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto, atteso che, in assenza di diverse specificazioni, lo scopo perseguito dallo stipulante è, conformemente alla natura del contratto, quello di assegnare il beneficio nella stessa misura regolata dalla successione.

Cass. civ. n. 22809/2009

Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore di un terzo, il carattere autonomo del diritto acquistato da beneficiario, ai sensi dell'art. 1920, terzo comma, c.c., non implica che il medesimo diritto sia svincolato dalle clausole e dalle pattuizioni contemplate nel contratto, con la conseguenza che l'assicuratore, a norma dell'art. 1413 c.c., ben può opporre al beneficiario le eccezioni e le altre eventuali clausole limitative previste dal contratto.

Cass. civ. n. 6062/1998

Nell'assicurazione contro gli infortuni a favore di un terzo — cui si applica la disciplina dell'assicurazione sulla vita la norma contenuta nell'art. 1920 c.c. secondo cui il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione, va inteso nel senso che il diritto all'indennità nasce in suo favore dal contratto, sì che egli può rivolgersi direttamente al promittente (assicuratore) per ottenere la prestazione, non già nel senso che il diritto del terzo beneficiario sia del tutto svincolato dalle clausole e dalla pattuizioni contenute nel contratto di assicurazione. Consegue che il diritto del terzo all'indennità si prescrive in un anno dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui esso si fonda e non già nel termine ordinario di dieci anni.

Cass. civ. n. 9388/1994

Con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gli infortuni, compreso l'evento morte, la prestazione dell'assicuratore, quale obbligazione pecuniaria (avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex art. 1882, seconda proposizione, c.c.), costituisce debito di valuta (art. 1277 c.c.). Nel caso in cui uno dei beneficiari riscuota per intero il capitale assicurato, il debito nei confronti degli altri beneficiari non diviene di valore, mutando solo il soggetto obbligato alla prestazione, non già l'oggetto di essa, costituito pur sempre da una somma di denaro, dovuta, o a titolo di regresso fra creditori in solido (combinato disposto degli artt. 1298 e 1299 c.c.), ovvero a titolo di restituzione di quote indebitamente percepite (art. 1314 c.c.), ovvero a titolo di ripetizione dell'indebito soggettivo ex latere accipientis (combinato disposto degli artt. 1189, comma 2, e 2033 c.c.).

Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore del terzo, cui si applica la disciplina dell'assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell'art. 1920, comma 3, c.c. (secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione) deve essere interpretato nel senso che il diritto del beneficiario alla prestazione dell'assicuratore trova fondamento nel contratto ed è autonomo, cioè non derivato da quello del contraente. Pertanto, quando in un contratto di assicurazione contro gli infortuni, compreso l'evento morte, sia stato previsto, fin dall'origine, che l'indennità venga liquidata ai beneficiari designati o, in difetto, agli eredi, tale clausola va intesa nel senso che il meccanismo sussidiario di designazione del beneficiario è idoneo a far acquistare agli eredi i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, commi 2 e 3, c.c.). Mentre l'individuazione dei beneficiari-eredi va effettuata attraverso l'accertamento della qualità di erede secondo i modi tipici di delazione dell'eredità (testamentaria o legittima: artt. 475, comma 1, e 565 c.c.) e le quote tra gli eredi, in mancanza di uno specifico criterio di ripartizione, devono presumersi uguali, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto e non applicandosi, quindi, la disciplina codicistica in materia di successione con le relative quote. (Nella specie, trattavasi di successione legittima del coniuge con i genitori ed i fratelli del de cuius). 

Cass. civ. n. 3207/1994

Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore di un terzo — cui si applica la disciplina della assicurazione sulla vita — il carattere autonomo del diritto acquistato dal beneficiario, ai sensi dell'art. 1920, terzo comma, c.c., non implica che il medesimo diritto va svincolato dalle clausole e dalle pattuizioni contemplate nel contratto, con la conseguenza che l'assicuratore, a norma dell'art. 1413 c.c., ben può opporre al beneficiario le eccezioni e le altre eventuali clausole limitative previste dal contratto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1920 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Alessandro S. chiede
venerdì 27/10/2023
“Buongiorno, ho un problema da risolvere su una polizza vita caso morte stipulata dal marito di mia zia.
Si sono sposati in seconde nozze, non hanno figli,a parte il marito che ne ha avute due dal primo matrimonio.
Lui ha contratto la polizza vita caso morte del contraente e ha designato beneficiaria mia zia(sorella di mio padre, premorto).
Mia zia è premorta al contraente marito e da quanto ne so le polizze vita in caso di premorienza si pagano secondo l’articolo 1412 comma due, che nel contratto di assicurazione “la prestazione deve essere eseguita in favore degli eredi del terzo”
Il mio quesito è questo:
Non essendo una successione ma un contratto privato tra mia zia e il marito e vista la premorienza della stessa e i vantaggi del contratto a favore di terzi si trasmettono agli eredi
1) Il premio dell'assicurazione va diviso tra tutti gli eredi della beneficiaria menzionati nella dichiarazione di successione quindi anche il marito contraente e per rappresentanza le di lui figlie (diventando il marito sia contraente sia erede)
2) oppure proprio perché gli effetti dell'assicurazione, essendo un contratto privato, si producono solo con la morte del marito contraente , il premio andrà liquidato solo ai nipoti in linea collaterale della zia beneficiaria?
In altre parole, le figlie di lui rientrano nella ripartizione della polizza?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 07/11/2023
La seconda soluzione è quella corretta per le motivazioni che qui si vanno ad illustrare.
Il caso della premorienza del beneficiario nel contratto di polizza vita caso morte ha costituito in diverse occasioni oggetto di giudizio da parte della Corte di Cassazione, la quale con sentenza n. 9948 del 15.04.2021 ha affermato che, per effetto di quanto disposto dal terzo comma dell’art. 1920 c.c, il beneficiario acquista un diritto che trova la propria origine nel contratto e che, in quanto tale, esce dalla disponibilità dello stipulante per entrare nel patrimonio del terzo nel momento stesso della designazione.
Tale impostazione non fa altro che rispecchiare lo schema del contratto a favore di terzo, dovendo pertanto farsi applicazione del secondo comma dell’art. 1412 c.c., con la conseguenza che, una volta verificatosi l’evento condizionale previsto (ossia la morte dello stipulante), la prestazione oggetto del contratto di assicurazione dovrà essere eseguita in favore degli eredi del beneficiario morto.

In tal senso, peraltro, si è anche pronunciata Cass. SS.UU. sentenza n. 11421 del 30.04.2021, nella quale tra l’altro si legge che “Quando uno dei beneficiari del contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest’ultimo” .
L’unica ipotesi in cui la prestazione potrebbe non essere eseguita in favore degli eredi del beneficiario premorto ricorre allorchè si verifichi quanto previsto dall’ultima parte dello stesso art. 1412 c.c., ove viene precisato che la prestazione dovrà essere eseguita a favore degli eredi del terzo beneficiario a condizione che lo stipulante sopravvissuto non abbia revocato il beneficio o non abbia disposto diversamente.

Ciò significa che se lo zio stipulante non ha formalmente ed espressamente rinunciato al potere di revoca (rinuncia che, generalmente, si configura come atto unilaterale inter vivos e recettizio nei confronti del solo promittente), lo stesso potrebbe legittimamente, anche dopo la morte del beneficiario, indicarne uno nuovo, con la conseguenza che gli eredi del beneficiario premorto non potrebbero più vantare alcun diritto in dipendenza di quella polizza.

Qualora, invece, nulla di ciò dovesse essere fatto, alla morte del contraente unici soggetti legittimati a riscuotere il capitale assicurato saranno gli eredi della beneficiaria premorta, tra i quali indubbiamente non possono essere annoverati le figlie unilaterali del contraente (le quali potranno vantare diritti successori soltanto nei confronti di quest’ultimo).
Del resto, come è stato precisato all’inizio e come risulta dal chiaro disposto dell’art. 1920 c.c., il diritto a riscuotere il capitale assicurato non fa più parte del patrimonio dello stipulante (lo zio) dal momento della conclusione del contratto assicurativo, essendosi trasferito sin da tale momento nel patrimonio del beneficiario.
Pertanto, una volta deceduto il contraente, i suoi eredi (ovvero le figlie di prime nozze) non troveranno quel diritto di credito nel suo patrimonio né si può pensare che tale diritto si trasmetta loro pro quota per concorso con gli eredi della beneficiaria ed in rappresentazione del padre, in quanto la morte del padre precede l’esigibilità di quel credito (costituendone condizione sospensiva) e non si instaura alcun concorso.

E. F. chiede
sabato 08/01/2022 - Marche
“Buon Giorno, vi scrivo per descrivervi i fatti di quanto segue. Mia figlia convive da 10 anni con un uomo e nessuno dei due sono stati mai sposati ne' avute mai altre convivenze o separazioni precedenti. Dalla loro convivenza sono nati due figli uno di 8 anni ed un'altro di 3 mesi , tutti e due regolarmente riconosciuti da entrambi i conviventi e registrati presso l'ufficio anagrafe del loro attuale comune di residenza. Circa 4 anni fa, gli stessi, hanno acquistato un immobile in comproprietà, il quale immobile risulta gravato da ipoteca a fronte di un mutuo trentennale acceso con un istituto di credito. Il convivente qualche giorno fa è deceduto, il quale, in vita, aveva stipulato una polizza assicurativa puro rischio morte di euro 80.000, ove nella stessa polizza per quanto riguarda il beneficiario, essa recita cosi' : Beneficiario - Il coniuge, in mancanza i figli in parti uguali. La domanda che vi pongo è questa: la convivente puo' riscuotere la somma assicurata in virtu' di una, ora, unica capacità genitoriale e quindi equiparabile allo status di coniuge ???, così come recita il beneficiario della polizza, oppure, in presenza di minori, nati da una relazione tra conviventi, il convivente superstite non puo' vantare nessuna pretesa, in quanto non titolato per la riscossione della somma non avendo lo status di coniuge e quindi dovra' ricorrere alla decisione del giudice tutelare per l'amministrazione straordinaria al fine ( sempre con una decisione favorevole del giudice tutelare ) di poter entrare in possesso di tale somma ???? nota: la somma assicurata, era, quale unico scopo, quella di assicurare al convivente superstite, al fine di poter entrare in possesso della somma assicurata, per poi poter estinguere, parte del mutuo contratto con la banca. Fiducioso di una Vostra risposta, porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 13/01/2022
La situazione a cui si fa riferimento nel quesito è quella che si definisce convivenza more uxorio, fenomeno ormai da lungo tempo diffuso nella realtà sociale e che ha indotto i legislatori di molteplici Paesi a dettare, anche se con modalità e contenuti molto diversi tra loro, una disciplina parallela a quella matrimoniale.
Fino a qualche anno fa in Italia mancava una disciplina omogenea che, sulla falsa riga di quanto previsto per i coniugi, contemplasse uno statuto della coppia non coniugata.
A poco a poco alcune disposizioni legislative cominciarono a prendere in considerazione la figura del convivente more uxorio, prevedendosi una vera e propria equiparazione alla figura del coniuge.
Quali primi significativi interventi normativi possono menzionarsi la modifica dell’art. 417 del c.c., richiamato dall’art. 406 del c.c. (norma che, in tema di amministrazione di sostegno, inquadra il convivente tra i componenti della famiglia), nonché l’art. 5 della legge n. 40 del 2004 (in tema di procreazione medicalmente assistita, norma che equipara la coppia convivente a quella coniugata, con l’ovvia precisazione, tenuto conto degli specifici interessi da regolamentare, che deve trattarsi di coppia maggiorenne di sesso diverso).
E’ solo con la c.d. legge Cirinnà del 2016 (Legge 20.05.2016 n. 76) che si è potuto affermare in modo ufficiale che la famiglia non deve necessariamente essere fondata in modo esclusivo sul matrimonio, ma può fondarsi anche su una comunione di vita materiale e spirituale, ragione per la quale, anche i conviventi, ossia le cosiddette “coppie di fatto”, godono di gran parte dei diritti riconosciuti alle coppie sposate.

In particolare, secondo quanto precisato dall’art. 1 comma 36 di tale legge, devono intendersi per conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite in modo stabile da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Tuttavia, sempre detta legge dispone che, perché possa formalmente configurarsi una convivenza di fatto tra persone eterosessuali oppure dello stesso sesso, occorre che la stessa venga attestata attraverso un’autocertificazione in carta libera, presentata al comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di convivere allo stesso indirizzo.
Ricevuta tale autocertificazione, il Comune, dopo aver provveduto agli opportuni accertamenti, rilascerà il certificato di residenza e stato di famiglia.
Nel momento in cui la convivenza di fatto tra due persone viene formalizzata nel modo predetto, si viene a costituire un vero e proprio nucleo familiare che, nonostante sia diverso da quello matrimoniale, è, allo stesso modo, meritevole di tutela.
In particolare, sempre secondo quanto risulta da tale legge, dalla convivenza di fatto così formalizzata ne consegue il riconoscimento dei seguenti diritti e doveri:
a) gli stessi diritti che spettano al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (quale la possibilità di far visita al proprio partner in carcere);
b) il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero del convivente di fatto;
c) la facoltà di nominare il convivente come proprio rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute, o di morte, in relazione alla donazione di organi, alle modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
d) il diritto per il convivente di fatto di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, se il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno;.
e) in caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il diritto del convivente superstite di restare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e non oltre i cinque anni;
f) se il convivente superstite ha figli minori o disabili, il diritto di continuare a restare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni;
g) nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, la facoltà del convivente di succedergli nel contratto;
h) lo stesso diritto al risarcimento del danno che spetta al coniuge superstite, in caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo;
i) il diritto del convivente di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato;
j) il diritto di ricevere gli alimenti dall’ex convivente in caso di cessazione della convivenza di fatto, qualora l’altro versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Si tratta di disposizioni che si ritiene non possano costituire oggetto di interpretazione estensiva, con la conseguenza che casi come quello di specie non possono ricondursi in via analogica nel campo di applicazione di tale normativa.
Pertanto, avendo il convivente deceduto nominato in modo generico quale beneficiario della polizza il “coniuge”, senza specificarne il nome, si avrà come conseguenza che, in assenza di vincolo matrimoniale, il convivente di fatto superstite non potrà in alcun modo assimilarsi al coniuge e, pertanto, diretti beneficiari saranno i figli.
Ulteriore conseguenza di tale soluzione sarà che occorrerà munirsi della autorizzazione del giudice tutelare per la riscossione del capitale assicurato, essendo tale autorizzazione espressamente richiesta dall’art. 320 comma 4 c.c.

Poiché nel quesito si dice che l’intenzione dei conviventi sarebbe stata quella di estinguere con la somma assicurata almeno parte del mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile in comproprietà, ciò che può suggerirsi è di chiedere al giudice tutelare di autorizzare, sempre ex art. 320 comma 4 c.c., il reimpiego della somma che si andrà a riscuotere per tale finalità, considerato che anche i figli, a seguito dell’apertura della successione, sono inevitabilmente divenuti comproprietari dell’immobile in qualità di coeredi.
Infatti, salvo diversa disposizione testamentaria del de cuius (la quale, in ogni caso non può ledere la quota di riserva spettante ai figli, pari a due terzi indivisi ex art. 537 comma 2 c.c.), poiché i conviventi more uxorio non hanno diritti successori l’uno nei confronti dell’altro, la metà indivisa di quell’immobile verrà trasferita iure successionis in favore dei figli superstiti.

Massimo M. chiede
mercoledì 23/12/2020 - Lombardia
“Polizza vita di risparmio, beneficiari designati in polizza “gli eredi testamentari”.
Nel testamento l’assicurato nomina suoi eredi il figlio e la moglie. Attribuisce specificatamente alcuni beni al figlio ed altri beni alla moglie. Poi scrive “Tutto il resto per il quale non ho disposto lo attribuisco a mia moglie”. Non viene citata la polizza vita.
In virtù delle disposizioni testamentarie, è corretto attribuire l’intera prestazione alla moglie?”
Consulenza legale i 30/12/2020
La designazione di coloro che assumeranno la posizione di eredi testamentari quali beneficiari di una polizza vita di risparmio, fatta in modo così generico, comporta una determinazione per relationem di tali soggetti, con la conseguenza che per la loro concreta individuazione dovrà necessariamente farsi riferimento alla volontà espressa dallo stesso contraente assicurato nella scheda testamentaria a cui si fa rinvio.
Pertanto, se nel testamento il de cuius nomina espressamente quali suoi eredi il figlio e la moglie, entrambi assumeranno, per volontà del testatore, la posizione di chiamati all’eredità ed a beneficio di entrambi, in parti eguali tra loro, dovrà essere devoluta la somma che andrà erogata dall’assicurazione.

Il caso di specie, in effetti, potrebbe ingenerare dei dubbi dovuti al fatto che il testatore/assicurato non ha fatto alcun riferimento a detta polizza né designato in maniera espressa nel testamento il beneficiario o i beneficiari.
Tuttavia, l’art. 1920 c.c., che si occupa proprio di disciplinare l’assicurazione a favore di un terzo, prevede al secondo comma non soltanto che la designazione del beneficiario possa essere fatta con testamento, ma anche che il beneficiario possa essere determinato solo genericamente.
Tale norma si ispira al principio del c.d. favor tertii, riconoscendo esplicitamente efficacia alla designazione generica; di conseguenza, è stato espressamente sostenuto che non occorre che il terzo sia immediatamente identificabile al momento della designazione, essendo sufficiente, come si è prima accennato, che possa essere individuato per relationem in base alle indicazioni contrattuali quando, verificatosi l’evento assicurato, il suo diritto divenga attuale.

E’ stata così riconosciuta quale valida designazione beneficiaria quella contenente l’espressione “agli eredi”, ovvero “agli eredi legittimi” o ancora “agli eredi testamentari”; in tale ipotesi il diritto alla somma assicurata spetta a chi, alla morte dell’assicurato, risulti chiamato alla successione legittima o testamentaria.
Si è anche precisato che, qualora nel contratto la designazione venga fatta a favore degli “eredi”, senza alcun’altra specificazione, dovranno intendersi come tali quelli testamentari (anche in caso di testamento successivo al contratto) e, solo in mancanza di testamento, quelli legittimi.

Si ritiene possa essere utile precisare che, poiché il riferimento alla qualità di erede vale solo al fine di individuare la persona del beneficiario, l’acquisto della somma assicurata opera autonomamente ed è svincolato dalle norme successorie, con la conseguenza che:
  1. l’erede potrebbe anche rinunciare all’eredità ed esigere il beneficio;
  2. in caso di più eredi, l’indennità andrà ripartita tra loro in parti uguali e non in proporzione alle rispettive quote ereditarie.
Una diversa interpretazione, peraltro, si porrebbe in contrasto con quanto dispone il terzo comma dello stesso art. 1920 c.c., in cui è detto che il diritto alla prestazione dell’assicuratore sorge direttamente in capo al beneficiario, con carattere di autonomia rispetto al patrimonio dello stipulante (cfr. Cass. 6531/2006; Cass. 4484/1996; Cass. 9388/1994).

Con particolare riferimento, poi, alla divisione che il testatore/assicurato ha voluto fare di alcuni beni del suo patrimonio, si tratta di ipotesi espressamente prevista al secondo comma dell’art. 734 del c.c., in cui viene precisato che i beni non compresi nella divisione, vanno attribuiti conformemente alla legge “se non risulta una diversa volontà del testatore”.
In questo caso il testatore ha voluto in primo luogo individuare i suoi eredi, per poi dividere tra gli stessi alcuni suoi specifici beni ed infine disporre l’attribuzione esclusiva alla moglie di quelli non menzionati (evitando così la loro attribuzione conformemente alla legge).
Tra tali beni, tuttavia, non può farsi rientrare la somma assicurata, in quanto, come si è detto poc’anzi e come confermato anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, tale somma non entra neppure a far parte del patrimonio del de cuius ed il diritto alla prestazione dell’assicuratore sorge direttamente in capo ai beneficiari.


Fernando G. chiede
lunedì 05/10/2020 - Campania
“Mia madre, deceduta nel 2016, stipulò nel 2009 un'assicurazione sulla vita (con Poste Vita) indicando il mio nome come unico beneficiario. La polizza è scaduta nel 2015, cioè l'anno prima della morte di mia madre. La polizza quindi non è stata riscattata né rinnovata. Poste Vita oggi, su mia richiesta esplicita, liquida soltanto 1/3 della somma assicurata, sostenendo che essendo la polizza scaduta prima della morte del de cuius, la somma entra nell'asse ereditario - siamo tre figli - e va pertanto ripartita in tre quote.
E' giusto il comportamento di Poste Vita? Esiste giurisprudenza specifica sulla fattispecie? - Grazie.”
Consulenza legale i 18/10/2020
I dubbi che ci si pongono sono in effetti legittimi, ma va detto che, purtroppo, Poste Vita in questa circostanza ha un valido motivo per avanzare una richiesta di tale tipo.

In effetti, nella generalità dei casi, quando viene stipulato un contratto di assicurazione sulla vita a favore di un terzo beneficiario, trova applicazione l’art. 1920 c.c., il quale, al secondo comma, dispone espressamente che il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione per effetto della stipulazione.

Nella conclusione di un contratto di tale tipo (che costituisce peraltro applicazione del principio generale della validità del contratto a favore di terzi espresso all’art. 1411 del c.c.), la designazione del terzo beneficiario può essere contestuale alla stipula del contratto di assicurazione (il che si verifica quando già nella proposta o nella polizza il contraente indichi, come avvenuto in questo caso, il destinatario del definitivo vantaggio economico del contratto) o successiva (purché anteriore alla verificazione dell'evento assicurato).

Se il contratto di assicurazione è, fin dall'origine, rivolto a favore di un terzo, il beneficiario acquista, senza necessità di alcuna accettazione, un diritto proprio ed autonomo all'indennità assicurativa.
La giurisprudenza, argomentando in particolare dal secondo comma della norma, è unanime nel ritenere che, in questo caso (di designazione rivolta fin dall'origine a favore di terzo), il diritto che il beneficiario acquista ai vantaggi dell'assicurazione trova fondamento nel contratto stesso e perviene al medesimo direttamente, senza passare per il patrimonio del contraente (così Cass. n. 4851/1980; Cass. n. 9388/1994; Cass. n. 4484/1996; Appello di Roma 02.10.2008; A. Milano 3.1.1989).
Proprio in considerazione di ciò, è stato anche sostenuto che in caso di designazione di più beneficiari, il diritto all'indennizzo si trasmette ai suoi eredi e non si accresce agli altri beneficiari (Trib. di Roma 2.12.2004).
Tale principio dell'autonomia del diritto del beneficiario è pacificamente ritenuto applicabile anche all'assicurazione contro gli infortuni (cfr. Cass. n. 6062/1998; Cass. 15407/2000; Cass. n. 3160/2001).

Quanto sopra riportato, dunque, sembrerebbe dare conferma dei dubbi che vengono sollevati in relazione alla richiesta fatta da Poste Vita, inducendo a dover considerare tale richiesta del tutto illegittima.
In realtà, però, come accennato all’inizio di questa consulenza, Poste Vita ha in questa circostanza una valida e fondata ragione per avanzare tale richiesta.
Infatti, quella sopra riportata costituisce disciplina generale applicabile in tutte le ipotesi di conclusione di un contratto di assicurazione sulla vita con terzo beneficiario, in assenza di una diversa regolamentazione contrattuale intercorsa tra le parti.

Tale disciplina generale, però, non può trovare applicazione nel caso di specie, in quanto andando a leggere con attenzione il fascicolo Informativo contenente la Scheda Sintetica, la Nota Informativa, le Condizioni di Assicurazione e il Glossario, relativo alla particolare tipologia di polizza sottoscritta (Postafuturo ad hoc Unico per classe 3 A Valore reale), tutti documenti che dovrebbero essere consegnati al contraente prima della sottoscrizione e che accompagnano il documento di polizza, ci si rende conto che la richiesta avanzata da Poste Vita è legittima.

Infatti, nella Nota informativa, alla Sezione B, paragrafo 3.1 viene intanto stabilito che la data di scadenza del contratto è fissata al 31.12.2015, con facoltà per il contraente di effettuare in ogni momento il riscatto totale (mentre viene escluso il riscatto parziale).
Al successivo paragrafo 3.2, rubricato “Prestazione in caso di vita dell’assicurato a scadenza”, è stabilito espressamente ciò che Poste Vita pagherà all’ASSICURATO (non al beneficiario), perfettamente coincidente con quanto in effetti risulta dalla polizza fatta pervenire a questa Redazione.

Alla Sezione D, paragrafo 12, viene indicata la “Documentazione da consegnare a Poste Vita Spa per la liquidazione delle prestazione”, precisandosi che alla scadenza l’ASSICURATO (non il beneficiario) deve inviare la richiesta di pagamento per scadenza, mentre in caso di decesso dell’assicurato (si lascia intendere anteriore alla scadenza) saranno i beneficiari a dover inviare la richiesta di pagamento.

Di tali modalità di pagamento (in favore del contraente assicurato se in vita alla data di scadenza ed in favore del beneficiario in caso di decesso prima della scadenza) se ne trova ulteriore conferma nella parte relativa alle “Condizioni di assicurazione”, e precisamente sub art. 2 (punti 2.1 e 2.2) e sub art. 10.
Infine, ulteriore e definitiva conferma della interpretazione che va data alle condizioni contrattuali che regolavano tale tipo di polizza vita (e che giustifica la scelta di Poste Vita), la si ritrova nel “Glossario”, facente parte sempre dei documenti contrattuali, ove viene definito e qualificato come BENEFICIARIO “la persona fisica o giuridica che viene designata dal Contraente a ricevere il capitale assicurato in caso di decesso dell’Assicurato in corso di contratto”.

Pertanto, poiché in questo caso il decesso dell’assicurato è avvenuto in data successiva alla scadenza contrattuale, unico soggetto legittimato a riscuotere la somma era lo stesso assicurato.
Non essendo stata tale somma ancora riscossa, è corretto che tale legittimazione debba intendersi trasmessa agli eredi (legittimi o testamentari), in proporzione delle rispettive quote.
Poiché in questo caso la de cuius lascia tre figli, aprendosi la successione per legge, troverà applicazione l’art. 566 del c.c., il quale dispone che al padre ed alla madre succedono i figli in parti eguali.

Questa è l’interpretazione che si ritiene corretto adottare nel caso di specie.
Si tenga comunque conto che, qualora quanto qui sostenuto (che conferma l’orientamento di Poste Vita) non dovesse convincere, ci si può sempre avvalere di quanto previsto alla Sezione D, paragrafo 15 della Nota informativa, ossia:
  1. inoltrare reclamo a Poste Vita Spa, all’attenzione della funzione aziendale responsabile (Ufficio reclami), per contestare le modalità di liquidazione;
  2. qualora non ci si dovesse ritenere soddisfatti del reclamo ovvero in caso di assenza di riscontro entro il termine massimo di 45 giorni, ci si potrà rivolgere all’ISVAP, Servizio Tutela degli utenti, corredando l’esposto della documentazione relativa al reclamo trattato da Poste Vita Spa.
L’ISVAP sarà certamente in grado di fornire ogni chiarimento al riguardo.


Marco T. chiede
domenica 27/05/2018 - Piemonte
“Gentile Brocardi,
sono Marco Tagliafico, le chiedo cortesemente se puo' illuminarmi su questo dubbio.
Polizza vita muore il Contraente Eraldo Verdi, l'Assicurato poniamo è diverso dal contraente ed è Gianni Rossi.
Il Beneficiario in caso vita è lo stesso Gianni Rossi già assicurato , mentre in caso morte vengono indicati gli eredi legittimi. Il questo caso caso dove il contraente muore premoriente, gli eredi legittimi indicati in polizza sono quelli dell' assicurato(diverso dal contraente indicato in polizza vita) o quelli del contraente?.
Grazie
mt”
Consulenza legale i 31/05/2018
In primo luogo l'art. 1882 c.c. definisce l'assicurazione come quel contratto col quale "l'assicuratore verso la corresponsione di un premio si obbliga a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento della vita umana".
L'assicurazione sulla vita può essere diretta a trasferire il rischio della morte oppure quello della vita. L’art. 1919 del Codice Civile dispone che l’assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo.
Il successivo art. 1920 del codice civile stabilisce, tra l’altro, che per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione. Ciò significa che la polizza vita è acquisita dal beneficiario, come un diritto proprio che si ottiene direttamente attraverso il contratto di assicurazione. Di conseguenza, l’obbligazione di pagamento che grava sull’assicuratore deriva esclusivamente dal contratto di assicurazione e dalla designazione del beneficiario, mentre la morte dell’assicurato rappresenta il momento di consolidamento del diritto già acquisito inter vivos.

Ciò posto, in linea generale, in caso di decesso di un contraente di un qualsiasi contratto, si ritiene debba applicarsi il principio di trasmissibilità del medesimo, come si deduce anche dagli articoli 460 e 490 del codice civile in merito ai poteri dei chiamati all’eredità.
Inoltre, sempre in materia di contratti, il codice civile contiene previsioni che regolano specificamente le conseguenze della morte di una delle parti sul vincolo contrattuale, prevedendo un principio di continuazione (si pensi, a titolo di esempio, agli articoli 1614, 1674 o 1833 c.c.)

Fermo quanto precede, nel caso di specie, si ipotizza la premorienza di un contraente che non coincide con l’assicurato.
In tale ipotesi, tenendo presente i principi sopra enunciati, è legittimo supporre che la titolarità del contratto (a meno che nel contratto originario sia già stato stabilito l’eventuale nuovo contraente) si trasferisce agli eredi legittimi del contraente (o agli eredi testamentari se vi è un testamento).
Pertanto, in linea teorica, i beneficiari rimangono sempre gli eredi legittimi dell’assicurato e non del contraente i quali subentrano sono nel ruolo di nuovi contraenti.
Infatti, teniamo presente che nel caso prospettato il contraente aveva stipulato la polizza (di tipo misto, parrebbe) per tutelare un interesse altrui (quello dell’assicurato) e non il proprio, sia in caso di vita che in caso di morte.
Da ciò ne discende che in caso di premorienza del contraente possiamo ipotizzare che gli eredi legittimi indicati in polizza debbano intendersi quelli dell’assicurato nel cui interesse era stato stipulato il contratto.

Tale considerazioni astratte, tuttavia, per essere confermate richiedono necessariamente l’esame delle condizioni e clausole contenute nel contratto (considerato che esistono varie tipologie di polizze).

Sergio S. chiede
mercoledì 16/05/2018 - Trentino-Alto Adige
“Buongiorno,

nella sentenza di divorzio fra i miei genitori è stabilito che mio padre debba stipulare una polizza a vita a mio favore (ero loro unico figlio) per una somma indicata e da rivalutare secondi gli indici istat. Nella sentenza non è stabilito alcun termine temporale. Vorrei chiedere nel caso mio padre non abbia adempiuto a questa parte della sentenza se vi sia un modo per richiederlo. Cosa succederebbe poi alla sua morte ?
Ho letto che l'assicurazione non rientra nell'asse ereditario ma i premi versati sì. Questo vale anche in caso di polizza sottoscritta per effetto di una sentenza?
Specifico che mio padre si è poi risposato e ha avuto altri tre figli.”
Consulenza legale i 21/05/2018
Nel caso di specie, la questione che Lei ci sottopone, richiede una doverosa precisazione in relazione alle cosiddette "obbligazioni di fare" contenute in un provvedimento del giudice, come si evince dalla sentenza richiamata nel quesito.
Nel nostro ordinamento una forma di esecuzione è quella in forma specifica, ovvero l’esecuzione degli obblighi cosiddetti di fare o di non fare. Con tale forma di esecuzione, in sostanza, il creditore dell’obbligazione – nel caso di specie Sua madre – riesce ad ottenere esattamente la prestazione che Le è dovuta da parte del debitore – nel caso in esame suo padre. Infatti, da come si evince dalla ricostruzione dei fatti, Lei è il terzo verso cui si manifesteranno gli effetti del contratto così come previsto dagli artt. 1411 e 1920 cod. civ.
I criteri generali dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare sono delineati dagli articoli 2931 e 2933 cod. civ.
In particolare, l’articolo 2931 cod. civ. specifica che, se il soggetto che vi è tenuto non adempie ad un obbligo di fare, l’avente diritto può adire l’autorità giudiziaria per ottenere che detto obbligo venga eseguito a spese dell’obbligato, secondo le forme e le modalità previste dal codice di procedura civile agli artt. 612 e ss.
Per promuovere l’azione ai sensi dell’art. 612 c.p.c., il soggetto procedente deve essere in possesso di un titolo esecutivo che, nel caso in esame, è costituito dalla sentenza di divorzio passata in giudicato in quanto non opposta.
Il procedimento da seguire per ottenere l’esatto adempimento dell’obbligazione di fare, come previsto ai sensi dell’art. 612 c.p.c., deve essere il seguente: il soggetto che intende ottenere l’esecuzione forzata di un obbligo di fare deve notificare l’atto di precetto e decorsi inutilmente dieci giorni dalla notifica dello stesso, chiedere, con ricorso al giudice dell’esecuzione, che siano determinate le modalità dell’esecuzione stessa. Successivamente il giudice, sentita la parte obbligata, provvede con ordinanza.
Con la detta ordinanza, il giudice designa anche l’ufficiale giudiziario incaricato dell’esecuzione e indica le persone tenute a compiere l’opera non eseguita.
Tutto quanto sin qui richiamato, è stato espresso al fine di illustrare quale sia la modalità per ottenere l’esatta esecuzione della prestazione come disposta nella sentenza di divorzio richiamata.

In relazione agli altri quesiti da Lei promossi, per semplicità di trattazione possono essere riuniti in uno solo: quale sia il regime successorio delle polizze assicurative sulla vita, sia in relazione ai premi versati sia in relazione ai premi riscossi.
Le polizze assicurative non rientrano nell’asse ereditario.
Tale affermazione la si evince dalla lettura dell’art. 1920 cod. civ. che, nel disciplinare l’assicurazione a favore di terzo, stabilisce che, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione.
La designazione del beneficiario, che è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamente e che può essere fatta nel contratto di assicurazione con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento, è un atto unilaterale a favore di un terzo ed è un atto tra vivi, con la conseguenza che il beneficiario acquista, per effetto della designazione, un diritto proprio nei confronti dell’assicurazione.
Il diritto al pagamento dell’indennità non è acquistato a titolo di legato o di quota ereditaria, ma iure proprio sulla base della promessa fatta dall’assicuratore di pagare il capitale al verificarsi dell’evento assicurato.
Si precisa che, quando nella polizza sono stati designati quali beneficiari caso morte gli eredi legittimi dell'assicurato, tali soggetti rimangono precisamente identificabili alla data del decesso anche in presenza di un testamento che attribuisca agli eredi testamentari il patrimonio relativo all'asse ereditario.
Quando ad essere designati sono una o più persone specifiche sussiste la facoltà, ex articolo 1921 c.c., di revocare tale designazione, nominando un nuovo beneficiario, purché nel testamento il contraente faccia riferimento alla somma assicurata o alla polizza.
Come ha affermato anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26606/2016: "nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1920, comma 3, c. c., un diritto proprio che trova la sua fonte nel contratto e che non entra a far parte del patrimonio ereditario del soggetto stipulante e non può, quindi, essere oggetto delle sue disposizioni testamentarie né di devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima; sicché la designazione dei terzi beneficiari del contratto, mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi o testamentari, non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, trattandosi di una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari medesimi in funzione della loro astratta appartenenza alla categoria dei successori indicata nel contratto, in modo che qualora i beneficiari siano individuati, come nella specie, negli eredi legittimi, gli stessi sono da identificarsi con coloro che, in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante, siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all'eredità".

Alla luce di quanto detto, pertanto, si conferma la sua affermazione e cioè che l’assicurazione non rientra nell’asse ereditario.
Per quel che riguarda i premi versati al momento della sottoscrizione della polizza assicurativa, si precisa, invece, quanto segue.
Il beneficiario potrà solamente essere tenuto a restituire ai legittimari che risultassero lesi nella loro quota, l'ammontare dei premi pagati dal de cuius.
Con l’art 741 c.c., difatti, il Legislatore precisa che “E' soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all'esercizio di una attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti”.
Ai sensi dell’art. 737 cod. civ. la collazione può essere definita come l’istituto per il quale taluni soggetti – figli, discendenti e coniuge – che abbiamo accettato l’eredità, conferiscono alla massa ereditaria quanto hanno ricevuto in vita dal defunto a titolo di donazione.

Riteniamo, peraltro, che l’obbligo imposto in capo a Suo padre dal giudice con la sentenza di divorzio di dover sottoscrivere una polizza assicurativa a Suo favore non possa essere inteso come una donazione e pertanto che, in caso di accettazione dell’eredità, non si applichi l’istituto della collazione in relazione al recupero delle somme versate quale pagamento del premio assicurativo.
Dunque, in caso di eventuale lesione di legittima, Lei non sarà comunque tenuto a restituire (o comunque ad imputare alla sua quota) i premi assicurativi versati, in quanto, nel caso di specie, non si è trattato di donazione. Manca infatti del tutto l’animus donandi; c'è un obbligo imposto dal giudice nella sentenza di divorzio e non una liberalità di un padre verso il proprio figlio. Il padre è stato obbligato dall'autorità giudiziaria.

Concludendo:
- se Suo padre non ha ancora stipulato l’assicurazione in Suo favore, si potrà adire il giudice e chiedere l’esecuzione in forma specifica della sentenza di divorzio.
- l’assicurazione non rientra nell’asse ereditario a differenza dei premi assicurativi. Nel caso di specie, tuttavia, riteniamo che neppure i premi assicurativi possano rientrare nell’asse ereditario perché trattasi di un obbligo imposto dal giudice e non di una liberalità (donazione) compiuta da Suo padre nei Suoi confronti e, pertanto, in caso di lesione della legittima, per la determinazione dell’asse ereditario e delle singole quote ereditarie, non bisognerà tener conto dei premi che Lei ha ricevuto per effetto della polizza assicurativa di cui è beneficiario.


Anonimo chiede
domenica 10/09/2017 - Lombardia
“Buongiorno, vorrei sottoporre alla vostra attenzione il mio caso con la speranza di essere stata il più chiara possibile.

Mio zio indiretto, ovvero marito della sorella di mia mamma, nel corso degli ultimi anni, ha stipulato diverse polizze vita,
tra le prime sottoscritte ne aveva stipulato una con beneficiario la moglie, dopo l’improvvisa morte della stessa, con una lettera comunicò alla agenzia assicurativa di voler sostituire il beneficiario su questa polizza in mio favore, cosa che fu fatta.
Rimasto solo perché non avevano figli, condivise gli ultimi anni della sua vita con una compagna per la quale stipulò una polizza con il suo nome come beneficiario.
Oltre queste due ne sottoscrisse altre due con beneficiari gli eredi.
Alla sua morte lasciò un testamento olografo che la sua compagna consegnò ad un notaio per la pubblicazione.
In questo testamento disponeva per altre sue proprietà ovvero: la casa dove aveva vissuto con la moglie con una quota del 50% in mio favore ed il 50% per sua sorella, investimenti e parte di risparmi in favore della sua compagna, altra parte di investimenti e depositi in favore degli eredi.
Nel testamento decise di destinare diversamente la parte destinata agli eredi, con le testuali parole:

“Lascio ai miei nipoti indiretti (citando i nomi dei tre miei cugini) in parti uguali tra di loro la quota del 30% e agli altri miei nipoti diretti (citando i nomi dei tre figli dei suoi fratelli) in parti uguali tra loro la quota del 70% , e le polizze "xxx" non cointestate presso istituto "xxx" di …………………… “.

Come da prassi, ho presentato all’Assicurazione richiesta di liquidazione della mia Polizza ma la stessa dopo avermi
creato non pochi problemi , mi ha inviato AR nella quale mi viene detto che, esaminata la pratica, mi informa che la disposizione
testamentaria vale quale modifica della designazione di beneficio .
(La mia Polizza e quella della sua compagna sono antecedenti al testamento redatto nel 2015, tra l’altro la mia stipulata nel 2007 a
favore di sua moglie (mia zia) essendo poi lei venuta a mancare nel 2009, è stata da lui modificata per quel che riguarda il beneficiario,
appunto, con lettera all’assicurazione indicando il mio nome.)
Lo scopo dello zio di citare le polizze e gli investimenti è stato solo per indicare esattamente la divisione che voleva fosse fatta tra i nipoti diretti e indiretti ( 30 e 70) e quel “ non cointestate “ intendeva escluse quelle con beneficiario nominativo.
Avendo letto diversi articoli trattanti la revoca del beneficiario di una polizza vita si dice appunto che in fase testamentaria per poter parlare di revoca del precedente beneficiario è necessario che vi sia un’indicazione espressa o quanto meno un riferimento al contratto di assicurazione o alla somma assicurata.
La mia domanda è, posso avere una speranza che le volontà dello zio non siano legate ad una poco attenta interpretazione da parte
della compagnia assicurativa e che intentando una causa possa questa essere a mio favore?





Consulenza legale i 14/09/2017
Gentile Cliente,

l'art. 1921 c.c. prevede che la revoca del beneficiario di una polizza di assicurazione sulla vita possa essere fatta nelle stesse forme previste dall'art. 1920 c.c. per la designazione.

Di conseguenza, la revoca del beneficiario può essere fatta anche mediante testamento.

Va osservato, inoltre, che il Tribunale di Palermo, con una sentenza del 22 gennaio 2003, ha stabilito che "ai sensi dell’art. 1921 c.c. la disposizione testamentaria costituisce una delle modalità con cui il contraente di un contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzi può revocare, anche tacitamente, la designazione del beneficiario, allorché la disposizione testamentaria risultando incompatibile con la precedente designazione contrattuale, dia luogo a nuova designazione".

Di conseguenza, la revoca del beneficiario può "desumersi, implicitamente, da una nuova (valida) designazione, incompatibile con la precedente".

Nel caso da lei sottoposto, tuttavia, è innegabile la genericità della disposizione testamentaria oggetto di controversia, dalla quale non è chiaro comprendere a quali polizze il testatore abbia voluto far riferimento.

In proposito, sarebbe utile indagare se, tra le varie polizze, ve ne siano effettivamente alcune di "cointestate" (vale a dire se vi siano delle polizze che rechino come "contraente", due o più soggetti) o se, in realtà, il testatore abbia usato impropriamente tale termine.

Laddove effettivamente sussistessero delle polizze "cointestate", la disposizione testamentaria diverrebbe già più chiara, nel senso che risulterebbe citato il criterio di esclusione.

Qualora tutte le polizze recassero, invece, un solo contraente, certamente sarebbe ipotizzabile rivolgersi al giudice, al fine di ottenere l'accertamento della volontà testamentaria e il conseguente riconoscimento del suo diritto a riscuotere la polizza.


Gianfelice P. chiede
venerdì 21/10/2016 - Estero
“Assicurazione sulla vita, non menzionata nel testamento pubblico.
Non entra nell asse ereditario? Se solo i legittimari sono i beneficiari !”
Consulenza legale i 26/10/2016
I contratti di assicurazione sulla vita propria per il caso di morte sono sempre contratti a favore di terzi, ovvero attribuiscono i benefici del contratto ad un soggetto estraneo al contratto stesso.

Nel caso di specie, il testatore ha designato beneficiari dell’indennità liquidabile per effetto della sua morte gli eredi legittimari.
E’ importante sapere che nel contratto di assicurazione sulla vita, il terzo acquista il diritto per effetto della designazione: quindi, nel caso concreto al nostro esame, i legittimari/beneficiari hanno acquistato il diritto di ricevere l’indennità per effetto della designazione in polizza e non per effetto di successione.
Infatti il beneficiario della polizza, anche se erede, acquista l’indennità – così si dice – “iure proprio” e non “iure successionis”, ovvero in virtù di un diritto proprio di natura contrattuale (che gli deriva dalla polizza quale contratto a suo favore) e non in forza di un diritto di natura derivativa (ovvero che proviene dal defunto e gli viene trasmesso per effetto della successione).

Si veda in proposito Cassazione civile, sez. II, 23/03/2006, n. 6531 : “Poiché nel contratto di assicurazione per il caso di morte il beneficiario designato acquista, ai sensi dell'art. 1921 c.c., un diritto proprio derivante dal contratto alla prestazione assicurativa (salvi gli effetti dell'eventuale revoca della designazione ex art. 1921 c.c.), l'eventuale designazione dei terzi beneficiari con la categoria degli eredi legittimi o testamentari non vale ad assoggettare il rapporto alle regole della successione ereditaria, atteso che tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi” (si vedano, conformi, anche Cassazione civile, sez. I, 10/11/1994, n. 9388 e Tribunale di Perugia, 17/4/2015 n. 746, per il quale “l'assicurazione sulla vita non entra nell'asse ereditario e, ai sensi dell'art. 1920 c.c., il beneficiario acquista, per effetto della designazione, un diritto proprio nei confronti dell'assicurazione). (…) un atto unilaterale a favore di un terzo ed è un atto tra vivi, nel senso che il beneficiario non acquista il diritto al pagamento all'indennità a titolo di legato o di quota ereditaria, ma iure proprio in base alla promessa fatta dall'assicuratore di pagare il capitale al momento del verificarsi dell'evento assicurato" ed infinel'obbligazione di pagamento gravante sull'assicuratore discende esclusivamente dal contratto di assicurazione e della designazione del beneficiario, mentre la morte dell'assicurato, evento assicurato, rappresenta il mero momento di consolidamento del diritto già acquisito inter vivos e non mortis causa".”

La designazione del terzo beneficiario di polizza può essere fatta sia con contratto che per mezzo di un testamento (art. 1920 cod. civ.): nel caso di specie, non essendo contenuta nel testamento alcuna clausola modificativa, nella sostanza, della designazione già operata in polizza né alcun accenno alla polizza stessa, risulteranno ancora beneficiari gli iniziali eredi legittimari.

In conclusione, quindi, se si è ben intesa la domanda, l’indennità di cui alla polizza non rientrerà nell’asse ereditario ma andrà ad esclusivo vantaggio dei beneficiari (che sono anche legittimari), con esclusione di qualunque altro erede.

Anonimo chiede
venerdì 15/07/2016 - Emilia-Romagna
“Situazione ipotizzata:
- padre divorziato con figli, stipula una polizza vita a favore di uno soltanto indicato nominalmente come beneficiario (nome/cognome - codice fiscale) e non come "erede" o "figlio"
- interviene il decesso del padre
- impossibilità di stabilire con certezza eventuali anche se remote situazioni debitorie a carico del padre
- figlio beneficiario della polizza rinuncia all'eredità, gli altri la accettano
- figli eredi risultano svantaggiati ma non intendono agire per ottenere parte del premio per preservarlo da ogni rischio

Domande:
1) il premio è soggetto a collazione anche se il figlio beneficiario rinuncia all'eredità ?
2) se il premio è comunque soggetto a collazione, i figli eredi possono non agire per ottenere parte del premio o sono obbligati a farlo ?
3) il premio della polizza va indicato in successione ?
4) che il beneficiario si trattenga sia il premio che il capitale, può considerarsi accettazione tacita dell'eredità annullando di fatto la rinuncia ?
5) la rinuncia deve essere fatta prima della riscossione della polizza o anche successivamente ?
6) la rinuncia eseguita presso il tribunale, deve essere comunicata all'agenzia delle entrate ?”
Consulenza legale i 29/07/2016
È una situazione non così inusuale che vi sia una polizza assicurativa in favore di uno solo dei coeredi (in questo caso, uno dei figli).
Facendo una doverosa ricostruzione normativa occorre precisare che:
- L’[[art 741 cc]] afferma che “è soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti … per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore”;
- L’[[art 1920 cc]] afferma che “è valida l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo … per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione”;
- L’[[art 476 cc]] stabilisce che “l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”;
- L’[[art 519 cc]] afferma che la rinuncia all’eredità deve essere fatta in forma solenne, vale a dire “con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del cui circondario si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni”.
Procediamo ora alle risposte per punti:
1. La collazione in natura o per imputazione[/def] e la rinuncia all’eredità sono due atti giuridicamente distinti: attraverso la collazione, si conferisce alla massa ereditaria quanto ricevuto in vita dal defunto (nel caso di specie, soggetti a collazione sono i soli premi dell’assicurazione sulla vita), mentre la rinuncia è un atto solenne che ha lo scopo di far sì che il chiamato all’eredità non venga considerato tale, visto che la rinuncia è atto retroattivo. Pertanto, nonostante la rinuncia all’eredità, i premi versati sono comunque soggetti a collazione.
2. Quando si verifica la collazione, non c’è nessun obbligo sanzionato che “costringa” gli eredi ad agire per il recupero del premio: l’azione giudiziaria è – nell’ambito civile – a totale discrezione della parte che si presume lesa nel godimento di un suo diritto.
3. Il premio della polizza assicurativa va comunque indicato in successione, posto che si verifica la collazione: andrà dunque computato nella c.d. disponibile del patrimonio del defunto, e successivamente suddiviso tra i coeredi (a favore dei quali vi sarà il c.d. accrescimento della quota, vista la rinuncia all’eredità di uno dei chiamati).
4. Il beneficiario della polizza ben può trattenere il premio della polizza: ai sensi dell’[[art 1920 cc]], infatti, egli ha un diritto proprio ai vantaggi – e quindi al premio – dell’assicurazione. Per ciò che concerne l’accettazione tacita, l’[[art 476 cc]] stabilisce che si rende necessario il compimento di un atto che implica – come presupposto per la sua validità – la qualità di erede per il suo compimento.

La giurisprudenza di legittimità ha cercato di tipizzare alcuni atti che facciano intendere la volontà di essere eredi del decuius, tra i quali figurano il pagamento di crediti del defunto, la stipula di contratti aventi ad oggetto beni ereditari, il compimento di azioni giudiziarie. Il trattenimento del capitale – essendo un diritto a se stante rispetto alla successione – non può essere considerato come accettazione tacita dell’eredità, così come il trattenimento dei premi versati. Ciò anche perché per “annullare” la rinuncia occorre pur sempre un atto formale (la revoca della rinuncia – [[art 525 cc]]) o l’impugnazione per violenza o dolo ([[art 526 cc]]).
Merita una menzione anche l’[[art 521 cc]], che al secondo comma prescrive che “il rinunziante può ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile”: nonostante la rinuncia, dunque, è possibile trattenere la donazione sempreché questa non leda la quota di legittima degli altri coeredi.
5. La rinuncia all’eredità deve essere fatta in 10 anni “dal giorno dell’apertura della successione” ([[art 480 cc]]): non importa dunque se prima o dopo la riscossione della polizza assicurativa (poiché, come visto sopra, la polizza assicurativa e la successione viaggiano su binari paralleli, non condizionandosi).
6. La rinuncia, per poter essere valida ed efficace, deve essere fatta nelle forme di cui all’[[art 519 cc]] Occorre pur sempre presentare la dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate a cui deve essere allegato il verbale in forma autentica da cui risulta la rinuncia all’eredità.

Una annotazione: se effettivamente dalla situazione patrimoniale del decuius risultassero posizioni debitorie insolute, ai coeredi chiamati converrebbe effettuare l’accettazione con beneficio di inventario (laddove l’accettazione pura e semplice non sia già intervenuta): solo con l’accettazione con beneficio di inventario, infatti, non si crea confusione tra il patrimonio del defunto e il patrimonio dell’erede, in modo che eventuali creditori del defunto potranno soddisfarsi solo sul patrimonio del defunto debitore e non anche su quello dell’erede (cosa che accade invece con l’accettazione pura e semplice).


RODOLFO M. chiede
sabato 11/04/2015 - Campania
“La giurisprudenza di merito è incerta sull'applicabilità dell'art. 1920 c.c. alle polizze che contengono, unitamente all'elemento vita, anche strumenti finanziari. Tanto premesso sono alla ricerca di elementi certi che mi consentano di qualificare i citati contratti come polizze vita o, altrimenti, dati (circolari, norme speciali, precedenti della corte di cassazione) che confermino che per tutte le polizze che contengono l'elemento vita, trovi applicazione l'art. 1920 c.c. ancorchè le stesse contengano anche strumenti finanziari.
Grazie.”
Consulenza legale i 15/04/2015
Premesso che in ambito giuridico non v'è nulla - purtroppo - che possa dirsi "certo" (la giurisprudenza muta spesso opinione, così come pure il legislatore, e nel frattempo la società trova nuove soluzioni originali alle problematiche giuridiche quotidiane), va innanzitutto rilevato che le polizze cui si fa riferimento nel quesito sembrano essere le cosidette polizze unit linked.
Si tratta di strumenti dalla natura mista, assicurativo-finanziaria, che hanno lo scopo di far investire il contraente in fondi, per una durata pari alla propria esistenza in vita. Il nome "unit linked" va ricondotto al fatto che il loro valore è strettamente connesso a quello delle quote dei fondi in cui il denaro è investito, i c.d. "fondi interni". La definizione di polizze linked è rinvenibile anche nel passaggio del codice delle assicurazioni in cui si opera la classificazione per rami (art. 2 cod. ass.): la classificazione per ramo comprende anche le assicurazioni le cui principali prestazioni sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento.

Secondo la definizione del codice civile, invece, il contratto di assicurazione sulla vita è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a pagare all’assicurato un capitale o una rendita “al verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (art. 1882 del c.c.).

E' evidente che le due forme contrattuali sono, seppur simili, distinte. In particolare, l’esito dell’investimento finanziario è molto più incerto e variabile nella prima, mentre nella seconda si mira a conservare il capitale investito.
In base alle definizioni sopra date, si evidenzierebbe altresì un netto contrasto della polizza "finanziaria" anche con il diritto del contraente, sancito dall'art. 1925 del c.c., di conoscere in ogni momento il valore di riscatto o di riduzione della polizza di assicurazione.

L'art. 1920, come noto, ammette l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo.
Per poter trovare applicazione, il contratto che si sta esaminando deve essere poter definito "contratto di assicurazione sulla vita": diversamente, è evidente che la norma non può applicarsi, anche se si potrà valutare in ogni caso se siano applicabili gli artt. 1411 ss. del codice civile, che disciplinano il contratto a favore di terzi in generale.

Come correttamente rilevato nel quesito, la giurisprudenza di merito ha in alcune occasioni qualificato le polizze miste a strumenti finanziari come contratti ben diversi da assicurazioni sulla vita, individuando il tratto distintivo nella diversa natura dell'investimento.
Le polizze unit linked, nell'opinione di questa parte dei giudici, sono riconducibili all’articolo 1, comma 1, lettera u), del Testo unico della finanza (d.lgs. n. 58/1998), che definisce “prodotti finanziari: gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”. Inoltre, il d.lgs. 303/2006 ha introdotto la lettera w-bis, con cui è stata ampliata la definizione di prodotti finanziari a quelli “emessi da imprese di assicurazione: le polizze e le operazioni di cui ai rami vita III e V di cui all’art.2, comma 1, del d. lgs. 7.09.2005, n.209, con esclusione delle forme pensionistiche individuali di cui all’art.13, comma 1, lett. b) del d. lgs. 5.12.2005, n.252” (v. Tribunale Ferrara, sentenza n. 1010 del 2011).

Il cit. Trib. Ferrara, ha stabilito, nel caso sottoposto al suo giudizio, che si trattasse nella fattispecie di "un vero e proprio contratto finanziario", nello specifico, una polizza unit linked, con conseguente applicazione della disciplina dettata in tema di intermediazione mobiliare, “posto che al contratto a causa mista deve applicarsi la disciplina del rapporto prevalente”. Il giudice si è soffermato sul fatto che la polizza sottoscritta dal consumatore faceva sì che il contraente assumesse il rischio connesso all’andamento dei parametri di riferimento, venendo così meno un effettivo collegamento ad un evento attinente alla vita umana, come previsto invece dall'art. 1882.
Nello stesso senso, si è espresso recentemente anche il Tribunale di Siracusa, con sent. 1540 del 17.10.2013.

Anche la Cassazione si è occupata della materia, in un caso che appare essere per ora l'unico rilevante. Cass. civ., sez. III, 18.4.2012, n. 6061, ha sancito che il giudice, posto dinnanzi ad una polizza unit linked, è tenuto ad interpretarla al di là del nomen iuris attribuito dalle parti, stabilendo se essa vada assimilata ad un prodotto assicurativo oppure ad uno finanziario (con i conseguenti obblighi di comportamento che ne derivano a carico dell’emittente, dell‘intermediario e del promotore nella fase antecedente alla stipula). Nel caso affrontato dal giudice di legittimità, si è stabilito che il contratto sottoscritto dal risparmiatore avesse i caratteri di un prodotto finanziario, e si è applicata dunque la normativa del t.u.f., che impone alcuni obblighi anche formali, non rispettati nel caso di specie.

Da questi ragionamenti consegue che, se il contratto non è qualificabile come contratto di assicurazione sulla vita, non risulta nemmeno applicabile la relativa disciplina (artt. 1919 e seguenti c.c.).

Tornando al quesito, si rileva quindi che la domanda non risulta correttamente posta: non corrisponde al vero che ogni contratto che contenga l'elemento "vita" sia qualificabile come assicurazione sulla vita. Tuttavia, se il contratto nella fattispecie concreta può essere ricondotto ad una polizza vita vera e propria, troverà certamente applicazione l'art. 1920 del codice civile.

Non appare possibile fornire giurisprudenza a favore della tesi sostenuta nel quesito - tesi che ci appare in ogni caso troppo netta e rigida- perché i giudici sembrano essere orientati verso la posizione contraria.
Va peraltro ricordato che ogni caso è a sé stante, cioè ogni contratto misto assicurativo-finanziario deve essere analizzato singolarmente per comprendere quale fattispecie legale sia prevalente, l'assicurazione (con conservazione del capitale) o l'investimento a rischio del sottoscrittore.
In particolare, si deve accertare in che misura la prestazione, capitale o rendita, sarà correlata all’andamento dei mercati finanziari e in che misura sarà invece legata ai versamenti eseguiti dall’assicurato e ad un evento attinente alla vita umana. Il tema meriterebbe certamente uno studio approfondito.

Valter g. chiede
mercoledì 01/04/2015 - Piemonte
“Buongiorno.
La zia vedova con eredi 8 nipoti sottoscrive un'assicurazione vita con scadenza 5 anni.
La zia e' la contraente; una nipote e' l'assicurata; il beneficiario erede naturale del assicurato.
Tutto questo il giorno 25 maggio 2010. La zia e' deceduta il 25 maggio 2014.
Alla scadenza dei 5 anni esattamente il 25 maggio 2015, chi eredita il capitale. grazie”
Consulenza legale i 07/04/2015
L'assicurazione sulla vita contempla i seguenti soggetti:
- il contraente, cioè colui che firma il contratto della polizza e se ne assume gli obblighi (cioè paga il premio previsto dalla polizza);
- l'assicurato, titolare del rischio e della polizza, che di norma coincide con il contraente ma può anche essere diverso (se il contraente decide di sottoscrivere una polizza sulla vita non per se stesso ma a favore di un'altra persona);
- il beneficiario, cioè chi riceverà la somma assicurata, versata dalla compagnia assicurativa quale rimborso nel caso si verifichi uno degli eventi per i quali si è assicurati.

Nel caso della polizza vita che contempli un assicurato diverso dal contraente, quando questi decede, il contratto si trasmette ai suoi eredi, che potranno decidere di nominare un nuovo contraente e lasciare che la polizza giunga a scadenza, oppure di riscattare la polizza (si tratta del potere del contraente di recedere anticipatamente dal contratto, art. 1925 del c.c.: normalmente l'importo della somma di riscatto risulta inferiore al capitale complessivo di premi pagati, perché gli assicuratori tendono a rendere "sfavorevole" questa opzione).

Ai sensi dell'art. 1921 del c.c. non può più effettuarsi, dopo la morte del contraente, la revoca del beneficiario da parte degli eredi del contraente.
Alla luce di questa disposizione, molte compagnie assicurative, nel silenzio della legge, stabiliscono che per poter esercitare il riscatto, gli eredi del contraente debbano ottenere il consenso dei beneficiari della polizza (il riscatto, infatti, toglierebbe loro il vantaggio di ottenere la somma prevista). Se i beneficiari caso morte sono gli eredi dell'assicurato, questi non sono ancora identificabili, in quanto l'assicurato è ancora in vita. Di conseguenza - questa risulta essere l'interpretazione dominante - gli eredi del contraente non potrebbero esercitare l'opzione di riscattare la polizza.

Tornando al caso di specie, trattandosi, almeno da quanto si evince nel quesito, di polizza vita per il caso vita (e non morte) dell'assicurato, se il 25 maggio 2015 la nipote assicurata è ancora viva, il pagamento del capitale assicurato andrà ai beneficiari indicati in polizza (si deve leggere con attenzione il contratto: si deve individuare chi è il beneficiario per il caso vita e non per il caso morte).
Risulterà invece preclusa l'ipotesi di riscatto della polizza da parte degli eredi della contraente se non è possibile identificare i beneficiari per chiedere il loro consenso. Se invece il beneficiario è una persona individuabile ed esistente, gli si potrà domandare di prestare il consenso al riscatto.

Raffaele chiede
sabato 14/12/2013 - Lazio
“Nelle polizze vita c'è differenza se il contraente/assicurato indica un "figlio vivente" come beneficiario oppure un "figlio" come beneficiario e basta ? Abbiamo un contenzioso con i figli/eredi di un beneficiario che è morto prima del contraente stesso ma pretendono loro la quota del beneficiario deceduto (non più vivente). E' giusto ? Come ripartire la somma assicurata ?”
Consulenza legale i 26/12/2013
Ai sensi dell'art. 1412 del c.c., nel contratto a favore di terzi in cui la prestazione debba essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante (quale la polizza assicurativa per caso di morte che preveda un beneficiario diverso dall'assicurato, art. 1920 del c.c.), la prestazione stessa deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.

Risulta quindi indifferente che nelle polizze vita il contraente abbia o meno specificato che il figlio sia o meno "vivente": piuttosto, sarà necessario leggere con attenzione la polizza per verificare se l'assicurato abbia disposto per il caso in cui il beneficiario gli premuoia.
Se nulla è previsto, vale la regola anzidetta: i diritti derivanti dalla polizza vengono trasmessi agli eredi del beneficiario premorto.
Quanto alla suddivisione della somma, esistono due orientamenti principali.
Secondo il primo, la prestazione dovuta dall'assicuratore si dovrebbe suddividere in parti uguali, poiché parte degli studiosi ritiene che nel caso de quo non trovi applicazione la disciplina della successione (gli eredi del beneficiari sarebbero titolari di un vero e proprio diritto, iure proprio).
Il secondo orientamento sostiene la tesi opposta e quindi, applicando le regole sulla successione, ritiene che la prestazione debba essere suddivisa secondo le rispettive quote ereditarie.
Sembra prevalente il primo degli orientamenti suesposti.

Alessandra chiede
mercoledì 02/03/2011 - Piemonte

“Abbiamo scoperto alla morte del convivente di mia zia (con cui la convivenza è durata oltre 35 anni), che come beneficiario della polizza vita risulta indicato "il coniuge". Poichè non esiste alcun coniuge e nessun figlio e lo stesso non è mai stato neanche sposato, questa dicitura generica può equiparare il coniuge al convivente? Ovvero sarà possibile per mia zia riscuotere la polizza?
Grazie”

Consulenza legale i 02/03/2011

Premesso che si è ancora lontani da un compiuto riconoscimento giuridico della “convivenza more uxorio”, in quanto il nostro ordinamento non ha tenuto il passo con il fenomeno sociale e solo alcune specifiche fattispecie sono state aggiornate in nome di una parificazione di coniuge-convivente, le soluzioni che si prospettano nel caso proposto sono varie.
Potrebbe darsi che l’indicazione riportata nel modulo prestampato del contratto di assicurazione (di cui bisognerebbe, comunque, prendere visione per rispondere adeguatamente), sia usata solo genericamente per riferirsi alla qualificazione dello status del beneficiario - riportando l’espressione “coniuge”, ma intendendo onnicomprensivamente anche la figura di "compagno nella famiglia di fatto". In questo caso, se la designazione è pure specificata col nome della signora, con la quale il de cuius conviveva, prevarrà il nome indicato.

Si badi, peraltro, che l’art. 1920 del c.c., afferma che la designazione è valida ed efficace anche "se il beneficiario è determinato solo genericamente". Esempio tipico di designazione generica: "i figli", "i genitori", "la mia compagna di vita".

Potrebbe anche darsi, come dice sempre l'articolo citato, che la designazione del beneficiario oltre che nel contratto di assicurazione, sia stata fatta in una successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento: si consiglia di verificare se ciò sia avvenuto.
Si rileva che l'art. 1362 del c.c. stabilisce la regola che nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Dunque si dovrà provare il reale intento del contraente deceduto, consistente nel beneficiare la sua convivente, data l'esistenza di duraturo rapporto caratterizzato da stabilità, continuità e regolarità, che lo rende in tutto e per tutto simile a un rapporto di coniugio.


ANTONELLA chiede
lunedì 18/10/2010
“MIA ZIA HA SOTTOSCRITTO UNA POLIZZA DI ASSICURAZIONE SULLA VITA, DESIGNANDO ME COME BENEFICIARIO.
MIA ZIA E' SPOSATA IN COMUNIONE DI BENI CON UNA PERSONA CON 2 FIGLI, IN CASO DI PREMORIENZA DEL CONIUGE I FIGLI DI LUI POSSONO RIVENDICARE DIRITTI SULLA POLIZZA.
GRAZIE”
Consulenza legale i 19/10/2010

E' possibile sottoscrivere una polizza vita e nominare come beneficiario un terzo.
La somma non entra nell'eredità del defunto.
Si tenga però conto che il premio/rate di premio utilizzate per garantire tale prestazione al beneficiario sono assimilate ad una donazione in vita, quindi, se il premio lede la legittima, il soggetto leso ha titolo ad agire per chiedere la riduzione delle donazioni.

Anonimo chiede
domenica 26/11/2023
“Buongiorno. Volevo una consulenza su questo caso.
Bruno e Maria sono anziani coniugi senza figli. Nel 2019 decidono di compilare ognuno un testamento olografo e depositarlo presso un notaio.
Nel 2020 Bruno muore e all'apertura del testamento risulta nominata erede universale la moglie Maria. (che ha a sua volta un fratello, Luigi, padre di due figli).
Bruno invece aveva sia un fratello, che è tuttora in vita, Angelo, (che ha a sua volta un figlio) ed aveva anche una sorella, già deceduta, e che lascia due figli, tutti quanti quindi esclusi dal testamento.
Nel 2023 muore Maria. All'apertura del testamento risulta che ella aveva nominato erede di tutti i suoi averi il marito Bruno (quindi già morto), nominato anche beneficiario di una assicurazione sulla vita che Maria si era stipulata investendo i suoi risparmi dell'epoca, escludendo quindi il proprio fratello e i nipoti.
In questo caso di nomina di un erede premorto, a mezzo testamento olografo, chi viene chiamato a beneficiare del patrimonio di Maria e dell'assicurazione? Grazie per la vostra cortese risposta.”
Consulenza legale i 30/11/2023
In linea generale, in caso di soggetto nominato erede per testamento, se costui muore prima di aver accettato l’eredità ed il testatore non ha previsto alcuna sostituzione, il patrimonio ereditario si trasmette ai suoi eredi per effetto di quel particolare istituto giuridico, disciplinato agli artt. 467 e ss. c.c., che il legislatore definisce “rappresentazione”.
La rappresentazione, infatti, fa subentrare all’infinito (così art. 469 del c.c.) i discendenti legittimi o naturali (cd. rappresentanti) nel luogo e nel grado del loro ascendente (c.d. rappresentato) che non può o non vuole accettare (si veda il comma 1 dell’art. 467 c.c.), a condizione che il rappresentato sia figlio legittimo, legittimato, adottivo o naturale del de cuius ovvero suo fratello o sorella.

Come può notarsi, la rappresentazione ha dei limiti soggettivi ben precisi, potendo operare solo in favore dei discendenti legittimi e naturali dei figli e fratelli o sorelle del defunto.
Ciò induce a dover escludere che il coniuge che non può o non vuole accettare possa essere rappresentato dai propri discendenti, ipotesi questa che ricorre proprio nel caso in esame, con la conseguenza che né il fratello tuttora in vita né i figli della sorella premorta di Bruno potranno succedere a Maria in rappresentazione dello stesso Bruno.

Stando così le cose, non vi è altra soluzione che quella di dover fare applicazione delle norme che il codice civile detta in tema di successione legittima agli art. 567 e ss. c.c.
In particolare, considerato che unico erede di Maria sembra essere un fratello tuttora in vita, a quest’ultimo andrà devoluto l’intero patrimonio ereditario della defunta ex art. 570 c.c.
Nessun diritto, invece, potrà vantare costui sulla somma da riscuotere in forza della polizza vita contratta da Maria (contraente) ed avente come “beneficiario” il coniuge premorto Bruno, e ciò per le ragioni che qui di seguito si vanno ad esporre.

Il caso della premorienza del beneficiario nel contratto di polizza vita caso morte ha costituito in diverse occasioni oggetto di giudizio da parte della Corte di Cassazione, la quale con sentenza n. 9948 del 15.04.2021 ha affermato che, per effetto di quanto disposto dal terzo comma dell’art. 1920 del c.c., il beneficiario acquista un diritto che trova la propria origine nel contratto e che, in quanto tale, esce dalla disponibilità dello stipulante per entrare nel patrimonio del terzo nel momento stesso della designazione.
Tale impostazione non fa altro che rispecchiare lo schema del contratto a favore di terzo, dovendo pertanto farsi applicazione del secondo comma dell’art. 1412 del c.c., con la conseguenza che, una volta verificatosi l’evento condizionale previsto (ossia la morte dello stipulante), la prestazione oggetto del contratto di assicurazione dovrà essere eseguita in favore degli eredi del beneficiario morto.

In tal senso, peraltro, si è anche pronunciata Cass. SS.UU. sentenza n. 11421 del 30.04.2021, nella quale tra l’altro si legge che “Quando uno dei beneficiari del contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest’ultimo” .
L’unica ipotesi in cui la prestazione potrebbe non essere eseguita in favore degli eredi del beneficiario premorto ricorre allorchè si verifichi quanto previsto dall’ultima parte dello stesso art. 1412 c.c., ove viene precisato che la prestazione dovrà essere eseguita a favore degli eredi del terzo beneficiario a condizione che lo stipulante sopravvissuto non abbia revocato il beneficio o non abbia disposto diversamente.

Ciò significa che se la stipulante Maria non ha mai indicato un nuovo beneficiario, alla morte della contraente unici soggetti legittimati a riscuotere il capitale assicurato saranno gli eredi legittimi del beneficiario premorto, ovvero il fratello vivente Angelo ed i figli della sorella premorta (per questi opera l’istituto giuridico della rappresentazione a cui prima si è fatto riferimento).

F. F. chiede
lunedì 18/09/2023
“Il codice di riferimento della consulenza è Q202334456

Ricorro ancora al vostro parere per fugare ogni dubbio.
Il quadro di riferimento.
- Primo matrimonio -1966. Due figli Geraldina, nata nel 1967 e Federico nel 1970.
- Secondo matrimonio – 2005. Comunione dei beni. Un figlio, Lorenzo, nato nel 2001.
- Pensionamento 01.01.2006. Liquidazione: Tfr e risarcimento € 300.000,00 Tribunale di Siena dicembre 2005 per danni morali. Importo complessivo di € 550.000,00 circa, utilizzati per la stipula della polizza Bussola - € 150.000 -, contraente e assicurata la moglie, il resto per alcuni investimenti intestati al marito e le somme rimanenti versati nel conto corrente cointestato.
- I successivi versamenti dei premi, che hanno portano a € 325.000,00 circa il valore della Bussola, sono stati effettuati, per non subire ulteriori danni, dopo le crisi del 2008 e 2012, con somme risparmiate in precedenza o percepite dal marito, prima con lo stipendio e poi la pensione.
- Nella sua comparsa di costituzione all’interno della causa di separazione giudiziaria in corso, la moglie scrive: "le somme accantonate con la Bussola in effetti sono destinate all'istruzione del figlio Lorenzo, che in conformità a quanto disposto dall'art. 186, comma 1 lett. C, le ha utilizzate per pagare le spese degli studi universitari come da prospetto che si allega. In buona sostanza le somme depositate nella Bussola, ricadenti nella comunione, sono state utilizzate per finanziare l'istruzione del figlio"

Le domande
- In base a quanto dichiarato negli atti depositati, cioè “ricadenti nella comunione” e “utilizzate per finanziare l’istruzione del figlio” si può sostenere che la Bussola non ha carattere previdenziale, visto che per quattro anni, 2020, 2021, 2022 e 2023 è stata utilizzata per gli studi del figlio e per le esigenze della famiglia?

Leggo nel vostro parere: “Qualunque pretesa sulle somme così investite potrà al più essere fatta valere in sede successoria, considerato che i premi pagati per la stipula della polizza assicurativa configurano una donazione e, pertanto, potranno essere assoggettati a collazione.”

-Si tratta della “sede successoria” relativa alla mia morte?
-Se la risposta è affermativa, chi dovrà collazionare alla massa ereditaria, la moglie o il figlio? Ed ove dovesse essere il figlio, solo per l'importo della stipula (Euro 150.000,00) o per il maggior importo di Euro 320.000,00, quale donazione indiretta avuta dalla madre previa intestazione della polizza?
Grazie
Un cordiale saluto”
Consulenza legale i 26/09/2023
Il caso già prospettato con il quesito 34456 viene adesso arricchito con un ulteriore particolare, ovvero il riferimento ad un precedente matrimonio, a seguito del quale sono nati due figli, i quali in futuro rientreranno nella categoria dei legittimari (circostanza di cui si terrà conto in questa consulenza).
Si è detto nella precedente consulenza che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, le polizze vita, nelle quali uno solo dei coniugi figuri come contraente, vanno considerate come beni personali e, pertanto, non possono farsi rientrare nella comunione legale dei beni.
Conseguenza pratica di tale orientamento è che, in sede di scioglimento del vincolo coniugale, le somme così investite non potranno farsi rientrare in quella massa comune che dovrà costituire oggetto di divisione in parti eguali tra i coniugi.

A rendere ancora più difficile la situazione vi è la circostanza che la moglie, originaria contraente della polizza, con una operazione negoziale del tutto legittima (come si è spiegato nella precedente consulenza) ha ceduto la propria posizione contrattuale al figlio, divenendo costui l’attuale contraente della polizza.
Il figlio adesso, in quanto contraente, ha tutto il diritto di effettuare riscatti parziali, non facendo altro in tal modo che esercitare il suo diritto di richiedere in anticipo una parte del valore fino a quel momento maturato dalla polizza vita (sembra evidente che con il ridursi del valore di riscatto e della riserva matematica, anche le prestazioni assicurate verranno proporzionalmente diminuite).

Stando così le cose, dunque, come è stato già suggerito in occasione della precedente consulenza, l’unico strumento giuridico a cui si può ricorrere per far valere in qualche modo i propri interessi è quello della “collazione ereditaria”, la quale nella fattispecie in esame viene in considerazione sotto diversi profili.
Infatti, sebbene sia convinzione comune quella secondo cui le polizze assicurative sulla vita debbano considerarsi completamente al di fuori del fenomeno successorio, va detto che in realtà si tratta di affermazione solo parzialmente vera, in quanto ciò che non inciderà sulla successione sarà unicamente la somma che l’assicurazione pagherà al beneficiario della stessa.
Assumono, invece, in ogni caso rilevanza ai fini successori le somme versate all’assicurazione per pagare la polizza.

In tal senso la prima norma che deve essere presa in considerazione è l’art. 1920 del c.c., dalla lettura della quale si ricava che il beneficiario è titolare di un diritto proprio sulla somma assicurata che gli deriva dalla designazione che viene fatta da colui il quale ha stipulato la polizza assicurativa.
Da ciò, correttamente, se ne fa derivare che la somma destinata al beneficiario della polizza assicurativa non deve essere calcolata né per la formazione dell’asse ereditario né, quindi, per la determinazione della quota disponibile o delle quote di riserva.

Tuttavia, altra norma che va presa in esame è l’art. 741 c.c., il quale stabilisce che è soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita.
In buona sostanza si tratterebbe di esborsi che, in considerazione della specifica causale, devono essere concepiti come anticipazioni di eredità e che, in forza dei principi propri della collazione, devono essere conferiti ai coeredi e che devono essere calcolati ai fini della determinazione della massa ereditaria.
Indubbiamente si tratta di un elemento normativo di sicura rilevanza, considerata la particolare diffusione di questo strumento assicurativo, proprio nella ferma convinzione che tutte le somme inerenti questa operazione assicurativa siano al di fuori del fenomeno successorio.
Va altresì sottolineato che sebbene la norma sopra citata faccia unicamente riferimento ai discendenti, costituisce opinione pacifica quella secondo cui essa debba trovare applicazione anche con riferimento alla figura del coniuge, trattandosi di soggetto che rientra a pieno titolo, ex art. 536 c.c., tra i c.d. legittimari, ovvero tra coloro che si intendono con la collazione tutelare.

Facendo adesso applicazione dei suddetti principi al caso in esame, possono prospettarsi le seguenti situazioni:

A) Alla morte del padre, saranno i figli di prime nozze Geraldina e Federico a poter far valere il loro diritto di chiedere la collazione di tutte le somme di cui il de cuius era titolare esclusivo e che, malgrado ciò, ha deciso di investire per la stipula di quella polizza di cui la moglie è divenuta contraente assicurato.
Infatti, alla base di tale forma di investimento deve individuarsi un contratto a favore di terzo (ove il terzo beneficiario non può che essere la moglie- contraente), il quale costituisce un tipico caso di negozio giuridico capace di produrre un arricchimento indiretto di chi ne è beneficiario.

B) In caso, invece, di premorienza della moglie, sarà il coniuge superstite a poter far valere il diritto di chiedere la collazione delle somme investite nella polizza vita, considerato che di tali somme si è alla fine arricchito il figlio in forza della cessione contrattuale avvenuta nel corso dell’anno 2020 (oggetto di collazione dovrà essere la somma di € 320.000).

A fronte dell’esercizio di tale diritto, il figlio, da parte sua, potrà legittimamente opporre, fornendone adeguata prova, la circostanza che di quelle somme una parte è stata di fatto utilizzata per la sua istruzione, chiedendone l’esclusione dalla collazione ereditaria in conformità a quanto prescritto dalla lettera c) dell’art. 186 c.c., norma che fa rientrare tali spese tra gli obblighi gravanti sui beni della comunione.

Chiaramente si tratta per il momento di mere ipotesi, considerato che nessuno degli eventi a cui sopra si è fatto riferimento si è verificato e che, prima di allora, la situazione potrebbe certamente mutare per effetto di trasferimenti patrimoniali che medio tempore potrebbero essere posti in essere.

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