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Articolo 1411 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Contratto a favore di terzi

Dispositivo dell'art. 1411 Codice Civile

È valida la stipulazione a favore di un terzo [1273, 1773, 1875, 1920](1), qualora lo stipulante vi abbia interesse [1174](2).

Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione. Questa però può essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente di volerne profittare(3).

In caso di revoca [1412] della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto(4).

Note

(1) Il terzo non diventa mai parte del contratto, che comporta per lui solo l'attribuzione di un diritto. Ciò distingue il contratto a favore del terzo dalla rappresentanza, per mezzo della quale gli effetti si producono in capo al rappresentato.
(2) L'interesse può anche essere solo morale, come nel caso in cui lo stipulante intenda compiere un'attribuzione al terzo per cortesia.
(3) Il terzo consegue il diritto sin dalla stipula ma il suo acquisto è instabile, in quanto egli può sempre scegliere di rifiutare e, nel contempo, finché questi non ha dichiarato se intende o meno avvalersene, anche lo stipulante può revocare l'attribuzione.
(4) Ad esempio, ciò non può verificarsi se si tratta di contratti intuitus personae.

Ratio Legis

Il legislatore consente che il contratto stipulato tra due soggetti possa produrre anche effetti verso un terzo e ciò facilita i traffici giuridici. Tuttavia, poiché nessuno può essere costretto a subire un invasione nella propria sfera giuridica (v. 1372 c.c.), al terzo è consentito rifiutare il beneficio.
Il contratto a favore di terzo è perfetto sin dalla stipula: pertanto, l'effetto si produce in capo al terzo da tale momento e, in caso di suo rifiuto, essa rimane a favore del contraente originario.

Brocardi

Alteri stipulari nemo potest

Spiegazione dell'art. 1411 Codice Civile

Parallelo tra le norme dell'abrogato codice e le nuove; conseguenze promananti da queste

La norma che sancisce la validità della stipulazione a favore del terzo, sol che lo stipulante vi abbia interesse, è profondamente innovativa di fronte al vecchio sistema: questo
consentiva che il contraente potesse stipulare in favore del terzo, solo quando questa stipulazione costituisse un accessorio del contratto principale, in quanto formasse condizione (cfr. più sotto) di una stipulazione che quel contraente faceva per sé, o di una donazione a favore di altri; la nuova norma permette che la stipulazione a favore del terzo abbia figura autonoma ed indipendente e costituisca l'oggetto principale ed esclusivo del contratto. Sopravvive ancor oggi il requisito dell'interesse proprio dello stipulante all'esecuzione della prestazione al terzo; per il che è tuttora a ritenere che, come non ricorrerebbe contratto a favore di terzo nel caso in cui i contraenti stipulassero esclusivamente nel loro interesse, pur convenendo che la prestazione debba eseguirsi ad un terzo, senza che si sia inteso di conferirgliene diritto, così non sarebbe valida quella stipulazione in cui l'interesse dello stipulante alla prestazione al terzo mancasse e non sussistesse che quello di costui.

E, circa la natura dell'interesse, che legittima la stipulazione a favore del terzo, basterà richiamarsi ai principi generali in tema di obbligazioni ed al lucido insegnamento di Vittorio Scialoja, che nella norma dell'art. 1174 c.c. ha trovato un'espressa sanzione legislativa: occorre, cioè, distinguere l'interesse che ha il creditore alla prestazione del rapporto obbligatorio, dalla prestazione medesima; se non v'ha ragione di pretendere che l'interesse da parte del creditore sia in ogni caso patrimoniale o economico, potendo bene aversi un interesse morale, o ideale, che sia degno di protezione giuridica, al contrario per la prestazione è necessario ammettere ch'essa sia economica nel suo contenuto, o in qualsiasi modo capace di una valutazione patrimoniale.

Elevata la stipulazione a favore di terzo a figura autonoma contrattuale, non trovano più posto le dispute circa il senso da attribuire alla parola «condizione», di cui all'art. #1128#, dell'abrogato codice civile. Giova appena ricordare che, mentre la maggioranza della dottrina intendeva quella parola nel senso di modalità di una stipulazione che taluno faccia per sé, o modus di una donazione che faccia ad altri, non mancavano scrittori che, nel primo dei casi menzionati dall'art. #1128#, (stipulazione che taluno faccia per sé), assumevano la parola «condizione» non solo nel senso di modalità, ma ancora in quello tecnico, di avvenimento futuro ed incerto.

Infine è da porre in chiaro che, data la larga dizione del primo comma dell'art. 1411, non sarebbe più da dubitarsi che il contratto a favore di terzo, oltreché avere contenuto obbligatorio, possa essere traslativo o costitutivo di un diritto reale, a favore del terzo stesso. La maggioranza della dottrina già era in tal senso sotto l'impero della vecchia norma. Ma soprattutto quando si ponga a raffronto la disposizione del suddetto primo comma con quella che si conteneva nell'art. 45 del progetto del 1936 del Libro delle Obbligazioni: «Ciascuno può stipulare in nome proprio a favore di un terzo, quando abbia un interesse personale, sia materiale che morale, all'adempimento dell'obbligazione, emerge chiaro che la nuova legge abbia inteso ripudiare il sistema seguito da legislazioni straniere (cfr. sopra, n. 2) che limitano la validità del contratto a favore di terzo ai rapporti obbligatori.

La natura giuridica della dichiarazione del terzo e suoi effetti

Grande disputa, in tema di contratti a favore di terzi, era quella che concerneva la natura giuridica e la funzione della dichiarazione del terzo. L'art. #1128# dell'abrogato codice, dopo aver stabilito in quali casi dovesse ritenersi valido il contratto a favore del terzo, sanciva: «Chi ha fatta questa stipulazione non può più revocarla, se il terzo ha dichiarato di volerne profittare»; e lo stato della dottrina, sotto l'impero di questa norma, era il seguente. Secondo una tesi prevalente, il diritto del terzo sorge immediatamente e per effetto del contratto, in virtù appunto della volontà delle parti che glielo vollero attribuire, e senza che occorra alcuna cooperazione da parte sua; la dichiarazione del terzo non è costitutiva del suo diritto, che ha vita prima ed indipendentemente da essa, ma vale solo a stabilire che lo stipulante non può più revocare la stipulazione fatta: in altre parole, essa è semplicemente confermativa. Altri scrittori, invece, concordano nell'ammettere che, per l'acquisto del terzo, occorra qualche atto di partecipazione alla stipulazione a suo favore conclusa; ma si differiscono notevolmente nella determinazione e nella specificazione di tale atto. Va qui ricordata, anzitutto, quella dottrina che pur aveva traccia nel diritto comune e sostenuta da autorevoli interpreti del codice civile francese, fu presso di noi illustrata dal Manenti: secondo essa, la stipulazione a favore del terzo va considerata quale un'offerta di contratto delle parti contraenti al terzo, che, ove venga da costui accettata, dà luogo ad un nuovo contratto tra quelle ed il terzo, dal quale questi deriva il suo diritto. E’ chiaro che questa tesi rappresenta un ritorno al principio romano classico, della nullità del contratto a favore del terzo; giacché il terzo deriverebbe il suo diritto non già dal contratto al quale rimase estraneo, ma da un altro nuovo, che verrebbe a porsi in essere con la sua accettazione e nel quale sarebbe parte contraente. E vanno altresì ricordate le altre molteplici teorie che, pur senza rinnegare il principio della validità del contratto a favore di terzo, pur ammettendo cioè, che il diritto a favore del terzo sorga per effetto del contratto interceduto tra le parti, sostengono che il terzo debba soltanto o ratificare la stipulazione fatta in suo favore, o accedervi, o compiere atto di appropriazione del vantaggio che i contraenti vollero attribuirgli; ovvero che la dichiarazione del terzo è requisito legale del perfezionarsi del suo diritto; ovvero, infine, che questo diritto sia allo stato latente e si realizzi appieno quando segua quella dichiarazione, che tronca lo stato di pendenza.

Queste dispute circa il momento in cui il terzo acquista definitivamente i1 diritto e, conseguentemente, circa il significato della dichiarazione del terzo, sono troncate dall'art. 1411 del nuovo codice civile, secondo cui, di norma (cioè salvo patto in contrario), il terzo acquista il diritto contro il promittente al momento della stipulazione e la sua dichiarazione di volerne profittare (che va fatta anche in confronto del promittente) non serve che a privare lo stipulante della facoltà di revoca o di modifica. L'adesione della nuova legge alla prima delle dottrine esposte non potrebbe essere più evidente. E non solo; ma fissato legislativamente che il diritto è acquistato dal terzo per il semplice effetto della stipulazione, e senz'altro, e che, conseguentemente, la sua dichiarazione è meramente confermativa, è risoluto implicitamente il quesito circa la forma in cui questa dichiarazione debba seguire; cosicché, mentre sotto l'impero dell'abrogata norma era lecito dubitare se fosse esatto l'insegnamento seguito dalla maggioranza degli scrittori, che l'accettazione del terzo fosse esente da ogni requisito di forma, anche quando ricorresse in suo favore un negozio per il quale era prescritta una forma determinata, non potrebbe più oggi porsi in discussione che la dichiarazione del terzo possa seguire in qualsiasi maniera, anche in modo tacito, per facta concludentia.

Il caso del rifiuto del terzo, o di revoca

Altra questione, nel tema che ci occupa, era quella concernente la sorte della prestazione in favore del terzo, nel caso che costui avesse rifiutato di profittarne, o nel caso di revoca. A chi profittava la prestazione rifiutata, o che il terzo, per effetto della revoca, non riceverà più? La dottrina aveva escogitate varie soluzioni al riguardo.

Anche qui la nuova legge detta una soluzione precisa: di regola, nei casi summenzionati, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante; ma il beneficio potrà essere del promittente, se così vollero le parti, o se ciò risulti dalla natura del contratto. La prima eccezione non ha bisogno di essere illustrata; ma il vantaggio potrà essere del promittente ancor quando la volontà delle parti non si sia manifestata, e semplicemente avuto riguardo alla natura del contratto; così, se la prestazione a favore del terzo consistesse in una obbligazione negativa (es., obbligo altius non tollendi, a favore di un vicino frontista), oppure in una prestazione di carattere personale (es., concessione di un diritto di abitazione al terzo); ovvero la stipulazione in favore del terzo sia modus di una donazione dello stipulante al promittente, nel qual caso il rifiuto del terzo o la revoca dello stipulante trasmetterebbero la donazione modale in donazione pura e semplice.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

250 I contratti a favore di terzi hanno avuto una scarna disciplina nel codice del 1865, e il progetto della Commissione reale non appaga il bisogno di una più integrale trattazione.
251 Premesso che i contratti hanno effetto di regola tra le parti e per eccezione rispetto ai terzi nei casi previsti dalla legge (art. 268), mi è sembrato, anzitutto, necessario apportare al testo dell'art. 45 del progetto del 1936 alcune modifiche non prive di importanza sostanziale.
E' certo eminentemente formale l'abbandono della qualificazione dell'interesse dello stipulante, che l'art, 45 suddetto ammetteva potesse essere tanto morale quanto materiale: già nell'art. 2 di questo progetto ho chiarito che non deve essere necessariamente patrimoniale l'interesse che sta alla base di un qualsiasi rapporto giuridico obbligatorio. Non ha nemmeno carattere sostanziale la previsione della possibilità di modificare la stipulazione e non soltanto di revocarla: la modifica è un minus rispetto alla revoca, ed è stata prevista solo a titolo di chiarimento.
Risponde, invece, ad una importante esigenza evitare che l'interesse del terzo possa rimanere decisamente qualificato come avente per oggetto solo l'adempimento di un'obbligazione. La Commissione reale richiese tale estremo: ma si discute se il contratto a favore di terzo può avere per oggetto il trasferimento o la costituzione di un diritto reale, e non credo che sia il caso di pregiudicare una questione del genere.
Ho ammesso la revocabilità della stipulazione da parte degli eredi delle stipulante, perché essi succedono integralmente nella posizione dello stipulante, mentre la stipulazione non può ritenersi estinta per la morte di lui.
Altra innovazione sul testo della Commissione reale è che la dichiarazione del terzo di volere profittare della stipulazione deve essere fatta anche in confronto del debitore; pure quest'ultimo è, infatti, interessato alla notizia della definitiva stabilità del rapporto.
Ho voluto, in fine, precisare che, se la stipulazione è revocata o se il terzo rifiuta di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, ove il contrario non risulti dalla volontà dei contraenti o dalla natura del contratto: ho considerato, cioè, normale che la prestazione stipulata a favore del terzo sia parte della prestazione che lo stipulante ha convenuto in proprio vantaggio.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

643 La regola della nullità del contratti a favore di terzi pervenne al codice del 1865 dal diritto romano classico, con i temperamenti che in questo e nel giustinianeo aveva gradualmente ricevuti.
I codici moderni la hanno capovolta in un principio di validità, e questa tendenza ha seguito l'art. 1411 del c.c., nel quale si dispone altresì che il diritto si acquista dal terzo per effetto del contratto e non per effetto dell'accettazione, non potendo il contratto ritenersi una proposta rivolta al terzo. Peraltro, l'acquisto medesimo deve considerarsi subordinato alla condizione che i soggetti della stipulazione non revochino il beneficio prima dell'accettazione da parte del terzo.
644 Si pone espressamente come presupposto di validità dei contratti medesimi un interesse dello stipulante (anche morale) alla prestazione rivolta al terzo; ma ciò si fa più per un'esigenza di completezza formale che per un bisogno di carattere sostanziale, dato che il requisito di un interesse alla prestazione è comune ad ogni obbligazione (art. 1174 del c.c.). L'interesse alla stipulazione di regola è dello stipulante, in quanto plerumque accidit che la prestazione a favore del terzo sia una semplice modalità di quella dovuta allo stipulante; perciò l'art. 1411 del c.c., terzo comma, prevede che, se è intervenuta la revoca, o se il terzo non vuole profittare della stipulazione, questa deve rimanere a beneficio dello stipulante. Ma può aversi anche un interesse del promittente: in tal caso, della prestazione non fatta al terzo deve profittare il promittente medesimo. Causa del diritto del terzo è il contratto intervenuto tra promittente e stipulante; è perciò congruo che le eccezioni da esso derivanti (ad esempio, inadempienza dello stipulante in relazione al contenuto del rapporto-causa), fissino l'entità dell'attribuzione fatta al terzo (art. 1413 del c.c.). Lo eccezioni fondate su rapporti diversi (ad esempio, compensazione con un controcredito ex alia causa) non possono invece opporsi al terzo (art. 1413 del c.c.); il promittente che accetta di fargli una prestazione, implicitamente rinuncia alle difese che poteva avere verso lo stipulante sulla base di situazioni risultanti da altri rapporti.

Massime relative all'art. 1411 Codice Civile

Cass. civ. n. 21219/2022

Il contratto di deposito è un contratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c., il cui fine principale è quello della custodia, conservazione e restituzione delle merci, con la conseguenza che titolare dell'azione risarcitoria nei confronti del depositario per la perdita, distruzione o deterioramento delle cose depositate è, indipendentemente da chi ne sia il proprietario, non solo il depositante ma anche il terzo che avrebbe avuto titolo alla restituzione.

Cass. civ. n. 14985/2022

Nel contratto a favore di terzo (nella specie, polizza vita con investimento del capitale in strumenti finanziari), in assenza di diverse previsioni convenzionali, va riconosciuta la legittimazione esclusiva del terzo ad agire per la risoluzione e il risarcimento del danno al fine di ottenere, in caso di inadempimento del promittente, la prestazione attribuitagli, qualora il contratto sia idoneo a fargli acquisire il relativo diritto senza necessità di attività esecutiva da parte del promittente medesimo, mentre, nel caso contrario, tale legittimazione attiva va riconosciuta anche allo stipulante.

Cass. civ. n. 36092/2021

Affinché l'amministratore designato in un patto parasociale acquisti, ai sensi dell'art. 1411 c.c., il diritto soggettivo all'espressione del voto in assemblea, da parte dei soci sottoscrittori del patto, in favore della sua nomina e di un determinato compenso, in esso decisi, occorre che sia accertato l'intento dei soci di attribuire direttamente ed immediatamente al terzo un diritto soggettivo, potendo allora, in tal caso, l'amministratore vantare una pretesa risarcitoria al riguardo, ove ne sussistano tutti gli elementi costitutivi.

Cass. civ. n. 15442/2021

Requisiti imprescindibili per configurare un contratto a favore del terzo sono, oltre all'accordo esplicito tra promittente e stipulante, l'indicazione del terzo beneficiario, essendo all'uopo sufficiente la sua determinabilità, nonché l'accettazione, da parte di quest'ultimo ed anche per "facta concludentia", dell'attribuzione in proprio favore.

Cass. civ. n. 8766/2021

Nel contratto a favore del terzo, la titolarità del rapporto fa capo ai contraenti, mentre la titolarità del diritto appartiene al terzo beneficiario, che non diventa mai parte del contratto e la cui adesione, rilevabile anche per "facta concludentia", si configura quale mera "condicio iuris" sospensiva dell'acquisizione del diritto; ne consegue che, conservando ciascuno dei soggetti la propria posizione (di parte contraente o di beneficiario) anche nella fase di attuazione del contratto, non verificandosi successione nel rapporto, le eventuali azioni contrattuali devono essere intentate nei confronti dello stipulate o del promittente ma non contro il terzo il quale, a propria volta, non può proporre le predette azioni nei confronti di questi ultimi, ad eccezione dell'azione di adempimento. (Nella specie, la S.C., riformando la pronunzia di merito, ha escluso la possibilità, per i venditori di un autoveicolo, di agire per il pagamento del relativo prezzo nei confronti della moglie dell'acquirente, divenutane proprietaria quale terza beneficiaria della vendita, in quanto estranea al contratto). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 25/08/2016).

Cass. civ. n. 25528/2015

In tema di contratto a favore del terzo, oltre al contratto preliminare di compravendita è configurabile anche l'opzione di preliminare a favore di terzo ove il soggetto promittente, piuttosto che obbligarsi soltanto con l'altro stipulante a prestare il suo consenso alla definitiva vendita di un suo bene a favore di un terzo, resti già vincolato, per effetto del negozio bilaterale di opzione, alla propria dichiarazione di irrevocabile proposta contrattuale, sicché al terzo beneficiario, libero o meno di accettarla, basta la semplice accettazione perché a suo favore si producano gli effetti del contratto, per la conclusione del quale l'opzione è stata accordata. (Cassa con rinvio, App. Venezia, 04/03/2010).

Cass. civ. n. 8272/2014

Nel contratto a favore di terzo, in difetto di espresse previsioni convenzionali, il terzo è l'unico legittimato ad agire - con l'azione di risoluzione del contratto e di risarcimento danni - per ottenere, a fronte dell'inadempimento del promittente, la prestazione attribuita ove il contratto sia idoneo a fargli acquisire il relativo diritto senza necessità di un'attività esecutiva del promittente medesimo, mentre, in caso contrario, va riconosciuta una legittimazione concorrente anche a favore dello stipulante.

Cass. civ. n. 17200/2013

Nel contratto a favore di terzi, pur in presenza di rinunzia alla prestazione operata dal terzo beneficiario, l'art. 1411, comma terzo, c.c. riconosce, sempre che non risulti diversamente dalla volontà delle parti, la persistenza dell'obbligazione in favore dello stipulante, il quale, quando abbia un interesse diretto all'adempimento in favore del terzo (nella specie, in quanto titolare di una quota di partecipazione nella società beneficiaria), e non sussista un formale divieto di quest'ultimo (nel qual caso opererebbe il principio "nemo invitus locupletari potest"), può legittimamente pretendere l'adempimento della prestazione in favore del terzo.

Cass. civ. n. 23708/2008

In tema di rappresentanza, il principio dell'apparenza del diritto può essere invocato anche dal beneficiario di un contratto a favore di terzi. Ed invero, nel momento in cui dichiara di voler approfittare della stipulazione in suo favore, il terzo subentra nella stessa posizione dello stipulante, quanto alla validità ed all'efficacia della prestazione promessa in suo favore, potendogli essere opposte tutte le eccezioni di invalidità del contratto che potrebbero essere opposte allo stipulante e potendo egli paralizzare tali eccezioni sulla base delle medesime circostanze che potrebbe invocare lo stipulante, per tener fermi gli effetti del contratto, sicché, negando al terzo la possibilità di invocare il detto principio, si configurerebbe, in suo favore, un diritto "claudicante" e, comunque, minore di quello spettante allo stipulante, che eroga la sua prestazione in vista di una contropromessa giuridicamente completa nei suoi effetti, pur se destinata ad altri. (Principio affermato in relazione ad una polizza cauzionale stipulata con un rappresentante senza poteri dall'appaltatore su richiesta del committente e a favore di questi).

Cass. civ. n. 18321/2003

In materia contrattuale, nel contratto a favore di terzo ex art. 1411 c.c. il diritto del terzo è autonomo rispetto a quello dello stipulante e, anche se di natura reale, può essere fatto pertanto valere contro il promittente anche in via diretta, senza necessità dell'intervento in giudizio dello stipulante. Ne consegue che, a tale stregua, il terzo, a favore del quale sia stato convenuto il diritto di opzione per l'acquisto di un bene immobile, che non possa attuare il proprio diritto con la doverosa collaborazione del promittente, è direttamente legittimato a far valere nei confronti di costui la pretesa alla stipulazione del contratto di vendita in relazione al quale l'opzione è stata concessa.

Cass. civ. n. 13474/2000

La clausola compromissoria contenuta in un contratto a favore di terzo è opponibile a quest'ultimo qualora questi abbia manifestato la volontà di profittare della stipulazione, in quanto tale volontà non può non riguardare tutte le clausole contrattuali nel loro insieme.

Cass. civ. n. 12447/1997

La norma di cui all'art. 1411 c.c. non attribuisce al terzo la qualità di parte né in senso formale né in senso sostanziale rispetto alla convenzione negoziale stipulata in suo favore, dovendo egli limitarsi a beneficiare degli effetti di un rapporto da altri già validamente ed efficacemente costituito, così che la sua successiva adesione (rilevabile anche per facta concludentia) si pone come mera condicio iuris, di carattere sospensivo, dell'acquisizione del diritto a lui attribuito, ed ha il solo effetto di rendere irrevocabile ed immodificabile il contratto stipulato in suo favore. (...)

Cass. civ. n. 7398/1996

Nel contratto in favore di terzi (art. 1411 codice civile) le parti stipulanti assumono reciprocamente degli obblighi in favore di un terzo il quale assume la veste di creditore della prestazione promessa senza essere parte del contratto, né in senso formale né in senso sostanziale; ne consegue che il terzo, la cui dichiarazione di voler approfittare del contratto è necessaria solo per renderlo irrevocabile ed immodificabile, non ha alcun obbligo verso le parti stipulanti, le quali, pertanto, restano le sole vincolate per le prestazioni convenute.

Cass. civ. n. 8075/1994

Per la configurabilità di un contratto a favore di terzi non è sufficiente che il terzo riceva un vantaggio economico indiretto dal contratto intervenuto tra altri soggetti, ma è necessario che questi ultimi abbiano inteso direttamente attribuirglielo, nel senso che i soggetti stessi, nella qualità di contraenti, abbiano previsto e voluto una prestazione a favore di un terzo estraneo al contratto, come elemento del sinallagma.

Cass. civ. n. 1990/1982

Un contatto a favore di terzo, secondo la previsione dell'art. 1411 c.c., può essere stipulato anche a beneficio di un soggetto non ancora giuridicamente esistente, quale una società da costituirsi su iniziativa degli stessi contraenti, che vanga ad acquistare i diritti derivanti dal contratto medesimo solo al momento della sua costituzione.

Cass. civ. n. 260/1978

Non è configurabile un contratto a favore di terzi nel caso, in cui l'avente diritto alla prestazione non sia rimasto estraneo al contratto da altri stipulato in suo favore, bensì sia parte stipulante del contratto fonte del suo diritto nei confronti dell'obbligato promittente.

Cass. civ. n. 2663/1976

Nel contratto a favore di terzo l'interesse alla stipulazione da parte dello stipulante può essere di natura non solo concreta ma anche meramente morale, e può consistere sia nell'attribuzione di un diritto, sia nella rinuncia all'esercizio di un'azione, poiché in tale figura negoziale non sussistono particolari limiti in ordine alla qualità e al contenuto della prestazione dovuta al terzo.

Cass. civ. n. 2578/1975

Nel negozio con il quale il socio di una società di capitali assume, spontaneamente ed in proprio, determinate obbligazioni pecuniarie verso un soggetto che già presti la sua opera in favore della società, al dichiarato fine di ottenere una più completa ed efficace esplicazione di tale attività a vantaggio della società, è ravvisabile un interesse economico del socio medesimo idoneo a configurare un valido e lecito contratto a titolo oneroso a favore di terzo (art. 1411 c.c.) e cioè della società, avente la stessa causa del contratto (di mandato, d'opera professionale di lavoro subordinato ecc.) preesistente fra il prestatore d'opera e la società.

Cass. civ. n. 649/1973

Nel contratto a favore di terzi il diritto che il terzo acquista nei confronti del promittente, per effetto della stipulazione, è quello alla prestazione contemplata nel contratto, senza che ciò comporti sostituzione del beneficiario nella posizione dello stipulante, non verificandosi successione nel rapporto, e conservando ciascuno dei soggetti la propria posizione (di parte contraente o di beneficiario) anche nella fase di attuazione del contratto. Lo stipulante ha interesse ad agire, in favore del terzo, per la esecuzione o la risoluzione del contratto. Poiché, peraltro, la stipulazione a favore del terzo può essere revocata o modificata finché questi non abbia dichiarato di volerne profittare (art. 1411, secondo comma, c.c.), in mancanza di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, lo stipulante non può chiedere che la prestazione sia effettuata a lui, ed ove tale richiesta formuli, non gli può essere negata la legittimazione ad agire, ma la domanda deve essere rigettata.

Cass. civ. n. 294/1972

Nel contratto a favore di terzi, la volontà negoziale di attribuire al terzo un diritto, in mancanza di un'espressa dichiarazione, ben può accertarsi sulla base dell'interesse delle parti contraenti alla stipulazione vantaggiosa per il terzo.

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Roberto D. chiede
domenica 11/04/2021 - Veneto
“Nell'atto di compravendita di un lotto di terreno di 464 mq avvenuto nel 1953, all'art. VI, si legge: "I compratori assumono l'obbligo, per loro, eredi ed aventi causa, di costruire sull'appezzamento rispettivamente acquistato, soltanto case di civile abitazione o villette, comprendenti non più di tre piani oltre lo scantinatoe con assoluto divieto di costruire fabbricati di tipo popolare o rustico, o adibiti ad esercizio di commercio o di industria o di altra attività rumorosa, molesta, o indecorosa".

Ad oggi si sta costruendo un edificio di 6 piani con regolare permesso di costruire rilasciato dal comune di Venezia in cui non vi è cenno al vincolo di non costruire più di tre piani.
Quesito: Il vincolo di "non più di tre piani" del 1953 ha ancora qualche validità ?

Allego artt. VI e XII dell'atto di compravendita del 1953.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/04/2021
Dalla lettura dell’atto di compravendita, allegato al quesito, è emerso che i due appezzamenti di terreno oggetto del contratto costituiscono il risultato di un frazionamento operato da colui che, all'epoca, era l'unico proprietario.
Il primo problema che si pone è quello della qualificazione dell’impegno, assunto in quella sede dagli acquirenti, di non costruire, sui terreni acquistati, edifici aventi determinate caratteristiche o superiori ad una certa altezza: occorre stabilire se si tratta di un obbligo avente natura personale o, viceversa, di un diritto reale (nella specie, si configurerebbero una servitus non aedificandi (o inaedificandi), ovvero una “servitù di non costruire”, e una servitus altius non tollendi, cioè di non costruire oltre una certa altezza).
Le ricadute pratiche di tale distinzione sono state ben spiegate da Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 3091/2014, secondo cui “in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., è consentito alle parti di sottrarsi alla regola della tipicità dei diritti reali su cose altrui attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. Pertanto, invece di prevedere l'imposizione di un peso su un fondo (servente) per l'utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una "qualitas fundi", le parti ben possono pattuire un obbligo personale, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria”. Trattasi di principio consolidato (si veda anche Cass. Civ., Sez. II, n. 2651/2010).
Nel nostro caso, l’impegno degli acquirenti a non costruire non appare stabilito in favore di una persona determinata; anzi, tale impegno è assunto dai compratori per sé, per i propri eredi ed aventi causa, il che contribuisce a rafforzare l’opinione del carattere reale del divieto di edificare, in quanto pattuito in funzione di una utilità del fondo, consistente nella maggiore amenità, e dunque anche in un maggior valore, dei luoghi, derivante appunto dall’assenza di edifici con altezza eccessiva (che potrebbero togliere aria e luce agli immobili circostanti), o considerati di scarso pregio, o all’interno dei quali si svolgano attività tali da turbare la quiete e la serenità del vicinato.
La questione merita comunque di essere approfondita, anche alla luce di una recente pronuncia della Cassazione (Sez. II, n. 20694/2018), la quale evidenzia un ulteriore profilo, quello relativo alla trascrizione degli atti. In particolare, la S.C. ha osservato che “se un contratto di compravendita prevede anche la costituzione di una servitù a favore di un terzo o dello stesso alienante devono chiedersi due separate iscrizioni: la prima per la compravendita e la seconda per la costituzione della servitù. La richiesta della trascrizione della sola compravendita, infatti, non è sufficiente a ricomprendere anche l'altra”.
Qualora si propenda per la natura reale del vincolo, si tratterà appunto di una servitù, che è posta a vantaggio non delle persone, ma di uno o più fondi: essa dunque “seguirà” tanto il fondo dominante quanto il fondo servente nelle loro vicende traslative, negli eventuali passaggi di proprietà.
Il problema, semmai, nel nostro caso, risiede nell’identificare il fondo dominante, cioè quello a vantaggio del quale la servitù è stata costituita; se, infatti, non pone particolare problemi l’individuazione del fondo servente (ciascuno dei due lotti di terreno a carico dei quali è stato stabilito il divieto di costruire), occorrerebbe conoscere meglio la situazione dei luoghi, per comprendere chi sia legittimato a far valere il mancato rispetto della servitù in esame.
In proposito, la giurisprudenza ha affermato l’utilizzabilità dell’istituto del contratto a favore di terzo, di cui all’art. 1411 c.c. In particolare, si veda Cass. Civ., Sez. II, n. 6030/2000: “il titolo costitutivo di una servitù prediale può rinvenirsi in un contratto cui abbia partecipato soltanto il proprietario del fondo servente, rispetto al quale il proprietario del fondo dominante abbia assunto la posizione di terzo favorito, non sussistendo nel contratto a favore di terzo limiti in ordine alla qualità ed al contenuto della prestazione a favore del terzo, la quale può consistere in un "dare, in un "facere" o in un "non facere" presente o futuro ed anche nella costituzione di un diritto reale, purché tale costituzione corrisponda ad un interesse anche non patrimoniale dello stipulante”.
Tale possibilità è stata espressamente riconosciuta nel caso di lottizzazione da Cass. Civ., Sez. II, n. 1842/1993.
Nel nostro caso, l’interesse del venditore alla costituzione del vincolo potrebbe essere ravvisato sia nell’esigenza, prettamente patrimoniale, di evitare un possibile deprezzamento delle proprietà confinanti (non è chiaro se all’epoca il venditore fosse ancora proprietario dei terreni finitimi, ma sembrerebbe di sì), sia nell’aspirazione ad una maggiore amenità, preservando la tranquillità di una zona residenziale ed evitando il sorgere di condomini, abitazioni “popolari”, ed attività moleste.

Nico R. chiede
mercoledì 06/03/2019 - Lombardia
“Buongiorno,
il mio caso è il seguente:
a seguito di accordo di divorzio consensuale il marito della signora (omissis) promette di trasferire a titolo di liberalità ai due figli la casa coniugale - già assegnata loro da precedente sentenza di separazione- entro e non oltre il 30/04/2019.
Tale promessa viene poi scritta nella sentenza e citando testualmente la sentenza “ tale accordo patrimoniale di trasferimento a beneficio dei figli comuni è indispensabile alla risoluzione delle controversie coniugali e, con il perfezionamento dello stesso, la signora (omissis) dichiara di non avere null’altro a pretendere nei confronti del marito a qualsivoglia titolo e/o ragione e/o causa connessi al matrimonio”, poiché la signora, avendo contribuito in parte al pagamento dell’immobile intestato al marito, ne vantava un credito nei suoi confronti.
In uno dei punti della sentenza la signora (omissis) si impegna a pagare in toto le spese notarili dovute al seguente atto.
La sentenza viene emessa il 20/12/2018 dal tribunale di (omissis). Il 1° di Marzo si prendono accordi con un notaio per eseguire l’atto e trasferire l’immobile in favore di figli, ma il giorno prima (28/02/2019) il marito dichiara che non si sarebbe presentato dal notaio e così fa.
La signora (omissis) ed i figli possono rivalersi in qualche modo nei confronti del padre/marito? Si configura un possibile risarcimento del danno? So che una promessa teoricamente non è coercibile, ma il fatto che sia stata trascritta in una sentenza di un tribunale e messa come clausola/punto per avere un divorzio consensuale non ne rafforza il valore?
Spero di essere stato abbastanza chiaro, in caso non esitate a chiedere maggiori chiarimenti.
Cordialmente

Consulenza legale i 13/03/2019
La ragione della complessità del quesito risiede, essenzialmente, nella dizione “a titolo di liberalità”, contenuta nell’accordo sottoscritto dai coniugi e poi trasfuso nella sentenza di divorzio.
Gli elementi da valutare, nel nostro caso, sono i seguenti:
- immobile (già adibito a casa familiare), di esclusiva proprietà del marito;
- impegno da parte di quest’ultimo a trasferire la proprietà del predetto immobile ai figli, appunto “a titolo di liberalità”;
- impegno da parte della moglie a sostenere le spese notarili e tutte le altre relative all’atto da stipularsi;
- dichiarazione da parte della moglie di non aver più nulla a pretendere nei confronti del marito, connessa al perfezionamento del trasferimento della proprietà dell’immobile;
- sottoscrizione per accettazione dell’accordo da parte dei figli, designati appunto quali beneficiari del trasferimento.
Va subito premesso che, qualora si inquadrasse l’impegno assunto dal marito nell’ambito delle promesse unilaterali, lo stesso non potrebbe essere coercibile in quanto, ai sensi dell’art. 1987 del c.c., la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori al di fuori dei casi ammessi dalla legge.
Tuttavia, è possibile escludere che, nel nostro caso, ci troviamo di fronte ad una promessa unilaterale: quello sottoscritto, sia pure nella particolare sede di un divorzio “consensuale” è un accordo volto a trasferire la proprietà di un bene; in altre parole, un vero e proprio contratto, caratterizzato peraltro dall’assunzione di obblighi a carico di entrambe le parti.
Ora, il riferimento allo spirito di liberalità porta subito a prendere in considerazione il contratto di donazione. Tuttavia, qualificando l’accordo intervenuto tra le parti come contratto preliminare di donazione, lo stesso non potrebbe produrre effetti giuridici, considerata la costante giurisprudenza della Cassazione che ritiene inammissibile la figura del preliminare di donazione, proprio perché l’assunzione di un obbligo a donare contrasterebbe con lo spirito di liberalità che costituisce elemento essenziale della donazione (in questo senso, ad esempio, Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 14262/2016).
La soluzione va ricercata inquadrando la fattispecie nell’ambito del contratto a favore di terzi. di cui all’art. 1411 del c.c. Detta norma dispone che “è valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse” (nel nostro caso, i figli conseguirebbero un’attribuzione patrimoniale, e ad ogni modo hanno sottoscritto l’accordo per accettazione).
Abbiamo, quindi, un accordo a contenuto patrimoniale con cui, da un lato, l’ex marito si obbliga a trasferire la proprietà di un immobile ai figli, a fronte dell’obbligo, assunto dalla ex moglie, di sostenere le relative spese, ed a fronte della rinuncia da parte di quest’ultima a far valere ulteriori pretese eventualmente vantate nei confronti dell’ex coniuge.
Va precisato, peraltro, che la donazione non esaurisce la casistica degli atti a titolo di liberalità. In proposito, l’art. 809 del c.c. contempla espressamente l’esistenza di “altri atti di liberalità”, stabilendo in relazione ad essi l’applicabilità di una serie di norme dettate per le donazioni, Tra essi rientra, pacificamente, anche il contratto a favore di terzi.
Ne deriva che l’impegno assunto dal coniuge in sede di divorzio è giuridicamente vincolante e, visto l’inadempimento di quest’ultimo, può trovare attuazione coattiva attraverso lo strumento previsto dall’art. 2932 c.c., con il quale è possibile ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Quanto alla legittimazione ad agire per ottenere l’esecuzione dell’obbligo, secondo la giurisprudenza nel contratto a favore di terzo, in difetto di espresse previsioni convenzionali, il terzo è l'unico legittimato ad agire - con l'azione di risoluzione del contratto e di risarcimento danni - per ottenere, a fronte dell'inadempimento del promittente, la prestazione attribuita ove il contratto sia idoneo a fargli acquisire il relativo diritto senza necessità di un'attività esecutiva del promittente medesimo; mentre, in caso contrario, va riconosciuta una legittimazione concorrente anche a favore dello stipulante (Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 8272/2014).

Anonimo chiede
venerdì 12/05/2017 - Toscana
“Buona sera,
sono proprietaria di un fondo servente che ha fatto causa ad un proprietario di un fondo dominante nel 2004 per negargli il continuo passaggio.
Il fondo dominante non è intercluso ed il mio fondo servente è costituito da un resede con un immobile adibito ad albergo.
In primo grado la causa ha visto l' inserimento di alcune famiglie (8) come intervenuti di altri proprietari di fondi dominanti vicini al fondo dominante da me portato
in causa. La causa in primo grado è stata vinta nel 2008 dagli intervenuti e dal proprietario del fondo dominante portato in causa inizialmente, ciò in quanto il giudice ha
sostenuto che una scrittura privata del 1963 firmata da mio padre desse il diritto di passo a chiunque volesse passare dal suo resede per andare in una zona del paese chiamata
"casa del nonno" (borgo ad ovest della mia proprietà, ma non trascritto nelle mappe catastali).
La scrittura privata in questione dal 1963 ad oggi non è mai stata registrata in conservatoria, inoltre è stata firmata da mio padre come fondo servente e da una
sola persona, a nome suo, ma anche a nome di altri proprietari di fondi dominanti.
Ho impugnato la sentenza in appello e nel maggio 2016, è uscita la nuova sentenza dove i giudici, tramite perizia ctu, assegnano il diritto di passo sulla scrittura
privata del 63 solo al proprietario del fondo dominante che portai inizialmente in causa in primo grado, escludendo tutti gli intervenuti, perché a detta della perizia ctu, sono proprietari di immobili che non sono fisicamente nella zona chiamata "casa del nonno" e nessuno degli intervenuti è erede di chi ha sottoscritto la scrittura privata.
A questo punto la mia domanda è: prima che la sentenza passi in giudicato, vorrei capire se impugnando la sentenza in cassazione per l' unico proprietario che
ha il diritto di passo (per la corte di appello), devo nuovamente inserire gli intervenuti nella causa in cassazione, oppure impugnarla solo nei confronti della parte iniziale (quindi io fondo servente contro proprietario fondo dominante), anche perché andando in cassazione vorrei trovare dei vizi di forma per quanto riguarda la validità della scrittura privata, che comunque in corte di appello è stata fatta valere solo per un fondo, anche se non è stata mai registrata in conservatoria.

Inoltre vorrei capire su quali leggi è stata concessa come valida una scrittura privata mai registrata, senza l'individuazione delle particelle, dei fondi
serventi né quelli dominanti e soprattutto com'è possibile che una scrittura privata sia valida se è stata firmata da una persona sola per conto ed interesse di altre 4.

Nel frattempo un'altra famiglia con la quale abbiamo un' altra causa iniziata successivamente sempre per il diritto di passo, che ad oggi pende in corte di appello,
mi ha fatto una possessoria ex art 703

La possessoria è stata vinta da loro, ho fatto reclamo ma purtroppo ha confermato quanto detto nella possessoria. Successivamente hanno attuato l' ordinanza
possessoria con il 669 duodecies riguardo alla consegna di chiavi di un cancello.
Due giorni fa mi è arrivato il precetto contenente tutte le ordinanze emesse (703 accolto, reclamo rigettato e 669 duodecies attuato) relative a questa reintegra
e munite tutte di formula esecutiva. In aggiunta è stato inserito nel conteggio il rimborso spese per l' apertura del cancello.
La mia domanda è: per quanto riguarda il recupero delle spese legali possono mandarmi precetto di queste ordinanze munite di formula esecutiva? Il precetto è valido
così o bastava semplicemente la notifica di queste essendo già titoli esecutivi?
Il rimborso delle spese dell' apertura del cancello possono legalmente riprenderle con questo precetto, anche se il giudice non si era espresso su quest' ultima cosa?

Grazie


Consulenza legale i 25/05/2017
Natura del negozio
E' difficile comprendere la natura giuridica della scrittura privata dalle poche righe riportate e senza conoscere il comportamento, spesso concludente, delle parti in gioco.
Tuttavia è possibile azzardare l'ipotesi che questa scrittura privata, con la quale il proprietario di un fondo servente concesse il diritto di passo a "chiunque volesse passare per recarsi alla casa del nonno", configuri un contratto in favore di terzi.

Il contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.) è il contratto con il quale una parte (il promittente) si obbliga nei confronti di un'altra parte (lo stipulante), ad eseguire una prestazione in favore di un terzo.
Il terzo, che in questo caso sono gli altri proprietari dei fondi presunti dominanti, non sono parti del contratto ma acquistano il diritto se e quando lo vorranno.
Il terzo può acquistare il diritto che gli è stato concesso anche per facta concludentia: pur non esprimendo verbalmente la volontà di acquisto del diritto, può comunque esprimere la sua volontù attraverso un utiLizzo del passaggio per recarsi nella località casa del nonno.

Tuttavia va sottolineato che la Cassazione ha più volte ribadito "che la costituzione di servitù attraverso contratto a favore di terzo è certo possibile, ma a condizione che la stipulazione avvenga per iscritto, che il vincolo reale sia costituito a carico del fondo del promittente ed a favore di quello del terzo, che la costituzione del vincolo ed il conseguente vantaggio per il terzo siano previsti e voluti dai contraenti, che sia determinato (o determinabile con certezza) il fondo dominante (e quindi il proprietario) e che lo stipulante abbia un interesse, pure non patrimoniale (per tutte: Cass. 30 ottobre 2006, n. 23343)".

Così configurato è ben possibile dunque che la scrittura privata firmata solamente da uno dei proprietari dei fondi finitimi possa valere nei confronti (a favore) di altri soggetti.
Non potendoci addentrare circa la validità o l'invalidità della scrittura, per le scarse informazioni in nostro possesso, e sull’interpretazione della volontà dei contraenti, è tuttavia legittimo dubitare che, nel caso specifico, vi sia la determinatezza dei titolari del diritto di servitù, non essendo possibile individuare con precisione quali siano i fondi dominanti ammessi al passaggio sul fondo servente.
In assenza di una siffatta determinazione, il contratto sarebbe dunque nullo e privo di effetti.

La Corte, nel suo caso, ha invece - evidentemente - ricostruito in maniera differente la volontà delle parti, in quanto pare (pare) aver inquadrato la scrittura privata come costitutiva di un diritto di passo in favore di tutti i fondi limitrofi.

Tuttavia, anche qualora si aderisse a questa ricostruzione, la servitù dovrebbe essere configurata come irregolare. La servitù è un peso imposto ad un fondo per l’utilità di un altro fondo, utilità che lega i due beni e non i singoli proprietari.

Se i fondi sono distanti dalla località “casa del nonno”, come ha accertato il CTU, non vi è nessuna maggior comodità del fondo dominante, quanto piuttosto un mero vantaggio personale del proprietario del fondo.
In questi casi si parla appunto di servitù irregolari, rapporti meramente obbligatori che non possono essere trasmessi agli aventi causa del creditore (fondo dominante), senza una nuova convenzione con la quale si conceda il diritto di passo.

Ricostruita in questo modo la situazione, i proprietari dei fondi distanti dalla suddetta località, nulla potrebbero pretendere dal proprietario del fondo servente, mentre sarebbe pienamente valida la costituzione della servitù a vantaggio dell'unico proprietario del fondo dominante limitrofo.

Sulla mancata trascrizione
In base all'art.2644 c.c.il contratto con il quale si costituisce un diritto di servitù a carico di un fondo ed a vantaggio di altri fondi, deve essere trascritto.
Questa trascrizione viene definitività pubblicità-notizia, ovverosia il contraente richiederà la trascrizione nei registri immobiliari della scrittura per far si che il suo diritto possa essere conosciuto e dunque fatto valere nei confronti di tutti.
Si parla in questi casi di opponibilità dell'atto al terzo avente causa.
Secondo la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17634/2013, "invero per costante giurisprudenza la servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all'avente causa dell'originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta o espressamente menzionata nell'atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti (Cass. n. 9457 del 28/04/2011)".

Fatta questa doverosa premessa, occorre dunque capire se nel caso concreto lei possa essere definita "terzo avente causa", oppure no, dal momento che il precedente titolare del fondo servente era suo padre.
Se avesse acquistato l'immobile mortis causa, in forza della sua qualità di erede, il contratto le sarebbe comunque opponibile.
La Cassazione è granitica in materia affermando che "l'erede, continuando la personalità del "de cuius", diviene parte del contratto concluso dallo stesso, per cui egli resta vincolato al contenuto del contratto medesimo, ancorché questo non sia stato trascritto. Pertanto, l'opponibilità dell'acquisto di un immobile nei confronti dell'erede del venditore si sottrae, oltre che alle regole dell'art. 2704 cod. civ. in tema di certezza della data della scrittura privata, anche alle disposizioni dell'art. 2644 cod. civ., circa gli effetti della trascrizione nel rapporto con l'altro acquirente del bene, per cui la trascrizione dell'acquisto "mortis causa" operato dall'erede, ai sensi dell'art. 2648 cod. civ., prima della trascrizione dell'atto di disposizione compiuto in vita dal "de cuius", vale soltanto agli effetti della continuità delle trascrizioni. Conseguentemente, l'erede non può eccepire l'anteriorità della trascrizione del suo acquisto, al fine di rendere a lui inopponibile l'atto di disposizione a favore dei terzi compiuto, in vita, dal "de cuius" " (Cass. n. 12242/2011 cass. 13968/2009).

Dunque, se è diventata proprietaria del fondo servente in qualità di erede, allora la scrittura privata le potrà essere opposta anche se non trascritta.
Se invece avesse acquistato il diritto a titolo particolare, ad esempio tramite legato, allora poteva eccepire l'inopponibilità della scrittura per la mancata trascrizione della scrittura privata (Cass. 5441/2014).

Sul contraddittorio in Cassazione
Gli altri proprietari dei fondi presunti dominanti sono intervenuti in base all'art. 105 c.p.c., norma che consente, appunto, a chiunque di intervenire nel processo tra altre persone, nel caso in cui esiste una connessione oggettiva tra le cause; connessione oggettiva che in questo caso è rappresentata dall'identità di petitum, ovverosia di ciò che si chiede.
Le cause che potevano essere instaurate separatamente vengono invece trattate congiuntamente per ragioni di economia processuale ed opportunità: evitare due decisioni contraddittorie ma comunque legittime.

Con riguardo alle impugnazioni si parla in questi casi di cause scindibili, controversie che possono essere separate e per le quali nessun ostacolo logico nè giuridico vieta che diventino definitive per una parte ed oggetto ancora di giudizio per altre.
L'art.332 c.p.c. impone però che, quando si vuole impugnare una sentenza solo con riguardo ad una parte, si notifichi il ricorso per cassazione anche alle altre parti.

La norma tende ad evitare una biforcazione dei giudizi di impugnazione avverso la medesima sentenza.
Ed infatti gli altri proprietari soccombenti una volta ricevuta la notifica della sentenza, se intendono a loro volta impugnarla devono farlo nello stesso giudizio.

Dunque, per rispondere sinteticamente alla sua domanda, se vuol ricorrere in cassazione dovrà solamente "avvisare" le altre parti notificando loro il ricorso, ma non anche chiamarli in giudizio.

Sulle spese del procedimento possessorio
L'ordinanza che ha definito il giudizio sulla possessoria è già titolo esecutivo, il che vale a dire che dovrà attenersi a quanto prescritto dal giudice anche con riferimento alle spese legali.

Quindi, se nell'ordinanza vi è una condanna al pagamento delle spese legali, queste vanno corrisposte a prescindere dalla ricezione dell'atto di precetto.
In ogni caso, prima di iniziare l'esecuzione, il titolare del diritto di credito dovrà notificarle un "nuovo" atto di precetto specificando gli importi dovuti a titolo di spese legali.
L'atto di precetto non è nient'altro che un'intimazione di pagare le somme dovute poiché altrimenti si inizierà l'esecuzione forzata.
L'ordinanza che ha definito il procedimento possessorio si esegue secondo quanto indicato dall'art. 669 duodecies c.p.c. che, sebbene rimandi alle forme previste per l'esecuzione forzata, non è propriamente un'azione esecutiva.

Secondo la giurisprudenza e la dottrina dominati, a seguito dell'istanza ex art. 669 duodecies c.p.c. non si instaura un processo esecutivo ma un'altra fase del procedimento possessorio, ragion per cui non è necessario l'atto di precetto e l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare (Cass. 481/2003).
Non essendo necessario il precetto, l'eventuale addebito di spese per la redazione dell'atto e per la sua notifica sono spese superflue, che l'avvocato di parte poteva evitare, e dunque non dovute.
Lo stesso dicasi per le spese attinenti all'apertura del cancello.
Eventuali spese dovranno essere semmai liquidate dal giudice nella fase di merito possessorio, ma non possono essere addebitate all'intimato se non vi è un titolo.
Anche tale principio è stato sancito dalla Cassazione nella sentenza n.481/2003 secondo la quale "ne consegue che la sede in cui si fa valere il diritto al rimborso delle spese sostenute o anticipate per l'attuazione coattiva del provvedimento cautelare possessorio è il giudizio possessorio, ed il provvedimento che statuisce su tale diritto è la sentenza che definisce il merito possessorio".