Parallelo tra le norme dell'abrogato codice e le nuove; conseguenze promananti da queste
La norma che sancisce la validità della stipulazione a favore del terzo, sol che lo stipulante vi abbia interesse, è profondamente innovativa di fronte al vecchio sistema: questo
consentiva che il contraente potesse stipulare in favore del terzo, solo quando questa stipulazione costituisse un accessorio del contratto principale, in quanto formasse condizione (cfr. più sotto) di una stipulazione che quel contraente faceva per sé, o di una donazione a favore di altri; la nuova norma permette che la stipulazione a favore del terzo abbia figura autonoma ed indipendente e costituisca l'oggetto principale ed esclusivo del contratto. Sopravvive ancor oggi il requisito dell'interesse proprio dello stipulante all'esecuzione della prestazione al terzo; per il che è tuttora a ritenere che, come non ricorrerebbe contratto a favore di terzo nel caso in cui i contraenti stipulassero esclusivamente nel loro interesse, pur convenendo che la prestazione debba eseguirsi ad un terzo, senza che si sia inteso di conferirgliene diritto, così non sarebbe valida quella stipulazione in cui l'interesse dello stipulante alla prestazione al terzo mancasse e non sussistesse che quello di costui.
E, circa la natura dell'interesse, che legittima la stipulazione a favore del terzo, basterà richiamarsi ai principi generali in tema di obbligazioni ed al lucido insegnamento di Vittorio Scialoja, che nella norma dell'art. 1174 c.c. ha trovato un'espressa sanzione legislativa: occorre, cioè, distinguere l'interesse che ha il creditore alla prestazione del rapporto obbligatorio, dalla prestazione medesima; se non v'ha ragione di pretendere che l'interesse da parte del creditore sia in ogni caso patrimoniale o economico, potendo bene aversi un interesse morale, o ideale, che sia degno di protezione giuridica, al contrario per la prestazione è necessario ammettere ch'essa sia economica nel suo contenuto, o in qualsiasi modo capace di una valutazione patrimoniale.
Elevata la stipulazione a favore di terzo a figura autonoma contrattuale, non trovano più posto le dispute circa il senso da attribuire alla parola «condizione», di cui all'art. #1128#, dell'abrogato codice civile. Giova appena ricordare che, mentre la maggioranza della dottrina intendeva quella parola nel senso di modalità di una stipulazione che taluno faccia per sé, o modus di una donazione che faccia ad altri, non mancavano scrittori che, nel primo dei casi menzionati dall'art. #1128#, (stipulazione che taluno faccia per sé), assumevano la parola «condizione» non solo nel senso di modalità, ma ancora in quello tecnico, di avvenimento futuro ed incerto.
Infine è da porre in chiaro che, data la larga dizione del primo comma dell'art. 1411, non sarebbe più da dubitarsi che il contratto a favore di terzo, oltreché avere contenuto obbligatorio, possa essere traslativo o costitutivo di un diritto reale, a favore del terzo stesso. La maggioranza della dottrina già era in tal senso sotto l'impero della vecchia norma. Ma soprattutto quando si ponga a raffronto la disposizione del suddetto primo comma con quella che si conteneva nell'art. 45 del progetto del 1936 del Libro delle Obbligazioni: «Ciascuno può stipulare in nome proprio a favore di un terzo, quando abbia un interesse personale, sia materiale che morale, all'adempimento dell'obbligazione, emerge chiaro che la nuova legge abbia inteso ripudiare il sistema seguito da legislazioni straniere (cfr. sopra, n. 2) che limitano la validità del contratto a favore di terzo ai rapporti obbligatori.
La natura giuridica della dichiarazione del terzo e suoi effetti
Grande disputa, in tema di contratti a favore di terzi, era quella che concerneva la natura giuridica e la funzione della dichiarazione del terzo. L'art. #1128# dell'abrogato codice, dopo aver stabilito in quali casi dovesse ritenersi valido il contratto a favore del terzo, sanciva: «Chi ha fatta questa stipulazione non può più revocarla, se il terzo ha dichiarato di volerne profittare»; e lo stato della dottrina, sotto l'impero di questa norma, era il seguente. Secondo una tesi prevalente, il diritto del terzo sorge immediatamente e per effetto del contratto, in virtù appunto della volontà delle parti che glielo vollero attribuire, e senza che occorra alcuna cooperazione da parte sua; la dichiarazione del terzo non è costitutiva del suo diritto, che ha vita prima ed indipendentemente da essa, ma vale solo a stabilire che lo stipulante non può più revocare la stipulazione fatta: in altre parole, essa è semplicemente confermativa. Altri scrittori, invece, concordano nell'ammettere che, per l'acquisto del terzo, occorra qualche atto di partecipazione alla stipulazione a suo favore conclusa; ma si differiscono notevolmente nella determinazione e nella specificazione di tale atto. Va qui ricordata, anzitutto, quella dottrina che pur aveva traccia nel diritto comune e sostenuta da autorevoli interpreti del codice civile francese, fu presso di noi illustrata dal Manenti: secondo essa, la stipulazione a favore del terzo va considerata quale un'offerta di contratto delle parti contraenti al terzo, che, ove venga da costui accettata, dà luogo ad un nuovo contratto tra quelle ed il terzo, dal quale questi deriva il suo diritto. E’ chiaro che questa tesi rappresenta un ritorno al principio romano classico, della nullità del contratto a favore del terzo; giacché il terzo deriverebbe il suo diritto non già dal contratto al quale rimase estraneo, ma da un altro nuovo, che verrebbe a porsi in essere con la sua accettazione e nel quale sarebbe parte contraente. E vanno altresì ricordate le altre molteplici teorie che, pur senza rinnegare il principio della validità del contratto a favore di terzo, pur ammettendo cioè, che il diritto a favore del terzo sorga per effetto del contratto interceduto tra le parti, sostengono che il terzo debba soltanto o ratificare la stipulazione fatta in suo favore, o accedervi, o compiere atto di appropriazione del vantaggio che i contraenti vollero attribuirgli; ovvero che la dichiarazione del terzo è requisito legale del perfezionarsi del suo diritto; ovvero, infine, che questo diritto sia allo stato latente e si realizzi appieno quando segua quella dichiarazione, che tronca lo stato di pendenza.
Queste dispute circa il momento in cui il terzo acquista definitivamente i1 diritto e, conseguentemente, circa il significato della dichiarazione del terzo, sono troncate dall'art. 1411 del nuovo codice civile, secondo cui, di norma (cioè salvo patto in contrario), il terzo acquista il diritto contro il promittente al momento della stipulazione e la sua dichiarazione di volerne profittare (che va fatta anche in confronto del promittente) non serve che a privare lo stipulante della facoltà di revoca o di modifica. L'adesione della nuova legge alla prima delle dottrine esposte non potrebbe essere più evidente. E non solo; ma fissato legislativamente che il diritto è acquistato dal terzo per il semplice effetto della stipulazione, e senz'altro, e che, conseguentemente, la sua dichiarazione è meramente confermativa, è risoluto implicitamente il quesito circa la forma in cui questa dichiarazione debba seguire; cosicché, mentre sotto l'impero dell'abrogata norma era lecito dubitare se fosse esatto l'insegnamento seguito dalla maggioranza degli scrittori, che l'accettazione del terzo fosse esente da ogni requisito di forma, anche quando ricorresse in suo favore un negozio per il quale era prescritta una forma determinata, non potrebbe più oggi porsi in discussione che la dichiarazione del terzo possa seguire in qualsiasi maniera, anche in modo tacito, per facta concludentia.
Il caso del rifiuto del terzo, o di revoca
Altra questione, nel tema che ci occupa, era quella concernente la sorte della prestazione in favore del terzo, nel caso che costui avesse rifiutato di profittarne, o nel caso di revoca. A chi profittava la prestazione rifiutata, o che il terzo, per effetto della revoca, non riceverà più? La dottrina aveva escogitate varie soluzioni al riguardo.
Anche qui la nuova legge detta una soluzione precisa: di regola, nei casi summenzionati, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante; ma il beneficio potrà essere del promittente, se così vollero le parti, o se ciò risulti dalla natura del contratto. La prima eccezione non ha bisogno di essere illustrata; ma il vantaggio potrà essere del promittente ancor quando la volontà delle parti non si sia manifestata, e semplicemente avuto riguardo alla natura del contratto; così, se la prestazione a favore del terzo consistesse in una obbligazione negativa (es., obbligo altius non tollendi, a favore di un vicino frontista), oppure in una prestazione di carattere personale (es., concessione di un diritto di abitazione al terzo); ovvero la stipulazione in favore del terzo sia modus di una donazione dello stipulante al promittente, nel qual caso il rifiuto del terzo o la revoca dello stipulante trasmetterebbero la donazione modale in donazione pura e semplice.