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Articolo 484 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Accettazione col beneficio d'inventario

Dispositivo dell'art. 484 Codice Civile

(1)L'accettazione col beneficio d'inventario [470, 490, 510, 511 c.c.] si fa mediante dichiarazione(2), ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione [456 c.c.], e inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale [52, 53 disp. att.](3).

Entro un mese dall'inserzione, la dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione [456, 2648 2830 c.c.](4).

La dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario, nelle forme prescritte dal codice di procedura civile [494 c.c., 769 ss. c.p.c.](5).

Se l'inventario è fatto prima della dichiarazione, nel registro deve pure menzionarsi la data in cui esso è stato compiuto.

Se l'inventario è fatto dopo la dichiarazione, l'ufficiale pubblico che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, far inserire nel registro l'annotazione della data in cui esso è stato compiuto [495, 511 c.c.].

Note

(1) L'accettazione con beneficio di inventario evita la confusione tra il patrimonio del de cuius e quello dell'erede. Per l'effetto, il secondo risponde dei debiti ereditari nei limiti di quanto ricevuto (intra vires). Ove i beni del defunto non siano sufficienti, i suoi creditori non possono aggredire il patrimonio dell'erede.
(2) Per accettare l'eredità con benefico di inventario è necessario seguire la procedura formale di cui agli articoli 484 ss. del c.c.. Pertanto l'accettazione può avvenire solo in forma espressa e non tacita.
(3) Il comma è stato così modificato dal D. Lgs. 19 febbraio1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).
(4) La trascrizione dell'accettazione beneficiata ha la funzione di pubblicità notizia, la cui omissione non determina l'inefficacia dell'accettazione con beneficio di inventario ma impedisce all'erede di pagare i creditori e legatari ai sensi dell'art. 495 del c.c..
Scopo di tale adempimento è quello di tenere informati i creditori, consentendo loro di tutelare i propri interessi.
(5) L'inventario consiste nell'elencazione di tutti i beni, mobili e immobili, che fanno parte del patrimonio ereditario allo scopo di determinarne la consistenza e di tenerlo separato da quello dell'erede.
Alle operazioni vi procede il cancelliere del Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione o un notaio, che possono farsi assistere da uno stimatore per la valutazione economica dei beni ereditari.
Si seguono le norme di cui agli articoli 769 ss. del c.p.c..

Ratio Legis

Scopo della norma è quello di tutelare l'erede dalle conseguenze negative che potrebbero derivargli dall'accettazione di un'eredità in cui i debiti e i pesi superano il valore dei beni ereditari. L'accettazione beneficiata permette, quindi, di accettare anche eredità di dubbia consistenza consentendo all'erede di limitare la propria responsabilità.

Brocardi

Beneficium inventarii
Damnosa hereditas
Non praesumitur testator heredem gravare voluisse
Successio pro oneribus portioni suae respondet
Unicuique licet iuri pro se introducto renuntiare

Spiegazione dell'art. 484 Codice Civile

Ai sensi dell'art. 459 del codice civile l'eredità si acquista con l'accettazione.
Uniche eccezioni al suddetto principio sono costituite: dal possesso dei beni ereditari (art. 485 2° e 3° comma del codice civile), dalla sottrazione dei beni ereditari (art. 527 del codice civile) e dall'acquisto dell'eredità da parte dello Stato (art. 586 del codice civile).

L'accettazione dell'eredità è l'atto giuridico con cui il chiamato all'eredità, titolare di una delazione attuale, acquista la qualità di erede e con essa l'eredità stessa.

L'eredità può essere accettata puramente e semplicemente o col beneficio di inventario (art. 470 del codice civile).

La differenza tra le due modalità di accettazione rileva sotto il profilo della responsabilità dell'erede per i debiti ereditari.
  • L'accettazione pura e semplice determina la confusione tra il patrimonio dell'erede e quello del de cuius, che diventano un tutt'uno inscindibile. L'erede sarà di conseguenza tenuto al pagamento dei debiti ereditari ultra vires e dunque anche qualora il loro valore superi quello dell'attivo ereditario.
  • L'accettazione col beneficio di inventario impedisce l'effetto della confusione tra i patrimonio dell'erede e quello ereditario, con conseguente limitazione della responsabilità dell'erede intra vires e quindi nei limiti del valore dell'attivo ereditario.

L'acquisto dell'eredità retroagisce all'apertura della successione (art. 459 del codice civile) garantendosi in tal modo la continuità dei rapporti giuridici tra defunto ed erede.

Il fondamento giuridico che sta alla base dell'istituto dell'accettazione beneficiata è quello di agevolare l'accettazione dell'eredità al fine di soddisfare l'interesse generale a che vi sia un erede che permetta la continuazione dei rapporti giuridici del de cuius dopo la sua morte.
Per tale motivo ai sensi del 2° comma della norma in oggetto il testatore non può in alcun modo vietare che la propria eredità sia accettata con beneficio d'inventario.

Il testatore è infatti libero di determinare i soggetti e l'oggetto della delazione mentre ogni ulteriore profilo della disciplina della delazione è indisponibile.
Ne discende la nullità della clausola che preveda espressamente il divieto di accettare col beneficio di inventario così come di ogni ulteriore clausola che implicitamente disponga tale divieto.

La dottrina preferibile esclude, altresì, la possibilità per il de cuius di prevedere l'obbligo testamentario di accettare con beneficio di inventario in quanto quantunque tale previsione sia posta nell'interesse dell'erede al fine di limitare la sua responsabilità per i debiti ereditari all'effettivo valore della massa ereditaria e quindi di agevolare l'accettazione dell'eredità, lo stesso si pone in contrasto con il superiore principio generale che tutela la libertà di accettare previsto ai sensi dell'art. 470 2° comma del codice civile.

Quanto alla natura giuridica:
  • dell'atto di accettazione beneficiata dell'eredità secondo la dottrina prevalente si tratterebbe di un negozio complesso nel quale si fonderebbe lo scopo di accettare l'eredità con quello di limitare la responsabilità per i debiti ereditari intra vires nei limiti del valore dei beni ereditari;
  • del beneficio di inventario prevale la teoria secondo la quale il beneficio di inventario rientrerebbe nella fattispecie dei patrimoni separati determinando una separazione tra il patrimonio personale dell'erede e quello ereditario e costituendo un'eccezione, legalmente prevista, al principio della generale responsabilità patrimoniale del debitore in forza del quale il debitore risponde dei propri debiti con tutti i beni presenti e futuri del suo patrimonio (art. 2740 del codice civile).
L'accettazione con beneficio di inventario richiede l'adempimento di particolari formalità:
  1. dichiarazione formale (l'accettazione beneficiata è sempre espressa) ricevuta da un notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (ultimo domicilio del de cuius);
  2. inserzione della suddetta dichiarazione nel Registro delle Successioni presso il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione;
  3. trascrizione dell'accettazione presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione avente natura di pubblicità notizia e avente lo scopo di rendere edotti i creditori ereditari dell'accettazione. Detta trascrizione, stante la sua specifica finalità, deve essere effettuata anche qualora nel compendio ereditario non siano presenti beni immobili. Quanto alla trascrizione degli acquisti mortis causa di beni immobili: qualora i beni immobili siano tutti ubicati nel luogo di apertura della successione la trascrizione ai sensi dell'art. 484 del codice civile varrà anche come trascrizione ai sensi dell'art. 2648 del codice civile. Qualora vi siano, invece, immobili ubicati in un luogo diverso sarà necessario provvedere alla loro trascrizione presso la competente conservatoria;
  4. redazione dell'inventario dei beni ereditari. Si tratta di un'operazione giuridica volta a determinare la consistenza del patrimonio ereditario. Secondo la ricostruzione preferibile l'accettazione con beneficio di inventario integrerebbe una fattispecie a formazione progressiva di cui l'inventario costituirebbe elemento perfezionativo. L'inventario può essere redatto prima o dopo la dichiarazione di accettazione dell'eredità;
  5. annotazione dell'inventario nel Registro delle Successioni presso il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Trattasi di una pubblicità rilevante ai soli effetti della decorrenza del termine di cui all'art. 495 del codice civile necessario affinché l'erede possa procedere al pagamento dei creditori ereditari. La sua assenza non inficia la validità dell'accettazione beneficiata nè determina la decadenza dalla stessa.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 484 Codice Civile

Cass. civ. n. 19838/2019

Ai fini della verifica del decorso del termine di decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario, rileva la data di redazione dello stesso e non quella del suo inserimento nel registro delle successioni; ove l'inventario sia stato effettuato dopo la dichiarazione, il pubblico ufficiale che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, fare inserire nel registro l'annotazione della data in cui è stato compiuto. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 07/03/2013).

Cass. civ. n. 5460/2017

In tema di accettazione beneficiata dell'eredità, il provvedimento che decide sul reclamo proposto avverso i provvedimenti emessi a seguito di istanza di modifica del decreto di autorizzazione alla redazione dell'inventario, non è impugnabile col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto riconducibile, al pari del decreto di cui all'art. 769 c.p.c., alla giurisdizione volontaria e, pertanto, privo del carattere della decisorietà e della idoneità al passaggio in giudicato. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO SALERNO, 17/06/2015).

Cass. civ. n. 4419/2008

La limitazione della responsabilità dell'erede per i debiti ereditari, derivante dall'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso l'erario. Quest'ultimo, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dell'avviso di liquidazione nei confronti dell'erede (anche nel caso in cui questi abbia rilasciato i beni ereditari in favore dei creditori), non può liquidare od esigere nei confronti dell'erede l'imposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari, e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell'erede.

Cass. civ. n. 16739/2005

In tema di successioni mortis causa l'art. 484 c.c., nel prevedere che l'accettazione con beneficio d'inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell'inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti; infatti, sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di adempimenti necessari, sia la mancata di una distinta disciplina dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l'attribuzione all'uno dell'autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell'altro. Ne consegue che, se da un lato la dichiarazione di accettazione con beneficio d'inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato che subentra perciò in universum ius defuncti compresi i debiti del de cuius d'altro canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità intra vires che è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario,in mancanza del quale l'accettante è considerato erede puro e semplice (artt. 485, 487, 488 c.c.) non perché abbia perduto ex post il beneficio, ma per non averlo mai conseguito.
Infatti, le norme che impongono il compimento dell'inventario in determinati termini non ricollegano mai all'inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza ma sanciscono sempre come conseguenza che l'erede viene considerato accettante puro e semplice, mentre la decadenza è chiaramente ricollegata solo ed esclusivamente ad alcune altre condotte,che attengono alla fase della liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione dell'inventario. Poiché l'omessa redazione dell'inventario comporta il mancato acquisto del beneficio e non la decadenza dal medesimo, ne consegue che all'erede, il quale agisce contro i terzi non chiamati alla successione, è precluso l'esperimento dell'azione di riduzione, non sussistendo il presupposto al riguardo richiesto dall'art. 564, primo comma, ultima parte, c.c., cioè l'accettazione con beneficio d'inventario.

Cass. civ. n. 2689/1978

Dell'accettazione con beneficio d'inventario, di cui agli artt. 484 e segg. c.c., in quanto diretta ad evitare che il patrimonio del de cuius si confonda con quello del chiamato alla successione ereditaria, e che questi debba rispondere dei debiti ultra vires hereditatis, possono avvalersi esclusivamente gli eredi, e cioè, i soggetti che subirebbero detti effetti in caso di accettazione pura e semplice. La legittimazione ad accettare con beneficio di inventario, pertanto, deve essere negata ai successori a titolo particolare, ivi compreso il coniuge superstite che subentri in una quota d'usufrutto, quale legatario ex lege, ai sensi delle disposizioni del codice civile vigenti prima della riforma del diritto di famiglia di cui alla L. 19 maggio 1975, n. 151, giacché anche per le obbligazioni a suo carico a termini dell'art. 1010 c.c. non è esposto al pericolo di dover rispondere con il patrimonio personale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 484 Codice Civile

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D. P. chiede
giovedì 04/04/2024
“Ho accettato eredità con beneficio di inventario, sono coerede insieme ad altri minori di età, non riusciamo a vendere gli immobili, devo pagare Imu per 5000 euro l'anno, impossibili da sostenere per il mio stipendio da impiegata. Sono obbligata a pagare l'Imu con il mio stipendio personale anche se ho accettato con beneficio di inventario?”
Consulenza legale i 10/04/2024
Quando si decide di accettare l’eredità con beneficio di inventario ci si deve rendere conto del fatto che si viene comunque ad acquistare a tutti gli effetti la qualità di “erede”.
La posizione dell’erede con beneficio di inventario, infatti, è ben diversa da quella del semplice chiamato all’eredità, ovvero di colui a cui viene devoluto il patrimonio ereditario e che solo in seguito all’accettazione diventa erede.

Generalmente il chiamato all’eredità decide di avvalersi di questa particolare forma di accettazione, disciplinata dagli artt. 484 e ss. c.c., quando vuole evitare ogni pericolo, anche presunto, in ordine alle conseguenze patrimoniali dell’acquisto della qualità di erede, e ciò perché, appunto, il beneficio di inventario ha l’effetto di limitare la responsabilità dell’erede entro i limiti di valore del patrimonio relitto dal de cuius.
Inoltre, la suddetta limitazione di responsabilità vale nei confronti di tutti i creditori, compreso il fisco. In tal senso si vuole qui richiamare una recente pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania (sentenza n. 1011/2 del 03.02.2023), la quale, in conformità a quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 11458/2018, ha così statuito:
“La limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti ereditari, derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso l’erario, che, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dell’avviso di liquidazione nei confronti dell’erede, non può esigere l’imposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari, e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede”.

Ciò comporta che le imposte di successione, ipotecarie e catastali possono essere liquidate nei confronti dell’erede ma non possono essere richieste dall’Amministrazione Finanziaria che, per esigere tali imposte, deve attendere la definitività della procedura liquidatoria (e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede da sottoporre a tassazione).
Tale orientamento trova conferma anche in un ulteriore precedente della Corte di Cassazione (ordinanza n. 23389 del 6 ottobre 2017), ove la S.C. ha precisato che l’accettazione con beneficio d’inventario comporta che l’accettante è soggetto passivo d’imposta per cui egli è pienamente legittimato a ricevere la notifica dell’avviso d’accertamento mentre l’esigibilità dell’imposta riguarda i profili esecutivi e non già l’an debeatur.

Fatta questa premessa, occorre adesso focalizzare l’attenzione su quanto affermato all’inizio, ossia che l’erede accettante con beneficio di inventario è a tutti gli effetti erede.
Ciò deve intendersi nel senso che dal momento dell’accettazione si realizza il trapasso giuridico del patrimonio ereditario dal de cuius, precedente titolare, all’erede accettante con beneficio di inventario, ivi compresi i debiti che in vita erano stati contratti dallo stesso de cuius, tra cui anche quelli fiscali.
Tra questi ultimi vanno ricompresi anche eventuali somme dovute dal de cuius a titolo di IMU, riferite ovviamente al periodo antecedente alla sua morte, per le quali vale quanto detto sopra, ovvero che l’accettante può ricevere la notifica di eventuali avvisi di accertamento, mentre per l’esigibilità delle relative somme l’amministrazione finanziaria dovrà attendere la definitività della procedura di liquidazione.
Diverso, invece, è il discorso per ciò che concerne le somme dovute a titolo di IMU sugli immobili facenti parte del patrimonio ereditario accettato con beneficio di inventario per il periodo successivo a tale accettazione, in relazione alle quali soggetto passivo non può che essere lo stesso erede possessore.
Ciò può agevolmente desumersi dalla disciplina di tale imposta, introdotta, a partire dall’anno 2012, sulla base dell’art. 13 del D. L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in sostituzione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI).

Dall’analisi di tale normativa si ricava che il presupposto dell’IMU [art. 1, comma 740, della legge n. 160 del 2019] è il possesso di:
  • fabbricati, esclusa l’abitazione principale (salvo che si tratti di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9);
  • aree fabbricabili;
  • terreni agricoli.
Inoltre, soggetti passivi, ex art. 1, comma 743, della legge n. 160 del 2019, sono:
  • il proprietario dell’immobile;
  • il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sull’immobile;
  • il genitore assegnatario della casa familiare a seguito di provvedimento del giudice;
  • il concessionario nel caso di concessione di aree demaniali;
  • il locatario per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria.

Pertanto, l’unico modo per esimersi dal pagamento di tale imposta sarebbe potuto essere quello di rinunciare all’eredità, non venendosi così realizzare il presupposto della stessa, ovvero il possesso di quegli immobili.
Inoltre, trattandosi di debiti gravanti sull’erede e non riconducibili al de cuius, vale per essi il principio generale di cui all’art. 2740 c.c., ovvero quello della responsabilità del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri (e non circoscritta ai soli beni dai quali il debito ha origine).

Rimane soltanto una possibiltà: qualora l’amministrazione finanziaria dovesse passare alla fase esecutiva, si può proporre alla stessa di soddisfarsi sui beni facenti parte del patrimonio ereditario e dal cui possesso il debito per IMU ha origine.


F. R. chiede
martedì 03/10/2023
“Buongiorno, mi serverebbe sapere alcune informazioni in merito all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.
In particolare mi serverebbe capire: il meccanismo di funzionamento, cosa succede se non sono a conoscenza di tutte le passività del defunto e di conseguenza cosa succederebbe se, a seguito della creazione dell’inventario dinanzi ad un notaio, spuntassero successivamente dei nuovi "debiti". Infine, mi servirebbe capire se è possibile, in pendenza di successione o in sua mancata attivazione, presentare ricorso per indennizzo per ingiusta dura (c.d. Legge Pinto) su una procedura fallimentare chiusa in data 01.06.23. A disposizione per altre informazioni.
Grazie mille e buon lavoro”
Consulenza legale i 09/10/2023
La situazione che si ipotizza, ovvero quella della scoperta successiva di attività o passività non inseriti nell’inventario di eredità, è ben possibile e molto frequente nella prassi corrente.
In questi casi ciò che occorre fare è semplicemente la redazione di un inventario di eredità integrativo, con il quale, su richiesta di chi ne ha interesse (generalmente l’erede che ha accettato con beneficio di inventario) si andrà sostanzialmente a riaprire il primo inventario.
Per il caso specifico di passività non dichiarate, si tenga conto che l’art. 484 c.c. assoggetta l’atto di accettazione con beneficio di inventario a due diverse forme di pubblicità, entrambi qualificabili come mera pubblicità notizia, ovvero:
a) l’inserzione nella prima parte del registro delle successioni, tenuto presso il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (così il primo comma di tale norma nonché gli artt. 52 e 53 disp. att. c.c.);
b) la trascrizione presso l’Ufficio dei Registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione, ove nell’eredità siano compresi immobili (così il comma 2 dell’art. 484 c.c.).

In particolare, secondo quanto disposto dal primo comma dell’art. 52 disp. att. c.c., nella prima parte del suddetto Registro delle successioni deve tra l’altro essere inserita la menzione della pubblicazione dell’invito ai creditori per la presentazione delle dichiarazioni di credito.
Da tale momento comincia a decorrere il termine di un mese entro il quale creditori e legatari possono presentare le loro dichiarazioni di credito, trascorso il quale l’erede è legittimato ad avvalersi della c.d. liquidazione individuale a cui fa riferimento l’art. 495 del c.c., ovvero pagare creditori e legatari “…a misura che si presentano, salvi i loro diritti di poziorità.”

A quanto detto sopra va poi aggiunto che, malgrado il disposto di cui al n. 4 dell’art. 775 del c.p.c. sul contenuto del verbale di inventario, si è ritenuto in giurisprudenza che l’indicazione delle passività non sia elemento necessario ai fini dell’accettazione beneficiata e che l’erede acquista il beneficio anche se l’inventario compiuto entro il termine di legge contenga soltanto la descrizione delle attività (cfr. Cass. civ. sent. n. 2664 del 03/10/1959).
In ogni caso è bene tenere presente che, secondo quanto risulta dall’art. 494 del c.c., un inventario incompleto può provocare decadenza dal beneficio solo se l’incompletezza dipenda da mala fede dell’erede (si veda in tal senso Cass. civ. sentenza n. 797 del 25.03.1966).
Pertanto, anche sotto questo profilo, se trattasi di debiti di cui l’erede non poteva avere conoscenza, trattandosi di omissione dovuta ad assoluta buona fede, non si corre alcun rischio di decadere dal relativo beneficio.

Per quanto concerne poi la seconda questione che si chiede di affrontare, ovvero quella relativa alla legittimazione a presentare ricorso ex Legge Pinto ancor prima di aver accettato l’eredità (si ritiene che ci si intenda riferire a ciò quando si usa l’espressione “in pendenza di successione o in sua mancata attivazione”), la risposta è negativa.
Va detto, innanzitutto, che la c.d. Legge Pinto (Legge n. 89/2001), consente a tutti coloro che siano parte di un processo civile, penale o amministrativo, siano essi attore o convenuto, di poter richiedere e ottenere una equa riparazione, nel caso in cui si risulti danneggiati dalla durata eccessiva e irragionevole dello stesso.

Ebbene, una risposta negativa all’esercizio di tale tipo di azione giudiziaria ancor prima di aver accettato l’eredità non può che farsi discendere dalla lettura combinata degli artt. 460 (relativa appunto ai poteri che competono al chiamato prima dell’accettazione) e 476 c.c. (norma che disciplina la c.d. accettazione tacita dell’eredità).
In particolare, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, si fa generalmente rientrare nell’esercizio dei poteri che l’art. 460 c.c. riconosce al chiamato all’eredità:
- la richiesta di emissione di provvedimenti cautelari (sequestri conservativi contro debitori dell'eredità; sequestri giudiziari di beni ereditari);
- il compimento di atti interruttivi della prescrizione o dell'usucapione;
- la trascrizione di atti di acquisto del defunto, l’iscrizione di ipoteche a lui concesse o la rinnovazione dell’iscrizione;
- il compimento di atti di vigilanza, i quali sono prevalentemente diretti ad accertare la consistenza del patrimonio ereditario (tra di essi rientra, in particolare, il compimento dell’inventario, che, per il chiamato possessore, è un vero e proprio onere, comportando, il suo mancato assolvimento, l'acquisto dell'eredità puramente e semplicemente);
- l’esercizio di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza necessità di materiale apprensione degli stessi, onde impedire che, nel periodo tra la delazione e l'accettazione, l'eredità non sia lasciata indifesa contro gli spogli e le turbative (può anche proseguire, per la medesima ragione, il giudizio possessorio iniziato dal suo dante causa defunto, cfr. Cass. n. 4991/2002).

Non rientra, invece, tra i poteri del chiamato e comporta, pertanto, accettazione tacita ex art. 474 c.c. la proposizione di qualunque azione giudiziaria che per sua natura travalichi il mero mantenimento dello stato di fatto esistente all’atto dell’apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni già compresi nell’asse ex art. 460 c.c. (cfr. Cass. n. 13738/2005, Cass. n. 4843/2019, Cass. 10060/2018).
In generale, dunque, può dirsi che determina accettazione tacita dell’eredità la proposizione di una domanda giudiziale che presupponga la qualità ereditaria e che di per sé manifesti la volontà di accettare (cfr. Cass. n. 21507/2019), tale non potendo che qualificarsi l’azione di cui qui si discute.

M. G. chiede
venerdì 06/05/2022 - Lombardia
“Buon pomeriggio, ieri 5/5/22 uno dei miei cugini materni mi ha comunicato telefonicamente della morte di uno zio, avvenuta un mese fa. Lo zio non era sposato, non aveva figli e risiedeva con la compagna nella casa che era stata un tempo dei miei nonni materni. Si tratta di una casa colonica indipendente ma in condizioni fatiscenti. Da quello che mi viene riferito al telefono, tutti i 14 nipoti/eredi intendono rinunciare all'eredità perché non vogliono accollarsi le spese di ristrutturazione.
Io sono la 15° nipote/erede e non mi dispiacerebbe rilevare la casa dei nonni per poi donarla ad una Onlus ma prima voglio essere certa che l'eredità consista solo nell'immobile e non in debiti/ipoteche/pignoramenti; aspetti su cui i miei cugini mi sembrano un po' troppo vaghi. Come faccio ad avere un'idea precisa dei crediti-debiti collegati all'eredità? Grazie.”
Consulenza legale i 12/05/2022
In casi come questo, ossia di eredità composta da un solo bene immobile, è abbastanza semplice accertarsi della libertà di quell’immobile da pesi, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, effettuando una semplice visura presso la competente conservatoria dei Registri immobiliari.
Qualora questa dovesse risultare negativa (nel senso che l’immobile risulta libero da formalità pregiudizievoli), la successiva verifica che si suggerisce di effettuare è quella presso l’Ufficio tributi del Comune in cui si trova ubicato l’immobile, onde accertarsi se in relazione allo stesso vi sono tributi non versati o versati in misura inferiore a quanto dovuto.
Si suggerisce di completare tale verifica con un’ulteriore accertamento presso l’Agenzia delle Entrate riscossioni, a cui richiedere un estratto di ruolo, dal quale sarà possibile scoprire se il defunto aveva già ricevuto delle cartelle esattoriali, a cui non aveva adempiuto.

Ulteriore accertamento va effettuato presso l’Agenzia delle Entrate, in questo caso per scoprire se il defunto aveva debiti con il fisco, ancora non iscritti a ruolo.
A tal fine si potrà dapprima tentare di acquisire informazioni in via informale, per poi, se richiesto, formulare apposita istanza di accesso agli atti, preferibilmente presso la sede dell’Agenzia delle entrate ove il defunto aveva il suo ultimo domicilio fiscale, evidenziando in detta istanza la propria qualità di chiamato all’eredità.
Si tenga conto, tuttavia, che la risposta che l’Agenzia delle entrate fornirà non potrà riguardare eventuali accertamenti da effettuare, considerato che il fisco dispone di cinque anni di tempo (termine di prescrizione) per svolgere tale attività, decorrenti dall’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Altro potenziale creditore, tra quelli istituzionali, può essere l’INPS, nei confronti del quale il defunto può aver omesso versamenti contributivi. Anche qui ci si potrà recare presso la sede INPS del luogo di residenza del defunto, nella speranza di ottenere in via informale le notizie desiderate oppure presentare una formale istanza di accesso, analoga a quella da presentare all’Agenzia delle Entrate.

La situazione diviene un po’ più complessa per eventuali debiti nei confronti di creditori privati, quali banche, società per le forniture di luce e gas, condominio, etc.
Per l’individuazione di eventuali creditori di questo tipo risultano sicuramente avvantaggiati i parenti più stretti del de cuius, i quali recandosi più frequentemente presso l’abitazione dello stesso, hanno avuto maggiore possibilità di venire a conoscenza dell’istituto o degli istituti di credito con cui il de cuius era solito intrattenere rapporti, così come avere cognizione delle utenze intestate a nome dello stesso.
Ad eventuali debiti nei confronti di altri creditori privati, diversi da quelli a cui prima si è fatto riferimento, è possibile pensare a seconda del tipo di attività esercitata in vita dal defunto.
Si tenga conto, purtroppo, che dell’inesistenza di debiti di quest’ultimo tipo, ossia di natura privata, non si potrà mai avere certezza, neppure decorsi dieci anni dalla morte del de cuius (termine ordinario di prescrizione stabilito dall’art. 2946 del c.c.), in quanto il de cuius potrebbe aver contratto un debito condizionale o a termine, per il quale la decorrenza della prescrizione si fa coincidere con il verificarsi della condizione o con la data fissata per il suo adempimento.

La conclusione a cui può giungersi, dunque, è che, fatta eccezione per i debiti nei confronti di enti ed istituzioni pubbliche (per i quali si può raggiungere un elevato grado di certezza), nonché per l’esistenza di eventuali pesi e gravami sussistenti sull’immobile che si intende acquisire (i quali devono necessariamente risultare dai Registri pubblici), non vi sono, purtroppo, strumenti di cui potersi avvalere per raggiungere un altrettanto grado di certezza in ordine alla sussistenza o meno di debiti nei confronti di privati.

Ciò che può suggerirsi è, quantomeno, di non affrettarsi ad accettare quell’eredità (del resto l’art. 480 comma 1 c.c. fissa in dieci anni il termine entro cui si prescrive il diritto di accettare), nella speranza che, se vi è qualche creditore, lo stesso non esiti a farsi vivo per riscuotere il proprio credito.
Se poi si vuole approfittare subito dell’occasione che si presenta ed acquisire al proprio patrimonio il bene in discussione, ragioni prudenziali consigliano di accettare l’eredità con il beneficio di inventario ex artt. 484 e ss. c.c., così da poter avere la sicurezza che il proprio patrimonio non verrà in alcun caso intaccato.

R. B. chiede
venerdì 06/05/2022 - Liguria
“Buongiorno, mio padre è deceduto nel 2020 e noi eredi (3 figli + coniuge ) abbiamo accettato l'eredità con il beneficio di inventario. Dopo 2 anni è deceduta mia mamma (coniuge) che non aveva beni personali, né crediti né debiti personali.
Il quesito che voglio porre è il seguente:
noi figli, possiamo fare un'accettazione della quota di eredità di mia mamma puramente e semplicemente o con il beneficio di inventario, tenendo conto che la quota di eredità di mia mamma è costituita solo da beni del de cuius che abbiamo accettato con beneficio di inventario?
Attendo Vs. cortese riscontro e porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 12/05/2022
Se i beni caduti in successione fanno già parte di un inventario depositato nel Registro delle successioni presso il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, i figli potranno tranquillamente accettare puramente e semplicemente l’eredità della madre.

Come stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 23961/2019, i soggetti che accettano l’eredità con beneficio di inventario non possono essere considerati meri chiamati all’eredità, ma sono eredi a tutti gli effetti (art. 490, comma 2 c.c.).
Da ciò se ne deve far conseguire che, al momento della loro morte, quei beni si trasmetteranno agli eredi dell’erede beneficiato, mantenendo pur sempre la loro natura di beni facenti parte di un patrimonio separato.
Per tale ragione, si reputa opportuno allegare alla dichiarazione di successione, che si andrà a presentare a seguito della morte della madre, anche l’inventario di eredità del defunto padre, come peraltro previsto dalla lett. h) dell’art. art. 30 del T.U. successioni e donazioni.

Si tenga presente, oltretutto, che tale passaggio risulta indispensabile anche al fine di regolarizzare la provenienza di quei beni in vista di una loro eventuale futura alienazione, poiché in caso contrario difetterebbe un passaggio patrimoniale.
Inoltre, se è stata scelta, come appare probabile, la liquidazione individuale del patrimonio del padre, quale prevista dall’art. 503 del c.c., occorre essere consapevoli del fatto che tale forma di liquidazione, malgrado la sua maggiore snellezza procedurale, ha il difetto di non garantire certezza sulle tempistiche entro cui i creditori hanno diritto a essere soddisfatti.
La legge, infatti, non prescrive un termine massimo di liquidazione e la perdita della qualifica di bene ereditario e collegata alla prescrizione degli stessi crediti ereditari, i quali, di norma, si prescrivono in dieci anni.
Tuttavia, è sempre possibile che un creditore rimasto inerte, sia perché non a conoscenza del decesso del defunto sia perché titolare di un credito sottoposto a condizione, eserciti le azioni a tutela del proprio credito nei confronti dell’erede anche dopo il decorso di tale termine, con la conseguenza che i beni di quel patrimonio separato potranno essere aggrediti senza termine dai creditori del defunto.
Ciò non vale per i beni mobili (come ad esempio gioielli, preziosi e beni mobili registrati, quali autoveicoli e imbarcazioni), i quali si intendono ipso iure liberati dopo cinque anni dalla dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario; in tal senso depone chiaramente l’art. 493 del c.c., al cui secondo comma si legge che, decorso il termine di cinque anni, è possibile disporre di tali beni senza alcuna preventiva autorizzazione.

Per tutti gli altri beni inclusi nell’inventario che si andrà ad allegare alla dichiarazione di successione della madre, invece, occorrerà prestare particolare attenzione, qualora ci si dovesse decidere ad alienali, a munirsi sempre dell’autorizzazione prescritta dal primo comma dell’art. 493 c.c., pena la decadenza dal beneficio di inventario.
Inoltre, le somme ricavate da tale alienazione, dovranno continuare ad essere accantonate in vista del soddisfacimento di potenziali creditori.

V. V. chiede
venerdì 20/08/2021 - Emilia-Romagna
“Nel caso di accettazione di eredità con beneficio d'inventario gli eredi devono presentare la dichiarazione di successione entro 1 anno dalla data dell'accettazione beneficiata.
L'imposta di successione che l'ufficio delle entrate liquiderà grava personalmente sugli eredi o entra a fare parte dei debiti del de cuius e quindi deve essere pagata se ed in quanto la liquidazione dell'eredità si chiude con un attivo?
In pratica se si verifica che sopravvengono passività ampiamente superiori all'attivo e tali passività non sono inseribili nella dichiarazione di successione in quanto non riferibili direttamente a cespiti indicati o indicabili in dichiarazione di successione l'imposta di successione liquidata deve essere comunque pagata dagli eredi con proprie risorse personali?”
Consulenza legale i 26/08/2021
L’argomento che qui si richiede di affrontare è stato oggetto di un recente intervento della Suprema Corte di Cassazione, Sezione tributaria, sent. N. 11458 dell’11.05.2018, segno evidentemente della effettiva sussistenza di dubbi al riguardo.

Dalla lettura di tale sentenza si evince che, in caso di accettazione di eredità con beneficio di inventario, va seguita una particolare procedura per quanto concerne il pagamento dei debiti ereditari e dell’imposta di successione.
Secondo quanto espressamente disposto dall’art. 484 c.c., per effetto del beneficio di inventario “colui che accetta l’eredità mantiene distinto il proprio patrimonio personale da quello del defunto”, il che comporta che potrà essere chiamato a rispondere dei debiti ereditari e dei legati solo nei limiti di quanto ricevuto per successione.
Tale effetto della limitazione di responsabilità è opponibile nei confronti di chiunque, compreso l’erario.
In particolare, con riferimento all’imposta di successione, va precisato che colui che accetta ha l’obbligo di presentare la denuncia di successione entro il termine di dodici mesi dalla scadenza del termine per la formazione dell’inventario (così si legge nelle istruzioni operative predisposte dalla stessa Agenzia delle entrate).
Sulla base dell’inventario così formato andrà liquidata la relativa imposta, mentre la stessa non potrà essere richiesta nei confronti dell’erede beneficiato sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede da sottoporre a tassazione.
Ciò significa che il credito dell’Erario relativo all’imposta di successione sorge nei confronti dell’erede in relazione a ciò che residua e solo a seguito della definitività dello stato di graduazione.

In particolare, secondo quanto testualmente affermato dalla S.C. nella sentenza sopra citata, l’Erario, “pur potendo procedere alla notifica dell’avviso di liquidazione nei confronti dell’erede, non può esigere l’imposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari, e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede…il credito relativo all’imposta di successione sorge nei confronti dell’erede in relazione a quanto residuerà a seguito della definitività dello stato di graduazione (Cass. n. 14847 del 15/07/2015; Cass. n. 4419 del 21/02/2008)”.

Pertanto, rispondendo al quesito posto, può affermarsi che, qualora a seguito della definitività dello stato di graduazione, dovesse risultare un attivo ereditario, sulla base del quale verrebbe pagata l’imposta di successione, l’erede o gli eredi accettanti con beneficio di inventario avranno tutto il diritto di chiedere all’erario il rimborso delle imposte versate nel caso di passività sopravvenute che sopravanzino il valore dell’attivo.
In quest’ultimo senso può richiamarsi la sentenza della Corte di Cassazione n. 4788 del 24.02.2017, così massimata:
“La limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti ereditari, derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso l’Erario. Quest’ultimo, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dell’avviso di liquidazione nei confronti dell’erede, non può liquidare od esigere nei confronti di questi l’imposta ipotecaria, catastale o di successione sino a quando non si sia chiusa la procedura di liquidazione dei debiti ereditari e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede. In particolare, l’accettazione con beneficio di inventario è opponibile anche in sede di istanza di rimborso dell’imposta di successione versata, a prescindere dalla mancata impugnazione dell’avviso di liquidazione di detta imposta, e tanto alla luce di quanto previsto dall’art. 46 del decreto legislativo n. 346 del 1990, concernente specificamente l’imposta sulle successioni e donazioni, e dall’art. 490 del codice civile, in tema di effetti del beneficio d’inventario in generale”.

Il diritto al rimborso andrà esercitato secondo quanto espressamente disposto dall’art. 42 lett. f) del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico sulle successioni e donazioni).


LAURA S. chiede
lunedì 01/03/2021 - Veneto
“Sono la compagna di Daniele defunto l'8 settembre 2020 (testamento in cui lascia a me tutti i suoi averi).
Nel certificato di sussistenza della banca alla data del'8/9/20 si parla di un saldo di 2634,54
Nell'estratto conto c'è però un assegno in uscita di 80.000 € datato 3/9 e incassato l'11/9
Io avevo delega sul conto. Quell'assegno l'ho firmato io ed è finito sul mio conto, su consiglio di un amico che lavora in banca.
Di fatto c'è un figlio, di cui quasi io non sapevo l'esistenza, che era stato affidato da piccolo (20 anni fa) a una famiglia (non è mai stato adottato perché i genitori erano in vita), di cui Daniele aveva perso la patria potestà nel periodo dell'affido.
Venerdì ho la chiusura dell'inventario e il notaio mi dice che per lui vale il certificato di sussistenza (quindi non metterebbe nell'inventario questo assegno).
Mi chiedo che implicazioni possono esserci con
- figlio (non si è mai presentato ai vari atti dell'inventario e la madre affidataria in una telefonata mi aveva detto "ci accorderemo". Poi non ci siamo più sentiti)
- fisco (la mia banca mi dice che non ha fatto segnalazioni)
Vi posso allegare quello che serve
Vi chiedo risposta entro giovedì se riuscite.
Grazie”
Consulenza legale i 03/03/2021
Come sicuramente sarà ben noto, il titolare di un conto corrente ha la possibilità di nominare un delegato ad operare sul conto stesso; il delegato, così nominato, a prescindere dal fatto che si tratti di delega “a firma disgiunta” ovvero “a firma congiunta”, non diventa comproprietario delle somme di denaro depositate sul conto, ma ha soltanto il diritto di movimentarle su indicazione del titolare del conto.
Titolare del denaro, dunque, resta sempre e solo il delegante. È lui che gestisce il denaro per il tramite del delegato, il quale non è altro che l’esecutore delle sue decisioni.

Ora, il suggerimento dato dall’amico che lavora in banca in effetti non comporta alcun rischio nei rapporti con l’istituto di credito, in quanto ormai è pacifico l’orientamento secondo cui la banca non ha alcun obbligo di verificare, ad ogni operazione, se il delegato sta agendo previa autorizzazione del delegante e se rispetta le direttive di quest’ultimo.
In buona sostanza, la banca, che esegue l’operazione, non può chiedere al delegato le motivazioni del prelievo, essendo tenuta soltanto a controllare l’identità del soggetto che esegue l’ordine allo sportello e ad accertarsi che quest’ultimo sia proprio il delegato.

Non essendo tenuta ad eseguire un controllo sulle operazioni effettuate dal delegato, se ne fa conseguire che la banca non è responsabile neppure se questi preleva dei soldi senza l’autorizzazione del delegante e, pertanto, non è tenuta a risarcire l’intestatario del conto, o i suoi eredi, a cui il delegato ha sottratto tutti o parte dei suoi risparmi.
In tale senso si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 13825/2010, affermando il principio secondo cui “la delega ad operare su un conto corrente altrui ha il limitato effetto di vincolare la banca ad eseguire le operazioni per conto del delegante, senza incidenza sul rapporto tra delegante e delegato”.

Diverse, invece, sono le conseguenze che un prelievo di un certo importo, come quello del caso in esame, può avere nei confronti del fisco e di coloro che avrebbero diritto ad una quota di eredità, come il figlio.

Per quanto concerne i rapporti con il fisco, trattandosi di somma di non modico valore (anche in considerazione di quanto risulta dalla certificazione rilasciata dalla banca alla data della morte del de cuius, ove figura un mutuo di rilevante importo), e considerato che tale somma è finita sul conto corrente del delegato, occorrerà essere pronti a dimostrare non soltanto la provenienza dei soldi, ma anche la “causa” dell’attribuzione di tale denaro, che non può essere altro che una donazione.
A tal proposito occorre sapere che vi sono delle donazioni che non vanno dichiarate ed a cui non si applica l’imposta sulle donazioni, e sono tali le donazioni in linea retta (nonni, genitori, figli, nipoti) e tra coniugi per un valore fino a 1 milione di euro (cosiddetta “franchigia”), nonché le donazioni tra fratelli e sorelle fino a centomila euro.
Considerato che il trasferimento di denaro è avvenuto nel caso di specie in favore di persona che non rientra in alcuna di tali categorie, occorrerebbe, dunque, quanto meno dichiarare quella somma e pagare le relative imposte (l’aliquota applicabile in questo caso è pari all’8%).

A parte ciò, l’Agenzia delle entrate, qualora dovesse accorgersi di tale movimentazione finanziaria, potrebbe chiedere a che titolo quei soldi siano finiti sul conto corrente del delegato, ed a quel punto occorrerebbe dimostrare che si tratta di una donazione (per la quale si porrebbe anche il problema della nullità per mancanza della forma dell’atto pubblico) e non di un compenso per attività lavorativa.

Ciò significa che, se non si riesce a provare all’Agenzia delle entrate che si è trattato di una donazione, quest’ultima potrà emettere un avviso di accertamento fiscale, considerando il denaro accreditato come reddito tassabile ai fini Irpef, con conseguente applicazione sia dell’aliquota IRPEF prevista per il proprio scaglione di imposta (sicuramente più elevata dell’aliquota dovuta a titolo di imposta sulle donazioni), sia delle relative sanzioni.

E’ legittimo chiedersi a questo punto come l’Agenzia delle entrate possa venire a conoscenza di tale movimentazione finanziaria, considerato che la banca dice di non aver fatto alcuna segnalazione.
I rischi in tal senso sono strettamente correlati alla presenza del figlio, il quale potrebbe avere interesse alla successione del padre, o quanto meno alla quota di eredità che la legge riserva in favore dei legittimari.

Sebbene nel quesito si faccia rilevare che il figlio non ha finora partecipato ai vari atti relativi all’apertura della successione ed alla redazione dell’inventario, è pur vero comunque che, non essendo nel possesso dei beni ereditari, ha dieci anni di tempo per far valere la sua posizione di erede legittimario.
In quel caso ben potrebbe chiedere alla banca gli estratti del conto corrente del defunto e, nel caso di prelievi anomali dal conto corrente, chiedere una dettagliata rendicontazione a chi ha agito sulla base di una delega su quel conto.
Nel caso di mancata documentazione, il delegato sarebbe costretto a restituire all'erede quanto arbitrariamente prelevato, rischiando perfino di essere accusato di appropriazione indebita di quella somma di denaro.

Peraltro, a tutto quanto fin qui detto deve aggiungersi un’ultima considerazione.
Tra i documenti inviati a questa Redazione vi è anche il testamento con il quale il de cuius ha nominato la compagna erede universale di tutti i suoi beni, specificando anche il conto corrente dal quale sono stati prelevati i soldi.
Ebbene, proprio sulla validità di tale testamento potrebbero anche essere sollevati dei dubbi, in quanto risulta sottoscritto e datato dal testatore, ma scritto in stampatello.
La Corte di Cassazione si è occupata in diversi casi della validità di un testamento di tale tipo ed è giunta alla conclusione che, seppure in realtà nessuna norma impedisca di scrivere un testamento in stampatello, di fatto tale situazione potrebbe rendere più facilmente contestabile il testamento qualora si riesca a dimostrare che il suo autore non era abituato ad usare tale tipo di scrittura.
Potrebbe sembrare inverosimile, infatti, che chi generalmente usa il corsivo decida poi di adottare lo stampatello per un atto così importante come il testamento; certo, si tratta di un semplice indizio, ma se viene sostenuto da altre prove, quali eventuali scritture di comparazione, può mettere concretamente a rischio la validità di quel testamento.
Le considerazioni fin qui svolte, dunque, si ritiene che possano costituire una buona base su cui riflettere per adottare la soluzione più saggia.


Capecci G. chiede
martedì 21/07/2020 - Marche
“Mia madre è morta il 15.7.2020, dopo essere stata malata di una malattia incurabile.
Mio fratello, presumibilmente dal 2010 in poi ha avuto i c.correnti cointestati con mia madre - prima li avevano singoli

Io e mio fratello, orfani di padre deceduto sul lavoro quando avevo 2 anni, siamo gli unici eredi legittimi ... io non so nulla dei rapporti bancari di mia madre (ho chiesto alle banche e attendo riscontro)... nè conosco dell'esistenza di possibili testamenti...
Nel 2014 mia madre ha donato a me il 50% di 1/3 delle proprietà imm.ri a Lei intestate per effetto della morte di mio padre del 1979 e l'altro 50% di detto 1/3 a mio fratello, e contestualmente - stesso atto - io ho venduto il mio 50% delle proprietà a mio fratello a circa il 50% del loro valore perché erano anni che io non avevo il godimento di nulla e ci pagavo le tasse e lui non era disponibile a null'altro.

La domanda è: come si fa e cosa devo fare per dichiarare con beneficio di inventario l'eventuale massa ereditaria che potrebbe esserci ? (solo denaro... se c'è ancora; gioielli ne aveva pochi e se li prenderà mio fratello...)
Ovvero io vorrei avere la possibilità di impugnare gli atti dispositivi di donazioni dirette o indirette ... ho letto che occorre fare dichiarazione in Tribunale e depositare l'inventario .. ma come faccio a depositare l'inventario se io non so e non detengo nulla ?
Chiedo chiarimenti su cosa fare e come fare ?”
Consulenza legale i 27/07/2020
La data del 15 luglio 2020 segna il momento di apertura della successione della propria madre, ed è da tale momento che comincia a decorrere ogni termine per decidere se accettare l’eredità e di quale forma di accettazione avvalersi, ossia se con beneficio di inventario o meno.
Generalmente si ricorre all’accettazione con beneficio di inventario tutte le volte in cui si ha il timore di trovarsi con un’eredità piena di debiti, pericolo che in questo caso non sembra si voglia evitare; il beneficio di inventario, infatti, consente al chiamato all’eredità che ha deciso di accettare, di assumere la posizione di erede, ma di poter essere costretto a rispondere degli eventuali debiti del defunto entro i limiti dei beni costituenti il patrimonio ereditario.

Non sembra che sia questa, tuttavia, la finalità che chi pone il quesito si è prefissa di raggiungere, quanto piuttosto quella di potersi avvalere di uno strumento per mezzo del quale fare una completa ricognizione di ogni sorta di beni (mobili, immobili, denaro, titoli di credito, gioielli e quant’altro) lasciati dalla de cuius, in modo da poter valutare se abbia subito o meno una lesione nella quota di riserva che la legge le attribuisce, e che è pari, ex art. 537 del c.c., ad un terzo indiviso del patrimonio.
Fare ricorso solo per tale ragione ad un procedura di accettazione beneficiata sarebbe davvero antieconomico e controproducente, in quanto al fine di poter godere del beneficio di inventario il codice civile impone il rispetto di tutta una serie di adempimenti che, indubbiamente, hanno anche un costo, primo fra tutti quello di avvalersi della prestazione professionale di un pubblico ufficiale, il quale dovrà occuparsi della redazione dell’inventario e di tutte le formalità che a tale inventario sono connesse.

A ciò si aggiunga che l’erede perderebbe la libertà di disporre autonomamente dei beni ereditari, sarebbe assoggettato all’obbligo di rendere conto dell’amministrazione di tali beni (cfr. art. 493 del c.c. e art. 496 del c.c.) ed, infine, sarebbe tenuto a seguire una specifica procedura per la loro liquidazione.

Si ritiene più conveniente, invece, accettare al più presto l’eredità puramente e semplicemente e coinvolgere il fratello nella presentazione della dichiarazione di successione.
Da tale momento, infatti, si acquisisce la qualità di erede della de cuius, ed il fratello non potrà più disporre di alcun bene senza il consenso dell’altro coerede.
Per quanto riguarda i conti correnti cointestati, purtroppo, vige il principio sancito dall’art. 1854 del c.c., secondo cui, nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto; in conseguenza di ciò, al decesso di uno dei cointestatari, solo il 50% delle somme depositate in banca cade in successione.
Pertanto, la filiale potrà consentire al cointestatario di prelevare soltanto i soldi di sua pertinenza, pari appunto al 50% della giacenza.
L’altro 50% dovrà essere bloccato in attesa della presentazione della dichiarazione di successione (la quale, dunque, costituisce condizione indispensabile per poter dividere la giacenza); sarà sulla base delle quote di eredità risultanti da tale dichiarazione, che la banca dovrà liquidare a ciascun erede la propria quota.
Qualora, da un successivo esame degli estratti conto, ci si dovesse accorgere che l’altro cointestatario (nel nostro caso il fratello) abbia effettuato dei prelievi superando il limite del 50% della propria quota, gli altri eredi potranno agire contro di lui per appropriazione indebita.

Per individuare gli immobili caduti in successione, se ancora ve ne sono, sarà sufficiente effettuare un’ispezione catastale a nome del defunto, così come per eventuali autovetture.
Le maggiori difficoltà si pongono, invece, per i mobili che arredano la casa della defunta e per eventuali gioielli presenti in quella medesima casa, poiché non essendo stato preventivamente redatto alcun inventario di tali beni né avendo a disposizione alcun altro documento da cui poterne desumere la loro titolarità, sarà quasi del tutto impossibile dimostrare quali beni mobili il fratello può avere nel frattempo trafugato dalla dimora della defunta.
Né, del resto, a tale difficoltà si potrebbe ovviare facendo ricorso alla procedura di accettazione con beneficio di inventario a cui si aveva pensato, in quanto il pubblico ufficiale che si recherà presso l’abitazione della defunta, andrà ad inventariare soltanto i beni che ivi vengono rinvenuti (se il fratello ha intenzione di lasciarne!).
Il notaio, infatti, può attestare soltanto l’esistenza dei beni presenti presso l’immobile del de cuius, né gli si può chiedere di effettuare, in sede di inventario, indagini approfondite circa la titolarità dei beni presenti nell’immobile del defunto.
L’unica potere di cui dispone è quello di interrogare coloro che avevano la custodia dei mobili o abitavano la casa in cui questi erano posti, se esistano altri oggetti da comprendere nell’inventario (cfr. art. 192 delle disp. att. c.p.c.); sembra evidente, però, che se il fratello ha intenzione di agire in mala fede e sottrarre da quella casa i beni di maggior valore o che più gli interessano, non sarà per nulla disposto a rispondere alle domande che in tal senso gli vengono poste dal notaio.

Per quanto concerne, infine, il dichiarato intento di far rientrare nel patrimonio ereditario ciò che nel corso degli anni la madre ha donato, direttamente o indirettamente, al figlio, e facendo particolare riferimento alla cointestazione del conto corrente, va segnalata a tal proposito l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. II, n. 4682 del 28/02/2018, nella quale la S.C. ha precisato che la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario, a condizione che venga accertato l’animus donandi, ossia che si riesca a dimostrare che il proprietario del denaro non aveva altro scopo, nel momento della cointestazione, che quello della liberalità.

Occorre tuttavia mettere in conto che, qualora ci si dovesse decidere ad intraprendere un’azione volta a far riconoscere l’esistenza di una o più donazioni indirette, al fine di poter vantare il diritto che tutte le somme così donate formino oggetto di collazione ex art. 737 del c.c., il fratello beneficiario farà di tutto per provare che quella cointestazione rispondeva soltanto alla necessità di agevolare la madre nella gestione del conto.

A quel punto si ritiene che diventerà estremamente complicato riuscire a provare quale destinazione hanno avuto le somme prelevate da quel conto, e soprattutto se sono state utilizzare ad esclusivo vantaggio del fratello o meno.
Quindi, sotto questo profilo, ciò che può consigliarsi è di muoversi con prudenza e soltanto se ci si rende conto di avere a disposizione elementi documentali certi da cui poter fare risultare che le somme spese dal conto cointestato sono state utilizzate per soddisfare i bisogni di vita del fratello, piuttosto che quelli della madre cointestataria.

In caso contrario, si farà bene ad accontentarsi di ciò che è residuato nel patrimonio della madre.


Maria A. L. chiede
domenica 24/02/2019 - Lombardia
“Salve, vi scrivo in quanto ho bisogno di una consulenza.
Il 31/01/2018 è venuta a mancare una delle sorelle di mio padre (lui è deceduto nel 2002) , parecchio benestante ma con cui non ho mai avuto rapporti: sono venuta a conoscenza del suo decesso per puro caso solo 3 mesi dopo (non sono stata avvertita né che fosse malata ed in casa di riposo, né del decesso).
Essendosi occupata di lei un'altra sorella di mio padre ho pensato, anche giustamente, che avesse lasciato tutti i suoi averi a lei.
In data 21/02/2019, per via traverse, vengo a conoscenza che il 21/01/2019 (quindi quasi un anno dopo dal decesso) questa mia zia si è rivolta ad un avvocato per aprire la successione, asserendo inoltre che lei ed una delle figlie ci hanno rimesso di tasca loro per spese condominiali della casa, retta della casa di riposo e funerale, ovviamente il tutto comprovato da fatture; per disguidi con Poste Italiane non ho ricevuto la raccomandata inviatami che mi informava di ciò.
Questa zia che si è occupata dell'altra poi deceduta, vive da ben 2 anni e mezzo nella casa della defunta e continua a viverci tuttora; conoscendo la sua disonestà e sapendo che la defunta possedeva un patrimonio non indifferente, temo che in questo anno (ma anche precedentemente) abbia in qualche modo approfittato della situazione (a quanto pare, la defunta negli ultimi anni non era più lucida al 100%), ripulendo i possibili conti di cui la defunta poteva essere titolare e portando via beni mobili di valore e preziosi dalla casa.
Sembra abbiano già iniziato l'inventario dei beni ma, a quanto ne so, non avrebbero potuto farlo senza la presenza degli altri eredi; a parte questo, sembra che da un primo controllo, oltre alla casa è stato rinvenuto un c/c con soli €200 ed è davvero improbabile che la defunta non avesse più nulla.
Dalle info raccolte gli eredi che sono in possesso dei beni, devono aprire la successione entro 3 mesi dalla morte; in caso contrario, diventano automaticamente eredi sia dell'attivo che del passivo, il loro patrimonio personale viene diciamo "sommato" all'eredità, senza possibilità di beneficio di inventario.
All'inizio pensavo di rinunciare, ma avendo la possibilità di accettare col beneficio di inventario, sto valutando anche questa opzione visto che in questo caso i miei beni personali non verrebbero intaccati in caso di passivo.
Vorrei quindi sapere, se accetto con beneficio di inventario, una volta appunto terminato l'inventario e determinato quindi l'attivo ed il passivo, basterà la dichiarazione già fornita, o dovrò decidere se accettare SENZA beneficio di inventario o rinunciare, affrontando quindi tutte le spese di un'ulteriore dichiarazione?
Ho appuntamento con l'avvocato di mia zia il 04 marzo, che in quella data vuol ricevere una risposta
Mi scuso nuovamente per essermi dilungata e vi ringrazio per l'attenzione,

M. A. L.”
Consulenza legale i 26/02/2019
L’accettazione dell’eredità con beneficio d'inventario (disciplinata dagli artt. 484 ss. c.c.) consiste in una dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Essa deve essere inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale.
Inoltre essa va trascritta presso l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.
L’inventario può essere fatto sia dopo la dichiarazione sia prima di essa, e va eseguito nelle forme prescritte dal codice di procedura civile. (in particolare, dagli artt. 769 ss. c.p.c.).
In questo caso, chi pone il quesito si trova nella situazione prevista dall’art. 487 del c.c., ovvero nella posizione del chiamato all'eredità che non è nel possesso di beni ereditari, e pertanto può fare la dichiarazione di accettare col beneficio d'inventario fino a che il diritto di accettare non è prescritto (il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni, che decorrono dal giorno dell’apertura della successione, ai sensi dell’art. 480 del c.c.: chiaramente in questo caso, considerata la situazione descritta nel quesito, sarà opportuno non attendere troppo).
Se la dichiarazione di accettare con beneficio di inventario viene fatta prima dell’inventario stesso, quest’ultimo va compiuto entro tre mesi dalla dichiarazione (salva eventuale proroga accordata dal giudice); in mancanza, è considerato erede puro e semplice (vedremo tra poco la differenza).

Se, invece, il chiamato all’eredità ha fatto l'inventario prima della dichiarazione d'accettazione, quest’ultima va fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell'inventario; in mancanza il chiamato perde il diritto di accettare l'eredità.

Con riferimento agli effetti dell’accettazione con beneficio di inventario, essi consistono essenzialmente nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede (art. 490 del c.c.).
Da ciò deriva, tra l’altro, che:
  1. l'erede conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte;
  2. l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti.
  3. i creditori dell'eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell'erede.
Invece in caso di accettazione pura e semplice si verifica la “confusione” tra patrimonio del defunto e patrimonio dell’erede, il quale risponde, pertanto, del pagamento dei debiti ereditari anche con i propri beni.
Pertanto, per rispondere alla specifica domanda posta nel quesito, se il chiamato all’eredità ha reso la dichiarazione di accettazione beneficiata, una volta compiuto l’inventario nel termine di legge non sarà necessaria una ulteriore dichiarazione. Diversamente, se l’inventario è stato compiuto prima della dichiarazione di accettazione, quest’ultima andrà espressamente fatta nel ristretto termine di quaranta giorni previsto appunto dall’art. 487 c.c.
Naturalmente, quanto sopra presuppone che chi ha posto il quesito sia effettivamente un "chiamato" all'eredità, e cioè che la zia defunta non lasci né coniuge né figli (nel quesito non viene detto esplicitamente); in questo caso, la nipote succederebbe per rappresentazione del padre premorto (fratello della de cuius) ex art. 467 del c.c.

Giampaolo R. chiede
domenica 08/01/2017 - Lombardia
“Buongiorno, pongo un quesito in merito a quanto segue:

siamo 4 fratelli ( tutti residenti in Lombardia ) ed il penultimo sposato con separazione dei beni ma nullatenente in Italia muore lasciando un legato alla moglie di beni immobiliari tenuti all'estero ( mai dichiarati in Italia ).

Noi 3 fratelli viventi e residenti in Italia scopriamo che il fratello defunto ha in essere debiti EQUITALIA risalenti fin dall'anno 2000 per un valore di circa €. 100.000,-
Non essendoci in Italia altre eredità se non il mero debito EQUITALIA ci troviamo nell'obbligo dell'eredità LEGITTIMA ( 1/3 noi fratelli e 2/3 la moglie ) di dover provvedere alle rinunce, considerate che noi 3 fratelli abbiamo un totale di 7 figli, i cui figli hanno poi 8 figli di cui 7 minori . ( potete immaginare il costo che saremo tenuti a pagare per tutte le rinunce )
Siamo poi stati informati che 1 mese prima di morire nostro fratello ha firmato un LEGATO col quale lascia alla moglie UNA proprietà immobiliare all'estero che nel frattempo aveva provveduto a vendere per un importo di €. 120.000 e sempre nel paese straniero ha in corso di definizione una causa d'appello che probabilmente verrà aggiudicata a suo favore del valore di circa €. 140.000 .
Ora vorrei sapere se è verosimile il fatto che la moglie possa rinunciare alla Legittima ( e cioè ai 2/3 del debito EQUITALIA ) e godere invece del LEGATO pari a 120.000 + 140.000 tra l'altro mai dichiarati in Italia ???
e noi fratelli saremo tenuti invece a dover pagare per una considerevole ammontare di tutte le rinunce per noi, i nostri figli e nipoti ???
La legge può permettere tutto questo ???
grazie per vostro gentile riscontro.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 14/01/2017
Purtroppo non esiste una soluzione che eviti ai fratelli del defunto esborsi considerevoli per la rinuncia all’eredità ed al contempo impedisca alla moglie del medesimo di beneficiare dell’unica parte del patrimonio del marito che non sia in passivo.
La rinuncia, pur nella sua complessità per il numero di persone coinvolte e con i costi che comporta, è d’obbligo se si desidera evitare l’accollo dei debiti ereditari.

Solitamente, per evitare quest’ultima conseguenza, i chiamati all’eredità possono optare per la cosiddetta accettazione con beneficio d’inventario, disciplinata dagli articoli 490 e seguenti del codice civile.
Sostanzialmente, con l’accettazione beneficiata, si mantengono distinti il patrimonio del defunto da quello dell’erede, con l’importante conseguenza che l’erede non sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni che gli sono pervenuti dall’eredità: ciò è rilevante perché egli potrà estinguere i debiti ereditari solo con l’attivo dell’asse ereditario, senza intaccare il suo patrimonio.
Nel caso in esame, ad avviso di chi scrive, la soluzione appena illustrata potrebbe convenire ai due fratelli superstiti solamente qualora (come in effetti sembra che sia), con il prezzo della vendita dell’immobile situato all’estero nonché il presumibile realizzo dell’azione giudiziaria attualmente pendente, si possano coprire completamente i debiti ereditari. Non è chiaro invece se residui un attivo da ripartire e quindi se alla fine, tutto considerato, l’accettazione, pur beneficiata, sia conveniente o meno sotto il profilo economico.

Sotto quest’ultimo profilo, tra l’altro, occorre tenere presente anche il problema fiscale: le somme di cui si parla del quesito, infatti, non sono mai state dichiarate in Italia e questo comporta normalmente – in caso di “rientro” dei capitali dall’estero - l’obbligo di corrispondere le imposte non versate dal de cuius nel frattempo.
Esiste a tal proposito una soluzione per poter “limitare i danni”: l’adesione alla procedura di “voluntary disclosure” attraverso la quale chi detiene illecitamente capitali all’estero può provvedere a regolarizzare la propria posizione “autodenunciandosi”, ossia denunciando spontaneamente al fisco del proprio Stato di appartenenza le violazioni commesse in materia di “monitoraggio” fiscale.
In particolare, per quel che riguarda coloro che – come nel nostro caso – abbiano ricevuto in eredità un patrimonio che il de cuius non aveva mai dichiarato, sarà possibile evitare quantomeno la corresponsione delle sanzioni, mentre si dovranno comunque pagare le imposte e gli interessi dovuti dal defunto.
L’adesione a questa particolare procedura non esclude, in ogni caso, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, per cui sarà comunque possibile pagare le imposte non versate del de cuius ma entro i limiti del patrimonio ricevuto. Valgono qui, dunque, le medesime considerazioni sopra avanzate relativamente alla reale convenienza, nel caso concreto in esame, di un’accettazione di eredità, pur beneficiata, dal momento che occorrerà valutare con la massima precisione possibile la sufficienza dell’attivo ereditario sia a copertura di spese ed imposte, che a beneficio degli eredi.

Per quanto riguarda la posizione della moglie, va premesso che il legato è una disposizione di favore che si acquista di diritto ed automaticamente per effetto della successione, senza bisogno di un formale atto di accettazione.
Il legato può essere disposto a favore di un terzo estraneo alla successione oppure a beneficio di un erede. In quest’ultimo caso, può trattarsi di una semplice attribuzione di favore, che sarà a carico dell’eredità (gravando anche sulla quota dell’erede legatario oppure no), oppure può essere disposto “in sostituzione di legittima”.

La quota di legittima è la quota minima di eredità spettante per legge ad alcune categorie di successibili (tra i quali il coniuge) – appunto detti “legittimari” - e che non può essere lesa neppure dal de cuius con disposizione testamentaria
Si parla di legato in sostituzione di legittima, disciplinato all’art. 551 c.c., allorquando il testatore, al fine di evitare il frazionamento del patrimonio o di conservare i beni familiari, riconosca in favore del legatario una somma di denaro o beni determinati per un valore uguale o superiore alla legittima purché l’erede legittimo rinunzi ad ogni altra pretesa sull’eredità. Con l’accettazione di detto legato, salvo che il testatore abbia diversamente disposto, il beneficiario perde il diritto di chiedere un supplemento e non acquista la qualità di erede.

Nel caso di specie, il legato è stato disposto a favore della moglie, quindi di uno degli eredi legittimari; tuttavia, da quanto emerge nel quesito, pare potersi certamente escludere che si tratti di legato in sostituzione di legittima.
Infatti, in primo luogo il defunto non ha inserito la disposizione all’interno di un testamento dove ha altresì disposto del proprio patrimonio nel suo complesso, ma si è limitato (almeno ciò è quanto si comprende dalla lettura dei fatti) ad attribuire un legato specifico a favore della moglie. In secondo luogo, pare evidente che la moglie fosse l’unico membro della famiglia al quale il de cuius volesse attribuire solo dei vantaggi (non per nulla alla moglie, in definitiva, è stato lasciato l’unico “attivo” del patrimonio, escludendone così tutti gli altri): non avrebbe senso, quindi, imporle una scelta alternativa tra lascito ed eredità.

La conclusione è che la moglie, purtroppo per i due fratelli, potrà quindi tranquillamente rinunciare all’eredità e beneficiare del lascito del marito: quest’ultimo infatti, come detto, è già entrato automaticamente nel patrimonio della donna non appena si è aperta la successione, e costituisce una attribuzione di favore del tutto slegata dalla qualità della moglie di potenziale erede, posizione quest’ultima alla quale la donna potrà rinunciare come ogni altro.

Si consiglia, in ogni caso, come già accennato, prima di adottare qualunque decisione definitiva, di rivolgersi ad un professionista (un commercialista) per una stima il più attendibile possibile dell’attivo e del passivo dell’eredità e per un chiarimento circa i possibili risvolti fiscali di un’accettazione (beneficiata o meno) cui si accennava sopra. 

MARIO R. chiede
mercoledì 25/05/2016 - Lombardia
“A mio nipote,unico erede di mio fratello germano deceduto l'11-9-2013 è stato venduto ad un'asta giudiziaria l'appartamento ,gravato d'ipoteca ,in cui abitava prima con il padre e poi da solo. La successione era stata espletata a suo tempo presso un notaio con accettazione tacita dell'eredità. L'udienza finale ha avuto luogo il 10 dicembre 2015. Il liquidatore, che aveva redatto il il relativo prospetto ha provveduto a soddisfare gli aventi diritto (Procedura-Banca-Equitalia-Condominio). L'importo rimanente pari a circa euro 32000,00 è stato assegnato a mio nipote, che però si è visto costretto dal giudice ad effettuare l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario.In febbraio la Cancelleria del Tribunale di Monza ha fissato l'incontro per la firma della relativa documentazione,avvenuta il 19 aprile,ed il pagamento di circa euro 300,00 per bolli e diritti vari. Non è stata consegnata nessuna ricevuta ne copia , in quanto il Testo Unico sull'imposta di registro
ne prevede la possibilità solo dopo 90-120 giorni.
Per tale ragione, mio nipote di anni 58, invalido civile al 75% ,senza lavoro e senza reddito,in attesa che gli venga corrisposto quanto dovutogli,vive in notevoli ristrettezze economiche,in una stanza
affittatagli da una signora nel suo appartamento di Borghetto Lodigiano .
Tenuto conto dello spirito e della normativa della legge Bassanini,
Vi sembra regolare il comportamento del Tribunale di Monza che
non riesce ad esaminare nel frattempo un documento ,che si trova in un ufficio della stessa struttura ?
In attesa di una Vs. gradita risposta,porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 06/06/2016
Va preliminarmente detto che, per pacifico e consolidato orientamento, l’espletamento della formalità relative alla denuncia di successione non costituisce atto di accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di adempimenti di carattere fiscale ed obbligatori.

Nel caso di specie, quindi, è come se il figlio del defunto non avesse mai accettato l’eredità.

Il Tribunale ha ritenuto opportuna, in un secondo momento – con scelta, ad avviso di chi scrive, del tutto condivisibile e di buon senso - l’accettazione con beneficio d’inventario presumibilmente proprio a motivo delle condizioni fisiche e materiali in cui si trova l’erede: in particolare, il fatto che non abbia fonti di reddito ha indotto il Giudice ad imporre l’accettazione beneficiata per non aggravare potenzialmente una situazione già di per sé disagiata.

Non risulta chiaro, dal quesito, a che tipo di documento si faccia riferimento laddove è scritto che il Tribunale non riesce ad esaminarlo nonostante esso si trovi nella medesima struttura: se si trattasse della denuncia di successione, va detto che – se effettivamente presente presso un’altra Cancelleria del medesimo Tribunale – è presumibile (al contrario di quel che si ipotizza nel quesito) che il Giudice l’abbia senz’altro visionato per verificare se l’eredità era stata accettata ed al fine di decidere in merito al tipo di accettazione di eredità che si rendeva opportuna nel caso di specie.

La redazione dell’inventario, purtroppo, è procedura non troppo veloce, dal momento che deve seguire precise formalità e passaggi indicati dal codice di procedura civile (articolo 769 e seguenti): le tempistiche, pertanto, sono dovute in parte all’obbligo di osservanza delle procedure di legge, in parte alla consistenza del patrimonio ereditario, infine - in ultima parte - al carico di lavoro del Tribunale o del notaio incaricato di occuparsi dell’incombente.

In casi come questi, si ritiene sempre consigliabile conferire incarico ad un legale (che conosce le procedure ed ha dimestichezza con l’ambiente del Tribunale e gli uffici interni) il quale si rechi periodicamente presso le Cancellerie competenti (nel caso di specie, quella che si occupa delle esecuzioni immobiliari nonché quella che cura gli adempimenti in materia di successioni) per ottenere informazioni sullo stato e sull’andamento dei fascicoli, oltre che sulle presumibili tempistiche e sulla formalità che è eventualmente ancora necessario espletare per il definitivo incasso delle somme ricavate dalla vendita dell’immobile.

Per quanto riguarda infine la liquidazione delle imposte ed il rilascio delle copie di atti, purtroppo il Tribunale non ha alcuna possibilità di influire sulle tempistiche dell’Ufficio del Registro: ha solamente un obbligo di trasmissione a quest’ultimo degli atti soggetti ad imposizione fiscale, ma non può determinare i tempi della procedura né sollecitare il rispetto di determinati termini.

Giuseppe B. chiede
martedì 14/07/2015 - Emilia-Romagna
È necessario per l'erede che ha accettato con beneficio d'inventario al fine di non decadere dal beneficio stesso, far riaprire l'inventario (con verbale o notarile) ogni qualvolta venga a conoscenza di nuove passività?
Grazie”
Consulenza legale i 21/07/2015
La risposta è negativa. Difatti, l'erede decade dal beneficio d'inventario solo nelle ipotesi previste dalla legge, in particolare dall'art. 505 del c.c., che prevede i casi in cui:
- l'erede, in caso di opposizione da parte di creditori o legatari, non osserva le norme stabilite dall'articolo 498 c.c.;
- l'erede non compie la liquidazione o lo stato di graduazione nel termine stabilito dall'articolo 500 c.c.;
- l'erede, nel caso previsto dall'art. 503, dopo l'invito ai creditori di presentare le dichiarazioni di credito, esegue pagamenti prima che sia definita la procedura di liquidazione o non osserva il termine che gli è stato prefisso a norma dell'articolo 500.

A seguito del pagamento di creditori e legatari collocati nello stato di graduazione, i creditori/legatari che non si siano presentati per tempo vanno soddisfatti a mano a mano che si rivelano all'erede, cioè non più con la liquidazione concorsuale, ma con quella individuale.
Essi, peraltro, hanno azione contro l'erede solo nei limiti della somma che residua dopo il pagamento avvenuto in base allo stato di graduazione; azione che si prescrive in tre anni da giorno in cui lo stato è divenuto definitivo o è passata in giudicato la sentenza che ha pronunciato su eventuali reclami (art. 502, ultimo comma).

Arianna P. chiede
sabato 23/08/2014 - Emilia-Romagna
“Buonasera, il mio caso riguarda una complicata successione ancora irrisolta da 5 anni, che mi ha portato a cambiare ben 5 avvocati diversi perché dopo che prendevano contatti per riscuotere l'unico credito molto promiscuo, chi in un modo e chi in un altro, non portava più i miei interessi ma bensì anche con la mia accettazione con beneficio d'inventario e inventario compreso, tutto depositato nei termini, mi insisteva intimandomi ad aspettare per la riscossione in quanto avrei pagato con il mio patrimonio personale quando invece con il tempo documentandomi personalmente via internet, o addirittura chi sosteneva di dover rifiutare, scoprivo che avrei pagato con il patrimonio di mio padre, e che addirittura, avevo infatti già accettato portandosi col tempo al rischio prescrizioni. Le volevo chiedere: tra gli eredi ci sono io e due bambini (ad oggi minori) nati da un legame extra coniugale di mio padre e fatti riconoscere dalla madre dopo la morte di mio padre, hanno ACCETTATO CON BENEFICIO D'INVENTARIO nel 2012 e fino ad oggi al tribunale NON risulta depositato nessun inventario, come sono considerati? Ancora eredi o no? Come posso intervenire nei loro confronti? Per essere tutelati non dovevano fare solo il BENEFICIO D'INVENTARIO? Art. 471? Per riscuotere il credito voglio fare un decreto ingiuntivo dove premetto, il tribunale mi ha già concesso il gratuito patrocinio in essere, lo devo fare solo per la mia quota ereditaria o posso farlo per tutto il credito? Spero di essere stata abbastanza eloquente. Cordiali saluti”
Consulenza legale i 23/08/2014
Il quesito propone due questioni. La prima attiene al mancato deposito dell'inventario da parte di due eredi minori; la seconda la possibilità per il singolo erede di agire per la riscossione di un intero credito ereditario.

Quanto alla prima domanda, trova applicazione la norma dell'art. 471 del c.c., che impone per i minori l'accettazione dell'eredità col beneficio di inventario: ove ciò non avvenga, l'accettazione stessa si considera priva di effetti, sia come accettazione semplice che beneficiata. Il minore non acquisterebbe, pertanto, la qualità di erede per effetto dell'accettazione semplice fatta in suo nome e per suo conto.
Nel caso di specie, l'eredità dei due minori è stata accettata con beneficio d'inventario dal genitore esercitante in via esclusiva la potestà genitoriale, con - si immagina - la necessaria autorizzazione del giudice tutelare.
Tuttavia non è mai stato depositato l'inventario da parte di questi soggetti o di chi li rappresenta (la madre): ciò, però, non costituisce un problema, in quanto l'inventario era stato già presentato dalla prima figlia. Ai sensi dell'art. 510 del c.c., l'accettazione con beneficio d'inventario fatta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l'inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione.
Ciò significa che gli eredi che hanno accettato con beneficio d'inventario in un secondo momento hanno validamente acquistato l'eredità, potendo profittare dell'inventario già depositato dal primo erede accettante.

Circa la seconda questione proposta, si deve vedere la disciplina della solidarietà attiva, ossia della contitolarità di un credito in capo a più soggetti. Di norma la solidarietà attiva non si presume e quindi, quando la solidarietà non è espressamente prevista, il debitore che si trovi di fronte a più creditori è obbligato al pagamento frazionato verso ciascuno di loro e non sarebbe liberato verso gli altri se pagasse tutto il debito a uno solo.
Non esistendo una espressa previsione legislativa che preveda la solidarietà attiva tra coeredi, essa non esisterebbe (a meno che si tratti di obbligazione indivisibile, quale non è la prestazione di una somma di denaro).
Tuttavia, la Suprema Corte, risolvendo la spinosa questione con sentenza a Sezioni Unite, ha stabilito che i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria: pertanto, ogni coerede può agire per ottenere la riscossione dell'intero credito, non ponendosi la necessità della partecipazione al giudizio di tutti gli eredi del creditore, atteso che la pronuncia sul diritto comune fatto valere dallo stesso spiega i propri effetti nei riguardi di tutte le parti interessate, restando peraltro estranei all'ambito della tutela del diritto azionato i rapporti patrimoniali interni tra coeredi, destinati ad essere definiti con la divisione (Cass. civ., SS.UU., sentenza 28.11.2007, n. 24657).

Stefano chiede
venerdì 08/11/2013 - Lazio
“Pongo alcuni quesiti circa L'accettazione con beneficio d'inventario fatta da uno solo dei chiamati.
Alla morte di mio padre io e i miei quattro fratelli abbiamo ereditato, senza testamento, beni mobili e immobili oltre che alcuni debiti e cause legali in corso cui mio padre era stato citato.
Io solo farò una accettazione dell’eredità con beneficio di inventario; gli altri quatto chiamati faranno una accettazione tacita, infatti non la ritengono necessaria e appena sarà disponibile, intendono usare per scopi personali la parte a loro spettante del denaro del conto corrente del defunto.
I quattro eredi che fanno l’accettazione dell’eredità possono utilizzare il beni ereditari a scopi personali prima che tutti i debiti ereditari siano stati pagati? Se si, come si pagano le spese inventariali di cui all’art. 511 c.c.?
Uno dei debiti ereditati è oggetto di contestazione da parte di alcuni dei miei fratelli. Io invece ritengo che il debito sia non contestabile e quindi da pagare. Farò inserire il debito nell’inventario. Successivamente, per effetto dell’accettazione beneficiata e con l'autorizzazione giudiziaria, alienerò un bene ereditario e pagherò un quinto del debito. Se la restante parte del debito non venisse pagato dagli altri eredi, il creditore potrà continuare rifarsi su di me? Se no, neanche dopo quando, pagati tutti i debiti a me spettanti e avanzando un attivo dall’eredità, decidessi di accettarla?
Con riferimento alle cause legali desiderò accordarmi con la controparte per una transazione. Poi, come nel caso precedente, con l’autorizzazione del giudice, alienerei un bene ereditario per pagare un quinto di quanto concordato. E’ possibile agire così, indipendentemente dagli altri fratelli che potrebbero non voler transare? Se si, la controparte sarà ancora legittimata ad agire contro di me?”
Consulenza legale i 19/11/2013
L'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario produce i seguenti effetti di legge, ex art. 490 del c.c.:
- si tiene distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede;
- l' erede conserva verso l' eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte;
- l' erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti;
- i creditori dell' eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell'erede. Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, secondo le disposizioni del capo seguente, se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l' erede decada dal beneficio d' inventario o vi rinunzi.

L'art. 510 del c.c. stabilisce che l'accettazione fatta con beneficio d'inventario da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l'inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione. La norma presuppone che i chiamati nei cui confronti viene ad operare l'effetto estensivo non abbiano ancora accettato l'eredità (espressamente o tacitamente) e che comunque accettino solo in un momento posteriore all'accettazione fatta con beneficio d'inventario da uno dei chiamati.
Pertanto, nel caso di specie, gli effetti dell'accettazione beneficiata andranno a favore anche degli eredi che successivamente accetteranno in maniera tacita.

Premesso questo, veniamo ad esaminare i tre quesiti proposti.
Il primo attiene alla possibilità di utilizzare beni dell'eredità (in particolare denaro) prima del pagamento integrale dei debiti.
Il codice civile stabilisce cosa può fare dei beni ereditari il chiamato, durante il tempo necessario a redigere l'inventario: egli può compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, e può farsi autorizzare dall'autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio (art. 460 del c.c.). Utilizzare il denaro ereditario è una forma di alienazione di beni mobili ereditari che, ai sensi dell'art. 493 del c.c., se fatta senza autorizzazione giudiziaria prima dei 5 anni dalla dichiarazione di accettazione beneficiata, fa decadere l'erede che la compia dal beneficio d'inventario. Pertanto, per non incorrere in tale dannosa ipotesi (l'erede considerato come accettante puro e semplice risponde dei debiti ereditari con il proprio patrimonio!), sarà bene che tutti gli eredi attendano il pagamento dei debiti ereditari e procedano poi con la divisione del patrimonio del de cuius. Solo ultimato questo procedimento, potranno utilizzare il denaro loro pervenuto senza rischi.
Quanto alle spese di cui all'art. 511 del c.c., secondo la dottrina esse vanno prelevate dall'attivo mano a mano che maturano e diventano liquide, prima di eseguire i pagamenti a creditori e legatari (vedi in tal senso anche Trib. Modena, 21.10.2003).

Il secondo quesito concerne la solidarietà o meno nei debiti ereditari.
L'art. 752 del c.c. stabilisce una regola fondamentale: ciascun coerede deve rispondere dei debiti del de cuius in maniera proporzionale alla quota di eredità a lui pervenuta. In tema di debiti ereditari, quindi, non opera la regola della solidarietà passiva.
Pertanto, il coerede risponde dei debiti solo in proporzione alla propria quota e i creditori del de cuius non potranno chiedergli il pagamento delle quote degli altri eredi. Vale la pena rilevare, tuttavia, che, nel caso di specie, se i quattro fratelli, dopo l'accettazione beneficiata di uno di loro, rinunziassero all'eredità, i debiti sarebbero interamente a carico dell'unico fratello divenuto erede, ovviamente nei limiti dell'attivo ereditario.

Quanto alle modalità di pagamento dei creditori, ai sensi dell'art. 495 del c.c., l'erede che abbia accettato con beneficio d'inventario, trascorso un mese dalla trascrizione dell'accettazione, quando i creditori o legatari non si oppongono, paga i creditori e i legatari a misura che si presentano, salvi i loro diritti di preferenza. Oppure, l'erede può decidere di promuovere la liquidazione a norma dell'art. 503 del c.c.. E' molto importante notare che è previsto un termine dilatorio di un mese, prima del quale, se l'erede effettua un pagamento, perderà il beneficio d'inventario. Qualora, invece, entro il termine indicato nell'articolo 495 sia stata notificata all'erede opposizione da parte di creditori o di legatari, egli non può eseguire pagamenti, ma deve provvedere alla liquidazione dell'eredità nell'interesse di tutti i creditori e legatari (c.d. liquidazione concorsuale, disciplinata dagli artt. 498 ss. c.c.).

Infine, il terzo quesito riguarda la possibilità per un erede di transare una causa senza il consenso degli altri eredi.
Il già citato art. 493 c.c. stabilisce che l'erede decade dal beneficio d'inventario se transige relativamente a beni ereditari senza l'autorizzazione giudiziaria e senza osservare le forme prescritte dal codice di procedura civile. Nulla vieta che, ottenuta l'autorizzazione, un erede possa definire a stralcio la propria posizione nei confronti di un terzo con cui era in corso una lite: di conseguenza, se egli verserà al terzo la propria quota di spettanza, nulla gli potrà più essere chiesto, sulla base di quanto sopra esposto circa l'assenza di solidarietà passiva tra i coeredi. E' possibile che il giudice non autorizzi con facilità una transazione in presenza di altri potenziali eredi (i fratelli che non hanno ancora accettato), ma questa valutazione è lasciata alla discrezionalità del magistrato.

Maristella chiede
lunedì 17/01/2011
“Ho presentato dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario presso il tribunale in cui si è aperta la successione.
Avendola sottoscritta solo io nel caso di creditori anche gli altri chiamati potranno giovarne, visto che il codice civile recita che l'accettazione con beneficio di inventario fatta da uno solo dei chiamati giova a tutti gli altri?
Ho presentato inoltre istanza di inventario: la legge dà tre mesi dall'apertura della successione per la formazione dello stesso; in tribunale mi dicono che avendo presentato istanza sono in regola anche se il cancelliere verrà a fare l'inventario successivamente ai tre mesi.”
Consulenza legale i 20/01/2011

Ai sensi dell'art. 510 del c.c. l'accettazione con beneficio d'inventario fatta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l'inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione.

L'inventario va obbligatoriamente completato entro tre mesi dal giorno dell'apertura della successione o della notizia della devoluta eredità (se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di terminarlo, l'art. 485 del c.c. dice che comunque il chiamato può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi). La decorrenza dall'apertura della successione vale per il chiamato all'eredità che sia nel possesso di beni ereditari (anche di uno solo di essi).

Per il chiamato all'eredità che non sia in possesso dei beni ereditari, il termine di tre mesi decorre, invece, dalla dichiarazione di accettare col beneficio d'inventario, che può essere fatta fino a che il diritto di accettare non è prescritto, quindi entro dieci anni dall'apertura della successione (art. 487 del c.c.).


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