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Articolo 115 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Disponibilità delle prove

Dispositivo dell'art. 115 Codice di procedura civile

Salvi i casi previsti dalla legge (1), il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita (2).

Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (3).

Note

(1) In virtù del principio dispositivo sono le parti a proporre al giudice gli elementi di prova su cui basare il proprio convincimento. E' bene precisare che la legge prevede ipotesi eccezionali, in cui il giudice dispone ex officio mezzi di prova, come nel caso degli artt. 117 (interrogatorio non formale delle parti), 118 (ispezione di persone e di cose), 213 (richiesta di informazioni alla P.A.), 257 (assunzione di nuovi testimoni), 421, 442 (poteri istruttori del giudice in controversie di lavoro e di previdenza e di assistenza obbligatorie), 714 (poteri istruttori nei procedimenti di interdizione o inabilitazione).
(2) L'articolo in esame è stato aggiornato con le modifiche introdotte dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. Con tale nuova formulazione viene conferito al giudice il potere di ritenere provati, accanto ai fatti notori, anche quelli che non sono stati specificamente contestati dalla controparte nè direttamente nè indirettamente. La ratio di tale riforma è dettata dall'esigenza di attuare il disposto normativo di cui agli artt.2697,2698 c.c. che impongono a chi voglia far valere un fatto in giudizio di provarne i fatti che ne sono a fondamento: è il principio dell'onere della prova.
(3) L'ultimo comma rappresenta una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati. Tuttavia, la possibilità per il giudice di ricorrere ai c.d. fatti notori sussiste solo ed esclusivamente nel caso in cui si tratti di fatti acquisiti alle conoscenze della collettività, in un dato tempo e luogo, con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Tipico esempio di fatto notorio è la svalutazione monetaria.

Ratio Legis

La norma in commento costituisce un'applicazione del principio dispositivo in virtù del quale spetta alle parti il compito di indicare gli elementi di prova utili ai fini della decisione ed il giudice non può attingere al di fuori del processo la conoscenza dei fatti da accertare, prescindendo dalle prove ritualmente acquisite nel corso dello stesso.
Il limite che incontrano le parti coincide con il potere direttivo riconosciuto al giudice, il quale può escludere le prove superflue, indicare alle parti le lacune probatorie da colmare, e può intervenire nell'indagine istruttoria disponendo d'ufficio i mezzi istruttori che la legge mette a sua disposizione. Quanto detto non si applica nei procedimenti c.d. speciali, nei quali c'è una forte attenuazione del principio dispositivo e delle garanzie processuali delle parti per una maggiore celerità di giudizio.

Brocardi

Facta notoria probatione non egent
Manifesta haud indigent probatione
Non debet actori licere quod reo non permittitur

Spiegazione dell'art. 115 Codice di procedura civile

Premessa di questa norma è il principio in forza del quale, ad eccezione di quanto previsto nel 2° co., di regola i fatti rilevanti per la decisione devono essere sempre provati in giudizio, attraverso i mezzi di prova ammessi dall'ordinamento processuale.
Si tratta del c.d. principio dispositivo, secondo il quale le parti hanno un ampio potere di iniziativa nel raccogliere le prove relative ai fatti sui quali il giudice dovrà formare il giudizio; fatte salve alcune eccezioni, la ricerca del materiale probatorio è riservata solo ed esclusivamente alle parti.

I mezzi di prova in relazione ai quali il giudice può disporre la loro assunzione ex officio sono:
a) l'interrogatorio non formale delle parti (art. 117 del c.p.c.);
b) l'ispezione di persone e di cose (art. 118 del c.p.c.);
c) la richiesta di informazioni alla P.A. (art. 213 del c.p.c.);
d) l'assunzione di nuovi testimoni (art. 257 del c.p.c.);
e) il giuramento suppletorio (art. 240 del c.p.c.).

Escluse queste ipotesi, il giudice non può compiere indagini d’ufficio e non può fondare la propria decisione su fatti che non siano allegati e provati dalle parti.
Corollario di questa norma è il principio dell'onere della prova, secondo cui chi vuole far valere un diritto nel processo deve dare prova dei fatti che ne sono a fondamento (contenuto agli artt. 2697e 2698 c.c.).
Il principio dell'onere della prova, tuttavia, non deve intendersi nel senso che la dimostrazione dei fatti costitutivi del preteso diritto debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo; nel vigente ordinamento processuale, infatti, vige il principio di acquisizione, in forza del quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e qualunque sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, contribuiscono tutte alla formazione del convincimento del giudice, senza che tale formazione in un senso o nell'altro possa essere condizionata dalla diversa provenienza (ossia, senza che possa escludersi che una prova fornita da una parte possa essere utilizzata per trarne elementi favorevoli alla controparte).

Altro principio che fa da corollario a questa norma è quello secondo cui non occorre provare i fatti pacifici (per tali intendendosi quei fatti che le parti ammettono quali esistenti concordemente): essi, infatti, saranno considerati dal giudice come fatti direttamente provati.
Il giudice, poi, ha facoltà di utilizzare nel giudizio i fatti notori che non hanno bisogno di prova, cioè quelli acquisiti alla comune conoscenza come certi.

In definitiva, in forza di questa norma il giudice è obbligato a decidere iuxta allegata et probata, il che deve intendersi nel senso che egli non è obbligato ad ammettere prove che ritenga superflue solo perché allegate dalle parti, ma che gli è vietato di attingere fuori dal processo la conoscenza dei fatti da accertare e di prescindere del tutto dalle prove acquisite nel processo medesimo (salvo che si tratti di nozioni di comune esperienza).

I fatti che una parte allega possono essere considerati pacifici (dispensando colui che li deduce dal relativo onere probatorio) quando vengano esplicitamente ammessi dall'altra o quando questa abbia impostato il suo sistema difensivo su elementi ed argomentazioni che risultano di per sé incompatibili con il disconoscimento di quei fatti.

Al giudice è inibito trarre dai documenti esistenti in atti determinate deduzioni o indicazioni (che potranno essere necessarie ai fini della decisione) qualora queste non siano state specificate nella domanda o, comunque, sollecitate dalla parte interessata.
Con la riforma del 2009, la sola modifica apportata all'articolo in oggetto riguarda l'inserimento dei fatti non specificamente contestati dalla parte costituita tra gli elementi che il giudice deve porre a fondamento della decisione.
Ciò deve intendersi nel senso che viene espressamente previsto che le circostanze concrete dedotte da una parte e non contestate in maniera specifica dalla controparte sono considerate pacifiche e, quindi, non devono essere provate nel corso del giudizio, salvo che:
1. le medesime circostanze incontestate non vengano smentite da elementi probatori acquisiti agli atti del processo e valutabili dal giudice in maniera autonoma;
2. le incontestate circostanze non risultino smentite da nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, nozioni che in ogni caso il giudice può porre a fondamento della decisione ai sensi del comma 2 dello stesso art. 115 c.p.c.

Si è inteso in tal modo recepire quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui nel vigente ordinamento processuale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati “pacifici” (e dunque possono porsi a fondamento della decisione) quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando la controparte, pur non avendoli espressamente contestati, abbia comunque assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione (ammettendone implicitamente l'esistenza).
La parte viene esonerata dalla necessità di fornire la prova di un fatto pacifico solamente quando l'altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri.

Massime relative all'art. 115 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 42035/2021

Il difetto di contestazione va distinto dal mero silenzio ed impone al giudice, specie quando non attenga a un fatto storico ma ad un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto (nella specie il diritto di proprietà degli attori su un immobile, idoneo a reggerne la legittimazione attiva nella causa di accertamento negativo di proprietà dei convenuti), di valutarlo secondo il suo prudente apprezzamento, non avendo egli un vincolo di meccanica conformazione ad esso, ma essendogli comunque consentito di rilevare l'inesistenza di circostanze allegate da una parte e non contestate dall'altra, quando questa emerga dagli atti di causa e dalle prove raccolte; tale onere di valutazione, peraltro, neppure sussiste quando il silenzio consegua alla contumacia della parte, non valendo esso a rendere incontestati i fatti allegati dall'altra, né alterando la ripartizione dell'onere probatorio. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 17/10/2016).

Cass. civ. n. 41686/2021

In tema di riconoscimento del diritto alla cittadinanza italiana, diritto di primaria rilevanza costituzionale, si impone al giudice di merito l'utilizzo di ogni strumento e l'attivazione dei poteri officiosi d'informazione al fine di chiarire un quadro probatorio insufficiente onde chiarire i dubbi afferenti alla registrazione dello stato civile estero, senza che sia necessaria la presentazione di apposita istanza da parte dell'interessato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte d'appello che aveva rigettato la domanda di un cittadino brasiliano di riconoscimento della cittadinanza italiana "iure sanguinis" per parte di madre, ritenendo che, a fronte delle non inequivoche risultanze anagrafiche, egli non avesse fornito la prova della discendenza dedotta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 17/05/2018).

Cass. civ. n. 40756/2021

In tema di giudizi instaurati prima dell'entrata in vigore dell'art. 45, comma 14, l. n. 69 del 2009, che ha sostituito l'art. 115, comma 2, c.p.c., il principio di non contestazione trova applicazione solo con riferimento ai fatti primari, ovvero costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio mentre, per i fatti secondari - vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria -, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., per cui tali fatti possono essere contestati per la prima volta anche nel giudizio di appello. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 21/03/2019).

Cass. civ. n. 37788/2021

In tema di contestazione sul "quantum" preteso a titolo di prestazioni professionali, il debitore ha, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 115, comma 1, c.p.c., l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista nel caso in cui essa muova da un conteggio preciso e dettagliato, mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri (vale a dire, che l'importo richiesto è quello dovuto, alla stregua della convenzione delle parti, delle tariffe professionali applicabili o degli usi). (Rigetta, CORTE D'APPELLO TRIESTE, 29/07/2016).

Cass. civ. n. 11115/2021

La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione di una sentenza poi cassata va proposta, ex art. 389 c.p.c., allegando e provando il pagamento, al giudice del rinvio, che opera come giudice di primo grado, in quanto la domanda non poteva essere formulata in precedenza. Nel contesto di tale azione restitutoria, l'avvenuto pagamento può essere desunto anche dal comportamento processuale delle parti, alla stregua del principio di non contestazione che informa il sistema processuale civile e di quello di leale collaborazione tra le parti, manifestata con la previa presa di posizione sui fatti dedotti, funzionale all'operatività del principio di economia processuale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva negato valenza probatoria alla busta paga non quietanzata, senza tenere in conto che la controparte non aveva negato il pagamento, ma solo contestato l'importo chiesto in restituzione, perché al lordo e non al netto delle ritenute fiscali). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 28/06/2016).

Cass. civ. n. 2174/2021

L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c., che è tipico delle vicende processuali. (Nella specie, la S.C. ha escluso che l'Inail avesse l'obbligo di contestare i fatti posti alla base della domanda giudiziale di indennità temporanea da infortunio sul lavoro, perché il fatto costitutivo della prestazione trae origine dal rapporto di lavoro cui l'ente è estraneo, restando irrilevante, ai fini della non contestazione, quanto dedotto dal lavoratore in sede amministrativa con la denuncia d'infortunio). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 08/01/2015).

Cass. civ. n. 28349/2020

In tema di protezione internazionale, il giudice è tenuto, in assolvimento dell'obbligo di cooperazione istruttoria previsto dall'art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007 e dall'art. 8 del d.lgs. n. 25 del 2008, a compiere tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l'effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, nonché ad indicare, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento, ben potendo il giudice medesimo trarre - non rivestendo l'elencazione delle fonti contenuta nell'art. 8 citato carattere esclusivo - da concorrenti canali di informazione, anche via web, le informazioni sulla situazione del Paese estero, le quali, per la capillarità della loro diffusione e la facile accessibilità da parte dei consociati, vanno considerate alla stregua del fatto notorio. (Nella specie, il giudice di merito aveva rigettato la domanda di protezione - fondata sulla violenza domestica subita da un soggetto che, rimasto orfano, aveva affermato di essere oggetto di persecuzione ad opera di familiari per motivi ereditari - sul mero rilievo che il Paese di origine, il Senegal, risultava in una situazione di buona stabilità e tolleranza religiosa secondo le fonti ufficiali, senza essere oggetto di specifiche direttive da parte dell'UNHCR; la S.C., nel cassare la sentenza, ha evidenziato che il predetto giudice avrebbe dovuto esercitare i propri poteri-doveri d'indagine officiosi e di acquisizione di informazioni aggiornate specificamente sulle violenze domestiche e sulla diffusione o meno di condizioni di schiavitù connesse alla situazione illustrata dal richiedente). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 27/05/2019).

Cass. civ. n. 27810/2020

In tema di procedura Docfa, non costituiscono fatto notorio, ai fini della valutazione di un immobile adibito a parcheggio, le tariffe comunali vigenti nello stesso, essendo il fatto notorio caratterizzato dall'essere conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo. Esso peraltro svincola dall'onere della prova, ma non anche dall'onere della sua allegazione, sicché il contribuente, che lamenti in sede di legittimità la sua mancata valutazione da parte del giudice del merito, è tenuto, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., a indicare il come e il quando dell'avvenuta sua deduzione in giudizio e la sua decisività. (Rigetta, COMM.TRIB.REG. PERUGIA, 27/01/2011).

Cass. civ. n. 26908/2020

Il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica. Questo onere gravante sul convenuto si coordina, peraltro, con quello di allegazione dei fatti di causa che incombe sull'attore, sicché la mancata allegazione puntuale dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi rispetto ai quali opera il principio di non contestazione esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall'onere di compiere una contestazione circostanziata. (Rigetta, TRIBUNALE CASTROVILLARI, 13/03/2018).

Cass. civ. n. 20867/2020

In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 10/10/2018).

Cass. civ. n. 6172/2020

Il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il motivo fondato sull'assunta violazione del principio con riferimento a conclusioni ermeneutiche da trarre, in ordine all'interpretazione di documenti contrattuali di scissione societaria, in parte da atti stragiudiziali quali il precetto, in parte dall'insinuazione al passivo in un altro procedimento e solo in parte dalla comparsa di costituzione e risposta di primo grado). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 29/11/2016).

Cass. civ. n. 5429/2020

Il principio di non contestazione, pur essendo stato codificato con la modifica dell'art. 115 c.p.c. introdotta dalla l. n. 69 del 2009, è applicabile anche ai giudizi antecedenti alla novella, avendo questa recepito il previgente principio giurisprudenziale in forza del quale la non contestazione determina effetti vincolanti per il giudice, che deve ritenere sussistenti i fatti non contestati, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio in merito agli stessi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 19/02/2016).

Cass. civ. n. 4791/2020

In tema di impugnazione del riconoscimento di paternità ex art. 263 c.c., la mancata contestazione della madre naturale in ordine alla non paternità dell'autore del riconoscimento non ha la valenza probatoria prevista dall'art. 115 c.p.c., poiché, vertendosi in ambito di diritti indisponibili, sugli stessi non è ammesso alcun tipo di negoziazione o rinunzia. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 08/06/2018).

Cass. civ. n. 4428/2020

Il giudizio di fatto contrario ad una massima di comune esperienza, quando è preso a base per l'applicazione di una norma di diritto, si risolve in una falsa applicazione della legge ed è, come tale, censurabile in Cassazione, ove, trattandosi di un giudizio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia, deve essere valutato in base al vizio dedotto. (Dichiara inammissibile, COMM.TRIB.REG. MILANO, 01/10/2012).

In tema di prova civile, il ricorso alla nozione di "comune esperienza" (fatto notorio), da interpretare in senso rigoroso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, costituendo una deroga al principio dispositivo ex art. 112 c.p.c. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nuova formulazione, sicché può essere censurata in sede di legittimità la sola inesatta nozione del medesimo, ma non anche la sua mancata applicazione. (Dichiara inammissibile, COMM.TRIB.REG. MILANO, 01/10/2012).

Cass. civ. n. 33154/2019

Il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile. Ne consegue che tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati estimativi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza gravata che aveva ritenuto provato, per scienza comune, il fatto che il funzionamento delle caldaie a gas potesse provocare emissioni di calore, oltre che di fumo, ossido di carbonio e scintille).

Cass. civ. n. 31402/2019

La valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all'esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti - diversi da quelli indicati negli atti introduttivi - sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall'attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall'art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all'esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall'esercizio della facoltà deduttiva.

Cass. civ. n. 29875/2019

La mancata contestazione dell'inadempimento del debito non costituisce ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell'obbligazione, ostativa all'eccezione di prescrizione presuntiva, atteso che l'ammissione di cui all'art. 2959 c.c. non può risiedere nella nuda non contestazione, non essendo ipotizzabile una sorta di prevalenza del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. sulla presunzione legale di pagamento sottesa all'istituto della prescrizione presuntiva.

Cass. civ. n. 27490/2019

L'accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d'una non contestazione, rientrando nel quadro dell'interpretazione del contenuto e dell'ampiezza dell'atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto "contestato" uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all'ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all'accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l'altrui pregressa "non contestazione", diventa inammissibile.

Cass. civ. n. 21460/2019

Il principio di non contestazione opera rispetto ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato e non anche in relazione a fattispecie, come quella del diritto al risarcimento danno (nella specie danno biologico da esposizione all'amianto), il cui accertamento, richiedendo un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalità, sull'evento e sul pregiudizio, ha carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, devono essere necessariamente ricondotte al "thema probandum" come disciplinato dall'art. 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice.

Cass. civ. n. 15159/2019

Nelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza di cui all'art. 115, comma 2, c.p.c. sono escluse quelle valutazioni che, per essere formulate, necessitino di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante c.t.u. o mezzi cognitivi peritali analoghi per le quali, quindi, non possa parlarsi di fatti o regole di esperienza pacificamente acquisite al patrimonio conoscitivo dell'uomo medio o della collettività con un grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva respinto una domanda di risarcimento del danno per "mobbing" ritenendo fatto notorio che chi sia affetto da malattia psichica non possa percepire la realtà dei rapporti interpersonali con conseguente impossibilità, per il datore di lavoro, di evitare la causazione del danno).

Cass. civ. n. 13715/2019

Il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, laddove, del resto, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l'inveridicità del preteso fatto notorio può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non di ricorso per cassazione.

Cass. civ. n. 7726/2019

Il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all'esercizio di un potere discrezionale; pertanto la violazione dell'art. 115, comma 2, c.p.c. può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 3680/2019

Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l'effetto della "relevatio ad onere probandi", spetta al giudice del merito apprezzare, nell'ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l'esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte.

Cass. civ. n. 3126/2019

L'onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non le prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all'apprezzamento del giudice.

Cass. civ. n. 31619/2018

Il principio di non contestazione opera in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l'opportunità: pertanto, la parte che lo deduca in sede di impugnazione è tenuta ad indicare specificamente in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e se la controparte abbia avuto occasione di replicare.

Cass. civ. n. 25999/2018

Il principio, sancito dall'art. 115, comma 1, c.p.c., secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta "ad substantiam", dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta "ad probationem", l'osservanza dell'onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte.

Cass. civ. n. 21675/2018

Al mutare delle circostanze che hanno comportato la mancata contestazione dei fatti costitutivi del diritto (nella specie, revoca della certificazione INAIL di esposizione ultradecennale all'amianto vincolante per l'INPS) deve essere consentita la possibilità di negazione dei fatti precedentemente non contestati, purché la modifica dell'atteggiamento difensivo avvenga con modalità coerenti con la dinamica processuale del rito del lavoro, per cui, come le sopravvenienze devono essere allegate nella prima occasione processuale utile, anche la conseguente contestazione dovrà essere tempestivamente operata nella prima difesa.

Cass. civ. n. 1530/2018

Nell'ipotesi di dichiarazioni aggiunte alla confessione, opera, ai sensi dell'art. 2734 c.c., il principio di inscindibilità, nel senso che la mancata contestazione di controparte comporta l'esonero del dichiarante dall'onere di provare i fatti aggiunti, assumendo, in tal caso, la dichiarazione valore di prova legale nel suo complesso, mentre solo quando la controparte contesta le dichiarazioni il confitente ha l'onere di provare i fatti aggiunti, restando affidato al giudice, in difetto di tale prova, l'apprezzamento dell'efficacia probatoria delle dichiarazioni stesse.

Cass. civ. n. 30744/2017

L’onere di contestazione per la parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicché non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alla valutazione svolta dal consulente tecnico d’ufficio.

Cass. civ. n. 22055/2017

Il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, né tale specificità può essere desunta dall'esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l'onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi.

Cass. civ. n. 5530/2017

Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), ex art. 115, comma 2, c.p.c., deve essere riferito ad eventi di carattere generale ed obiettivo che, proprio perché tali (come, ad esempio, la svalutazione monetaria, oppure un evento bellico), non hanno bisogno di essere provati nella loro specificità; sicché, ai fini probatori previsti da detta norma, non è consentito generalizzare situazioni particolari e se, in taluni casi, la considerazione della notorietà può essere limitata ad una cerchia sociale o territoriale ristretta, quale un insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi, cosi da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto, giammai tale comunità ristretta può essere individuata sulla base di un mero carattere territoriale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non necessaria la prova dell’esistenza di cartelli segnaletici della presenza di sistemi di rilevazione automatica sulla principale autostrada italiana - la Al - in quanto fatto notorio a tutti gli utenti della strada lombardi).

Cass. civ. n. 5067/2017

Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., sintetizzando una tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti che ha dignità di regola generale, si applica anche al procedimento per dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. n. 21075/2016

L'onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l'allegazione dei medesimi e, considerato che l'identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall'allegazione e dall'estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l'onere di contribuire alla fissazione del "thema decidendum" opera identicamente rispetto all'una o all'altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte. (Così statuendo, la S.C. ha ritenuto che il coltivatore di un fondo rustico, il quale aveva genericamente allegato di possedere tutti i requisiti previsti dalla legge per l'esercizio del retratto agrario, non poteva ritenersi liberato dall'onere di provarne la sussistenza, e ciò anche in presenza di una generica contestazione sul punto da parte del convenuto).

Cass. civ. n. 20382/2016

La violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.

Cass. civ. n. 17966/2016

Il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416, comma 2, c.p.c., riguarda solo i fatti cd. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese, fra le quali è da ricondurre anche l'assunto del datore di lavoro di avere stabilito una specifica turnazione fra i propri dipendenti per assecondare una loro richiesta.

Cass. civ. n. 15772/2016

Ai fini della decisione, il contenuto della contestazione della parte convenuta va desunto dalla comparsa di risposta ovvero dai successivi scritti difensivi, non essendo alla stessa precluso, allorché contesti la sussistenza dei fatti principali posti a fondamento della pretesa attorea, dedurne comunque l'infondatezza in via subordinata, senza che ciò implichi il loro riconoscimento.

Cass. civ. n. 14652/2016

L'onere di contestazione - la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova - sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in relazione al trafugamento di denaro da una cassaforte, aveva escluso cha linea difensiva assunta dal depositario, sostanziatasi nella negazione della propria responsabilità senza contestare l'entità delle somme asportate, potesse assumere valenza probatoria in ordine all'ammontare delle refurtiva, trattandosi di un dato estraneo alla sua sfera di conoscibilità diretta).

Cass. civ. n. 12748/2016

L'onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice.

Cass. civ. n. 12517/2016

La non contestazione del convenuto costituisce, anche nelle controversie in tema di riscatto o prelazione agraria, un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale, ritenendolo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto raggiunta la prova dell'esistenza, in capo al retraente, del requisito della mancata vendita di fondi rustici nel biennio antecedente l'esercizio del riscatto, in quanto circostanza tardivamente e genericamente contestata dalla controparte solo in comparsa conclusionale e senza allegare nessuno specifico atto di disposizione).

Cass. civ. n. 8647/2016

Il principio di non contestazione opera, indifferentemente, nei confronti del convenuto, come dell'attore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito, preso atto che - in un giudizio risarcitorio da sinistro stradale - il mancato uso del casco protettivo da parte del danneggiato era stato eccepito da parte convenuta sin dalle sue prime difese, ha ritenuto accertata la circostanza, in difetto di contestazione).

Cass. civ. n. 22461/2015

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 115, comma 1, e 167, comma 1, c.p.c., l'onere di contestazione specifica dei fatti posti dall'attore a fondamento della domanda opera unicamente per il convenuto costituito e nell'ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente "thema decidendum" e "thema probandum", sicché non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello.

Cass. civ. n. 19896/2015

Il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la "sussistenza dei presupposti di legge" per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che l'assicuratore designato dal Fondo vittime della strada non avesse contestato la circostanza che il responsabile del sinistro fosse privo di copertura assicurativa, attesa l'inidoneità della generica eccezione di mancanza dei presupposti previsti dalla legge affinché l'impresa designata potesse essere convenuta in giudizio).

Cass. civ. n. 19709/2015

La mancanza di specifica contestazione, se riferita ai fatti principali, comporta la superfluità della relativa prova perché non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., sicché nel giudizio d'impugnazione il riesame dell'accertamento risultante dalla sentenza impugnata è subordinato alla proposizione di specifiche censure solo rispetto ai primi, operando in mancanza la preclusione derivante dal giudicato interno, mentre per i secondi è sufficiente, anche in assenza di contestazione, l'avvenuta impugnazione dell'accertamento riguardante i fatti costitutivi della domanda per la riapertura del relativo dibattito processuale.

Cass. civ. n. 840/2015

Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova (costituita, nella specie, da una deposizione testimoniale resa in assenza del contraddittorio nel corso di un procedimento disciplinare a carico di un avvocato nella fase svoltasi dinanzi al consiglio dell'ordine locale, culminato poi nella decisione del Consiglio Nazionale Forense, giudice speciale istituito con il d.lgs.lgt. 23 novembre 1944, n. 382).

Cass. civ. n. 461/2015

Il principio di non contestazione presuppone un comportamento concludente della parte costituita, sicché non è preclusa la contestazione, per la prima volta in appello, sia per la parte rimasta contumace che per quella costituitasi tardivamente in primo grado.

Cass. civ. n. 22950/2014

Le opinioni sociologiche meramente soggettive e regole di parziale valutazione della realtà costituiscono fatti a valenza solo suggestiva, sicché non posseggono un grado di univocità e sicura percezione da parte della collettività da risultare indubitabili e incontestabili e, dunque, non integrano un fatto notorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva fondato la ricostruzione dei ricavi e del maggior reddito di un professionista sulla circostanza che "i clienti meridionali non sempre corrispondono onorari conformi alle tabelle professionali").

Cass. civ. n. 21847/2014

In ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell'accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse.

Cass. civ. n. 1904/2014

La variazione del valore di un immobile in un ben determinato periodo di tempo (nella specie, quadriennale), richiedendo accertamenti circostanziati, anche attraverso pubblicazioni di dati attuariali, non può ascriversi al fatto notorio.

Cass. civ. n. 5644/2012

Il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, di cui all'art. 115 cod. proc. civ., deve essere specificamente spiegato ed è suscettibile di essere apprezzato dal giudice di legittimità sotto il profilo del vizio di insufficiente motivazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, omettendo di applicare la nozione di comune esperienza secondo cui un impianto di allarme specifico è in qualche misura utile per evitare il furto o per attenuarne le conseguenze, aveva escluso il nesso causale tra il malfunzionamento del dispositivo ed il furto, sul rilievo che il reato si era consumato nell'arco di pochi minuti, senza dar conto delle ragioni per le quali il suono della sirena non avrebbe potuto spiegare un effetto totalmente o parzialmente deterrente, idoneo ad impedire o ad attenuare i danni subiti dal creditore del soggetto che aveva fornito l'impianto e ne provvedeva alla manutenzione).

Cass. civ. n. 3951/2012

La non contestazione del fatto ad opera della parte che ne abbia l'onere è irreversibile, ma non impedisce al giudice di acquisire comunque la prova del fatto non contestato. Pertanto, in tale ultima ipotesi, resta superata la questione sulla pregressa non contestazione di quei fatti che, se ravvisata, avrebbe comportato l'esclusione di essi dal "thema probandum".

Cass. civ. n. 29830/2011

L'atto notorio, pur essendo considerato da alcune specifiche norme di legge come prova sufficiente delle qualità di erede e di legatario, allorché queste siano fatte valere a fini esclusivamente amministrativi, anche se nell'ambito della giurisdizione ordinaria, non ha nessuna rilevanza quando venga prodotto in giudizio in funzione probatoria di una delle suddette qualità. In tal caso, l'atto notorio non dà luogo ad una presunzione legale, sia pure "juris tantum", circa la spettanza delle indicate qualità di erede o di legatario, ma integra un mero indizio, che deve essere comprovato da altri elementi di giudizio. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto mancante la prova della legittimazione all'impugnazione in capo agli appellanti, i quali, assumendo di avere la qualità di eredi della parte originaria, si erano limitati a produrre un atto notorio attestante l'avvenuto decesso di quest'ultima e la loro asserita qualità).

Cass. civ. n. 25218/2011

Qualora il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 115, secondo comma, c.p.c. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. (Nell'affermare il suddetto principio, la S.C. ha ritenuto notorio il fatto che la presenza di un secondo passeggero a bordo di un ciclomotore determini un carico eccessivo idoneo a ridurre sia la stabilità del mezzo che la sua capacità di frenata)

Cass. civ. n. 20313/2011

Le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall'osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all'art. 115 c.p.c., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l'argomentazione di tipo presuntivo. Equità ed esperienza, tuttavia, costituiscono tecniche di apprezzamento dei fatti che, per quanto omogenee, non sono tra loro sovrapponibili; ne consegue che la quantificazione di una somma (nella specie, concernente le prestazioni extra-contratto di un appalto) può logicamente ascriversi a regole di esperienza solo quando abbia ad oggetto una prestazione di carattere usuale suscettibile di oscillazioni minime da caso a caso, oppure quando tale determinazione costituisca la risultante concreta di fatti notori e di nozioni di pratica comune.

Cass. civ. n. 15715/2011

Il ricorso al fatto notorio, ai sensi dell'art. 115 secondo comma, c.p.c., attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito; pertanto, l'esercizio, sia positivo che negativo, di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo, invece, censurabile l'assunzione, a base della decisione, di un'inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio su enunciato, ha ritenuto che correttamente il giudice di merito non avesse fatto ricorso alla nozione di notorio per configurare un danno alla salute causato dalla esposizione a rumore derivante da immissioni sonore provocate dall'attività notturna di locali pubblici).

Cass. civ. n. 23816/2010

In tema di prova civile, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica - in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica - se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento. Quando, invece, la mancata espressa contestazione della circostanza si fonda sull'assunto della non pertinenza del fatto dedotto al giudizio in corso, l'attore non è esonerato dall'onere di provare il fatto stesso e, in mancanza di tale prova, il ricorso alle presunzioni è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato.

Cass. civ. n. 10607/2010

L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza.

Cass. civ. n. 9917/2010

In virtù del principio dispositivo delle prove, ciascuna delle parti è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione del medesimo: in tal caso, tuttavia, il giudice non resta esonerato dal dovere di pronunciare nel merito della causa, sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite e degli atti riscontrabili nel fascicolo dell'altra parte ed in quello di ufficio.

Cass. civ. n. 22880/2008

Ove il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 115, secondo comma, c.p.c. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata secondo cui rientrava nella comune esperienza, senza bisogno di prove, il fatto che per l'attività di chirurgo fosse essenziale un' adeguata manualità, e che la relativa professionalità decadesse in mancanza di esercizio).

Cass. civ. n. 7739/2007

La contumacia del convenuto, di per sé sola considerata, non assume alcun significato probatorio in favore della domanda dell'attore, ma può concorrere, insieme ad altri elementi, a formare il convincimento del giudice. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva motivatamente escluso che la contumacia della parte, sia da sola sia in concorso con le altre risultanze processuali, potesse condurre all'accoglimento della domanda).

Cass. civ. n. 15777/2006

La mancata costituzione di una parte in primo grado o in appello non equivale ad ammissione della esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda e non esclude il potere-dovere del giudice di accertare se da parte dell'attore sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa.

Cass. civ. n. 13958/2006

Non sussistendo nel vigente ordinamento processuale un onere, per la parte, di contestazione specifica di ogni fatto dedotto ex adverso, la mera mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente l'effetto di prova, onde il giudice che ritenga non raggiunta la prova di una circostanza, consistente in un fatto dedotto in esclusiva funzione probatoria, semplicemente allegata dall'attore, non incorre in violazione di legge o vizio di motivazione nel non aver tenuto conto, quale elemento probante, della non contestazione da parte del convenuto (fattispecie in tema di allegazione della qualità di imprenditore ai fini della liquidazione del maggior danno per svalutazione monetaria in obbligazione pecuniaria).

Cass. civ. n. 981/2006

Le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, che, ai sensi del secondo comma dell'art. 115 c.p.c., il giudice può porre a base della decisione, non costituiscono presunzioni iuris et de iure dovendo pertanto il giudice accogliere le richieste istruttorie finalizzate a contrastare l'applicabilità, nella specie, delle ravvisate presunzioni. (Fattispecie relativa a opposizione a sanzione amministrativa per abbandono di animale domestico: la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di pace che aveva negato la prova circa lo smarrimento dell'animale e le ricerche effettuate dal proprietario, presumendo che il ritrovamento nei pressi di un'area di servizio dell'autostrada dimostrasse che l'animale era stato ivi intenzionalmente abbandonato, in conformità a un diffuso malcostume).

Cass. civ. n. 9705/2004

Il «notorio» al quale allude il secondo comma dell'art. 115 c.p.c., è costituito dalle cognizioni comuni e generali in possesso della collettività nel tempo e nel luogo della decisione, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva giustificato la mancata utilizzazione di un generatore di corrente per sopperire a un guasto delle linee elettriche, con la «oggettiva difficoltà» di uso di tale apparecchio e con la necessità di controllarne il funzionamento e rifornirlo di combustibile, assumendo che tali circostanze, non provate in causa, costituissero nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza).

Cass. civ. n. 6450/2004

Al di fuori delle eccezioni in senso stretto, che sono condizionate dalla legge alla manifestazione di volontà espressa della parte di volersene avvalere, di talché non possono essere rilevate d'ufficio anche se sia acquisita alla causa la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento, tutti gli altri fatti modificativi ed estintivi della pretesa fatta valere dall'attore, (tra i quali rientra, come nella specie, l'impossibilità per il debitore di adempiere derivante da causa a lui non imputabile), pur dovendo sempre essere provati dal convenuto, a norma dell'art. 2697 c.c., sicché il mancato raggiungimento della prova in ordine ad essi si risolve in danno del convenuto e ne determina la soccombenza, tuttavia, qualora tali fatti siano acquisiti ritualmente alla causa, possono essere utilizzati dal giudice anche in assenza di formali difese che li assumano a fondamento.

Cass. civ. n. 5241/2004

In virtù del principio dispositivo delle prove, ciascuna delle parti è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione del medesimo o di alcuni dei documenti in esso contenuti. Ne consegue che, non esistendo un principio di «immanenza» della prova documentale, e dovendo il giudice decidere la causa juxta alligata et probata, è onere della parte che intende avvalersene farsi rilasciare dal cancelliere, ex art. 76, disp. att. c.p.c., copia degli atti del fascicolo di controparte da inserire nel proprio fascicolo perché possano essere considerati dal giudice, tenuto a decidere, ai sensi dell'art. 115, c.p.c., sulla base del materiale probatorio sottoposto al suo esame.

Cass. civ. n. 12112/2003

Il ricorso alle nozioni di comune esperienza ex art. 115, secondo comma, c.p.c., attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito e, pertanto, l'esercizio sia positivo che negativo del potere di fare ricorso al notorio non è sindacabile in sede di legittimità ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo invece censurabile l'assunzione, a base della decisione, di una inesatta nozione del “notorio”, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (c.d. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura. (Nella specie, in un giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di un'azienda alberghiera, la S.C ha confermato la sentenza impugnata, secondo la quale doveva ritenersi notorio che in Versilia la stagione turistica dura sei mesi).

Cass. civ. n. 1112/2003

Il principio dell'onere della prova non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nel vigente ordinamento processuale vige il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro (nel caso di specie, in applicazione del su indicato principio di diritto, la Suprema Corte ha ritenuto affetta da vizio di motivazione la sentenza di merito in cui il giudice aveva rigettato la domanda senza tener conto, tra l'altro, delle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti solo dal procuratore ad litem, e del comportamento, anche extraprocessuale, della parte).

Cass. civ. n. 609/2003

Il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, e pertanto il mancato ricorso ad esse non può dar luogo ad alcun sindacato in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha reputato esente da vizi la sentenza del giudice di merito che non aveva ritenuto, ai fini della qualificazione del contratto, di far uso della nozione di comune esperienza secondo la quale, laddove nelle transizioni usualmente l'importo da corrispondere viene arrotondato, nelle semplici quietanze di pagamento esso viene riportato senza alcun arrotondamento).

Cass. civ. n. 11946/2002

Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti delle stesse non vaglianti né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; non si possono di conseguenza reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie.

Cass. civ. n. 2076/2002

In virtù del principio di disponibilità delle prove, di cui all'art. 115 c.p.c., il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. Al riguardo, non è, peraltro, sufficiente che una determinata circostanza sia acquisita al processo attraverso la produzione di un documento ad opera di una delle parti in causa, perché il giudice possa utilizzarla come base del suo convincimento, essendo, invece, necessario che la parte, interessata a far valere la circostanza, ne faccia oggetto della propria tesi difensiva, richiamandola al momento della produzione o anche successivamente per evitare preclusioni.

Cass. civ. n. 16165/2001

Un fatto può essere qualificato come notorio qualora, seppure non faccia parte delle cognizioni dell'intera collettività, rientri — come i particolari geografici o topografici di una città — nelle circostanze conosciute e comunemente note nel luogo in cui abitano il giudice e le parti in causa. L'addotta inveridicità di tale fatto non è denunciabile con ricorso per cassazione ma, ricorrendone gli estremi, solo in sede di revocazione.

Cass. civ. n. 11054/2001

Il principio per cui il giudice deve porre a base della sua decisione unicamente i fatti allegati dalle parti e l'altro per cui i fatti pacifici tra le parti non hanno bisogno di essere provati incontrano un limite allorquando la legge richiede per la prova di tali fatti un atto scritto ad substantiam, ciò si verifica per il decreto di esproprio, che, come qualunque provvedimento tipico e nominato, esige una statuizione della P.A. espressa ed esteriorizzata nell'atto, preordinata alla realizzazione degli specifici effetti per esso previsti dall'ordinamento. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione all'indennità di esproprio in un caso in cui il decreto non era stato prodotto dalle parti né risultava dagli atti la sua esistenza, rendendo superfluo l'esercizio di poteri ufficiosi di acquisizione).

Cass. civ. n. 5809/2001

L'affermazione del giudice di merito circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, poiché tale affermazione è frutto di un potere discrezionale dello stesso giudice che, pertanto, non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda. Peraltro, al giudice è data la possibilità di far capo anche alla comune cultura di una specifica e, se del caso, particolarmente qualificata cerchia sociale — definita come insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi — così da far assurgere all'alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto. (Nella specie, la S.C. ha confermato quanto ritenuto dalla C.A. secondo cui l'imprenditore (gioielliere) generalmente opta per la formula di assicurazione a primo rischio assoluto, pur pagando un premio più elevato rispetto a quello dei contratti ex art. 1907 c.c., nell'intento di evitare contestazioni con l'impresa assicuratrice in caso di furto parziale della merce esistente).

Cass. civ. n. 5149/2001

Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte o allegati dal consulente alla propria relazione solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione. (In applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto esente da censure la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto irrilevanti, al fine del decidere, i documenti allegati alla consulenza tecnica d'ufficio di primo grado su iniziativa unilaterale dello stesso consulente ed esorbitando dall'incarico, giacché — non avendo nessuna delle parti, esplicitamente, fondato sugli stessi alcuna difesa — non era consentito al giudice di sostituirsi alle stesse nell'adempiere all'onere probatorio sulle stesse gravanti; a nulla rilevando che nessuna delle parti avesse eccepito, nella prima udienza successiva al deposito, la nullità della consulenza tecnica con riferimento alle attività da costui poste in essere oltre i limiti del mandato).

Cass. civ. n. 1505/2001

Nel caso di chiamata in garanzia, il rapporto di connessione esistente tra la domanda principale e quella di manleva, consentendo il simultaneus processus ai sensi dell'art. 106 c.p.c., determina l'assoggettamento di tutte le parti dell'unico procedimento al principio di acquisizione, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono state formate, concorrono nella loro globalità ed indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza delle stesse possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro e quindi senza che possa escludersi l'utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli all'altra.

Cass. civ. n. 15312/2000

Nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio cosiddetto dell'acquisizione della prova - applicabile anche al contenzioso tributario -, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza.

Cass. civ. n. 4116/2000

Quando il debitore, pur contestando, ancorché genericamente, la pretesa creditoria, produca in giudizio, al fine di chiarire le pretese contro di lui azionate, i dati e i conteggi attraverso i quali la controparte ha quantificato il proprio credito, il creditore è esonerato dalla produzione di ulteriori conteggi e prospetti relativi all'entità del credito e ai criteri in base ai quali è stato quantificato, e grava sul debitore l'onere di contestazione specifica in ordine ai criteri e alle voci di determinazione dell'entità del credito, giacché la suddetta documentazione, in quanto riferibile al creditore, che nulla obietta, e in quanto non contestata dal debitore, che la produce, assume, indipendentemente dalla sua efficacia probatoria, il valore di un dato pacifico in ordine alla misura del credito vantato, idoneo pertanto a circoscrivere l'area in contestazione tra le parti.

Cass. civ. n. 7181/1999

Il fatto notorio, derogando al principio dispositivo ed a quello del contraddittorio e dando luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti da esse non vagliati e controllati, dev'essere inteso in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile, e non quale evento o situazione oggetto della mera conoscenza del singolo giudice. Conseguentemente per aversi fatto notorio occorre, in primo luogo, che si tratti di un fatto che si imponga all'osservazione ed alla percezione della collettività, di modo che questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria per riscontrarlo, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo luogo, occorre che si tratti di un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo ove esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività, ivi stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico che spinge ciascuno dei componenti della collettività stessa a conoscerlo. Alla stregua di tali principi non rientra nella categoria del fatto notorio il valore di un determinato immobile, quando ne sia richiesta una precisa determinazione ai fini dell'individuazione della base imponibile di un tributo. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione che, in una controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento in rettifica del valore di un immobile, ai fini dell'imposta di registro, aveva ritenuto provato sulla base del notorio quel valore).

Cass. civ. n. 5699/1999

Affinché un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico sì da essere posto a base della decisione, ancorché non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, non sussistendo nel nostro ordinamento processuale un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte, occorrendo invece che esso sia esplicitamente ammesso dalla controparte, ovvero che questa pur non contestandolo in modo specifico, abbia impostato il proprio sistema difensivo su circostanze o argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento.

Cass. civ. n. 6521/1997

Il mancato rinvenimento, al momento della decisione della causa, nel fascicolo di parte di alcuni documenti che questa invoca - nella specie atti di istruttoria penale comprovanti le modalità del fatto - e che risultano esser stati depositati (art. 87 disp. att. c.p.c.), comporta che il giudice o la decide «allo stato degli atti» - stante la disponibilità delle prove (art. 115, primo comma, c.p.c.), se non consta l'involontarietà dell'omesso inserimento di essi nel fascicolo di parte al momento della restituzione di questo unitamente alla comparsa conclusionale (art. 169, secondo comma c.p.c.) - o - previa, se possibile, valutazione sulla loro rilevanza - se la predetta omissione dipende dallo smarrimento o sottrazione, anche parziale, di tale fascicolo, deve ordinarne alla cancelleria la ricerca, ovvero dispone la ricostruzione; la violazione di questo obbligo può configurare vizio di motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), ma la parte ha l'onere di richiamare nel ricorso il contenuto di tali documenti e di argomentare sulla possibilità, dal loro esame, di una decisione diversa.

Cass. civ. n. 1576/1995

In genere i fatti allegati da una parte possono essere considerati pacifici, rimanendo così la parte esonerata dalla relativa prova, soltanto quando essi siano stati esplicitamente ammessi dall'altra parte, ovvero questa, senza contestarli, abbia impostato la propria difesa su elementi e argomenti incompatibili col loro disconoscimento. Tuttavia, nel caso in cui, deceduto nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto-opposto, si costituiscano volontariamente in prosecuzione soggetti che dichiarino di essere, nella loro qualità di congiunti del de cuius, i suoi eredi, la mancanza di contestazioni al riguardo dell'opponente assume il particolare valore di una implicita e definitiva ammissione di tale loro qualità (e non di una semplice e irrilevante omissione non preclusiva di successiva eccezione e rilevabilità d'ufficio), tenuto presente che solo la validità di tale costituzione, nel difetto di iniziative da parte dell'opponente, vale a prevenire l'acquisto da parte del decreto opposto della sua definitiva esecutività in danno dell'opponente.

Cass. civ. n. 267/1995

Per la sussistenza del fatto notorio occorre innanzitutto che esso abbia una distinta identità storica che si imponga alla osservazione o alla percezione della collettività, in modo che questa ne compia, per suo conto, la valutazione critica, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche; in secondo luogo è necessario che esso sia di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo dove è invocato, o perché appartenente alla cultura media della collettività ivi stanziata, ovvero perché le sue ripercussioni siano ampie ed immediate al punto che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico, che spinge ciascuno dei componenti la collettività a conoscerlo; solo in presenza dei suddetti presupposti il giudice può fare a meno delle prove, potendo avvalersi direttamente della conoscenza del fatto divenuto notorio acquisita al di fuori del processo. (Nella specie, la S.C. ha negato la sussistenza del fatto notorio relativamente al rilascio di deleghe, da parte del presidente dell'Inail, ai direttori di sedi periferiche dell'istituto).

Cass. civ. n. 2410/1985

La contumacia del convenuto, di per sé sola considerata, non può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell'attore, poiché, al pari del silenzio nel campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio. Ne consegue che non è possibile considerare come non contestati dal convenuto contumace fatti costitutivi della domanda (come, nella specie, l'applicabilità al rapporto di lavoro di un contratto collettivo privatistico) della cui sussistenza l'attore ha l'onere della prova.

Cass. civ. n. 1165/1983

L'art. 115 c.p.c. — secondo cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata e, quindi, porre a base della decisione unicamente le allegazioni delle parti, cioè le circostanze di fatto dedotte a fondamento della domanda o dell'eccezione, e le prove offerte dalle parti medesime — è inteso ad assicurare il rispetto dei principi fondamentali della difesa e del contraddittorio, con l'impedire che una parte possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia potuta difendere. Pertanto, il giudice non viola detta norma quando si avvalga di fatti allegati e provati da una parte per argomentarne in via di presunzione, ancorché non ne sia stato espressamente chiesto dalla parte stessa, nel qual caso l'altra parte non ha motivo di dolersi, in sede di legittimità, che il giudice del merito abbia fatto ricorso a presunzioni, risultando queste tratte da fatti che tale parte ben conosceva ed in relazione ai quali aveva avuto la possibilità di difendersi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 115 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. F. chiede
martedì 16/06/2020 - Lombardia
“Buongiorno,

la figlia del de cuius, da me assistita, agisce in giudizio (con rito ordinario di cognizione) contro il fratello il quale aveva prelevato dal conto corrente cointestato con il padre, nel corso di dieci anni, dal 2003 al 2013, senza giustificato motivo, tra prelevamenti allo sportello, assegni bancari e bonifici, la complessiva somma di euro 197.500,00.
Ho depositato contestualmente all'atto di citazione, come documento cartaceo, tutti gli estratti conto trimestrali inerenti al periodo interessato.
Nell'atto di citazione ho indicato anche i doc. n. 7 e n. 8 contenenti l'elenco dei bonifici eseguiti, per complessivi 20.000,00 euro, già compresi nei 197.500 ,00 di cui sopra .
Tuttavia, non avendo ancora materialmente disponibili tali documenti, non li ho prodotti con l'atto di citazione, bensì con la memoria n. 1 e con deposito telematico.
Il convenuto non ha mai contestato il quantum dei prelevamenti né tantomeno i prelevamenti stessi, impostando le propri difese per cercare d dimostrare che tali prelevamenti erano giustificati da spese varie, in parte documentate e per quelle non documentate allegando che si riferivano alle necessità quotidiane. La difesa del convenuto postulava quindi l'accettazione del contraddittorio sia sull'an sia sul quantum.
Orbene, il Giudice rigetta la domanda perché:
a) per non aver rinvenuto i docc. 7-8;
b) per non avere parte attrice, indicato analiticamente, quanto era STATO PRELEVATO IN CONTANTI, QUANTO, CON ASSEGNI E QUANTO CON BONIFICI.
Ho impugnato la sentenza.

Vorrei il Vostro parere.
Cordiali Saluti

Avv. F. F.”
Consulenza legale i 26/07/2020
Dalla lettura dei numerosi atti di causa allegati, e in primis della sentenza, è emerso che la domanda, qualificata nell’atto di citazione come “azione di regresso ex art. 1298 del c.c.” è stata rigettata sul presupposto del mancato assolvimento, da parte dell’attrice, dell’onere di specifica allegazione su di essa incombente.
In particolare, secondo il Giudicante, parte attrice si sarebbe limitata ad indicare l’importo complessivo delle operazioni e dei prelievi ritenuti illegittimi, ed a produrre documentazione bancaria senza però ancorarla a specifiche allegazioni.
A sostegno della propria decisione, la sentenza esaminata cita espressamente Cass. Civ., Sez. Unite, n. 2435/2008, secondo cui “il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione”.
L’iter logico - giuridico seguito dal tribunale appare, purtroppo, corretto.
In altre parole, in mancanza di specifiche allegazioni della parte, il giudice non era tenuto - né avrebbe avuto il relativo potere - neppure a prendere in considerazione la documentazione prodotta (peraltro, nella motivazione si legge che parte della documentazione stessa non sarebbe stata rinvenuta nel fascicolo di parte).
Nella richiesta di parere si fa espresso riferimento al fatto che controparte non avrebbe contestato né l’esistenza, né il quantum dei prelevamenti, in tal modo venendo meno - secondo la prospettazione difensiva adottata - all’onere di specifica contestazione gravante sulla parte.
In effetti, ai sensi dell’art. 115 del c.p.c., il giudice deve porre a fondamento della decisione anche i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
Tuttavia il sorgere dell’onere di contestazione presuppone che la controparte abbia a sua volta assolto all’onere di specifica allegazione dei fatti costitutivi della propria pretesa.
Come ha infatti chiarito Cass. Civ., Sez. V, n. 21311/2018, “in tema di procedimento civile, il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, né tale specificità può essere desunta dall'esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l'onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi”.
Ed ancora, secondo Cass. Civ., Sez. I, n. 21847/2014: “in ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell'accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse”.
Alla luce di tutto ciò, risulta corretta la motivazione della sentenza in esame, secondo cui l’attrice avrebbe dovuto indicare analiticamente le operazioni e i prelievi che si assumevano illegittimi o comunque ingiustificati; né gli stessi, come anticipato, avrebbero potuto essere individuati “per relationem” con riferimento alla documentazione depositata.
La lettura degli atti ha evidenziato che l’onere di allegazione non è stato adempiuto da parte attrice né nell’atto di citazione, né in sede di precisazione e/o modificazione delle domande ex art. 183 del c.p.c.
Certamente si sarebbe trattato di un’attività piuttosto laboriosa, dal momento che l’arco di tempo preso in considerazione era di circa dieci anni; ma, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la mancanza di tali allegazioni da un lato preclude, in linea di principio, al convenuto di esercitare il proprio diritto di difesa e lo solleva dall’onere di specifica contestazione, dall'altro impedisce al giudice di svolgere un inammissibile ruolo di supplenza, ricavando le indicazioni mancanti dalla documentazione prodotta che, anzi, non può neppure essere valutata.

Anonimo chiede
sabato 08/07/2017 - Puglia
“Preso atto della Vostra esaudiente consulenza,Vi chiedo in relazione a quanto da me riportato nella richiesta precedente,il Giudice che mi ha giudicato per il reato di "Calunnia" e poi assolto con formula nota,ha ripetutamente rigettato la prova certa della mia innocenza,poichè a suo dire e a dire del P.M. proveniva da altro processo. Però,a prescidendere che era una costola di quel processo,come già riferito trattavasi di trascrizioni ambientali disposte dallo stesso P.M che cura entrambi i processi e dal sottoscritto richiesta la trascrizione al Tribunale Collegiale che la accoglieva e de quò si addiveniva alla mia totale innocenza e colpevolezza dei falsi testimoni. Nell'eventuale instaurando processo civile per il ristoro dei danni da me subiti,il Giudice del Civile,può anche lui ricusare detta prova genuina consistente in intercettazioni ambientali con trascrizioni fatte eseguire dal Tribunale collegiale da c.t.u.? Il giudice deve accettarle, unitamente ai dvd da ove si evince chiaramente il mendacio cosi come riportato nelle trascrizioni ed immortalate nei relativi verbali delle varie udienze?quale norma obbliga il giudice del civile ad acquisire detti atti e a svolgere,su mia richiesta ulteriori accertamenti?
Consulenza legale i 14/07/2017
I verbali contenenti trascrizioni di intercettazioni ambientali, così come i DVD ovvero qualsiasi altro documento e prova proveniente da un procedimento penale, possono validamente essere depositati nel processo civile per dimostrare il fondamento della propria pretesa risarcitoria.

Nel processo civile il diritto alla prova è nelle mani delle parti, il giudice ha pochissimi poteri istruttori, perlopiù in materia di lavoro.
E' dunque l'attore a dover provare i fatti su cui poggia la domanda, ed è l’attore che fa entrare le prove nel processo.

Per farlo ha a disposizione gli strumenti che gli artt. da 2697 c.c. e seguenti, oltre agli artt. 191 c.p.c. e seguenti, hanno previsto espressamente e disciplinato.
Tuttavia la giurisprudenza e la dottrina da tempo concordano nel ritenere che le prove nel processo civile non sono solamente quelle cd. tipiche, quelle cioè espressamente previste e disciplinate dal codice civile e di procedura civile, bensì anche quelle cd. atipiche, ovverosia le prove non previste dalla legge.

La Cassazione ha riconosciuto che sono ammissibili nel processo civile anche le prove che non si trovano ricomprese nel catalogo dei mezzi di prova specificamente regolati dalla legge (tra le tante, Cass. 5440/10).

Nello specifico, e per quello che qui interessa, sia gli atti dell’istruttoria penale che quelli del processo amministrativo, così come le c.t.u. rese in altri giudizi fra le stesse od altre parti, i verbali di prove espletati in altri giudizi, le sentenze di patteggiamento, possono essere acquisiti nel processo civile (Cass. 11141/2009).

Tuttavia occorre sottolineare che l'efficacia probatoria che la giurisprudenza gli riconosce è limitata: l'efficacia delle prove atipiche è assimilata a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., che da sole non possono idonee a sostenere la motivazione di una decisione, dovendo invece essere gravi precise e concordanti, o ad argomenti di prova, nel senso che non possono fondare da soli il convincimento del giudice, ma possono costituire ulteriori mezzi per interpretare le prove già acquisite.

Quanto detto sinora ha due ripercussioni essenziali sull’instaurando giudizio civile per il risarcimento del danno;

in primis non sarà possibile chiedere al giudice di acquisire gli atti del processo penale ma sarà parte attrice a dover allegare all'atto introduttivo del giudizio tutta la documentazione relativa al processo penale a sostegno delle proprie richieste.

In secundis i soli verbali di trascrizione potrebbero essere ritenuti insufficienti, ed è dunque necessario allegare tutto quanto utile a sostenere le proprie argomentazioni, poiché gli atti del processo penale non costituiscono piena prova ed il giudice non ha poteri d’indagine che gli consentano di provvedere da sé all'acquisizione delle prove .

Carlo M. chiede
martedì 10/03/2015 - Sicilia
“il sig. Bianchi, il cui figlio quattrenne annegò in una cisterna incustodita di proprietà del sig. Rossi, citò quest'ultimo (già condannato per omicidio colposo) chiedendo il ristoro integrale per tutte le conseguenze dannose subite, che vanno ravvisate nel danno non patrimoniale in tutte le sue componenti. chiedeva al tribunale: dichiararsi la responsabilità del Rossi in ordine all'evento letale e condannarlo al risarcimento dei danni da quantificarsi e liquidarsi secondo equità. Il sig. Bianchi e la moglie, il cui figlio quattrenne rimase vittima di annegamento in una cisterna mal custodita di proprietà del sig. Rossi, cita in giudizio quest'ultimo (già condannato per omicidio colposo), per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali (in tutte le componenti). In citazione scrivevano: " Ritenuto che la sentenza penale irrevocabile di cui sopra ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per risarcimento del danno che gli attori col presente atto promuovono nei confronti del convenuto onde ottenere il ristoro integrale per tutte le conseguenze dannose subite, che vanno ravvisate nel danno non patrimoniale in tutte le sue componenti (in particolare: danno morale, danno biologico sotto il profilo del danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale per la perdita del prossimo congiunto, danno alla salute), nonché nelle spese funerarie sostenute in £. 2.000.000 (€.1.000)
Rit. quant’altro sta in fatto e in diritto e quanto il Decidente vorrà ritenere secondo legge e giustizia
CITANO
il signor Rossi, davanti al tribunale di....., per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:
PIACCIA AL TRIBUNALE
Reietta ogni contraria istanza, eccezione e difesa
DICHIARARE la responsabilità del Rossi in ordine all’evento letale di cui in narrativa e CONDANNARLO al risarcimento dei danni non parimoniali in tutte le componenti (in particolare: danno morale, danno biologico sotto il profilo del danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale per la perdita del prossimo congiunto, danno alla salute) in favore degli attori, da quantificarsi e liquidarsi secondo equità, nonché al rimborso delle spese funerarie in €. 1.000.
Con la rivalutazione e gli interessi dal dì del sinistro."
La sarà chiamata prossimamente per la precisazione delle conclusioni, il cui tenore sarà il seguente: "DICHIARARE la responsabilità del Rossi in ordine all’evento letale di cui in citazione per la straziante afflizione da esso cagionata nell’animo degli attori E CONDANNARLO al risarcimento dei danni non patrimoniali in tutte le componenti (in particolare: danno morale, danno biologico sotto il profilo del danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale per la perdita del prossimo congiunto, danno alla salute, danno alla vita), danni configurabili attraverso il ricorso a presunzione, in favore degli attori, da quantificarsi e liquidarsi secondo equità,...........".
Tenuto conto che in citazione non si è accennato alle sofferenze patite dai genitori e non si è nemmeno chiesto la valutazione presuntiva, ma si è solo chiesto la liquidazione dei danni da liquidarsi secondo equità, si corre il rischio rischio di incorrere nel rigetto della domanda? E' applicabile l'art.115 c.p.c.?
Grazie!”
Consulenza legale i 17/03/2015
Come sancito in più occasioni dalla Suprema Corte, il danno, anche in caso di lesione di valori della persona, non può mai considerarsi in re ipsa, "risultando altrimenti snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno bensì quale pena privata per un comportamento lesivo (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), ma va provato dal danneggiato secondo la regola generale ex art. 2697 c.c." (v. ad esempio Cass. civ., sez. III, 23.1.2014, n. 1361).

Quindi, anche il danno non patrimoniale deve essere sempre allegato e provato, in virtù del principio per cui tutti i danni extracontrattuali sono da provarsi da chi ne pretende il risarcimento: nel caso del danno non patrimoniale, la prova, d'altro canto, può essere data con ogni mezzo, anche per presunzioni.
In particolare, il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, pur non essendo mai in re ipsa, dovendo essere debitamente dedotto e dimostrato, "può essere desunto e riconosciuto in base al notorio ovvero ricorrendo a presunzioni semplici" (cfr. Cass. civ., sez. III, 15.7.2005, n. 15022).

Nel caso specifico del quesito, si ritiene che, seppur nell'atto di citazione sia mancato il riferimento alle specifiche sofferente patite dai genitori, esse possano costituire fatto assolutamente notorio ai sensi dell'art. 115 c.p.c., data l'età del bambino e le circostanze della sua morte: sarebbe irragionevole sostenere il contrario.
Se questa fosse l'ipotesi, non sarebbe nemmeno necessario ricorrere alla prova per presunzioni.

In ogni caso, quanto alla richiesta della valutazione presuntiva, che difetta nell'atto di citazione ma sarà chiesta al momento della precisazione delle conclusioni, è pacifico che è riservata al giudice di merito la valutazione discrezionale della sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, ovverosia come circostanze idonee a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit (v. ex multis, Cass. civ. n. 9225/2005).
La presunzione semplice non è un vero mezzo di prova, ma un ragionamento di tipo deduttivo, mediante il quale il giudice trae da un fatto noto un fatto che è invece ignoto (art. 2729 del c.c.): ciò che conta è che i fatti che costituiscono premessa del ragionamento siano certi, quindi provati dalle parti o anche presuntivamente veri, in quanto conformi all'id quod plerumque accidit.
Pertanto, non si tratta di un mezzo di prova (come, ad es., una testimonianza) la cui ammissione al processo debba essere chiesta dalla parte entro certi termini processuali: è sufficiente che la parte abbia allegato i fatti che il giudice assumerà alla base del suo ragionamento, spettando alla discrezionalità di quest'ultimo la decisione sull'opportunità di ricorrere alla prova presuntiva.
Per queste ragioni, nel caso di specie, l'omessa richiesta della prova presuntiva sin dall'atto introduttivo del giudizio non sembra costituire un fondato motivo per il rigetto della domanda. Casomai, la conseguenza negativa per il danneggiato sarà quella di ottenere una liquidazione del danno certamente inferiore a quella che avrebbe ottenuto provando in maniera più specifica le sofferenze patite e le eventuali conseguenze patrimoniali (es. terapia psicologica).