Cass. civ. n. 36320/2023
La violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; la violazione dell'art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Cass. civ. n. 36258/2023
La parte che eccepisce il passaggio in giudicato di una sentenza ha l'onere di fornirne la prova mediante produzione della stessa, munita della certificazione di cui all'art. 124 disp. att. c.pc., anche nel caso di non contestazione della controparte, restandone, viceversa, esonerata solo nel caso in cui quest'ultima ammetta esplicitamente l'intervenuta formazione del giudicato esterno.
Cass. civ. n. 36088/2023
Qualora la titolarità del rapporto giuridico controverso non sia stata contestata nel primo grado di giudizio, la parte che la contesti in appello ha l'onere di provare il fondamento del proprio assunto, e ciò anche nelle cause cui sia applicabile la previgente formulazione dell'art. 115 c.p.c., in virtù della quale era pur sempre onere del convenuto prendere posizione in modo specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda.
Cass. civ. n. 35700/2023
L'accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d'una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell'interpretazione del contenuto e dell'ampiezza dell'atto della parte medesima, è funzione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, oggi in nessun modo denunciato. Spetta, infatti, solo al giudice del merito apprezzare, nell'ambito del giudizio di fatto a lui riservato, l'esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte.
Cass. civ. n. 35642/2023
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni; mentre, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal successivo art. 116 c.p.c.
Cass. civ. n. 35425/2023
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.
Cass. civ. n. 35263/2023
La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l'omesso esame di elementi probatori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Per la S.C., nella fattispecie, i giudici del gravame hanno preso in esame tutte le circostanze dedotte in ricorso, valutandole - sulla base degli elementi hinc et inde dedotti - diversamente da come dedotto dalla società contribuente).
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In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio.
Cass. civ. n. 32951/2023
La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove".
Cass. civ. n. 32820/2023
In tema di azione di rivendicazione, all'attore fa capo l'onere di allegare i fatti storici su cui fonda la proprietà in guisa da consentire all'avversario di prendere consapevolmente posizione al riguardo, anche ai fini della eventuale delimitazione della catena probatoria dei titoli di acquisto, non potendo la relevatio ab onere probandi correlata al principio di non contestazione ex art. 115, comma 1, c.p.c. prescindere da essa.
Cass. civ. n. 31823/2023
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). La doglianza circa la violazione dell'art. 116 è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Cass. civ. n. 29680/2023
A fronte di una allegazione da parte dell'attore chiara e articolata in punto di fatto, il convenuto ha l'onere, ai sensi dell'art. 167 cod. proc. civ., di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità e, se non lo fa, i fatti dedotti dall'attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all'art. 115 cod. proc. civ.
Cass. civ. n. 29506/2023
Il requisito relativo all'obbligo di iscrizione del mediatore nei ruoli tenuti presso le camere di commercio, secondo il regime della l. n. 39 del 1989, applicabile ratione temporis, in quanto discendente da norma imperativa, oltre a costituire requisito di validità del contratto di mediazione, come tale rilevabile d'ufficio dal giudice anche nel giudizio di appello, si sottrae, per la stessa ragione di imperatività, al principio di non contestazione.
Cass. civ. n. 28770/2023
La violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. rileva nella condizione in cui il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli. La violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. è invece ammessa solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova, non abbia operato secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come per es. il valore di prova legale), o al contrario non abbia osservato la specifica regola di valutazione di una prova così stabilita dalla legge. Non mai invece ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova.
Cass. civ. n. 28660/2023
La parte che ha prodotto un documento in giudizio non può scinderne il contenuto per affermare i fatti favorevoli e negare quelli a lei contrari, a meno che, al momento del relativo deposito, abbia fatto presente di volerlo invocare solo in parte, deducendo prove idonee a contestare le circostanze sfavorevoli da esso desumibili.
Cass. civ. n. 27545/2023
Nelle controversie relative a contratti bancari, nelle quali il cliente ha dedotto, mediante dettagliata consulenza tecnica di parte, l'applicazione di tassi di interesse illegittimi, l'istituto bancario, al fine di assolvere all'onere di specifica contestazione di cui all'art. 115 c.p.c., è tenuto a indicare i diversi saggi che sarebbero stati effettivamente applicati nel corso del rapporto.
Cass. civ. n. 22290/2023
In tema di rapporti bancari, ai fini dell'accertamento del rapporto di dare/avere, è sempre possibile per il giudice di merito, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto, ricostruire i saldi attraverso l'impiego di mezzi di prova ulteriori, purchè questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti.
Cass. civ. n. 19116/2023
Ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata "pacifica" tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo (degli atti della controparte) sia stata provata o ritenuta pacifica.
Cass. civ. n. 19004/2023
La violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. presuppone l'allegazione che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre la violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. richiede l'allegazione che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Cass. civ. n. 18435/2023
La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto; le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall'attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l'eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l'allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti; la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa.
Cass. civ. n. 16984/2023
Nel processo tributario, caratterizzato dall'impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l'emanazione dell'atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell'Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell'atto impugnato.
Cass. civ. n. 16028/2023
Il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall'onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento.
Cass. civ. n. 15925/2023
In tema di appalto, sebbene lo stato di avanzamento dei lavori non abbia valore di confessione a favore della parte del contratto diversa da quella che lo forma o nel cui interesse è formato, quando esso sia stato formato dall'appaltatore o nel suo interesse, esso fa piena prova se non ne venga contestato il contenuto.
Cass. civ. n. 15923/2023
Le condizioni di crisi economica o finanziaria, quando sono generalizzate, rientrano nella nozione di "fatto notorio" per i fini di cui all'art. 115 c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva ritenuto notoria la crisi finanziaria generata dai cc.dd. mutui "subprime", iniziata negli U.S.A. nel 2006 e culminata il 15 settembre 2008 con il fallimento della società finanziaria "Lehman Brothers Holdings Inc.").
Cass. civ. n. 15288/2023
Nel caso in cui a fronte dell'allegazione specifica di una parte difetti la contestazione di controparte, non sussiste per il giudice del merito un vincolo di meccanica conformazione, in quanto egli può sempre rilevare l'inesistenza della circostanza in tal modo allegata ove ciò emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto, tanto più che se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, a "fortiori" ciò vale per la valutazione della mancata contestazione.
Cass. civ. n. 14947/2023
In tema di risarcimento del danno derivante dall'indisponibilità di un immobile, il danno emergente presuppone l'allegazione (e, in caso di contestazione del convenuto, la prova, anche presuntiva) della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento perduta, e può essere liquidato equitativamente facendo ricorso al criterio del valore locativo di mercato, che rappresenta il controvalore convenzionalmente attribuito al godimento alla stregua della tipizzazione normativa del contratto di locazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, ai fini del riconoscimento di tale voce di pregiudizio, aveva ritenuto necessaria la prova dell'offerta in locazione sul mercato dell'immobile ovvero della circostanza che i potenziali conduttori fossero stati scoraggiati dallo stato di degrado dello stesso, senza verificare se fosse stato preventivamente assolto dal convenuto l'onere di specifica contestazione dell'allegazione posta a base della domanda e mancando di tener conto della stima del valore locativo del bene, operata dal c.t.u., quale base di liquidazione del danno).
Cass. civ. n. 14372/2023
Alla contumacia del convenuto non può riconnettersi la mancata contestazione dei fatti allegati dall'attore, dal momento che la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio, con conseguente ammissibilità della suddetta contestazione da parte del convenuto costituitosi in appello.
Cass. civ. n. 14331/2023
La violazione dell'art. 115 c.p.c. presuppone l'allegazione che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre la violazione dell'art. 116 c.p.c. richiede l'allegazione che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Cass. civ. n. 12132/2023
La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. Per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., poi, occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall'art. 116 c.p.c. In sostanza la violazione dell'art. 115 c.p.c. non può riguardare l'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo il caso in cui il giudice nello scegliere e valutare gli elementi probatori abbia omesso di prendere in considerazione risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività senza motivare in concreto le ragioni della irrilevanza ovvero abbia posto alla base della decisione fatti erroneamente ritenuti notori o appartenenti alla sua scienza personale.
Cass. civ. n. 12105/2023
Il preventivo che abbia il valore di un patto sul compenso preclude l'applicazione di ogni altro criterio. Dunque è illegittima la liquidazione del giudice del compenso professionale per un importo notevolmente inferiore a quello concordato dalle parti laddove sia provata l'esistenza di un accordo sulle spettanze professionali sia per la fase stragiudiziale, che per quella giudiziale, per importi significativamente superiori a quelli liquidati.
Cass. civ. n. 12064/2023
L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un giudizio di manutenzione del possesso, aveva ritenuto non contestati fatti ignoti al proprietario del bene, quali la durata ultrannuale del possesso e il suo carattere continuo e non interrotto.).
Cass. civ. n. 11111/2023
Il travisamento della prova si distingue dal travisamento del fatto, in quanto implica non una valutazione del fatto, ma una constatazione o un accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale. Tuttavia mentre l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito nell'apprezzamento dell'idoneità dimostrativa della fonte di prova non è mai sindacabile in sede di legittimità, è sindacabile ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione dell'art. 115 del medesimo codice l'errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti. Ciò in quanto il principio di cui all'art. 115 c.p.c., nell' imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti (oltre ai fatti non specificatamente contestati), rende censurabile non soltanto la sentenza nella quale il giudice ha posto a fondamento della sua decisione prove disposte di sua iniziativa (al di fuori dei poteri ufficiosi che gli sono riconosciuti) ma rende altresì censurabile in sede di legittimità la sentenza nella quale il giudice di merito abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistevano nel processo e che tuttavia comunque sostengono illegittimamente la decisione che ha definito il giudizio di merito.
Cass. civ. n. 10941/2023
È irrilevante che una deliberazione dell'organo collegiale di un ente pubblico abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, eventualmente anche richiamando ed approvando lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto da rappresentante esterno dell'ente stesso e dal professionista, atteso che siffatta deliberazione non costituisce proposta contrattuale, ma atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell'ente legittimato ad esprimere la volontà all'esterno e carattere meramente autorizzatorio. Sicché il principio, sancito dall'art. 115, primo comma, c.p.c., secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta ad substantiam, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l'osservanza dell'onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte.
Cass. civ. n. 10623/2023
In sede di ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.
Cass. civ. n. 10506/2023
L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Cass. civ. n. 10188/2023
L'eccezione di prescrizione del credito vantato (nella specie in relazione ai canoni di locazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica), e quella di erronea quantificazione dello stesso non comportano, di per sé, implicito riconoscimento della titolarità, dal lato passivo, del rapporto e non ostano, pertanto, alla possibilità di contestarne la sussistenza nel successivo corso del giudizio di primo grado, integrando una mera difesa, come tale sottratta al regime delle preclusioni.
Cass. civ. n. 9863/2023
Le regole sull'onere della prova sono disposizioni di giudizio residuali rispetto al principio di acquisizione probatoria - secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono alla formazione del libero convincimento del giudice (non condizionato dalla loro provenienza) - e trovano, dunque, applicazione solo in presenza di un fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle emergenze probatorie.
Cass. civ. n. 9507/2023
Nel vigente ordinamento processuale, mancando una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico - riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato - con le altre risultanze del processo, come in caso di dichiarazioni scritte provenienti da terzi, che, pur raccolte fuori dal processo, non comportano la violazione del principio di cui all'art. 101 c.p.c., atteso che il contraddittorio si instaura con la loro produzione in giudizio. (Nella specie, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza della corte di appello che, escludendo il valore di prova legale della dichiarazione giurata di cui all'art. 1, comma 3, della legge n. 98 del 1994 nell'ambito di una controversia avente ad oggetto l'indennizzo per la perdita di beni in Somalia, aveva omesso di valutare tale dichiarazione, quale prova atipica, nel contesto dell'intero materiale istruttorio acquisito agli atti del giudizio).
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Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c., postula: a) che l'errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ("demonstrandum"), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ("demonstratum"), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l'errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza.
Cass. civ. n. 8536/2023
I certificati medici rilasciati da pubblici ufficiali fanno fede, fino a querela di falso, limitatamente ai fatti che il sanitario rogante attesta essere avvenuti alla sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda la diagnosi, essi costituiscono elementi di convincimento liberamente apprezzabili dal giudice del merito, il quale può accogliere o rigettare un'istanza di ammissione di consulenza tecnica d'ufficio sulle valutazioni mediche, senza che il relativo provvedimento possa essere censurato in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 8375/2023
La valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Cass. civ. n. 7019/2023
Il ricorso alla nozione di "comune esperienza", da interpretare in senso rigoroso, come fatto acquisito alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, costituendo una deroga al principio dispositivo ex art. 112 c.p.c. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sicchè può essere censurata in sede di legittimità la sola inesatta nozione del medesimo, ma non anche la sua mancata applicazione.
Cass. civ. n. 6374/2023
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012.
Cass. civ. n. 5736/2023
L'azione prevista dall'art. 2901 c.c., avente ad oggetto un atto di cessione di crediti a terzi, non deve essere provata necessariamente attraverso la produzione in giudizio dell'atto di cessione, ma in qualsiasi modo, ivi comprese sia la comunicazione che il cedente faccia ai debitori ceduti dell'avvenuta cessione, sia la condotta di non contestazione dell'avvenuta cessione da parte del convenuto nel giudizio revocatorio, atteso che la cessione, pur essendo un "atto negoziale", in relazione alla domanda ex art. 2901 c.c. proposta per la sua declaratoria d'inefficacia, rileva anche come "fatto" costitutivo del diritto azionato in giudizio, rispetto al quale opera il principio di non contestazione.
Cass. civ. n. 5249/2023
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.
Cass. civ. n. 5166/2023
Nel rito del lavoro l'attore ha l'onere di specifica e tempestiva contestazione, entro l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., dei fatti estintivi specificamente dedotti dal convenuto in comparsa di risposta e rientranti nella sua sfera di conoscibilità, salvo il potere del giudice di accertarne, d'ufficio, l'inesistenza in base alle risultanze ritualmente acquisite.
Cass. civ. n. 4835/2023
In materia di prova documentale nel processo civile, se la parte ha puntualmente allegato nell'atto di (o nella comparsa di costituzione in) appello il fatto rappresentato dal documento cartaceo avversario prodotto nel primo grado invocandone il riesame in sede di gravame, la controparte che omette la produzione di tale documento nel secondo grado subisce le conseguenze di un siffatto comportamento processuale, potendo il giudice - il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo - ritenere provato il predetto fatto storico nei termini specificamente allegati nell'atto difensivo.
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In materia di prova documentale nel processo civile, il principio di "non dispersione (o di acquisizione) della prova" - che opera anche per i documenti, prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo - comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un'efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, e non può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che detti documenti abbia inizialmente offerto in comunicazione.
Cass. civ. n. 4681/2023
L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte, con la conseguenza che spetta a chi denunci la violazione del principio di non contestazione allegare che la controparte era a conoscenza della circostanza assunta come controversa, non essendo altrimenti configurabile a carico della predetta un onere di contestazione sulla questione.
Cass. civ. n. 2947/2023
In mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice civile può legittimamente porre a base del proprio convincimento le prove "atipiche" (tra cui anche le risultanze di atti delle indagini preliminari svolte in sede penale), se idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che sia configurabile la violazione del principio ex art. 101 c.p.c., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la prova dell'origine dolosa di un incendio fosse stata legittimamente desunta dagli elementi precedentemente acquisiti nel procedimento penale e, in particolare, dalle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni testimoniali e dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche che ne avevano confermato il contenuto).
Cass. civ. n. 2406/2023
Mentre l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito non è mai sindacabile in sede di legittimità, l'errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte.
Cass. civ. n. 1997/2023
In tema di valutazione delle prove, il divieto per il giudice di trarre dai documenti ritualmente prodotti la conoscenza di fatti non allegati dalle parti riguarda soltanto i fatti principali, e cioè i fatti posti dalle parti (e che devono essere dedotti necessariamente da queste ultime) a sostegno delle loro domande e delle loro eccezioni, e non riguarda, invece, i fatti secondari, rilevanti nel processo soltanto quali elementi di conoscenza, dai quali risalire logicamente all'accertamento dei fatti principali, poiché tale divieto è finalizzato ad evitare che il giudice, analizzando il materiale probatorio, supplisca alle carenze delle parti nell'assolvimento dell'onere di indicare precisamente i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.
Cass. civ. n. 1902/2023
In materia di prescrizione presuntiva dei compensi dovuti agli avvocati, la mancata contestazione dell'inadempimento del debito non costituisce ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell'obbligazione, ostativa all'accoglimento dell'eccezione di prescrizione presuntiva, atteso che l'ammissione di cui all'art. 2959 c.c. non può risiedere nella nuda non contestazione, non essendo ipotizzabile una sorta di prevalenza del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. sulla presunzione legale di pagamento sottesa all'istituto della prescrizione presuntiva.
Cass. civ. n. 678/2023
In materia di risarcimento danni causati da malattia professionale, l'onere della prova del nesso causale tra prestazione lavorativa e danno, incombe su colui che ne chiede il riconoscimento, che potrà a tal fine avvalersi anche delle certificazioni I.N.A.I.L. - nello specifico riferite all'esposizione all'amianto e all'origine professionale della malattia - la cui rilevanza probatoria, sia pure non dirimente, non è subvalente rispetto all'accertamento giudiziale, una volta che detti documenti siano entrati a far parte, nel contraddittorio tra le parti, del materiale probatorio utilizzabile ex art. 115 c.p.c., comma 1.
Cass. civ. n. 198/2023
In materia di responsabilità da sinistro stradale, atteso che la valutazione del compendio probatorio è informata al criterio della attendibilità e cioè della più elevata idoneità rappresentativa e congruità logica degli elementi di prova assunti ed è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, con conseguente insindacabilità in sede di legittimità ove congruamente motivato, e che il criterio del "più probabile che non" costituisce il modello di ricostruzione del solo nesso di causalità, valendo ad ascrivere all'autore del fatto illecito le conseguenze che da questo discendono laddove non intervenga un nuovo fatto rispetto al quale il medesimo non abbia il dovere o la possibilità di agire, l'eventuale errore nell'individuazione delle conseguenze derivanti dall'illecito alla luce della regola giuridica applicata costituisce invero una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se congruamente motivata.
Cass. civ. n. 189/2023
Il ricorrente che denuncia in sede di legittimità la mancata ammissione nei gradi di merito del dedotto interrogatorio formale ha l'onere di indicare specificatamente, trascrivendole, le circostanze che formano oggetto dello stesso al fine di consentire al Giudice di legittimità il controllo sulla decisività dei fatti da provare e, quindi, della prova stessa che, per il principio di specificità del ricorso per Cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.
Cass. civ. n. 42035/2021
Il difetto di contestazione va distinto dal mero silenzio ed impone al giudice, specie quando non attenga a un fatto storico ma ad un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto (nella specie il diritto di proprietà degli attori su un immobile, idoneo a reggerne la legittimazione attiva nella causa di accertamento negativo di proprietà dei convenuti), di valutarlo secondo il suo prudente apprezzamento, non avendo egli un vincolo di meccanica conformazione ad esso, ma essendogli comunque consentito di rilevare l'inesistenza di circostanze allegate da una parte e non contestate dall'altra, quando questa emerga dagli atti di causa e dalle prove raccolte; tale onere di valutazione, peraltro, neppure sussiste quando il silenzio consegua alla contumacia della parte, non valendo esso a rendere incontestati i fatti allegati dall'altra, né alterando la ripartizione dell'onere probatorio. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 17/10/2016).
Cass. civ. n. 41686/2021
In tema di riconoscimento del diritto alla cittadinanza italiana, diritto di primaria rilevanza costituzionale, si impone al giudice di merito l'utilizzo di ogni strumento e l'attivazione dei poteri officiosi d'informazione al fine di chiarire un quadro probatorio insufficiente onde chiarire i dubbi afferenti alla registrazione dello stato civile estero, senza che sia necessaria la presentazione di apposita istanza da parte dell'interessato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte d'appello che aveva rigettato la domanda di un cittadino brasiliano di riconoscimento della cittadinanza italiana "iure sanguinis" per parte di madre, ritenendo che, a fronte delle non inequivoche risultanze anagrafiche, egli non avesse fornito la prova della discendenza dedotta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 17/05/2018).
Cass. civ. n. 40756/2021
In tema di giudizi instaurati prima dell'entrata in vigore dell'art. 45, comma 14, l. n. 69 del 2009, che ha sostituito l'art. 115, comma 2, c.p.c., il principio di non contestazione trova applicazione solo con riferimento ai fatti primari, ovvero costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio mentre, per i fatti secondari - vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria -, la non contestazione costituisce argomento di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., per cui tali fatti possono essere contestati per la prima volta anche nel giudizio di appello. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 21/03/2019).
Cass. civ. n. 37788/2021
In tema di contestazione sul "quantum" preteso a titolo di prestazioni professionali, il debitore ha, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 115, comma 1, c.p.c., l'onere di contestare in modo specifico la richiesta di compenso del professionista nel caso in cui essa muova da un conteggio preciso e dettagliato, mentre può limitarsi ad eccepire la mera esorbitanza del compenso richiesto solo laddove tale richiesta si limiti ad indicarlo in un importo complessivo e globale, senza specificazioni, spettando in questo caso al creditore dimostrare, a fronte della contestazione dell'altra parte, la correttezza della propria pretesa sulla base di determinati parametri (vale a dire, che l'importo richiesto è quello dovuto, alla stregua della convenzione delle parti, delle tariffe professionali applicabili o degli usi). (Rigetta, CORTE D'APPELLO TRIESTE, 29/07/2016).
Cass. civ. n. 11115/2021
La domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione di una sentenza poi cassata va proposta, ex art. 389 c.p.c., allegando e provando il pagamento, al giudice del rinvio, che opera come giudice di primo grado, in quanto la domanda non poteva essere formulata in precedenza. Nel contesto di tale azione restitutoria, l'avvenuto pagamento può essere desunto anche dal comportamento processuale delle parti, alla stregua del principio di non contestazione che informa il sistema processuale civile e di quello di leale collaborazione tra le parti, manifestata con la previa presa di posizione sui fatti dedotti, funzionale all'operatività del principio di economia processuale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva negato valenza probatoria alla busta paga non quietanzata, senza tenere in conto che la controparte non aveva negato il pagamento, ma solo contestato l'importo chiesto in restituzione, perché al lordo e non al netto delle ritenute fiscali). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 28/06/2016).
Cass. civ. n. 2174/2021
L'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c., che è tipico delle vicende processuali. (Nella specie, la S.C. ha escluso che l'Inail avesse l'obbligo di contestare i fatti posti alla base della domanda giudiziale di indennità temporanea da infortunio sul lavoro, perché il fatto costitutivo della prestazione trae origine dal rapporto di lavoro cui l'ente è estraneo, restando irrilevante, ai fini della non contestazione, quanto dedotto dal lavoratore in sede amministrativa con la denuncia d'infortunio). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 08/01/2015).
Cass. civ. n. 28349/2020
In tema di protezione internazionale, il giudice è tenuto, in assolvimento dell'obbligo di cooperazione istruttoria previsto dall'art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007 e dall'art. 8 del d.lgs. n. 25 del 2008, a compiere tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l'effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, nonché ad indicare, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento, ben potendo il giudice medesimo trarre - non rivestendo l'elencazione delle fonti contenuta nell'art. 8 citato carattere esclusivo - da concorrenti canali di informazione, anche via web, le informazioni sulla situazione del Paese estero, le quali, per la capillarità della loro diffusione e la facile accessibilità da parte dei consociati, vanno considerate alla stregua del fatto notorio. (Nella specie, il giudice di merito aveva rigettato la domanda di protezione - fondata sulla violenza domestica subita da un soggetto che, rimasto orfano, aveva affermato di essere oggetto di persecuzione ad opera di familiari per motivi ereditari - sul mero rilievo che il Paese di origine, il Senegal, risultava in una situazione di buona stabilità e tolleranza religiosa secondo le fonti ufficiali, senza essere oggetto di specifiche direttive da parte dell'UNHCR; la S.C., nel cassare la sentenza, ha evidenziato che il predetto giudice avrebbe dovuto esercitare i propri poteri-doveri d'indagine officiosi e di acquisizione di informazioni aggiornate specificamente sulle violenze domestiche e sulla diffusione o meno di condizioni di schiavitù connesse alla situazione illustrata dal richiedente). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 27/05/2019).
Cass. civ. n. 27810/2020
In tema di procedura Docfa, non costituiscono fatto notorio, ai fini della valutazione di un immobile adibito a parcheggio, le tariffe comunali vigenti nello stesso, essendo il fatto notorio caratterizzato dall'essere conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo. Esso peraltro svincola dall'onere della prova, ma non anche dall'onere della sua allegazione, sicché il contribuente, che lamenti in sede di legittimità la sua mancata valutazione da parte del giudice del merito, è tenuto, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., a indicare il come e il quando dell'avvenuta sua deduzione in giudizio e la sua decisività. (Rigetta, COMM.TRIB.REG. PERUGIA, 27/01/2011).
Cass. civ. n. 26908/2020
Il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica. Questo onere gravante sul convenuto si coordina, peraltro, con quello di allegazione dei fatti di causa che incombe sull'attore, sicché la mancata allegazione puntuale dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi rispetto ai quali opera il principio di non contestazione esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall'onere di compiere una contestazione circostanziata. (Rigetta, TRIBUNALE CASTROVILLARI, 13/03/2018).
Cass. civ. n. 20867/2020
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 10/10/2018).
Cass. civ. n. 6172/2020
Il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il motivo fondato sull'assunta violazione del principio con riferimento a conclusioni ermeneutiche da trarre, in ordine all'interpretazione di documenti contrattuali di scissione societaria, in parte da atti stragiudiziali quali il precetto, in parte dall'insinuazione al passivo in un altro procedimento e solo in parte dalla comparsa di costituzione e risposta di primo grado). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 29/11/2016).
Cass. civ. n. 5429/2020
Il principio di non contestazione, pur essendo stato codificato con la modifica dell'art. 115 c.p.c. introdotta dalla l. n. 69 del 2009, è applicabile anche ai giudizi antecedenti alla novella, avendo questa recepito il previgente principio giurisprudenziale in forza del quale la non contestazione determina effetti vincolanti per il giudice, che deve ritenere sussistenti i fatti non contestati, astenendosi da qualsivoglia controllo probatorio in merito agli stessi. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 19/02/2016).
Cass. civ. n. 4791/2020
In tema di impugnazione del riconoscimento di paternità ex art. 263 c.c., la mancata contestazione della madre naturale in ordine alla non paternità dell'autore del riconoscimento non ha la valenza probatoria prevista dall'art. 115 c.p.c., poiché, vertendosi in ambito di diritti indisponibili, sugli stessi non è ammesso alcun tipo di negoziazione o rinunzia. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 08/06/2018).
Cass. civ. n. 4428/2020
Il giudizio di fatto contrario ad una massima di comune esperienza, quando è preso a base per l'applicazione di una norma di diritto, si risolve in una falsa applicazione della legge ed è, come tale, censurabile in Cassazione, ove, trattandosi di un giudizio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia, deve essere valutato in base al vizio dedotto. (Dichiara inammissibile, COMM.TRIB.REG. MILANO, 01/10/2012).
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In tema di prova civile, il ricorso alla nozione di "comune esperienza" (fatto notorio), da interpretare in senso rigoroso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, costituendo una deroga al principio dispositivo ex art. 112 c.p.c. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nuova formulazione, sicché può essere censurata in sede di legittimità la sola inesatta nozione del medesimo, ma non anche la sua mancata applicazione. (Dichiara inammissibile, COMM.TRIB.REG. MILANO, 01/10/2012).
Cass. civ. n. 33154/2019
Il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile. Ne consegue che tra le nozioni di comune esperienza non possono farsi rientrare le acquisizioni specifiche di natura tecnica e quegli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati estimativi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza gravata che aveva ritenuto provato, per scienza comune, il fatto che il funzionamento delle caldaie a gas potesse provocare emissioni di calore, oltre che di fumo, ossido di carbonio e scintille).
Cass. civ. n. 31402/2019
La valutazione della condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, deve essere correlata al regime delle preclusioni, che la disciplina del giudizio ordinario di cognizione connette all'esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti - diversi da quelli indicati negli atti introduttivi - sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte; in particolare, la mancata tempestiva contestazione, sin dalle prime difese, dei fatti allegati dall'attore è comunque retrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall'art. 183 c.p.c., risultando preclusa, all'esito della fase di trattazione, ogni ulteriore modifica determinata dall'esercizio della facoltà deduttiva.
Cass. civ. n. 29875/2019
La mancata contestazione dell'inadempimento del debito non costituisce ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell'obbligazione, ostativa all'eccezione di prescrizione presuntiva, atteso che l'ammissione di cui all'art. 2959 c.c. non può risiedere nella nuda non contestazione, non essendo ipotizzabile una sorta di prevalenza del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. sulla presunzione legale di pagamento sottesa all'istituto della prescrizione presuntiva.
Cass. civ. n. 27490/2019
L'accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d'una non contestazione, rientrando nel quadro dell'interpretazione del contenuto e dell'ampiezza dell'atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto "contestato" uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all'ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all'accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l'altrui pregressa "non contestazione", diventa inammissibile.
Cass. civ. n. 21460/2019
Il principio di non contestazione opera rispetto ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato e non anche in relazione a fattispecie, come quella del diritto al risarcimento danno (nella specie danno biologico da esposizione all'amianto), il cui accertamento, richiedendo un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalità, sull'evento e sul pregiudizio, ha carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, devono essere necessariamente ricondotte al "thema probandum" come disciplinato dall'art. 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice.
Cass. civ. n. 15159/2019
Nelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza di cui all'art. 115, comma 2, c.p.c. sono escluse quelle valutazioni che, per essere formulate, necessitino di un apprezzamento tecnico, da acquisirsi mediante c.t.u. o mezzi cognitivi peritali analoghi per le quali, quindi, non possa parlarsi di fatti o regole di esperienza pacificamente acquisite al patrimonio conoscitivo dell'uomo medio o della collettività con un grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva respinto una domanda di risarcimento del danno per "mobbing" ritenendo fatto notorio che chi sia affetto da malattia psichica non possa percepire la realtà dei rapporti interpersonali con conseguente impossibilità, per il datore di lavoro, di evitare la causazione del danno).
Cass. civ. n. 13715/2019
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, laddove, del resto, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l'inveridicità del preteso fatto notorio può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non di ricorso per cassazione.
Cass. civ. n. 7726/2019
Il ricorso, da parte del giudice, alle nozioni di fatto di comune esperienza, le quali riguardano fatti acquisiti alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili, e non anche elementi valutativi che implicano cognizioni particolari ovvero nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, attiene all'esercizio di un potere discrezionale; pertanto la violazione dell'art. 115, comma 2, c.p.c. può configurarsi solo quando il giudice ne abbia fatto positivamente uso e non anche ove non abbia ritenuto necessario avvalersene, venendo in tal caso la censura ad incidere su una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 3680/2019
Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l'effetto della "relevatio ad onere probandi", spetta al giudice del merito apprezzare, nell'ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l'esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte.
Cass. civ. n. 3126/2019
L'onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non le prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all'apprezzamento del giudice.
Cass. civ. n. 31619/2018
Il principio di non contestazione opera in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l'opportunità: pertanto, la parte che lo deduca in sede di impugnazione è tenuta ad indicare specificamente in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e se la controparte abbia avuto occasione di replicare.
Cass. civ. n. 25999/2018
Il principio, sancito dall'art. 115, comma 1, c.p.c., secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta "ad substantiam", dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta "ad probationem", l'osservanza dell'onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte.
Cass. civ. n. 21675/2018
Al mutare delle circostanze che hanno comportato la mancata contestazione dei fatti costitutivi del diritto (nella specie, revoca della certificazione INAIL di esposizione ultradecennale all'amianto vincolante per l'INPS) deve essere consentita la possibilità di negazione dei fatti precedentemente non contestati, purché la modifica dell'atteggiamento difensivo avvenga con modalità coerenti con la dinamica processuale del rito del lavoro, per cui, come le sopravvenienze devono essere allegate nella prima occasione processuale utile, anche la conseguente contestazione dovrà essere tempestivamente operata nella prima difesa.
Cass. civ. n. 1530/2018
Nell'ipotesi di dichiarazioni aggiunte alla confessione, opera, ai sensi dell'art. 2734 c.c., il principio di inscindibilità, nel senso che la mancata contestazione di controparte comporta l'esonero del dichiarante dall'onere di provare i fatti aggiunti, assumendo, in tal caso, la dichiarazione valore di prova legale nel suo complesso, mentre solo quando la controparte contesta le dichiarazioni il confitente ha l'onere di provare i fatti aggiunti, restando affidato al giudice, in difetto di tale prova, l'apprezzamento dell'efficacia probatoria delle dichiarazioni stesse.
Cass. civ. n. 30744/2017
L’onere di contestazione per la parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicché non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alla valutazione svolta dal consulente tecnico d’ufficio.
Cass. civ. n. 22055/2017
Il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, né tale specificità può essere desunta dall'esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l'onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi.
Cass. civ. n. 5530/2017
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), ex art. 115, comma 2, c.p.c., deve essere riferito ad eventi di carattere generale ed obiettivo che, proprio perché tali (come, ad esempio, la svalutazione monetaria, oppure un evento bellico), non hanno bisogno di essere provati nella loro specificità; sicché, ai fini probatori previsti da detta norma, non è consentito generalizzare situazioni particolari e se, in taluni casi, la considerazione della notorietà può essere limitata ad una cerchia sociale o territoriale ristretta, quale un insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi, cosi da far assurgere all’alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto, giammai tale comunità ristretta può essere individuata sulla base di un mero carattere territoriale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non necessaria la prova dell’esistenza di cartelli segnaletici della presenza di sistemi di rilevazione automatica sulla principale autostrada italiana - la Al - in quanto fatto notorio a tutti gli utenti della strada lombardi).
Cass. civ. n. 5067/2017
Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., sintetizzando una tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti che ha dignità di regola generale, si applica anche al procedimento per dichiarazione di fallimento.
Cass. civ. n. 21075/2016
L'onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l'allegazione dei medesimi e, considerato che l'identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall'allegazione e dall'estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l'onere di contribuire alla fissazione del "thema decidendum" opera identicamente rispetto all'una o all'altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte. (Così statuendo, la S.C. ha ritenuto che il coltivatore di un fondo rustico, il quale aveva genericamente allegato di possedere tutti i requisiti previsti dalla legge per l'esercizio del retratto agrario, non poteva ritenersi liberato dall'onere di provarne la sussistenza, e ciò anche in presenza di una generica contestazione sul punto da parte del convenuto).
Cass. civ. n. 20382/2016
La violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.
Cass. civ. n. 17966/2016
Il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416, comma 2, c.p.c., riguarda solo i fatti cd. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese, fra le quali è da ricondurre anche l'assunto del datore di lavoro di avere stabilito una specifica turnazione fra i propri dipendenti per assecondare una loro richiesta.
Cass. civ. n. 15772/2016
Ai fini della decisione, il contenuto della contestazione della parte convenuta va desunto dalla comparsa di risposta ovvero dai successivi scritti difensivi, non essendo alla stessa precluso, allorché contesti la sussistenza dei fatti principali posti a fondamento della pretesa attorea, dedurne comunque l'infondatezza in via subordinata, senza che ciò implichi il loro riconoscimento.
Cass. civ. n. 14652/2016
L'onere di contestazione - la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova - sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in relazione al trafugamento di denaro da una cassaforte, aveva escluso cha linea difensiva assunta dal depositario, sostanziatasi nella negazione della propria responsabilità senza contestare l'entità delle somme asportate, potesse assumere valenza probatoria in ordine all'ammontare delle refurtiva, trattandosi di un dato estraneo alla sua sfera di conoscibilità diretta).
Cass. civ. n. 12748/2016
L'onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, né la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice.
Cass. civ. n. 12517/2016
La non contestazione del convenuto costituisce, anche nelle controversie in tema di riscatto o prelazione agraria, un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale, ritenendolo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto raggiunta la prova dell'esistenza, in capo al retraente, del requisito della mancata vendita di fondi rustici nel biennio antecedente l'esercizio del riscatto, in quanto circostanza tardivamente e genericamente contestata dalla controparte solo in comparsa conclusionale e senza allegare nessuno specifico atto di disposizione).
Cass. civ. n. 8647/2016
Il principio di non contestazione opera, indifferentemente, nei confronti del convenuto, come dell'attore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito, preso atto che - in un giudizio risarcitorio da sinistro stradale - il mancato uso del casco protettivo da parte del danneggiato era stato eccepito da parte convenuta sin dalle sue prime difese, ha ritenuto accertata la circostanza, in difetto di contestazione).
Cass. civ. n. 22461/2015
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 115, comma 1, e 167, comma 1, c.p.c., l'onere di contestazione specifica dei fatti posti dall'attore a fondamento della domanda opera unicamente per il convenuto costituito e nell'ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente "thema decidendum" e "thema probandum", sicché non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello.
Cass. civ. n. 19896/2015
Il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la "sussistenza dei presupposti di legge" per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che l'assicuratore designato dal Fondo vittime della strada non avesse contestato la circostanza che il responsabile del sinistro fosse privo di copertura assicurativa, attesa l'inidoneità della generica eccezione di mancanza dei presupposti previsti dalla legge affinché l'impresa designata potesse essere convenuta in giudizio).
Cass. civ. n. 19709/2015
La mancanza di specifica contestazione, se riferita ai fatti principali, comporta la superfluità della relativa prova perché non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., sicché nel giudizio d'impugnazione il riesame dell'accertamento risultante dalla sentenza impugnata è subordinato alla proposizione di specifiche censure solo rispetto ai primi, operando in mancanza la preclusione derivante dal giudicato interno, mentre per i secondi è sufficiente, anche in assenza di contestazione, l'avvenuta impugnazione dell'accertamento riguardante i fatti costitutivi della domanda per la riapertura del relativo dibattito processuale.
Cass. civ. n. 840/2015
Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova (costituita, nella specie, da una deposizione testimoniale resa in assenza del contraddittorio nel corso di un procedimento disciplinare a carico di un avvocato nella fase svoltasi dinanzi al consiglio dell'ordine locale, culminato poi nella decisione del Consiglio Nazionale Forense, giudice speciale istituito con il d.lgs.lgt. 23 novembre 1944, n. 382).
Cass. civ. n. 461/2015
Il principio di non contestazione presuppone un comportamento concludente della parte costituita, sicché non è preclusa la contestazione, per la prima volta in appello, sia per la parte rimasta contumace che per quella costituitasi tardivamente in primo grado.
Cass. civ. n. 22950/2014
Le opinioni sociologiche meramente soggettive e regole di parziale valutazione della realtà costituiscono fatti a valenza solo suggestiva, sicché non posseggono un grado di univocità e sicura percezione da parte della collettività da risultare indubitabili e incontestabili e, dunque, non integrano un fatto notorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva fondato la ricostruzione dei ricavi e del maggior reddito di un professionista sulla circostanza che "i clienti meridionali non sempre corrispondono onorari conformi alle tabelle professionali").
Cass. civ. n. 21847/2014
In ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell'accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altra abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse.
Cass. civ. n. 1904/2014
La variazione del valore di un immobile in un ben determinato periodo di tempo (nella specie, quadriennale), richiedendo accertamenti circostanziati, anche attraverso pubblicazioni di dati attuariali, non può ascriversi al fatto notorio.
Cass. civ. n. 5644/2012
Il mancato ricorso, da parte del giudice del merito, alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, di cui all'art. 115 cod. proc. civ., deve essere specificamente spiegato ed è suscettibile di essere apprezzato dal giudice di legittimità sotto il profilo del vizio di insufficiente motivazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, omettendo di applicare la nozione di comune esperienza secondo cui un impianto di allarme specifico è in qualche misura utile per evitare il furto o per attenuarne le conseguenze, aveva escluso il nesso causale tra il malfunzionamento del dispositivo ed il furto, sul rilievo che il reato si era consumato nell'arco di pochi minuti, senza dar conto delle ragioni per le quali il suono della sirena non avrebbe potuto spiegare un effetto totalmente o parzialmente deterrente, idoneo ad impedire o ad attenuare i danni subiti dal creditore del soggetto che aveva fornito l'impianto e ne provvedeva alla manutenzione).
Cass. civ. n. 3951/2012
La non contestazione del fatto ad opera della parte che ne abbia l'onere è irreversibile, ma non impedisce al giudice di acquisire comunque la prova del fatto non contestato. Pertanto, in tale ultima ipotesi, resta superata la questione sulla pregressa non contestazione di quei fatti che, se ravvisata, avrebbe comportato l'esclusione di essi dal "thema probandum".
Cass. civ. n. 29830/2011
L'atto notorio, pur essendo considerato da alcune specifiche norme di legge come prova sufficiente delle qualità di erede e di legatario, allorché queste siano fatte valere a fini esclusivamente amministrativi, anche se nell'ambito della giurisdizione ordinaria, non ha nessuna rilevanza quando venga prodotto in giudizio in funzione probatoria di una delle suddette qualità. In tal caso, l'atto notorio non dà luogo ad una presunzione legale, sia pure "juris tantum", circa la spettanza delle indicate qualità di erede o di legatario, ma integra un mero indizio, che deve essere comprovato da altri elementi di giudizio. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto mancante la prova della legittimazione all'impugnazione in capo agli appellanti, i quali, assumendo di avere la qualità di eredi della parte originaria, si erano limitati a produrre un atto notorio attestante l'avvenuto decesso di quest'ultima e la loro asserita qualità).
Cass. civ. n. 25218/2011
Qualora il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 115, secondo comma, c.p.c. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. (Nell'affermare il suddetto principio, la S.C. ha ritenuto notorio il fatto che la presenza di un secondo passeggero a bordo di un ciclomotore determini un carico eccessivo idoneo a ridurre sia la stabilità del mezzo che la sua capacità di frenata)
Cass. civ. n. 20313/2011
Le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall'osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all'art. 115 c.p.c., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l'argomentazione di tipo presuntivo. Equità ed esperienza, tuttavia, costituiscono tecniche di apprezzamento dei fatti che, per quanto omogenee, non sono tra loro sovrapponibili; ne consegue che la quantificazione di una somma (nella specie, concernente le prestazioni extra-contratto di un appalto) può logicamente ascriversi a regole di esperienza solo quando abbia ad oggetto una prestazione di carattere usuale suscettibile di oscillazioni minime da caso a caso, oppure quando tale determinazione costituisca la risultante concreta di fatti notori e di nozioni di pratica comune.
Cass. civ. n. 15715/2011
Il ricorso al fatto notorio, ai sensi dell'art. 115 secondo comma, c.p.c., attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito; pertanto, l'esercizio, sia positivo che negativo, di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo, invece, censurabile l'assunzione, a base della decisione, di un'inesatta nozione del notorio, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio su enunciato, ha ritenuto che correttamente il giudice di merito non avesse fatto ricorso alla nozione di notorio per configurare un danno alla salute causato dalla esposizione a rumore derivante da immissioni sonore provocate dall'attività notturna di locali pubblici).
Cass. civ. n. 23816/2010
In tema di prova civile, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica - in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica - se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento. Quando, invece, la mancata espressa contestazione della circostanza si fonda sull'assunto della non pertinenza del fatto dedotto al giudizio in corso, l'attore non è esonerato dall'onere di provare il fatto stesso e, in mancanza di tale prova, il ricorso alle presunzioni è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato.
Cass. civ. n. 10607/2010
L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza.
Cass. civ. n. 9917/2010
In virtù del principio dispositivo delle prove, ciascuna delle parti è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione del medesimo: in tal caso, tuttavia, il giudice non resta esonerato dal dovere di pronunciare nel merito della causa, sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite e degli atti riscontrabili nel fascicolo dell'altra parte ed in quello di ufficio.
Cass. civ. n. 22880/2008
Ove il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell'art. 115, secondo comma, c.p.c. e la Corte di cassazione eserciterà il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata secondo cui rientrava nella comune esperienza, senza bisogno di prove, il fatto che per l'attività di chirurgo fosse essenziale un' adeguata manualità, e che la relativa professionalità decadesse in mancanza di esercizio).
Cass. civ. n. 7739/2007
La contumacia del convenuto, di per sé sola considerata, non assume alcun significato probatorio in favore della domanda dell'attore, ma può concorrere, insieme ad altri elementi, a formare il convincimento del giudice. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva motivatamente escluso che la contumacia della parte, sia da sola sia in concorso con le altre risultanze processuali, potesse condurre all'accoglimento della domanda).
Cass. civ. n. 15777/2006
La mancata costituzione di una parte in primo grado o in appello non equivale ad ammissione della esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda e non esclude il potere-dovere del giudice di accertare se da parte dell'attore sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa.
Cass. civ. n. 13958/2006
Non sussistendo nel vigente ordinamento processuale un onere, per la parte, di contestazione specifica di ogni fatto dedotto
ex adverso, la mera mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente l'effetto di prova, onde il giudice che ritenga non raggiunta la prova di una circostanza, consistente in un fatto dedotto in esclusiva funzione probatoria, semplicemente allegata dall'attore, non incorre in violazione di legge o vizio di motivazione nel non aver tenuto conto, quale elemento probante, della non contestazione da parte del convenuto (fattispecie in tema di allegazione della qualità di imprenditore ai fini della liquidazione del maggior danno per svalutazione monetaria in obbligazione pecuniaria).
Cass. civ. n. 981/2006
Le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, che, ai sensi del secondo comma dell'art. 115 c.p.c., il giudice può porre a base della decisione, non costituiscono presunzioni iuris et de iure dovendo pertanto il giudice accogliere le richieste istruttorie finalizzate a contrastare l'applicabilità, nella specie, delle ravvisate presunzioni. (Fattispecie relativa a opposizione a sanzione amministrativa per abbandono di animale domestico: la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di pace che aveva negato la prova circa lo smarrimento dell'animale e le ricerche effettuate dal proprietario, presumendo che il ritrovamento nei pressi di un'area di servizio dell'autostrada dimostrasse che l'animale era stato ivi intenzionalmente abbandonato, in conformità a un diffuso malcostume).
Cass. civ. n. 9705/2004
Il «notorio» al quale allude il secondo comma dell'art. 115 c.p.c., è costituito dalle cognizioni comuni e generali in possesso della collettività nel tempo e nel luogo della decisione, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva giustificato la mancata utilizzazione di un generatore di corrente per sopperire a un guasto delle linee elettriche, con la «oggettiva difficoltà» di uso di tale apparecchio e con la necessità di controllarne il funzionamento e rifornirlo di combustibile, assumendo che tali circostanze, non provate in causa, costituissero nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza).
Cass. civ. n. 6450/2004
Al di fuori delle eccezioni in senso stretto, che sono condizionate dalla legge alla manifestazione di volontà espressa della parte di volersene avvalere, di talché non possono essere rilevate d'ufficio anche se sia acquisita alla causa la prova dei fatti che ne costituiscono il fondamento, tutti gli altri fatti modificativi ed estintivi della pretesa fatta valere dall'attore, (tra i quali rientra, come nella specie, l'impossibilità per il debitore di adempiere derivante da causa a lui non imputabile), pur dovendo sempre essere provati dal convenuto, a norma dell'art. 2697 c.c., sicché il mancato raggiungimento della prova in ordine ad essi si risolve in danno del convenuto e ne determina la soccombenza, tuttavia, qualora tali fatti siano acquisiti ritualmente alla causa, possono essere utilizzati dal giudice anche in assenza di formali difese che li assumano a fondamento.
Cass. civ. n. 5241/2004
In virtù del principio dispositivo delle prove, ciascuna delle parti è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione del medesimo o di alcuni dei documenti in esso contenuti. Ne consegue che, non esistendo un principio di «immanenza» della prova documentale, e dovendo il giudice decidere la causa juxta alligata et probata, è onere della parte che intende avvalersene farsi rilasciare dal cancelliere, ex art. 76, disp. att. c.p.c., copia degli atti del fascicolo di controparte da inserire nel proprio fascicolo perché possano essere considerati dal giudice, tenuto a decidere, ai sensi dell'art. 115, c.p.c., sulla base del materiale probatorio sottoposto al suo esame.
Cass. civ. n. 12112/2003
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza ex art. 115, secondo comma, c.p.c., attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito e, pertanto, l'esercizio sia positivo che negativo del potere di fare ricorso al notorio non è sindacabile in sede di legittimità ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo invece censurabile l'assunzione, a base della decisione, di una inesatta nozione del “notorio”, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (c.d. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura. (Nella specie, in un giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di un'azienda alberghiera, la S.C ha confermato la sentenza impugnata, secondo la quale doveva ritenersi notorio che in Versilia la stagione turistica dura sei mesi).
Cass. civ. n. 1112/2003
Il principio dell'onere della prova non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nel vigente ordinamento processuale vige il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro (nel caso di specie, in applicazione del su indicato principio di diritto, la Suprema Corte ha ritenuto affetta da vizio di motivazione la sentenza di merito in cui il giudice aveva rigettato la domanda senza tener conto, tra l'altro, delle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti solo dal procuratore ad litem, e del comportamento, anche extraprocessuale, della parte).
Cass. civ. n. 609/2003
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, e pertanto il mancato ricorso ad esse non può dar luogo ad alcun sindacato in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha reputato esente da vizi la sentenza del giudice di merito che non aveva ritenuto, ai fini della qualificazione del contratto, di far uso della nozione di comune esperienza secondo la quale, laddove nelle transizioni usualmente l'importo da corrispondere viene arrotondato, nelle semplici quietanze di pagamento esso viene riportato senza alcun arrotondamento).
Cass. civ. n. 11946/2002
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti delle stesse non vaglianti né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; non si possono di conseguenza reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie.
Cass. civ. n. 2076/2002
In virtù del principio di disponibilità delle prove, di cui all'art. 115 c.p.c., il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. Al riguardo, non è, peraltro, sufficiente che una determinata circostanza sia acquisita al processo attraverso la produzione di un documento ad opera di una delle parti in causa, perché il giudice possa utilizzarla come base del suo convincimento, essendo, invece, necessario che la parte, interessata a far valere la circostanza, ne faccia oggetto della propria tesi difensiva, richiamandola al momento della produzione o anche successivamente per evitare preclusioni.
Cass. civ. n. 16165/2001
Un fatto può essere qualificato come notorio qualora, seppure non faccia parte delle cognizioni dell'intera collettività, rientri — come i particolari geografici o topografici di una città — nelle circostanze conosciute e comunemente note nel luogo in cui abitano il giudice e le parti in causa. L'addotta inveridicità di tale fatto non è denunciabile con ricorso per cassazione ma, ricorrendone gli estremi, solo in sede di revocazione.
Cass. civ. n. 11054/2001
Il principio per cui il giudice deve porre a base della sua decisione unicamente i fatti allegati dalle parti e l'altro per cui i fatti pacifici tra le parti non hanno bisogno di essere provati incontrano un limite allorquando la legge richiede per la prova di tali fatti un atto scritto
ad substantiam, ciò si verifica per il decreto di esproprio, che, come qualunque provvedimento tipico e nominato, esige una statuizione della P.A. espressa ed esteriorizzata nell'atto, preordinata alla realizzazione degli specifici effetti per esso previsti dall'ordinamento. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione all'indennità di esproprio in un caso in cui il decreto non era stato prodotto dalle parti né risultava dagli atti la sua esistenza, rendendo superfluo l'esercizio di poteri ufficiosi di acquisizione).
Cass. civ. n. 5809/2001
L'affermazione del giudice di merito circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, poiché tale affermazione è frutto di un potere discrezionale dello stesso giudice che, pertanto, non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda. Peraltro, al giudice è data la possibilità di far capo anche alla comune cultura di una specifica e, se del caso, particolarmente qualificata cerchia sociale — definita come insieme di persone aventi tra loro una comunanza di interessi — così da far assurgere all'alveo del notorio anche nozioni sicuramente esorbitanti da quella cultura media che rappresenta il naturale parametro della nozione in oggetto. (Nella specie, la S.C. ha confermato quanto ritenuto dalla C.A. secondo cui l'imprenditore (gioielliere) generalmente opta per la formula di assicurazione a primo rischio assoluto, pur pagando un premio più elevato rispetto a quello dei contratti ex art. 1907 c.c., nell'intento di evitare contestazioni con l'impresa assicuratrice in caso di furto parziale della merce esistente).
Cass. civ. n. 5149/2001
Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte o allegati dal consulente alla propria relazione solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione. (In applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto esente da censure la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto irrilevanti, al fine del decidere, i documenti allegati alla consulenza tecnica d'ufficio di primo grado su iniziativa unilaterale dello stesso consulente ed esorbitando dall'incarico, giacché — non avendo nessuna delle parti, esplicitamente, fondato sugli stessi alcuna difesa — non era consentito al giudice di sostituirsi alle stesse nell'adempiere all'onere probatorio sulle stesse gravanti; a nulla rilevando che nessuna delle parti avesse eccepito, nella prima udienza successiva al deposito, la nullità della consulenza tecnica con riferimento alle attività da costui poste in essere oltre i limiti del mandato).
Cass. civ. n. 1505/2001
Nel caso di chiamata in garanzia, il rapporto di connessione esistente tra la domanda principale e quella di manleva, consentendo il simultaneus processus ai sensi dell'art. 106 c.p.c., determina l'assoggettamento di tutte le parti dell'unico procedimento al principio di acquisizione, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono state formate, concorrono nella loro globalità ed indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza delle stesse possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro e quindi senza che possa escludersi l'utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli all'altra.
Cass. civ. n. 15312/2000
Nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio cosiddetto dell'acquisizione della prova - applicabile anche al contenzioso tributario -, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza.
Cass. civ. n. 4116/2000
Quando il debitore, pur contestando, ancorché genericamente, la pretesa creditoria, produca in giudizio, al fine di chiarire le pretese contro di lui azionate, i dati e i conteggi attraverso i quali la controparte ha quantificato il proprio credito, il creditore è esonerato dalla produzione di ulteriori conteggi e prospetti relativi all'entità del credito e ai criteri in base ai quali è stato quantificato, e grava sul debitore l'onere di contestazione specifica in ordine ai criteri e alle voci di determinazione dell'entità del credito, giacché la suddetta documentazione, in quanto riferibile al creditore, che nulla obietta, e in quanto non contestata dal debitore, che la produce, assume, indipendentemente dalla sua efficacia probatoria, il valore di un dato pacifico in ordine alla misura del credito vantato, idoneo pertanto a circoscrivere l'area in contestazione tra le parti.
Cass. civ. n. 7181/1999
Il fatto notorio, derogando al principio dispositivo ed a quello del contraddittorio e dando luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti da esse non vagliati e controllati, dev'essere inteso in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile, e non quale evento o situazione oggetto della mera conoscenza del singolo giudice. Conseguentemente per aversi fatto notorio occorre, in primo luogo, che si tratti di un fatto che si imponga all'osservazione ed alla percezione della collettività, di modo che questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria per riscontrarlo, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo luogo, occorre che si tratti di un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo ove esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività, ivi stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico che spinge ciascuno dei componenti della collettività stessa a conoscerlo. Alla stregua di tali principi non rientra nella categoria del fatto notorio il valore di un determinato immobile, quando ne sia richiesta una precisa determinazione ai fini dell'individuazione della base imponibile di un tributo. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione che, in una controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento in rettifica del valore di un immobile, ai fini dell'imposta di registro, aveva ritenuto provato sulla base del notorio quel valore).
Cass. civ. n. 5699/1999
Affinché un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico sì da essere posto a base della decisione, ancorché non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, non sussistendo nel nostro ordinamento processuale un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte, occorrendo invece che esso sia esplicitamente ammesso dalla controparte, ovvero che questa pur non contestandolo in modo specifico, abbia impostato il proprio sistema difensivo su circostanze o argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento.
Cass. civ. n. 6521/1997
Il mancato rinvenimento, al momento della decisione della causa, nel fascicolo di parte di alcuni documenti che questa invoca - nella specie atti di istruttoria penale comprovanti le modalità del fatto - e che risultano esser stati depositati (art. 87 disp. att. c.p.c.), comporta che il giudice o la decide «allo stato degli atti» - stante la disponibilità delle prove (art. 115, primo comma, c.p.c.), se non consta l'involontarietà dell'omesso inserimento di essi nel fascicolo di parte al momento della restituzione di questo unitamente alla comparsa conclusionale (art. 169, secondo comma c.p.c.) - o - previa, se possibile, valutazione sulla loro rilevanza - se la predetta omissione dipende dallo smarrimento o sottrazione, anche parziale, di tale fascicolo, deve ordinarne alla cancelleria la ricerca, ovvero dispone la ricostruzione; la violazione di questo obbligo può configurare vizio di motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), ma la parte ha l'onere di richiamare nel ricorso il contenuto di tali documenti e di argomentare sulla possibilità, dal loro esame, di una decisione diversa.
Cass. civ. n. 1576/1995
In genere i fatti allegati da una parte possono essere considerati pacifici, rimanendo così la parte esonerata dalla relativa prova, soltanto quando essi siano stati esplicitamente ammessi dall'altra parte, ovvero questa, senza contestarli, abbia impostato la propria difesa su elementi e argomenti incompatibili col loro disconoscimento. Tuttavia, nel caso in cui, deceduto nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto-opposto, si costituiscano volontariamente in prosecuzione soggetti che dichiarino di essere, nella loro qualità di congiunti del de cuius, i suoi eredi, la mancanza di contestazioni al riguardo dell'opponente assume il particolare valore di una implicita e definitiva ammissione di tale loro qualità (e non di una semplice e irrilevante omissione non preclusiva di successiva eccezione e rilevabilità d'ufficio), tenuto presente che solo la validità di tale costituzione, nel difetto di iniziative da parte dell'opponente, vale a prevenire l'acquisto da parte del decreto opposto della sua definitiva esecutività in danno dell'opponente.
Cass. civ. n. 267/1995
Per la sussistenza del fatto notorio occorre innanzitutto che esso abbia una distinta identità storica che si imponga alla osservazione o alla percezione della collettività, in modo che questa ne compia, per suo conto, la valutazione critica, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche; in secondo luogo è necessario che esso sia di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo dove è invocato, o perché appartenente alla cultura media della collettività ivi stanziata, ovvero perché le sue ripercussioni siano ampie ed immediate al punto che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico, che spinge ciascuno dei componenti la collettività a conoscerlo; solo in presenza dei suddetti presupposti il giudice può fare a meno delle prove, potendo avvalersi direttamente della conoscenza del fatto divenuto notorio acquisita al di fuori del processo. (Nella specie, la S.C. ha negato la sussistenza del fatto notorio relativamente al rilascio di deleghe, da parte del presidente dell'Inail, ai direttori di sedi periferiche dell'istituto).
Cass. civ. n. 2410/1985
La contumacia del convenuto, di per sé sola considerata, non può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell'attore, poiché, al pari del silenzio nel campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio. Ne consegue che non è possibile considerare come non contestati dal convenuto contumace fatti costitutivi della domanda (come, nella specie, l'applicabilità al rapporto di lavoro di un contratto collettivo privatistico) della cui sussistenza l'attore ha l'onere della prova.
Cass. civ. n. 1165/1983
L'art. 115 c.p.c. — secondo cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata e, quindi, porre a base della decisione unicamente le allegazioni delle parti, cioè le circostanze di fatto dedotte a fondamento della domanda o dell'eccezione, e le prove offerte dalle parti medesime — è inteso ad assicurare il rispetto dei principi fondamentali della difesa e del contraddittorio, con l'impedire che una parte possa subire una decisione basata su fatti ad essa sconosciuti ed in relazione ai quali non si sia potuta difendere. Pertanto, il giudice non viola detta norma quando si avvalga di fatti allegati e provati da una parte per argomentarne in via di presunzione, ancorché non ne sia stato espressamente chiesto dalla parte stessa, nel qual caso l'altra parte non ha motivo di dolersi, in sede di legittimità, che il giudice del merito abbia fatto ricorso a presunzioni, risultando queste tratte da fatti che tale parte ben conosceva ed in relazione ai quali aveva avuto la possibilità di difendersi.