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L’assegnazione della casa coniugale comprende anche le sue pertinenze

Famiglia - -
L’assegnazione della casa coniugale comprende anche le sue pertinenze
Al coniuge assegnatario della casa coniugale spettano anche le relative pertinenze.
La Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 510/2020, si è pronunciata in merito alla sorte delle pertinenze della casa che sia stata assegnata in godimento ad uno degli ex coniugi in sede di divorzio.

La questione sottoposta all’esame della Suprema Corte traeva origine dalla sentenza con cui un Tribunale, nel pronunciare lo scioglimento del matrimonio tra due ex coniugi, aveva assegnato in godimento all’ex moglie, non solo l’appartamento adibito a casa coniugale, ma anche le sue pertinenze, costituite dai locali posti al piano seminterrato dell’edificio.
Nonostante l’ex marito avesse impugnato, in appello, l’assegnazione all’ex moglie anche dell’intero seminterrato, la decisione emessa in primo grado veniva confermata anche dai giudici di secondo grado. A parere di questi ultimi, infatti, tra l’ex casa coniugale e i locali del piano seminterrato, sussisteva un rapporto pertinenziale derivante da un vincolo di complementarietà funzionale rappresentato dalla presenza di una scala interna che collegava i due piani.

Rimasto soccombente, l’uomo ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, in primo luogo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 817 del c.c. e dell’art. 115 del c.p.c. Secondo lui, infatti, la Corte d’Appello, nel ritenere soddisfatto, dall’esame della planimetria dell’immobile, il requisito oggettivo della contiguità tra l’appartamento e i locali interrati, avrebbe commesso un errore di percezione nell’individuare il contenuto oggettivo della prova. Dalla planimetria si evinceva chiaramente come soltanto alcuni dei locali seminterrati fossero effettivamente contigui alla casa coniugale, mentre gli altri erano da essa separati, stante la presenza di muri divisori e di un accesso esterno, distinto e autonomo.

Con un secondo motivo di ricorso, si eccepiva, poi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 del c.c. in merito all’assoluzione dell’onere della prova, avendo, il giudice, assegnato all’ex moglie i locali del seminterrato nonostante mancasse ogni presupposto, sia di fatto che di diritto, per l’assegnazione. Secondo il ricorrente i giudici di merito avrebbero errato nell’assegnare all'ex i locali pertinenziali, nonostante la stessa non avesse mai saputo provare né quali locali dell'abitazione fossero da considerare pertinenze, né che gli stessi fossero a servizio ed ornamento dell'abitazione principale.

La Suprema Corte ha, tuttavia, rigettato il ricorso, giudicandolo inammissibile.
Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, ha valutato correttamente il vincolo pertinenziale esistente tra l’abitazione familiare e i locali del seminterrato, basandosi sulla planimetria prodotta in giudizio. Da quest’ultima emerge, infatti, che la scala che conduce dall’appartamento al piano seminterrato arriva ad un disimpegno con accesso diretto ad una cantina e ad uno dei tre garage, attraverso cui, però, è possibile accedere, in ogni caso, a tutti i locali del seminterrato, senza che vi sia alcun ostacolo. Da tali circostanze, quindi, si può desumere come non sia stato commesso alcun errore di percezione, considerato che il documento non mostra ostacoli che impediscano in modo assoluto di raggiungere tutti i locali del piano sottostante all’appartamento.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, relativo all’assoluzione dell’onere probatorio da parte della controparte, gli Ermellini hanno sottolineato come, in realtà, la corte territoriale, una volta accertata l’esistenza del vincolo pertinenziale dei beni situati nel piano interrato, non abbia inteso riferirsi alle regole preposte alla dimostrazione del vincolo stesso, bensì all’onere probatorio relativo all’eccezione di non operatività dell’automatismo previsto in materia di pertinenze dall’art. 818 del c.c.
Come evidenziato dalla Cassazione, quindi, era onere del ricorrente dimostrare, in sede di giudizio di merito, la cessazione del vincolo pertinenziale in modo tale da impedire l'applicazione dell'automatismo previsto dal comma 1 dell’art. 818 del c.c., in base a cui la pertinenza rimane soggetta agli effetti degli atti e dei rapporti giuridici che riguardano la cosa principale.


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