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Articolo 191 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Nomina del consulente tecnico

Dispositivo dell'art. 191 Codice di procedura civile

Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti (1) il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell’articolo 183, quarto comma, o con altra successiva ordinanza (2), nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire [22 disp. att.] (3)(4).

Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone (5).

Note

(1) Il giudice istruttore può farsi assistere da uno o più consulenti tecnici (quali ingegneri, architetti, medici o altri professionisti), per l'intero processo o per il compimento di singoli atti, quando ciò risulti "necessario" (art. 61 del c.p.c.). La necessità è valutata discrezionalmente dal giudice, che può disattendere le richieste di parte e fare ricorso anche a conoscenze specialistiche che egli stesso abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali.
(2) Il giudice istruttore nomina il consulente tecnico d'ufficio con un'ordinanza istruttoria, tipicamente revocabile e modificabile da colui che l'ha pronunciata (art. 177 del c.p.c.) e non vincolante per il collegio in sede decisionale (art. 178 del c.p.c.).
(3) Comma così sostituito dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, con decorrenza dal 4 luglio 2009.
Il comma previgente recitava: "Nei casi di cui agli artt. 61 ss. Il giudice istruttore, con l’ordinanza prevista nell’art. 187 ultimo comma o con altra successiva, nomina un consulente tecnico e fissa l’udienza nella quale questi deve comparire".
Il giudice può nominare il C.T.U. in qualunque momento del processo, addirittura già nella prima udienza di trattazione ex art. 183 del c.p.c..
La prassi secondo la quale il quesito veniva formulato con il provvedimento di nomina è stata recepita dalla nuova formulazione dell'articolo.
La scelta del perito può avvenire tra professionisti iscritti in albi speciali tenuti dagli uffici giudiziari (è previsto un limite di incarichi allo stesso soggetto non superiore al 10%) oppure tra consulenti non iscritti all'albo del tribunale: in questo caso, il giudice deve sentire il presidente del tribunale e indicare le ragioni della richiesta.
(4) Articolo modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia").
Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".
(5) Qualora manchi una soluzione comune ai diversi consulenti tecnici nominati, solitamente vengono redatte una relazione di maggioranza e una di minoranza, tra le quali il giudice può scegliere fornendo adeguata motivazione.

Ratio Legis

La collocazione sistematica della norma (prima della disciplina dei mezzi istruttori in senso stretto) induce a ritenere che la consulenza tecnica non sia un vero e proprio mezzo di prova, bensì, uno strumento di ricerca delle prove, volto ad offrire al giudice l'ausilio di cognizioni tecniche che egli non possiede.

Brocardi

Peritus peritorum

Spiegazione dell'art. 191 Codice di procedura civile

Due sono i profili che connotano la figura del consulente tecnico d’ufficio, e precisamente:
a) si tratta di un ausiliario del giudice: da questo punto di vista se ne occupa il libro primo del codice di rito, ove viene accostato al ruolo ed alle prerogative del giudice, del quale finisce per condividere parzialmente le stesse garanzie di imparzialità;
b) la consulenza tecnica da lui resa va esclusa dal catalogo dei mezzi di prova, dovendosi piuttosto inquadrare nel più ampio contesto della istruzione probatoria, oggetto di una particolare disciplina, che precede gli artt. 202-209 c.p.c. (contenenti le regole sull'assunzione dei mezzi di prova) e gli artt. 210-266 (relativi ai singoli strumenti probatori).

In generale può dirsi che il CTU svolge una funzione di eterointegrazione delle conoscenze specialistiche del giudice, ponendosi accanto al giudice ed assistendolo con pareri orali formulati in udienza.
Ciò fornisce la spiegazione della mancata inclusione della consulenza tecnica nel novero dei mezzi di prova stricto sensu intesi, dovendosi piuttosto propendere, come sostenuto da parte della dottrina, per una qualificazione della consulenza come mezzo ausiliario di integrazione delle conoscenze del giudice.
Anche la giurisprudenza di merito ha, di recente, ritenuto che la consulenza tecnica non sia mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di conoscenze specialistiche, non potendo comunque essere utilizzata per esonerare la parte dal fornire la prova di quanto dedotto.

Come ausiliario del giudice ed analogamente a quanto prescritto per il giudice, il consulente non può essere legato a nessuna delle parti del processo, e proprio a garanzia di ciò si prevede che la sua nomina sia demandata al giudice, nonché che debbano operare nei suoi confronti gli istituti dell'astensione e della ricusazione.

Per quanto concerne la sua attività, si suole tradizionalmente distinguere tra:
a) c.t.u. percipiente: la sua attività consiste nell'accertamento della esistenza o della entità di determinati fatti, rilevanti ai fini della decisione, e che sono percepibili soltanto per chi è in possesso di particolari cognizioni tecniche oppure mediante l'utilizzo di particolari strumentazioni o metodologie scientifiche;
b) c.t.u. deducente: in questo caso l’attività del consulente consiste nella sola valutazione di elementi fattuali già acquisiti, attraverso il ricorso a massime di esperienza o leggi della scienza e della tecnica da applicare.

L’ammissione della consulenza tecnica come mezzo istruttorio viene rimessa all'apprezzamento officioso del giudice di merito, e costituisce esercizio di una facoltà discrezionale; tale discrezionalità è tuttavia attenuata in particolari tipologie di giudizi, per i quali il legislatore ha espressamente previsto che, se la decisione della causa richiede la risoluzione di questioni tecniche, deve essere nominato un consulente (ne costituisce un esempio il caso previsto dell'art. 445 del c.p.c.).

Corollari del fatto che il provvedimento con cui viene ammessa la CTU costituisce estrinsecazione di poteri officiosi, sono:
1. che il giudice non ha alcun obbligo di disporre tale mezzo istruttorio;
2. una eventuale istanza di parte può avere soltanto natura di mera sollecitazione, non condizionante;
3. sia il provvedimento ammissivo che quello reiettivo della CTU sono insindacabili in cassazione.

Non si può tuttavia fare a meno di segnalare l’esistenza di un orientamento della giurisprudenza di legittimità il quale ritiene doverosa l'ammissione della c.t.u. tutte le volte in cui la parte versi nella impossibilità o nella pratica difficoltà di provare con altro strumento il fatto costitutivo della pretesa azionata o dell'eccezione sollevata.

La necessarietà dell'ausilio tecnico della CTU, che costituisce condizione di ammissibilità della stessa, va individuata sia nella obiettiva difficoltà di provare in altro modo situazioni di fatto rilevabili unicamente con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, sia nella maggiore funzionalità ed efficienza che lo strumento della consulenza tecnica è in grado di offrire rispetto ad altri mezzi istruttori.

Un eventuale provvedimento di rigetto dell'istanza per la nomina del c.t.u. deve essere adeguatamente motivato, soprattutto quando la parte si sia preoccupata di specificare in modo analitico le ragioni per cui le indagini tecniche sono ritenute indispensabili ai fini della decisione.
L'omessa o insufficiente motivazione dell'ordinanza che nega l'ammissione della consulenza inficia di nullità la sentenza conclusiva del giudizio, e si tratta di un vizio che può essere dedotto anche in sede di legittimità (tuttavia, la parte che denuncia la mancata ammissione della consulenza ha l'onere di precisare, sotto il profilo causale, in che modo l'espletamento di quel mezzo istruttorio avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata).

Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, ma lo stesso può legittimamente disattenderle a seguito di una loro valutazione critica, che risulti ancorata alle risultanze processuali, oltre che congruamente e logicamente motivata.

Sotto il profilo dei limiti che incontra la consulenza tecnica, va detto intanto che il suo esperimento è condizionato all'onere di allegazione dei fatti principali gravante sulle parti (nel senso che essa deve avere ad oggetto i fatti prospettati dalle parti e non può essere rivolta alla ricerca di ulteriori elementi di fatto non dedotti).
Inoltre, essa non può essere disposta al fine di esonerare la parte (su cui incombe ex art. 2697 del c.c. il relativo onere) dal fornire la prova delle circostanze di fatto allegate a fondamento della domanda o eccezione proposta o di colmare le lacune delle istanze istruttorie formulate dalle parti.

Ma esistono anche dei limiti oggettivi alle attività peritali, in quanto non è su tutti i fatti o le situazioni che può svolgersi l'attività di accertamento o valutazione ad opera del consulente. In tal senso, dunque, la c.t.u. non può avere ad oggetto valutazioni di contenuto squisitamente giuridico, essendo questo un settore di esclusiva pertinenza del giudice, né può estendersi alla individuazione e interpretazione di prove documentali, attività in cui si sostanzia il proprium della delibazione giudiziale.

Altro tema di cui occorre occuparsi è quello della valutazione della consulenza tecnica, tenuto conto che l'ordinamento non regola in modo espresso il valore da attribuire ai risultati della consulenza tecnica ai fini della formazione del convincimento dell'organo giudicante.

Un principio a cui ci si deve assolutamente attenere è quello del primato della valutazione giudiziale, espresso nel famoso brocardo iudex peritus peritorum, e secondo cui il giudice ha piena libertà ed autonomia nel valutare gli accertamenti, le argomentazioni ed i pareri scientifici del consulente tecnico d'ufficio, i quali non possono assumere alcun carattere vincolante per l'organo giudicante.

Una conferma di ciò sta nel fatto che i vizi delle risultanze peritali non sono suscettibili di integrare motivi di impugnazione, poiché sottoposte all'apprezzamento del giudice, e quindi rilevanti solo in via mediata, come vizio della motivazione della sentenza che le abbia recepite; in ipotesi di dissenso dalle conclusioni del c.t.u., vige l'obbligo per il giudice di darne adeguata motivazione.

Può anche verificarsi che nel corso del giudizio di merito vengano espletate, in tempi diversi e con risultati difformi, più consulenze tecniche; in tali ipotesi, il giudice è libero di seguire il parere che ritiene più congruo, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento.
In particolare, se intende uniformarsi ad una consulenza successivamente resa, dovrà giustificare la propria preferenza, indicando le ragioni per cui intende disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova consulenza.

Il provvedimento di nomina di un c.t.u., al pari di quello che rigetta la relativa istanza, ha forma di ordinanza revocabile e modificabile dallo stesso giudice emittente e dunque non impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (non possiede i caratteri della decisorietà e della definitività, in quanto è soltanto strumentale e preparatorio rispetto alla futura decisione).

La più significativa innovazione apportata all'art.191 a seguito della riforma operata dalla L. 18.6.2009, n. 69, concerne il contenuto della ordinanza ammissiva della consulenza tecnica, il quale deve contenere la formulazione dei quesiti da sottoporre all'esperto.
Infatti, il provvedimento che ammette la c.t.u. deve avere ad oggetto:
1. l'indicazione nominativa dell'ausiliario designato;
2. la fissazione dell'udienza per la comparizione dell'esperto per l'assunzione dell'incarico e la prestazione del giuramento prescritto;
3. la succinta esposizione dei motivi giustificanti il ricorso a tale mezzo istruttorio;
4. la formulazione, in termini non generici o di stile, dei quesiti da sottoporre al c.t.u.;
5. la fissazione di un termine alle parti per la nomina di propri consulenti tecnici.
La predisposizione di tali quesiti consente di realizzare un contraddittorio tecnico anticipato sull'oggetto dell'incarico peritale; infatti, all'udienza fissata per raccogliere il giuramento, le parti e il c.t.u., vengono poste in condizione di chiedere chiarimenti o precisazioni in ordine all'oggetto dell'incarico, evitando l'insorgere di questioni durante le indagini, da risolvere ai sensi dell'art. 92 delle disp. att. c.p.c..

Per quanto riguarda i tempi di adozione del provvedimento che dispone la CTU, la norma prevede che esso sia adottato con l'ordinanza resa ai sensi dell'art.183, 4° co. (cioè con l'ordinanza con cui il giudice istruttore provvede sulle richieste istruttorie) ovvero con altra successiva.

In sostanza, viene confermata l’inoperatività di preclusioni istruttorie in relazione al provvedimento di ammissione della consulenza, non essendo questo sottoposto ai rigorosi limiti temporali sanciti dall'art. 183, e potendo la nomina del c.t.u. intervenire dopo l'assunzione di altre prove, in qualsiasi momento del processo, anche dopo il passaggio in decisione della causa (con conseguente rimessione sul ruolo istruttorio).

Una volta ritenuta ammissibile la c.t.u. in epoca posteriore alla scadenza dei termini per le articolazioni istruttorie, si pone un ulteriore problema, ossia quello di stabilire se in tal caso spetti alle parti il c.d. diritto alla prova contraria, cioè la facoltà di dedurre, ex art. 183, 5° co., i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione ai mezzi di prova disposti di ufficio.

Al fine di garantire il diritto di difesa, si è ritenuto applicabile il comma 5 dell’art. 183 c.p.c., quantomeno nella ipotesi di c.t.u. percipiente e limitatamente alle istanze volte ad asseverare fatti estintivi, impeditivi e modificativi rispetto a quelli accertati dal c.t.u.

Il secondo comma dell'art. 191 configura come vicenda eccezionale la nomina di una pluralità di consulenti, possibile soltanto nelle fattispecie tipiche, espressamente previste dalla legge oppure in caso di grave necessità.
Quest'ultimo presupposto ricorre quando gli accertamenti da compiere richiedono
l'impiego di conoscenze scientifiche e professionali di differente genere oppure si presentino complesse ed articolate, tanto che la designazione di un solo consulente non ne consentirebbe l'esaurimento in un ragionevole arco temporale, o ancora quando vi sia concorde istanza delle parti.

Massime relative all'art. 191 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 19372/2021

Qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CALTANISSETTA, 20/03/2019).

Cass. civ. n. 2671/2020

Il consulente tecnico di ufficio ha il potere di attingere "aliunde" notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali quando ciò sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli, sempre che non si tratti di fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti. Dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice, a condizione che ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio. (Rigetta, TRIBUNALE FIRENZE, 03/06/2014).

Cass. civ. n. 326/2020

La consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario e potendo la motivazione dell'eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 14/02/2017).

Cass. civ. n. 31886/2019

In tema di consulenza tecnica di ufficio, lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al "thema decidendum" della controversia o l'acquisizione ad opera dell'ausiliare di elementi di prova (nella specie, documenti) in violazione del principio dispositivo cagiona la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come nullità a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti.

In tema di consulenza tecnica di ufficio, in virtù del principio dispositivo e dell'operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l'ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può - nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti - indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. A tale regola può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti.

Cass. civ. n. 27776/2019

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, anche quando questa sia percipiente, ossia disposta per l'acquisizione di dati la cui valutazione sia rimessa all'ausiliario, quest'ultimo non può avvalersi, per la formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei tempi e modi permessi dalla scansione processuale, pena l'inutilizzabilità delle conclusioni del consulente fondate sui detti documenti in violazione delle regole di riparto dell'onere probatorio, essendo in conseguenza irrilevante la mancata tempestiva proposizione dell'eccezione di nullità della consulenza.

Cass. civ. n. 25022/2019

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, la violazione, da parte del CTU, dell'obbligo di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli comporta la nullità della perizia, rilevabile d'ufficio, poiché l'ausiliare del giudice svolge nel processo una pubblica funzione nell'interesse generale e superiore della giustizia. (Nella specie, il CTU non aveva sottoposto a visita l'attore in primo grado, il quale lamentava di avere subito dei danni per colpa medica, né aveva predisposto una relazione degli incontri avvenuti con il medesimo attore ed i consulenti di parte, omettendo di riportare le loro osservazioni ed istanze).

Cass. civ. n. 512/2017

Al limite costituito dal divieto per il consulente tecnico di ufficio di compiere indagini esplorative è consentito derogare quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l'ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo, in questo caso, consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza.

Cass. civ. n. 96/2017

Il principio di collegialità non esclude che fra i componenti di un collegio di consulenti tecnici sia fatta distribuzione di particolari attività, tanto più quando alcuni di essi abbiano una competenza professionale distinta da quella degli altri, purché i risultati dell'attività di ciascuno siano partecipati agli altri e da questi valutati, sicché collegialmente si formino le conclusioni da sottoporre al giudice. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito osservando che la suddivisione del lavoro nell’ambito del collegio peritale, giustificata da ragioni pratiche inerenti alla vastità del lavoro da svolgere, aveva interessato soltanto la risposta ai chiarimenti richiesti, tenuto anche conto del fatto che la relazione era stata fatta propria da entrambi gli ausiliari, che l’avevano sottoscritta nella sua interezza).

Cass. civ. n. 18770/2016

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, anche quando questa sia percipiente, ossia disposta per l'acquisizione di dati la cui valutazione sia poi rimessa all'ausiliario, quest'ultimo non può avvalersi, per la formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei tempi e modi permessi dalla scansione processuale, pena l'inutilizzabilità, per il giudice, delle conclusioni del consulente fondate sugli stessi (nella specie, relative al nesso causale tra le lesioni subite e l'incidente stradale verificatosi tra le parti).

Cass. civ. n. 1186/2016

La consulenza tecnica d'ufficio è funzionale alla sola risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni di ordine tecnico e non giuridico sicché i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, né, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata (nella specie, quella relativa alla qualificazione della "attività confacente alle attitudini dell'assicurato", di cui all'art. 1 della l. n. 222 del 1984, come attività usurante o stressante, o meno), di essa si deve tenere conto, a meno che non venga vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti.

Cass. civ. n. 17399/2015

La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l'istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso (nella specie, documentata attraverso l'allegazione di un certificato medico indicativo del nesso di causalità tra la sindrome depressiva lamentata e la condotta illecita del convenuto), costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza.

Cass. civ. n. 12921/2015

Il consulente tecnico di ufficio ha il potere di acquisire ogni elemento necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, anche se risultanti da documenti non prodotti in giudizio, sempre che non si tratti di fatti che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni, debbono essere provati dalle parti.

Cass. civ. n. 12703/2015

Il giudice del merito non è tenuto a fornire un'argomentata e dettagliata motivazione là dove aderisca alle elaborazioni del consulente ed esse non siano state contestate in modo specifico dalle parti, mentre, ove siano state sollevate censure dettagliate e non generiche, ha l'obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle specifiche critiche sollevate, corredando con una più puntuale motivazione la propria scelta di aderire alle conclusioni del consulente d'ufficio.

Cass. civ. n. 17757/2014

Nel nostro ordinamento vige il principio "judex peritus peritorum", in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d'ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In ambedue i casi, l'unico onere incontrato dal giudice è quello di un'adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto.

Cass. civ. n. 6195/2014

L'inosservanza, da parte del consulente tecnico d'ufficio, del termine assegnatogli per il deposito della consulenza, non comporta di regola alcuna nullità, se non in particolari casi nel rito del lavoro.

Cass. civ. n. 4017/2013

In tema di risarcimento del danno, ove sia stata svolta una consulenza tecnica di ufficio per una precisa quantificazione dello stesso (nella specie, relativo al pregiudizio patrimoniale subito da fabbricati ed aree edificabili per effetto di immissioni di polveri di cemento), il giudice può far ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., solo quando ritenga, con congrua e logica motivazione, il relativo accertamento peritale inidoneo allo scopo, sussistendo, pertanto, il presupposto normativo del ricorso all'equità, costituito dalla situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno; incorre, invece, in evidente contraddizione, rendendo impossibile l'individuazione dei criteri e del percorso logico seguito per pervenire alla liquidazione, il giudice che, dopo aver ritenuto inattendibile la consulenza tecnica, utilizzi i valori in essa accertati per operare la valutazione equitativa del danno.

Cass. civ. n. 23362/2012

Nella valutazione della consulenza tecnica d'ufficio, espletata in materia che richieda elevate cognizioni specifiche (nella specie, edilizia di convogliamento delle acque), è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, recepire le argomentazioni dell'esperto nominato dall'ufficio, assistite da presunzione d'imparzialità, astenendosi da considerazioni personali sulle contrapposte argomentazioni del consulente di parte, meno attendibili perché influenzate dall'esigenza di sostenere le ragioni del preponente.

Cass. civ. n. 15666/2011

Rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l'istanza di riconvocazione del consulente d'ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l'eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l'irrilevanza o la superfluità dell'indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione.

Cass. civ. n. 5148/2011

Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. Qualora, poi, nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, il giudice, ove voglia uniformarsi alla seconda consulenza, è tenuto a valutare le eventuali censure di parte e giusitificare la propria preferenza, senza limitarsi ad un'acritica adesione ad essa; egli può, invece, discostarsi da entrambi le soluzioni solo dando adeguata giusitificazione del suo convincimento, mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti, nonchè, trattandosi di una questione meramente tecnica, fornendo adeguata dimostrazione di avere potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che, in un giudizio sulla revisione dei prezzi nell'appalto di opere pubbliche, aveva acriticamente recepito, ai fini dell'applicazione di una o dell'altra tabella per la liquidazione della revisione, una delle due soluzioni proposte dal c.t.u. espletata in grado d'appello, difforme ed inconciliabile sia con l'altra, proposta dal medesimo consulente, sia con le conclusioni del consulente tecnico nominato in primo grado).

Cass. civ. n. 4657/2011

In sede di giudizio di appello, allorché venga disposta una nuova (rispetto a quella eseguita in prime cure) consulenza tecnica d'ufficio (nella specie, per accertare il diritto dell'assicurato all'assegno di invalidità ed all'indennità di accompagnamento), l'eventuale accoglimento, da parte del giudice del gravame, della tesi del secondo consulente d'ufficio non necessita di una confutazione particolareggiata delle diverse risultanze e valutazioni della prima consulenza, essendo necessario soltanto che detto giudice non si limiti ad una acritica adesione al parere del secondo ausiliario, ma valuti le eventuali censure di parte, indicando le ragioni per cui ritiene di dover disattendere le conclusioni del primo consulente.

Cass. civ. n. 3130/2011

La consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, c.p.c.).

Cass. civ. n. 1149/2011

La consulenza tecnica, che in genere non è mezzo di prova bensì strumento di valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti, può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva nell'accertamento di situazioni rilevabili solo con l'ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche, come avviene con la consulenza grafica, che è il principale strumento di accertamento dell'autenticità della sottoscrizione. Ne consegue che il giudice può aderire alle conclusioni della consulenza grafica senza essere tenuto a motivare l'adesione, salvo che dette conclusioni non formino oggetto di specifiche censure.

Cass. civ. n. 6050/2010

Le norme relative alla scelta del consulente tecnico d'ufficio hanno natura e finalità esclusivamente direttive, essendo la scelta riservata, anche per quanto riguarda la categoria professionale di appartenenza del consulente e la competenza del medesimo a svolgere le indagini richieste, all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Ne consegue che la decisione di affidare l'incarico ad un professionista (nella specie, geometra) iscritto ad un altro diverso da quello competente per la materia al quale si riferisce la consulenza (nella specie, ingegneri), ovvero non iscritto in alcun albo professionale, non è censurabile in sede di legittimità e non richiede specifica motivazione.

Cass. civ. n. 10222/2009

Non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca "per relationem" le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d'ufficio già dinanzi al giudice "a quo", la loro rilevanza ai fini della decisione e l'omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell'elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 28855/2008

Il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, atteso che, se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice del lavoro avesse tenuto in considerazione le risultanze di una consulenza contabile ordinata dal g.i.p. nel corso di un incidente probatorio ed avente ad oggetto il comportamento illecito del dipendente di una banca citata in giudizio da un creditore di detto dipendente perché fosse valutata la legittimità dell'eccezione di compensazione - sollevata da detta banca - tra le somme dovutele dal dipendente medesimo a titolo risarcitorio e quelle cui la banca era tenuta a titolo di t.f.r. a favore di quest'ultimo).

Cass. civ. n. 27247/2008

Rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d'ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto le indagini, sostituendo l'ausiliare del giudice. L'esercizio di tale potere, con ordinanza emanata su istanza di parte o su iniziativa officiosa e revocabile ex art. 177, comma secondo, c.p.c., non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici ; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia l'attività espletata dal consulente sostituito.

Cass. civ. n. 10688/2008

Allorché ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fato carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. ).

Cass. civ. n. 24620/2007

Le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente neppure nel caso di consulenza tecnica d'ufficio cosiddetta «percipiente» che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti. (Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto una domanda di risarcimento del danno per mancato rilascio di certificato di agibilità necessario allo svolgimento di attività alberghiera, in quanto sfornita di allegazione e prova del pregiudizio asseritamente subito, avendo già rigettato, in corso di giudizio, l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta ai fini della quantificazione del danno medesimo).

Cass. civ. n. 15219/2007

La consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitaramente considerato effettuata dal suddetto giudice. (Nella specie, la S.C. con riferimento ad un giudizio riguardante un'ingiunzione di pagamento fondata su una fideiussione omnibus, ha rilevato l'inammissibilità della relativa censura prospettata dalla ricorrente circa la mancata ammissione della C.T.U., avendo i giudici del merito dimostrato, con adeguata e logica motivazione, la superfluità di un accertamento tecnico grafologico, in mancanza di alcun elemento probatorio che supportasse l'assunto della mancata insorgenza del rapporto obbligatorio per essere stato il documento firmato in bianco.).

Cass. civ. n. 14759/2007

Il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d'ufficio, ma può ben fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso studi o ricerche personali.

Cass. civ. n. 21412/2006

La consulenza tecnica d'ufficio ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, ma non è certo destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova previsti dall'art. 2697 c.c. .

Cass. civ. n. 20820/2006

Il giudice d'appello, sia pure con l'obbligo di motivare adeguatamente il suo disaccordo dalle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio del giudice di primo grado, non è tenuto a disporre un nuovo accertamento peritale se non condivide le conclusioni del primo consulente. La decisione di non disporne l'ammissione non è sindacabile in sede di legittimità, posto che compete al giudice del merito valutare se il relativo espletamento possa condurre o meno ai risultati perseguiti dalla parte istante, sulla quale incombe pertanto l'onere di offrire gli adeguati elementi di valutazione. (Nella specie, il giudice dell'appello ha ritenuto ininfluente l'accertamento eseguito dal consulente in primo grado — consistito in una sorta di simulazione dell'attività di una impresa di discarica — ai fini dell'accoglimento di una domanda di risarcimento dei danni provocati dalla P.A., con l'illegittimo diniego di un'autorizzazione che aveva ritardato l'inizio dell'attività d'impresa; il giudice di appello non ha ritenuto provata — pur accettando in astratto i risultati delle indagini peritali — la effettiva produzione dei danni.

Cass. civ. n. 19661/2006

Il controllo del giudice del merito sui risultati dell'indagine svolta dal consulente tecnico d'ufficio costituisce un tipico apprezzamento di fatto, in ordine al quale il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della sufficienza e correttezza logico giuridica della motivazione. In particolare, ove il giudice di primo grado si sia conformato alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, il giudice di appello può pervenire a valutazioni divergenti da quelle, senza essere tenuto ad effettuare una nuova consulenza, qualora, nel suo libero apprezzamento, ritenga, dandone adeguata motivazione, le conclusioni dell'ausiliario non sorrette da adeguato approfondimento o non condivisibili per altre convincenti ragioni. (Principio espresso in fattispecie nella quale il giudice d'appello — in un giudizio di revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, primo comma, numero 1, legge fall., di un atto di compravendita — aveva ritenuto non affidante il metodo sintetico-comparativo seguito dal consulente per accertare il prezzo dell'immobile compravenduto, giacché questi non aveva offerto puntuali indicazioni in ordine agli accertamenti a tal fine effettuati; e, giudicando più attendibile la determinazione del valore dell'immobile effettuata secondo il metodo analitico, aveva perciò rigettato la domanda, ritenendo non provata la notevole sproporzione tra le prestazioni, considerata invece sussistente dal giudice di primo grado, il quale aveva recepito le conclusioni del consulente).

Cass. civ. n. 3990/2006

In tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche. (Nella fattispecie, relativa all'azione di danni del conduttore di immobili nei confronti del locatore per lavori di ristrutturazione del fabbricato, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito che aveva rigettato la domanda per avere la stessa ritenuto che l'attore aveva dedotto e prodotto i documenti di spesa soltanto durante la consulenza tecnica di primo grado, quindi irritualmente, per violazione dell'articolo 87 disp. att. c.p.c. e del diritto di difesa, con conseguente irritualità e inammissibilità della stessa consulenza, trasformatasi in mezzo di prova, ed erroneità della sentenza di accoglimento del primo giudice, in quanto fondata su quei preventivi, non anche su elementi di prova forniti dalla parte; ha conclusivamente affermato la S.C. che l'intervento del consulente era stato ritenuto necessario per accertare sia lo stato dei luoghi e la riduzione del valore locativo dell'immobile, sia eventuali danni patrimoniali ai beni di proprietà attorea).

Cass. civ. n. 3187/2006

Quando la nomina di un consulente tecnico non sia imposta dalla legge in considerazione della particolare natura della controversia, il giudice ha solo una facoltà di fare ricorso, anche di ufficio, al parere di un suo perito per le valutazioni che richiedono specifiche conoscenze tecniche. In assenza di istanza di parte il giudice non ha, dunque, alcun dovere di motivazione sulle ragioni che lo hanno indotto a non avvalersi di questa facoltà.

Cass. civ. n. 8297/2005

Non è affetta dal vizio di motivazione la sentenza del giudice di appello che, seguendo le conclusioni del consulente tecnico di ufficio nominato nel secondo grado del giudizio, ometta una specifica risposta alle note critiche alla relazione peritale, redatte dal difensore della parte e quindi non da un organo tecnico in grado di muovere censure con crisma di attendibilità. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva omesso di motivare in ordine alle osservazioni fatte, dal difensore della parte e non da un tecnico, ad una consulenza volta a ricostruire la gestione economica di un'azienda agricola).

Cass. civ. n. 20814/2004

Il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l'altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, con la conseguenza che quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l'anzidetto profilo.

Cass. civ. n. 3577/2004

Allorchè, in sede di giudizio di appello, venga disposta una nuova (rispetto a quella eseguita in prime cure) consulenza tecnica d'ufficio (nella specie, per accertare il diritto dell'assicurato ricorrente ad ottenere il ripristino di rendita infortunistica già in godimento fino a visita di revisione), l'eventuale accoglimento, da parte del giudice del gravame, della tesi del secondo consulente d'ufficio non necessita di una confutazione particolareggiata delle diverse risultanze e valutazioni della prima consulenza, essendo necessario soltanto che detto giudice non si limiti ad una acritica adesione al parere del secondo ausiliario, ma valuti le eventuali censure di parte, indicando le ragioni per cui ritiene di dover disattendere le conclusioni del primo consulente.

Cass. civ. n. 88/2004

In tema di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio — che può costituire fonte oggettiva di prova tutte le volte che opera come strumento di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche — è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall'onere probatorio e dell'obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata dimostrazione — suscettibile di sindacato in sede di legittimità — di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe verosimilmente accertato.

Cass. civ. n. 12304/2003

Ove la decisione di una controversia dipenda da una questione tecnica, il giudice che censuri il parere espresso del consulente d'ufficio ha l'onere di motivare adeguatamente tale censura e, in tale ambito, può motivatamente escludere la stessa necessità dell'indagine tecnica, ovvero disporre motivatamente una nuova indagine, ovvero fornire adeguata dimostrazione di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione.

Cass. civ. n. 10816/2003

Il giudice, il quale disattenda il parere espresso dal consulente tecnico d'ufficio, ha l'onere di dare di ciò adeguata motivazione, autonomamente e direttamente penetrando nella questione tecnica e di questa giungendo a dare propria, diversa e motivata soluzione. Tuttavia, nel caso in cui il giudice, dopo avere espletato un'indagine tecnica d'ufficio e dopo avere disposto, a seguito delle critiche a questa formulate dalle parti, altra indagine, ritrovi nei fatti nuovamente accertati una conferma del primo parere, può, contestualmente avvalendosi delle due consulenze, non accogliere il secondo parere nella sua interezza, bensì nella misura del riscontro, che del precedente parere egli esigeva; in tale caso, la giustificazione della decisione è costituita anche dal primo parere. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., ha utilizzato la consulenza tecnica d'ufficio espletata in grado di appello per la diagnosi e per il giudizio circa l'assenza di miglioramenti nei confronti della situazione preesistente, pur avendo il consulente tecnico affermato che all'epoca della revoca la capacità di guadagno della ricorrente non era ridotta nelle misura di cui all'art. 10 del R.D.L. n. 636 del 1939).

Cass. civ. n. 2589/2003

In tema di consulenza tecnica, rientra nella discrezionalità del giudice istruttore stabilire se la mancata partecipazione del consulente tecnico di parte alle operazioni peritali sia stata determinata da un impedimento riconducibile ad eventi eccezionali e, in ogni caso, l'eventuale nullità della consulenza derivante dalla sua mancata partecipazione a dette operazioni ha carattere relativo e, conseguentemente, deve essere eccepita, a pena di decadenza, nella prima udienza successiva al deposito della relazione.

Cass. civ. n. 125/2003

Quando il giudice di merito ritenga di aderire alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad una particolareggiata motivazione, ben potendo il relativo obbligo ritenersi assolto con l'indicazione, come fonte del proprio convincimento, della relazione di consulenza, anche nel caso in cui le valutazioni contenute in una prima relazione peritale siano state oggetto di esame critico in una successiva consulenza tecnica d'ufficio, alle cui conclusioni il giudice di merito ritenga di aderire. Anche in questo caso, infatti, è sufficiente la ragionata accettazione dei risultati della nuova consulenza per ritenere implicitamente disattesi, senza necessità di specifica ed analitica confutazione, le argomentazioni e i conclusivi rilievi esposti nella precedente consulenza.

Cass. civ. n. 87/2003

Il giudice di merito, nell'esercizio del proprio potere discrezionale di accoglimento (o di rigetto), anche implicito, di una istanza di consulenza tecnica avanzata da una delle parti del processo, è tenuto unicamente ad evidenziare, in sede di motivazione della propria decisione, la esaustività delle altre prove, acquisite o prodotte nel corso dell'istruttoria, ai fini delle pronuncia definitiva sulla controversia. Egli non può, per converso, negare ingresso a detta istanza, omettendo di confutare le ragioni addotte dalla parte a sostegno della medesima, e ritenere nel contempo indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti invece, provare, specie quando oggetto dell'accertamento risultino elementi rispetto ai quali la consulenza si presenta come lo strumento più efficiente d'indagine e la parte si trovi, se non nell'impossibilità, quanto meno nella pratica difficoltà di offrire adeguati parametri di valutazione.

Cass. civ. n. 12406/2002

Il giudice di merito non è tenuto ad argomentare diffusamente la propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, mentre ha l'obbligo di esaminare i rilievi mossi alla consulenza ove essi risultino specifici e argomentati, vuoi per verificarne la fondatezza mediante il rinnovo della indagine, vuoi per disattenderli con adeguata confutazione delle tesi ivi esposte.

Cass. civ. n. 5422/2002

In materia di procedimento civile, la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice del merito, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze. La nomina del consulente rientra quindi nel potere discrezionale di tale giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti, sicché ove una richiesta di tale genere venga formulata dalla parte essa non costituisce una richiesta istruttoria in senso tecnico ma una mera sollecitazione rivolta al giudice perché questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo; ne consegue che una tale richiesta non può mai considerarsi tardiva, anche se formulata solamente in sede di precisazione delle conclusioni, né generica, poiché è sempre il giudice che, avvalendosi dei suoi poteri, delimita l'ambito dell'indagine da affidare al Ctu.

Cass. civ. n. 71/2002

È nel potere discrezionale del giudice disattendere le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, senza dover disporre un'ulteriore perizia, purché disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata; detta decisione può essere censurata in sede di legittimità solo ove la soluzione scelta non risulti sufficientemente motivata.

Cass. civ. n. 15590/2001

Per non incorrere nel vizio di motivazione il giudice che si discosta dal parere espresso dal c.t.u. su un punto decisivo della controversia deve giustificare il proprio dissenso in modo adeguato. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso il carattere professionale dell'ernia del disco contratta dallo scaricatore di porto ricorrente, attribuendo, del tutto illogicamente e senza un sufficiente vaglio del materiale probatorio acquisito, prevalenza alle dichiarazioni di due testi rispetto alle diffuse e precise argomentazioni del c.t.u. in merito alla attribuibilità, alla malattia de qua, dei requisiti di tipicità, specificità e inconfondibilità propri di una tecnopatia).

Cass. civ. n. 15318/2001

In caso di contrasto fra consulenze tecniche di ufficio disposte in gradi diversi del giudizio di merito, l'accoglimento da parte del giudice dell'appello delle conclusioni formulate dal secondo consulente presuppone solo il controllo della correttezza metodologica della consulenza redatta dal secondo ausiliare e non richiede alcun processo motivazionale in ordine alla scelta di tali conclusioni, essendo il diverso risultato della seconda consulenza un naturale effetto del giudizio di appello, che — in quanto revisio prioris instantiae — è proprio diretto a raggiungere un risultato diverso da quello di primo grado in relazione ai medesimi fatti.

Cass. civ. n. 9922/2001

Il giudice di merito non può ritenersi vincolato dalle deduzioni tratte dal c.t.u. in base agli accertamenti tecnici, essendo suo precipuo compito trarre autonomamente logiche conclusioni, giuridiche e di merito, sulla base del materiale probatorio acquisito.

Cass. civ. n. 9567/2001

Qualora il giudice di appello, esaminando i risultati di due successive consulenze tecniche di ufficio disposte in primo grado e fra loro contrastanti aderisca al parere del secondo consulente respingendo quello del primo, la motivazione della sentenza è sufficiente anche se tale adesione non sia specificamente giustificata ove il parere cui è prestata adesione fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, su un piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, siano essi esposti nella seconda relazione o deducibili aliunde. La suddetta specifica giustificazione è, invece, necessaria nella diversa ipotesi di adesione alle conclusioni della prima di due divergenti consulenze tecniche disposte dallo stesso giudice.

Cass. civ. n. 8165/2001

Quando i rilievi contenuti nella consulenza tecnica di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d'ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Cass. civ. n. 3787/2001

Qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che questi risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito con cui era stata respinta la domanda di prestazioni assistenziali, aderendo alla C.t.u. espletata in grado d'appello secondo cui la malattia non era «documentata con rigore scientifico» senza motivare sulla mancata considerazione delle cartelle cliniche utilizzate dal primo c.t.u.).

Cass. civ. n. 3343/2001

In relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d'ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'attività esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Ai sopraindicati limiti è consentito derogare unicamente quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, nella quale ipotesi, peraltro, la parte che denunzia la mancata ammissione della consulenza ha l'onere di precisare, sotto il profilo causale, come l'espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata.

Cass. civ. n. 15136/2000

Il principio secondo cui il provvedimento che disponga, o no, la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità va contemperato con quello secondo il quale il giudice stesso deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, in relazione alla quale la consulenza può profilarsi come lo strumento più funzionale ed efficiente di indagine, con la conseguenza che, ove egli abbia ritenuto di non avvalersi di tale strumento, deve fornire adeguata dimostrazione di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizione proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l'istanza di ammissione della consulenza medesima sic et simpliciter, ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe, invece, verosimilmente accertato.

Cass. civ. n. 14979/2000

La consulenza tecnica di ufficio è un mezzo istruttorio non una prova vera e propria è pertanto, sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito il quale, tuttavia, non può respingere, senza adeguata motivazione, una istanza di ammissione di tale mezzo formulata dalla parte, sempre che in essa siano state indicate le ragioni dell'indispensabilità delle indagini tecniche per la decisione.

Cass. civ. n. 1132/2000

Un ente pubblico - quall'è un consorzio tra comuni costituito ai sensi del r.d. 3 marzo 1934 n. 383 - è di natura economica se produce, per legge e per statuto (e quindi in modo non fattuale e non contingente) beni o servizi con criteri di economicità, ossia con equivalenza, almeno tendenziale, tra costi e ricavi, analogamente ad un comune imprenditore. Se invece l'ente può normativamente perseguire molte finalità con finanziamenti dello Stato e degli enti consorziati, e cioè diversi dai corrispettivi ottenuti, indipendentemente dall'utilizzazione concreta, e pur nel caso in cui il Cip manifesti l'orientamento di adeguare i prezzi delle forniture ai costi, la gestione comunque non è economica - non avendo effetti automatici la sopravvenienza della l. 8 giugno 1990 n. 142 in assenza di trasformazione o soppressione della struttura associativa preesistente - e perciò la giurisdizione, per le controversie di lavoro con il personale dipendente, appartiene, per le questioni attinenti a periodo del rapporto anteriore al 30 giugno 1998, esclusivamente al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 45, comma 17, d.lg. 30 marzo 1998 n. 80, configurandosi un rapporto di pubblico impiego.

Cass. civ. n. 12080/2000

Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, ai rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall'art. 360 n. 5 c.p.c.

Cass. civ. n. 8395/2000

La consulenza tecnica pur non costituendo, nel vigente codice di rito un mezzo di prova, non essendo diretta ad acclarare la verità o meno di determinati fatti, può assumere il valore di oggettiva fonte di convincimento ove trattisi di fatti rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e non di circostanze o situazioni storiche che, in quanto poste a fondamento della domanda o dell'eccezione, debbono essere provate dalle parti.

Cass. civ. n. 4588/2000

Nell'ipotesi in cui l'accertamento tecnico debba eseguirsi lontano dalla sede giudiziaria competente per la definizione della controversia, il giudice può delegare per la nomina del consulente tecnico il pretore del mandamento in cui deve svolgersi il predetto accertamento, in analogia con quanto disposto dall'art. 203 c.p.c. per l'assunzione dei mezzi di prova fuori della circoscrizione del tribunale.

Cass. civ. n. 7319/1999

La consulenza tecnica d'ufficio — che, normalmente, non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione, sotto il profilo tecnico-scientifico, di dati già acquisiti che non può essere utilizzato al fine di esonerare le parti dall'onus probandi gravante su di esse — può contenere elementi idonei a formare il convincimento del giudice. Ne consegue che una volta che l'ausiliare abbia, di sua iniziativa, assunto legittimamente informazioni il giudice, tenuto a valutare se l'iniziativa sia stata utilmente condotta, incorre nel vizio di omessa motivazione se non esamina affatto una questione — prospettata dalle parti o rilevabile d'ufficio — che risulta dalla relazione peritale acquisita agli atti. (Nella specie la sentenza impugnata — cassata con rinvio dalla S.C. — nel riconoscere il diritto del ricorrente all'assegno di invalidità, con decorrenza dal mese di dicembre del 1986, non aveva affatto preso in esame la circostanza, risultante dalla relazione peritale, che il ricorrente medesimo era anche titolare di pensione di vecchiaia dal mese di ottobre del 1988, sicché erano stati lasciati in vita entrambi i trattamenti in contrasto con il principio di preclusività alternativa delle prestazioni previdenziali).

Cass. civ. n. 996/1999

La consulenza tecnica è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, il quale, tuttavia, nell'ammettere il mezzo stesso deve attenersi al limite ad esso intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico; pertanto il giudice, qualora erroneamente affidi al consulente lo svolgimento di accertamenti e la formulazione di valutazioni giuridiche o di merito inammissibili, non può risolvere la controversia in base ad un richiamo alle conclusioni del consulente stesso, ma può condividerle soltanto ove formuli una propria autonoma motivazione basata sulla valutazione degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo e dia sufficiente ragione del proprio convincimento, tenendo conto delle contrarie deduzioni delle parti che siano sufficientemente specifiche. (Nella specie il giudice di merito aveva fatto riferimento alle argomentazioni del consulente tecnico d'ufficio riguardo alla sussistenza dei presupposti del diritto di un dipendente delle Ferrovie dello Stato ad una superiore qualifica, concretamente consistenti nella vacanza del posto e nella proroga della validità di una graduatoria di merito degli accertamenti professionali).

Cass. civ. n. 333/1999

Le valutazioni espresse dal C.T.U. non hanno efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo indicare in particolare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del C.T.U. In materia di valutazione di immobili ai fini della liquidazione dell'indennità di esproprio o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa, qualora ritenga inaccettabili i criteri adottati dal consulente, può disattenderne le conclusioni facendo, ad esempio, riferimento alla stima amministrativa, quale indice di valutazione idoneo, insieme alle altre emergenze di causa, alla determinazione dell'indennità, ma non può apoditticamente affermare l'eccessività del valore venale, come accertato dal consulente tecnico, sostituendolo con un altro valore ritenuto, semplicemente, equo.

Cass. civ. n. 321/1999

La consulenza tecnica, pur avendo, di regola, la funzione di fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già probatoriamente acquisiti al processo, può legittimamente costituire, ex se, fonte oggettiva di prova qualora si risolva non soltanto in uno strumento di valutazione, bensì di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche, così che, in tal caso, viola la legge processuale il giudice di merito che ne rifiuti l'ammissione sotto il profilo del mancato assolvimento, da parte dell'istante, dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c. (Nella specie, richiesta una consulenza tecnica da parte di un condomino al fine di accertare il risparmio di spesa, da parte del condominio, conseguente al mancato utilizzo del proprio impianto di riscaldamento — cui egli aveva all'uopo apposti i sigilli — il giudice di merito aveva rigettato come inammissibile l'istanza ritenendo la consulenza de qua funzionale ad una inammissibile indagine esplorativa, in mancanza di altre prove fornite dal richiedente. La S.C., nel cassare la sentenza e nel sancire il principio di diritto di cui in massima, ha, ancora, osservato, con riferimento al caso di specie, come la prova del risparmio di spesa per il condominio non potesse fornirsi che attraverso una indagine tecnica che procedesse, da un canto, alla misurazione del calore proveniente dagli appartamenti limitrofi di cui i locali dell'attore avevano pur sempre beneficiato, e, dall'altro, all'accertamento della diminuzione di energia in concreto irrogata dall'impianto centrale).

Cass. civ. n. 4520/1998

La consulenza tecnica, una volta ammessa ed espletata, oltre a fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già provati, costituisce fonte oggettiva di prova dei fatti accertati dal consulente e riferiti nella sua relazione.

Cass. civ. n. 2769/1997

Poiché le ordinanze, anche collegiali, sono sempre revocabili e modificabili da parte del giudice che le ha emesse, con le sole eccezioni di cui all'art. 177 c.p.c., il giudice di merito ben può, nell'esercizio delle proprie discrezionali attribuzioni, formulare al C.T.U. un quesito diverso da quello inizialmente indicato nell'ordinanza di nomina.

Cass. civ. n. 9522/1996

Il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l'incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). Nel primo caso la consulenza presuppone l'avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente. In questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o consiglino di procedere direttamente all'accertamento.

Cass. civ. n. 6792/1996

Nel caso di contrasto tra le valutazioni espresse dai consulenti tecnici d'ufficio nei due gradi del giudizio di merito, qualora il giudice d'appello ritenga di dover prestare completa adesione alle conclusioni formulate dal consulente tecnico da lui stesso nominato, non è obbligato ad indicare le ragioni per le quali disattende la contraria valutazione espressa dalla prima consulenza, la quale deve ritenersi, eventualmente anche per implicito, rifiutata in base alle considerazioni espresse nella seconda consulenza con essa incompatibili.

Cass. civ. n. 2205/1996

In relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d'ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Ai sopraindicati limiti è consentito derogare unicamente quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, nella quale ipotesi, peraltro, la parte che denunzia la mancata ammissione della consulenza ha l'onere di precisare, sotto il profilo causale, come l'espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata.

Cass. civ. n. 7863/1995

Il giudice di merito che ha regolarmente acquisito al processo l'accertamento tecnico preventivo può trarre elementi di prova anche dalle indagini effettuate dal consulente tecnico al di fuori dei limiti dell'incarico ricevuto se queste indagini siano state compiute nel rispetto del contraddittorio.

Cass. civ. n. 8669/1994

Se nel corso del giudizio vengono nominati, in tempi successivi, due o più consulenti tecnici d'ufficio le cui conclusioni siano difformi ed inconciliabili fra loro, il giudice può seguire il parere dell'uno o dell'altro o anche discostarsi da tutti, purché dia adeguata giustificazione del suo convincimento mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti. In particolare, allorquando intenda uniformarsi al parere del secondo consulente, non può limitarsi ad una critica adesione ad esso, ma deve, invece, valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, indicando le ragioni per cui ritiene di dover disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste non siano state già criticamente esaminate nella nuova relazione peritale, nel qual caso soltanto sarà sufficiente accettare ragionatamente le conclusioni di quest'ultima, senza necessità di una minuziosa ed analitica confutazione degli argomenti esposti nell'altra.

Cass. civ. n. 6500/1994

A norma dell'art. 6 della L. 8 luglio 1980, n. 319 (sui nuovi compensi ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori), nel caso di nomina di più periti, la collegialità dell'incarico (la quale comporta la determinazione di un compenso globale pari all'importo spettante ad un solo perito con l'aumento del quaranta per cento per ciascuno degli altri esperti) costituisce la regola e, pertanto, non occorre che risulti prevista dall'atto di affidamento del mandato, atto dal quale deve invece chiaramente risultare la previsione della singolarità dell'incarico, configurandosi la stessa (non desumibile ex post soltanto dal fatto che l'incarico sia stato svolto personalmente e per l'intero da ciascuno dei consulenti) come eccezione al principio di collegialità ed essendo la relativa previsione necessaria perché le parti abbiano un'esatta cognizione del modo di esplicazione del mandato.

Cass. civ. n. 4104/1992

In tema di malattie professionali non tabellate, la conclusione del consulente tecnico di ufficio circa la sussistenza in termini di probabilità, invece che di certezza, del nesso causale fra lo svolgimento dell'attività lavorativa e la malattia riscontrata nel lavoratore non è di per sé sufficiente a fondare un giudizio di non indennizzabilità della malattia, dovendo il giudice valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, con conseguente possibilità di tradurre le stesse in certezza giudiziale, alla stregua di ogni ulteriore elemento (eventualmente acquisibile mediante richiesta di chiarimenti o nuove indagini) che risulti utile in relazione alla situazione concreta, come, in particolare, l'entità e la durata dell'esposizione del lavoratore ai fattori di rischio associati all'attività lavorativa e l'incidenza di essi in rapporto all'eventuale esistenza di fattori esterni alternativi o concorrenti.

Cass. civ. n. 1223/1990

Il giudice del merito può trovare elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d'ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all'oggetto dell'indagine in funzione della quale è stata disposta, non esulando siffatto potere dall'ambito del libero apprezzamento delle prove cosiddette atipiche, ammissibili nel nostro ordinamento, in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova.

Cass. civ. n. 7295/1983

Sebbene il richiamo del giudice del merito alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio comporti il rigetto implicito delle opposte considerazioni delle parti, è tuttavia sempre necessario che la sentenza contenga l'esposizione, sia pur sintetica, delle ragioni poste dal consulente a sostegno delle proprie conclusioni (nella specie, riguardanti l'accertamento del valore venale in regime di libera contrattazione di un bene espropriato), al fine di un controllo sull'adeguatezza del richiamo e sulla completezza e coerenza della risposta fornita alle critiche relative all'elaborato peritale.

Cass. civ. n. 6229/1983

Qualora la risoluzione della controversia involga l'esame di problemi tecnici di non lieve difficoltà — quali sono quelli riguardanti le caratteristiche funzionali di una struttura in cemento armato — non è consentito al giudice di prescindere totalmente dalle conclusioni del C.T.U. dovendo, invece, ove reputi di dissentirne, contrapporre ad esse un ragionamento fondato su criteri scientifici, senza poter fondare il suo diverso avviso su fatti notori di non controllata esattezza, dovendo il notorio essere inteso in senso rigoroso e come fatto acquisito alla collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile.

Cass. civ. n. 2992/1960

Il provvedimento istruttorio col quale il giudice disponga consulenza tecnica, sia pure in grado di appello, ha sempre natura e carattere di ordinanza istruttoria anche se esso presupponga la risoluzione di una questione di merito non risolta con l'ordinanza: in tale ipotesi il provvedimento è soggetto a modifica o a revoca ai sensi dell'art. 279 c.p.c.

Cass. civ. n. 1304/1956

È nulla la nomina del consulente tecnico compiuta, in sede di giudizio di divisione, dal notaio, delegato dal giudice istruttore per le operazioni divisionali, anziché dal giudice stesso (art. 194 disp. att. c.p.c.) che ne deve anche ricevere il giuramento ai sensi dell'art. 193 c.p.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 191 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. G. chiede
martedì 21/06/2022 - Estero
“Se un giudice nomina una CTU che non ha i prerequisiti per assumere quell'incarico (non è nella lista dei periti, al momento della nomina non è iscritta nella camera di commercio, non ha esperienze pregresse come CTU) e sulla base del suo elaborato (infarcito di sciocchezze formali e sostanziali: dichiara il documento stilato su carta uso bollo di 27 righe, quando è notorio che la carta uso bollo ne ha sole 25 ed il documento in sua esame è un foglio A4 su cui è fotocopiata la seconda o la quarta pagina di un foglio protocollo... oltre alla citazione di uso di strumentazione tecnica di cui non si ha rilievo nel documento elaborato e presentato al giudice) formula sentenza nonostante fossero state fatte tutti i rilievi menzionati e anche alcuni in più, quella sentenza può essere impugnata come irregolare e può essere richiesto in sede di appello l'annullamento della sentenza di primo grado? Il giudice di cui sto parlando è anche presidente del tribunale nonchè comprovato amico su Facebook della co-titolare delle studio legale della controparte. Si è autoattribuito il caso, già assegnato prima del suo arrivo in tribunale ad altro giudice. Quella che ho esposta qui è solo la punta dell'iceberg.”
Consulenza legale i 01/07/2022
In realtà, quelli che nel quesito vengono definiti come “prerequisiti” per la nomina a CTU non lo sono affatto. Come ha chiarito la Cassazione, infatti, “le norme relative alla scelta del consulente tecnico d'ufficio hanno natura e finalità esclusivamente direttive, essendo la scelta riservata, anche per quanto riguarda la categoria professionale di appartenenza del consulente e la competenza del medesimo a svolgere le indagini richieste, all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Ne consegue che la decisione di affidare l'incarico ad un professionista (nella specie, geometra) iscritto ad un altro albo diverso da quello competente per la materia al quale si riferisce la consulenza (nella specie, ingegneri), ovvero non iscritto in alcun albo professionale, non è censurabile in sede di legittimità e non richiede specifica motivazione” (Cass. civ., Sez. III, 12/03/2010, n. 6050).
Ed ancora (secondo Cass. Civ., Sez. II, sentenza 06/07/2011, n. 14906), “la mancanza o l'invalidità della iscrizione nell'albo dei consulenti tecnici non è motivo di nullità della relativa nomina da parte del giudice, la cui scelta è insindacabile in sede di legittimità, così come quella di attenersi, in tutto o in parte, al relativo parere, ove la stessa sia sorretta da adeguata motivazione”.
Quanto alle contestazioni sollevate in relazione alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e alle conclusioni raggiunte dal C.T.U., in linea di massima il giudice non è neppure tenuto a dar conto delle ragioni che lo hanno spinto ad aderire alle conclusioni del consulente: si veda ad es. Cass. Civ., Sez. lavoro, 22/02/2006, n. 3881, secondo cui “la consulenza tecnica d'ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, per cui non è qualificabile come una prova vera e propria e, come tale, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito. Qualora sia stata disposta e ne condivida i risultati, il giudice non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l'accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità”.
Il giudice è, però, tenuto a dar conto delle motivazioni del proprio convincimento quando le contestazioni mosse dalle parti alla C.T.U. non siano puramente generiche: si veda tra le altre Cass. Civ., Sez. III, 24/04/2008, n. 10688 (“allorché ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte”); e ancora, secondo Cass. Civ., Sez. III, 06/09/2007, n. 18688, “il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure, alle quali, pertanto, è tenuto a rispondere per non incorrere nel vizio di motivazione”.
Ciò detto, la sentenza emessa dal giudice che non abbia accolto le osservazioni dei consulenti della parte soccombente non è “irregolare” e non potrà essere “annullata” in appello; semmai, nel secondo grado di giudizio di merito potranno essere riproposte le contestazioni non accolte e potranno chiedersi, a seconda dei casi, la convocazione del C.T.U. a chiarimenti, la rinnovazione delle indagini peritali e/o la sostituzione del consulente.

Salvatore P. chiede
venerdì 06/01/2017 - Lombardia
“Un istituto di conciliazione ADR in presenza di una contrversia tra fratelli uno dei quali il sottoscritto non vuole rispettare un accordo scritto per la divisione della casa paterna perché non informato che la zona è sismica di 1^ Categoria e la divisione con apertura di vano porta in muratura portante è ad alto rischio sismico, ha nominato come ctu un ingegnere meccanico laureato nel 2012 senza esperienza. Ho fatto presente al mediatore che l'ing. è inesperto, e che la valutazione economica di 5.600 euro che prevede la sola cerchiatura del vano porta non è sufficiente garantire la sicurezza dell'immobile e non tiene conto dei precedenti storici (sismici della zona e della casa che ha già riportato nel terremoto irpino del novembre 1980 gravi danni rappezzati con finanziamento dello Stato all'epoca di 8.000.000 di lire. Le nuove norme tecniche costruttive per zone sismiche del 2008 ed una circolare ministeriale del 2009 impongono per tali opere di "manutenzione" sugli edifici esistenza: valutazioni sulla sicurezza, precedenza al consolidamento sismico ed attenzione ai precedenti storici. Per il mediatore l'ing. meccanico è esperto perché iscritto all'ordine ingegneri di avellino e per essere iscritto nell'albo dei CTU del tribunale di Benevento. Mi risulta che gli ingegneri laureati A, dal 2006/2008 possono solo progettare per ambiti di competenza laurea e specializzazioni. Non sono più andato in mediazione; a chi devo ricorrere per invalidare una perizia fatta da un non esperto? Devo forse informare la Procura della Repubblica di Benevento perché ravvisi che non vi sia colpa grave e rischio di realizzare lavori pericolosi. Questi in caso di sisma possono essere causa di danni a persone e/cose.”
Consulenza legale i 11/01/2017
Al fine di redigere una perizia, è necessario essere un professionista possibilmente esperto della materia di cui trattasi. Non occorre avere una esperienza minima pregressa né l’essere – o meno – iscritti ad un albo professionale.

Nel caso di specie, la mediazione, obbligatoria in quanto vertente su un giudizio di divisione ereditaria, ha affidato ad un ingegnere la perizia per la valutazione della messa in sicurezza dell’edificio. Allo stato, non è possibile invalidare una perizia perché effettuata da un professionista “inesperto”.

Nel caso in cui Lei contesti la perizia sì come effettuata, ciò che le consigliamo di fare è di nominare un consulente tecnico di parte (un altro ingegnere di cui Lei si fida) al fine di sottoporgli la perizia effettuata dal CTU.
Infatti, sì come stabilito da una sentenza del Tribunale di Roma, la perizia elaborata in sede di mediazione ben può essere prodotta in sede di giudizio: “Ritiene il giudice, alla luce delle precedenti considerazioni ed in un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento, di poter dichiarare legittima ed ammissibile la produzione nella causa alla quale pertiene la mediazione, dell’elaborato del consulente tecnico esterno” (Trib. Roma, 17/3/2014). Sarà quindi il Suo consulente (nominato ai sensi dell’art. 201 c.p.c.) a stabilire la veridicità della perizia ed eventualmente a formulare osservazioni a quanto affermato dal CTU.

La nomina del CTP per formulare osservazioni dovrà avvenire in sede di eventuale giudizio, ma nulla osta a che Lei si rivolga (a prescindere dagli esiti della mediazione e all'eventuale giudizio) ad un ingegnere o un professionista di Sua fiducia per sottoporgli la perizia del CTU anche al fine di valutare profili di eventuale imperizia nella redazione della stessa.

Non si ravvisano profili rilevanti dal punto di vista penalistico: non si vede, infatti, a che titolo si potrebbe informare la Procura e soprattutto di che cosa.

Ciò che le consigliamo, in definitiva, è di munirsi di una perizia che accerti l’effettivo stato dei luoghi e degli eventuali pericoli ove non ri rispettasse la normativa antisismica.

Anonimo chiede
giovedì 28/07/2016 - Emilia-Romagna
“I servizi sociali per l'infanzia hanno inviato una relazione al Tribunale per i minori attribuendo ad una parte comportamenti ostativi assolutamente mai tenuti.Per contro,e,secondo me,d'accordo con l'altra parte,ha omesso di relazionare circa i veri comportamenti censurabili di quest'ultima. Il Tribunale dei minori,in assenza totale di prove che supportassero le affermazioni della relazione,hanno affidato il bimbo,con decreto provvisorio, alla parte rea di aver commesso atti gravissimi nei confronti del bimbo,uno per tutti,l'interruzione di un prelievo del sangue,perchè il bimbo non aveva voluto andare con il padre.
Cosa posso fare per sbugiardare questi irresponsabili e ottenere la revisione del decreto?
Grazie e cordiali saluti.”
Consulenza legale i 09/08/2016
Per rispondere al quesito occorre inquadrare correttamente, dal punto di vista processuale, il ruolo delle relazioni offerte al giudice dagli assistenti sociali.

Un primo interrogativo è se l’inchiesta sociale possa essere assimilabile ad una consulenza tecnica e, conseguentemente, se ad essa siano applicabili le norme previste in relazione alla Consulenza Tecnica d’Ufficio prevista nel processo civile (articoli 191 e seguenti c.p.c.) e che consiste nella nomina di un “tecnico” da parte del Giudice quando quest’ultimo necessiti di maggiori conoscenze in merito a questioni, appunto, eccessivamente tecniche per lui, sulle quali non è competente e che richiedono il parere di un esperto.

Le perizie dei CTU (consulenti tecnici d’ufficio) non sono considerabili mezzi di prova veri e propri ma uno strumento discrezionale che il Giudice ha per integrare d’ufficio l’indagine istruttoria.

La Cassazione, a proposito delle relazioni del servizi sociali, ha affermato che “le relazioni degli assistenti sociali, prudentemente vagliate dopo essere state oggetto di contraddittorio, hanno valore di prova indiziaria e di consulenza tecnica, sicché sono pienamente utilizzabili dal giudice in sede di libera formazione del proprio convincimento sia quanto ai fatti obiettivamente constatati dall'assistente, sia quanto ai pareri che, sulla base di quei fatti, egli abbia espresso e che il giudice, condividendoli, faccia propri con adeguata motivazione” (Cassazione civile, sez. I, 20 febbraio 1986, n. 1032).
Occorre precisare che, nella fattispecie di cui alla citata pronuncia, si trattava di relazioni svolte dai servizi indipendentemente e prima del giudizio, che il giudice aveva acquisito ai sensi dell’art. 213 c.p.c. (ossia come richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione) e non di indagini delegate direttamente dal giudice.

Ma se il valore di consulenza tecnica è stato riconosciuto ad un’indagine svolta in maniera autonoma e svincolata dal giudizio, a maggior ragione si potrà/dovrà ritenere che abbia tale valore quella richiesta espressamente dal giudice. Che i risultati delle indagini svolte dal servizio abbiano valore di consulenza tecnica è stato poi anche affermato dal Tribunale di Lecce (Tribunale di Lecce 11 marzo 88).

Peraltro, entrambi gli strumenti (relazione del servizi sociali e CTU) consistono in indagini delegate ad esperti per risolvere questioni che il giudice non può risolvere da solo, poiché richiedono specifiche conoscenze. Il servizio sociale, come il CTU, può ritenersi allora come un ausiliario del giudice, con la conseguente applicazione di quelle regole processuali che garantiscono il contraddittorio fra le parti.

Se ciò è vero, nel corso del processo le parti devono necessariamente avere la possibilità ed il diritto di interagire con i servizi sociali, “controllandone” l’operato o in corso di indagine oppure all’esito della stessa, mediante – come avviene per la CTU ordinarie – la concessione di termini a difesa, entro i quali esaminare le relazioni dei tecnici incaricati e formulare osservazioni ed eccezioni in merito. Quando si abbiano dei dubbi, pertanto, sull’operato dei servizi sociali le parti – per il tramite dei rispettivi avvocati - potranno e dovranno contestarne l’operato in corso di causa, rivolgendosi direttamente al Giudice. Potranno altresì chiedere, per gravi motivi, la sostituzione del consulente nominato.

Le relazioni scritte, infatti, non costituiscono rapporti confidenziali diretti al giudice, ma, in ossequio al principio del contraddittorio, debbano essere messe a disposizione delle parti del procedimento. Pertanto, le relazioni dei servizi, appena depositate nel fascicolo del Tribunale, saranno conoscibili, nella loro interezza, dalle parti e dai difensori.

Anche nel processo penale, la relazione in commento ha valore di prova documentale, che entra nel processo in forza dell’art. [[n234]] c.p.p. (“Prova documentale. 1. È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. (…)”): ciò secondo consolidata giurisprudenza, tra tutte Cass. Pen., Sez. VI., 29 maggio 2013 n. 23326, che recita: “Le relazioni formate dagli assistenti sociali dirette al Tribunale per i minorenni, che consentono al giudice di poter meglio valutare le situazioni familiari su cui deve intervenire non appartengono alla categoria dei mezzi di prova. Dunque possono essere acquisite anche in assenza di consenso delle parti ai sensi dell'articolo 234 c.p.p..”.

Tornando, quindi, al caso concreto in esame, pare di capire che le relazione ed il conseguente decreto si siano formati nell’ambito di un giudizio civile e non penale.

Per quanto riguarda la relazione, essa potrà essere contestata (se ancora temporalmente possibile) alla prima udienza successiva al suo deposito: occorrerebbe capire se il Giudice abbia o meno assegnato alle parti un termine per esame della relazione e per controdedurre rispetto al contenuto della stessa (come normalmente avviene per le CTU). In ogni caso è importante che la relazione venga tempestivamente contestata nel primo atto difensivo utile in modo che, qualora il Giudice non dovesse tener conto delle relative osservazioni ed eccezioni di parte, ciò possa costituire valido motivo di impugnazione della sentenza finale.

Per quanto riguarda il decreto provvisorio, invece, va detto che il Tribunale per i Minorenni in sede civile dispone le proprie decisioni, di norma, nella forma del decreto e solo in pochi casi (es. dichiarazione sullo stato di abbandono oppure accertamento dello stato di paternità) attraverso sentenze.

I provvedimenti adottati dal Giudice tutelare ed il procedimento relativo agli stessi è disciplinato dagli articoli 330-336 cod.civ. nonché, per rinvio, dagli articoli [[n737]] e seguenti del c.p.c..

Mentre le sentenze sono sempre impugnabili in Appello e, successivamente, in Cassazione, i decreti – purtroppo - non sempre possono essere impugnati nei successivi gradi di giudizio.
In particolare non sono ricorribili nemmeno per Appello i decreti provvisori e urgenti (quindi non definitivi) ex art. 336 cod.civ. (come quello, pare di capire, emesso nel caso di specie).

Tuttavia, l’art. 333 c.c. stabilisce che i provvedimenti in materia di allontanamento del minore dai o dal genitore sono revocabili in qualsiasi momento: per cui, qualora cessino i motivi che ne hanno giustificato l’adozione (nella fattispecie, qualora il giudice riconosca la fondatezza delle contestazioni mosse all’operato dei servizi sociali), le parti possono chiedere allo stesso Tribunale dei Minori, in qualsiasi momento, la revoca o la modifica del decreto provvisorio.