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Lavoratore, scatta il licenziamento se presenti il certificato medico, ma fuori svolgi attività sportive: nuova sentenza

Lavoratore, scatta il licenziamento se presenti il certificato medico, ma fuori svolgi attività sportive: nuova sentenza
La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore che, nonostante le limitazioni mediche, praticava sollevamento pesi
Con la sentenza n. 28367 del 27 ottobre 2025, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di licenziamento disciplinare per violazione dei doveri di fedeltà e correttezza da parte di un lavoratore che, nonostante fosse stato esonerato dallo svolgimento di alcune mansioni per ragioni fisiche, aveva praticato attività sportiva di sollevamento pesi.

La controversia prende le mosse dal licenziamento disciplinare intimato dalla Johnson & Johnson S.p.A. a un proprio dipendente, addetto di linea nello stabilimento di produzione di cotton fioc. Il lavoratore era stato dichiarato idoneo alla mansione con alcune prescrizioni mediche restrittive, che vietavano la movimentazione di carichi superiori ai 18 kg e di oggetti al di sopra dell’altezza della spalla.
Nonostante tali limitazioni, il dipendente aveva svolto attività di personal trainer e atleta di sollevamento pesi, documentando le proprie prestazioni anche sui social network. La società, venuta a conoscenza di tali comportamenti, aveva contestato la condotta come incompatibile con le prescrizioni mediche e lesiva dei doveri contrattuali di diligenza e buona fede, disponendo il licenziamento disciplinare per giusta causa.

Il lavoratore aveva impugnato il provvedimento, sostenendo che i dati utilizzati per la contestazione fossero stati raccolti in violazione della normativa privacy e che, in ogni caso, l’attività sportiva non aveva inciso sull’esecuzione della prestazione lavorativa.
Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello di Roma avevano ritenuto legittimo il licenziamento, evidenziando come la prova dei fatti fosse emersa non tanto dal report investigativo, quanto dal comportamento processuale dello stesso ricorrente, che non aveva mai contestato la materialità delle condotte. La vicenda è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

Gli Ermellini hanno confermato integralmente la decisione dei giudici di merito, respingendo tutti i motivi di ricorso.
In primo luogo, la Cassazione ha chiarito che la prova dei comportamenti contestati non derivava da dati raccolti in violazione della normativa sulla privacy, ma dal principio di non contestazione previsto dall’art. 115 del c.p.c., poiché il lavoratore non aveva mai negato di aver svolto le attività sportive incriminate.
Da ciò discende l’infondatezza delle doglianze basate sul presunto trattamento illecito di dati personali. Le immagini e i video pubblicati volontariamente su Instagram dal dipendente non rientravano, infatti, in un ambito di vita privata tutelato, trattandosi di contenuti resi accessibili a un numero indeterminato di persone.

La Corte ha ribadito, inoltre, che l’attività extralavorativa può costituire violazione dei doveri di fedeltà e correttezza anche se non svolta durante la malattia, qualora risulti incompatibile con le condizioni fisiche del lavoratore o potenzialmente idonea a pregiudicare la sua capacità di rendere la prestazione lavorativa.
Richiamando precedenti consolidati (tra cui Cass. n. 155/2015, n. 1374/2018 e n. 26181/2024), la sentenza sottolinea che l’obbligo di fedeltà non si esaurisce nel divieto di concorrenza, ma si estende a ogni comportamento che possa compromettere l’affidamento del datore di lavoro sulla correttezza e sulla diligenza del dipendente.
Nel caso di specie, l’attività sportiva (per nulla occasionale) era in aperto contrasto con le prescrizioni mediche e idonea, anche solo potenzialmente, ad aggravare le patologie dichiarate. Tale condotta, secondo la Cassazione, comprometteva il vincolo fiduciario e giustificava il licenziamento.


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