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Principio di non contestazione: quando opera?

Principio di non contestazione: quando opera?
La Cassazione chiarisce che non vale come contestazione la confutazione generica e aspecifica contenuta in clausole di mero stile.
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 31837 del 4 novembre 2021, è tornata sul principio di non contestazione disciplinato all’art. 115 c.p.c., chiarendone la portata.
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che il convenuto che voglia contestare i fatti costitutivi dei diritti azionati dalla controparte debba, nella comparsa di risposta, prendere posizione in modo chiaro e analitico su quanto posto dall’attore a fondamento della propria domanda.
In caso di mancanza di questa specifica contestazione, precisa la Corte, tali fatti devono considerarsi ammessi senza necessità di ulteriori adempimenti probatori.

In particolare, la Cassazione ha espressamente qualificato come insufficiente a precludere l’operare del principio di non contestazione le clausole di confutazione generica, di frequente inserite nelle comparse di risposta (ad esempio “si contesta espressamente ed in ogni suo punto il contenuto dell’atto di citazione”). Siffatte formulazioni sono invero clausole di mero stile, che non esprimono alcuna contestazione chiara, precisa, specifica e analitica circa i fatti costituitivi del diritto specificamente indicati dall’attore.

Tanto chiarito, la Suprema Corte si sofferma a precisare che il principio di non contestazione, con conseguente esonero della controparte dall’onere di provare i fatti posti a fondamento della domanda, presuppone comunque che anche tali fatti siano indicati in modo specifico dall’attore.
Solo nel caso in cui le allegazioni di quest’ultimo siano generiche e aspecifiche, pertanto, il convenuto potrà limitarsi a fornire, nella comparsa di risposta, una contestazione non circostanziata.

La vicenda sottoposta vaglio della Suprema Corte, in particolare, traeva origine dal fallimento di una società, la quale, nel periodo in cui era in bonis, aveva pagato ingenti somme ad un’altra società, convenuta quindi in giudizio, in via revocatoria, dalla Curatela.
Il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, aveva applicato l’art.67 L. fall. e perciò aveva dichiarato inefficaci nei confronti della procedura di fallimento i suddetti pagamenti eseguiti nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento, condannando la destinataria degli stessi a restituire alla curatela quanto incassato. Secondo il giudice di prime cure, in particolare, la prova di tutti i pagamenti si doveva trarre dalla non specifica contestazione degli stessi da parte dell’accipiens.
La Corte d’appello, tuttavia, aveva riformato parzialmente questa pronuncia, restringendo la declaratoria di inefficacia ai pagamenti effettuati in un periodo più circoscritto e dunque riducendo la somma che la destinataria del pagamento era condannata a restituire. Secondo il Collegio, infatti, doveva valorizzarsi la contestazione contenuta nella comparsa di risposta e ribadita nella comparsa conclusionale, la quale confutava “in toto il contenuto dell’atto di citazione, riservandosi peraltro di confutare specificamente i pagamenti nel momento in cui la Curatela avesse fornito prova degli stessi”.
La Curatela aveva allora proposto ricorso dolendosi della falsa applicazione degli articoli 115 e 167 c.p.c.: è proprio nell’accoglimento di questa impugnazione che la Cassazione ha addotto le importanti precisazioni sopra esplicate riguardo al principio di non contestazione.


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