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Articolo 724 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Collazione e imputazione

Dispositivo dell'art. 724 Codice Civile

I coeredi tenuti a collazione [747 c.c.], a norma del capo II di questo titolo [737 ss. c.c.], conferiscono tutto ciò che è stato loro donato(1).

Ciascun erede(2) deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e quelle di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione(3).

Note

(1) Il conferimento può avvenire in natura, ossia restituendo alla massa il bene ricevuto in donazione, o per equivalente, corrispondendo una somma di denaro pari al valore del bene al tempo dell'apertura della successione.
(2) Anche il legittimario pretermesso che abbia vittoriosamente esperito l'azione di riduzione (v. art. 553 del c.c.).
(3) Il valore della quota del coerede debitore viene, dunque, ridotto per un valore corrispondente all'importo del debito.

Ratio Legis

La collazione serve ad evitare disparità di trattamento tra coeredi: nell'ipotesi in cui alcuni tra questi abbiano già ricevuto dei beni dal de cuius in vita, di tali donazioni si ritiene di doverne tener conto ai fini della formazione della quota.
L'imputazione consente, invece, di evitare che un erede riceva la propria quota e si renda, successivamente, inadempiente rispetto ai debiti che ha con la massa ereditaria.

Spiegazione dell'art. 724 Codice Civile

Circa il primo comma, vedi art. 737 e seguenti.
Il coerede, secondo quanto previsto nel vecchio codice del 1865, era tenuto a conferire tutto ciò che gli era stato donato, nonché le somme di cui fosse debitore (verso l’eredità): tale collazione dei debiti si eseguiva conferendo subito alla massa la differenza fra il debito totale e la quota di spettanza del conferente o imputando alla propria quota l’intero debito. L'articolo in esame ha reso obbligatoria questa seconda forma: le conseguenze sono quelle stabilite dall'art. 275. È stato chiarito, come già riteneva la dottrina, che tale dovere si riferisce anche alle obbligazioni posteriori all'apertura della successione, purché nascenti dalla comunione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

347 E' stato osservato che l'ultimo comma dell'art. 261 del progetto, il quale faceva obbligo ai coeredi di dichiarare le liberalità soggette a collazione, era formulato in modo incerto, sì da far sorgere dubbi sul carattere giuridico di un tale obbligo. E' stato perciò proposto di modificare la formula, imponendo al notaio il dovere di ammonire i coeredi dell'obbligo che hanno di dichiarare le liberalità ricevute. Mi sono reso conto di tali dubbi, ma ho creduto (art. 724 del c.c.) più conveniente sopprimere il comma, perché superfluo. Infatti, poiché i coeredi, in base ai primi due commi dell'articolo, sono tenuti alla collazione e all'imputazione sulle loro rispettive quote delle somme dovute al defunto, l'obbligo della dichiarazione nulla aggiunge alla situazione giuridica sorgente dalle norme precedenti. Quanto all'art. 262 del progetto, concernente il ristabilimento dell'eguaglianza delle quote mediante la facoltà dei coeredi di prelevare dalla massa ereditaria i beni in proporzione delle rispettive quote, allorché un erede non conferisca in natura i beni donatigli o abbia dei debiti da imputare, ho chiarito, introducendo un emendamento propostomi nel corrispondente art. 725 del c.c., che i debiti di cui si tratta sono i debiti verso l'eredità, dei quali parla il secondo comma del precedente art. 724.

Massime relative all'art. 724 Codice Civile

Cass. civ. n. 2588/2023

Nella imposizione di registro della divisione ereditaria ex art. 34 del d.P.R. 131 del 1986, al fine di stabilire la massa comune e, di conseguenza, al fine di accertare la eventuale divergenza tra quota di fatto-quota di diritto e la presenza di eccedenze-conguagli tra coeredi tassabili come vendita-trasferimento, si deve tenere conto del valore del bene donato in vita dal "de cuius" ad uno dei coeredi condividenti e come tale oggetto di collazione ex artt. 724 e 737 c.c.

Cass. civ. n. 14193/2022

La dispensa dalla collazione esonera il donatario dal conferimento, ma non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile.

Cass. civ. n. 27086/2021

Nello scioglimento della comunione ereditaria, al pari di quanto accade per quella ordinaria ai sensi dell'art. 1115, comma 3, c.c., il regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dai rapporti di comunione, in quanto afferenti alla gestione della stessa, previsto dagli artt. 724 e 725 c.c., può essere realizzato dai compartecipi creditori attraverso il prelievo di beni dalla massa in proporzione alle rispettive quote ovvero, quando ciò non sia avvenuto o non sia possibile, attraverso l'incremento delle loro quote di concorso rispetto a quelle risultanti dal titolo della comunione. Con riguardo a quest'ultima modalità, applicabile anche in caso di unico immobile indivisibile, l'individuazione del titolare della quota maggiore si effettua con riferimento alla situazione esistente al momento della relativa pronuncia giudiziale.

Cass. civ. n. 22123/2021

In tema di imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, l'art. 34 del d.P.R. n. 131 del 1986, prevedendo che la massa comune è costituita dal valore dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione, va interpretato in accordo con la disciplina civilistica, nel senso di comprendere i beni del compendio successorio tenendo conto anche del valore delle donazioni collazionate e con imputazione dei debiti secondo quanto prescritto dall'art. 724 c.c.; pertanto la base imponibile per calcolare l'imposta di registro sulla divisione deve essere determinata sulla somma del valore del bene caduto in successione e del valore del bene collazionato per imputazione. Ne consegue che l'assegnazione dell'unico bene rimasto nell'asse ereditario a un condividente, se il relativo valore coincide con la sua quota di diritto sull'intera massa, non comporta l'emersione di conguagli nè tantomeno l'imposizione di alcunché secondo le regole della vendita.

Cass. civ. n. 20706/2021

In relazione ai crediti sorti in dipendenza del rapporto di comunione (quale tipicamente il credito per il godimento esclusivo della cosa comune esercitato da uno solo dei comproprietari) poiché la legge (artt. 724 e 725 c.c.) consente ai compartecipi creditori il soddisfacimento del credito al momento della divisione, mediante prelevamenti in natura dai beni comuni, il comunista creditore, il quale abbia ottenuto la revoca per frode di un atto di disposizione della quota comune compiuto dal proprio debitore, può far valere il credito nel giudizio di divisione anche nei confronti dei cessionari, i quali debbono subire l'imputazione alla quota acquistata delle somme di cui era debitore il cedente in dipendenza del rapporto di comunione. Pertanto, il comunista che abbia vittoriosamente esperito l'azione revocatoria, al quale la cosa comune sia stata assegnata per intero in esito alla divisione, è tenuto a versare ai cessionari il conguaglio ridotto e commisurato alla minor quota spettante al cedente in conseguenza dell'imputazione del debito maturato per l'occupazione dell'immobile oggetto della stessa divisione.

Cass. civ. n. 509/2021

La collazione presuppone l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l'asse é stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un "relictum" da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l'esito dell'eventuale azione di riduzione.

Cass. civ. n. 17022/2017

In tema di collazione per imputazione, la mancanza, nell'asse ereditario, di beni della stessa natura di quelli che sono stati conferiti dagli eredi donatari, non esclude il diritto al prelevamento da parte degli eredi non donatari, da effettuarsi solo per quanto possibile con oggetti della stessa natura e qualità di quelli non conferiti in natura. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, a seguito della collazione per imputazione di un immobile ad opera del coerede donatario ed in presenza di un compendio ereditario relitto composto da partecipazioni societarie, aveva attribuito, in favore del coerede non donatario, a titolo di prelevamenti ed in mancanza di beni nell'asse ereditario omogenei a quello conferito, un determinato numero di dette quote, sì da renderne, all'esito delle operazioni divisionali, la partecipazione societaria superiore a quella del coerede donatario).

Cass. civ. n. 3932/2016

I beni oggetto di trasferimento a titolo oneroso (anche se a favore del coerede) sono soggetti a collazione ereditaria solo se sia accertata la natura simulata del relativo atto dispositivo in accoglimento di un'apposita domanda formulata in tal senso dal coerede che chiede la divisione. In tal caso il "dies a quo" del termine di prescrizione dell'azione di simulazione varia in rapporto all'oggetto della domanda: se questa è proposta dall'erede quale legittimario, facendo valere il proprio diritto alla riduzione della donazione (che si asserisce dissimulata) lesiva della quota di riserva, il termine di prescrizione decorre dal momento dell'apertura della successione; mentre se l'azione sia esperita al solo scopo di acquisire il bene oggetto di donazione alla massa ereditaria per determinare le quote dei condividenti e senza addurre alcuna lesione di legittima, il termine di prescrizione decorre dal compimento dell'atto che si assume simulato, subentrando in tal caso l'erede, anche ai fini delle limitazioni probatorie ex art. 1417 c.c., nella medesima posizione del "de cuius".

Cass. civ. n. 20633/2014

Qualora la donazione di danaro fatta in vita dal "de cuius" sia dichiarata nulla, la relativa somma diviene oggetto di un credito dal "de cuius" verso l'erede donatario, alla cui quota la somma stessa deve essere imputata, a norma dell'art. 724, secondo comma, cod. civ.

Cass. civ. n. 12830/2013

L'istituto della collazione, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle donazioni non contenenti espressa dispensa, è incompatibile con la divisione con la quale il testatore abbia ritenuto effettuato, ai sensi dell'art. 734 cod. civ., la spartizione dei suoi beni (o di parte di essi), distribuendoli mediante l'assegnazione di singole e concrete quote ("divisio inter liberos"), evitando così la formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724 e 737 cod. civ.

Cass. civ. n. 25646/2008

Nel giudizio di divisione ereditaria, la collazione per imputazione nella quale il giudice, a norma degli artt. 724 e 725 c.c., imputa alla quota del coerede le somme di denaro delle quali il medesimo sia debitore verso gli altri coeredi, per poi disporre, a favore dei condividenti che siano creditori a tale titolo, il prelievo di beni dalla massa in proporzione delle rispettive quote non comporta una divisione parziale dell'eredità, bensì realizza un'attività di carattere meramente prodromico alle attività strettamente divisionali che non determina lo scioglimento anticipato della comunione ereditaria.

Cass. civ. n. 5092/2006

Ai sensi dell'art. 724, secondo comma, c.c., il coerede debitore del de cuius, al fine di assolvere alla propria obbligazione, deve conferire alla massa l'intero debito, imputandolo alla sua quota, e non anche pagare direttamente agli altri coeredi, che ne abbiano fatto richiesta, in proporzione alle quote loro spettanti.

Cass. civ. n. 3617/1987

Dal combinato disposto del secondo comma dell'art. 724 e del primo comma dell'art. 725 c.c. si evince che nel giudizio di divisione, il giudice, prima della formazione delle singole porzioni, deve imputare alla quota del coerede le somme di danaro delle quali il medesimo sia debitore verso gli altri coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione e poi disporre, a favore dei condividenti che siano creditore a tale titolo, il prelievo di beni dalla massa in proporzione delle loro rispettive quote, ripartendo infine i beni ereditari residui tra i partecipanti alla comunione.

Cass. civ. n. 398/1985

Con riguardo a divisione ereditaria allorquando i crediti e i debiti tra coeredi derivano dallo stato di comunione ereditaria, l'imputazione di essi allo scopo di assicurare il soddisfacimento delle ragioni creditorie, mediante il prelevamento dei beni dalla massa ereditaria nell'ambito delle operazioni divisionali, pur facendo parte del procedimento divisorio, non si identifica con la divisione vera e propria dei beni oggetto dei prelevamenti stessi, con la conseguenza che, al fine di accertare se le porzioni corrispondano alle rispettive quote ereditarie, occorre fare sempre riferimento al valore dei beni al momento della divisione e non a quello dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 1221/1969

È consentito al coerede debitore di estinguere il debito verso l'eredità o verso la gestione della comunione ereditaria, mediante pagamento in valuta, anziché mediante imputazione, ove ciò avvenga prima della formazione delle porzioni ereditarie.

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Vito chiede
sabato 22/02/2020 - Puglia
“A due fratelli viene donato in vita un appartamento ciascuno in conto alla legittima. Dopo la morte del de cuius la situazione è la seguente: il patrimonio è in successione ai soli figli, non c’è lesione di legittima e la disponibile è di 1/3.
La donazione di uno dei fratelli, la femmina , reca scritto nell’atto di trascrizione e donazione: DONAZIONE OBNUZIALE IN CONTO DI LEGITTIMA E, PER L’EVENTUALE ECCEDENZA SULLA DISPONIBILE DI CIASCUN DONANTE (CON DISPENSA, PER QUESTA PARTE, DA COLLAZIONE) DONANO A DETTA FIGLIA.
La domanda: premesso che nell’atto di donazione all’altro fratello non è inserita tale precisazione, la signora che ha ricevuto la donazione obnuziale vuole sapere se tale appartamento cade in divisione oppure è escluso dalla collazione?”
Consulenza legale i 27/02/2020
La fattispecie ereditaria che si presenta è quella di un soggetto che alla sua morte lascia due soli figli, con la conseguenza che, al fine di determinare la quota di riserva, occorre fare riferimento al secondo comma dell’art. 537 del c.c., il quale dispone che se il genitore lascia più figli, ai medesimi è riservata la quota di due terzi del patrimonio ereditario, da dividersi in parti eguali tra i medesimi figli.

Il restante terzo costituisce la quota di patrimonio di cui il testatore può liberamente disporre in favore di chiunque.
Nel quesito, poi, viene precisato che non vi è lesione di legittima, precisazione questa di particolare importanza al fine di rispondere alla domanda posta.
Infatti, dispone l’art. 556 del c.c. che per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre, occorre formare una massa di tutti i beni che componevano il suo patrimonio al momento della morte, includendo tra tali beni anche quelli di cui sia stato disposto a titolo di donazione.

Occorre, tuttavia, sottolineare che tale operazione di riunione, come dispone la stessa norma, è soltanto fittizia (si dice: “si riuniscono quindi fittiziamente…”), il che significa che si tratta semplicemente di una operazione di tipo matematico, volta a determinare il valore complessivo del patrimonio facente capo in vita al de cuius.
Peraltro, per compiere tale operazione matematica, il legislatore detta dei criteri ben precisi, stabilendo, sempre all’art. 556 c.c., che per i beni di cui il testatore abbia disposto a titolo di donazione, il relativo valore va determinato secondo le regole dettate negli articoli dal 747 al 750 c.c.
Per quanto riguarda specificamente la collazione di un bene immobile, l’art. 746 del c.c. lascia, intanto, al donatario la facoltà di scegliere se rendere il bene in natura o imputarne il valore alla sua porzione.
In questo secondo caso, definito dallo stesso legislatore “collazione per imputazione”, il valore da imputare sarà quello che l’immobile ha al tempo di apertura della successione, e ciò secondo quanto chiaramente disposto dall’art. 747 del c.c..
Un discorso a parte andrebbe fatto per eventuali miglioramenti, spese e deterioramenti relativi all’immobile donato, ciò di cui si occupa espressamente l’art. 748 del c.c., ma che qui non sembra rilevare e che non si ritiene opportuno approfondire.

Sulla base dei criteri sopra detti, dunque, è possibile determinare globalmente e aritmeticamente il valore del patrimonio ereditario del de cuius, e così poter stabilire se vi sia stata o meno lesione di legittima.
Immaginando che tale patrimonio sia pari a 20 di relictum e 100 di donatum, si avrà un patrimonio complessivo di 120, di cui 80 da riservare ai due figli (ossia i due terzi ex art. 537 c.c.) e 40 di disponibile.

Se, come precisato nel quesito, non vi è stata alcuna lesione di legittima, ovvero se ciascuno dei figli, sulla base dei conteggi come sopra effettuati, ha comunque ricevuto tra donazione e relictum (o anche con la sola donazione) beni per un valore di 40, allora non si pone alcun problema di lesione di legittima, e quindi viene meno uno dei presupposti fondamentali per l’esercizio dell’azione di riduzione.
Infatti, l’art. 553 del c.c. subordina l’esperimento di tale azione alla condizione essenziale che ciò sia necessario per integrare la quota riservata ai legittimari lesi (i quali, a loro volta, devono imputare quanto hanno ricevuto per donazione).
La particolare clausola contenuta nell’atto di donazione alla figlia, inoltre, consente alla medesima di poter trattenere, oltre alla quota di riserva a lei spettante, pari a 40, anche la quota di disponibile, pari ad altri 40, per ottenere una porzione di eredità pari ad 80 sull’intero patrimonio del de cuius.
E’ questo il significato che va dato all’espressione “donazione in conto di legittima e per l’eventuale eccedenza sulla disponibile”.

A questo punto si è in condizione di poter rispondere alla domanda che viene posta: l’appartamento donato alla figlia non può assolutamente cadere in divisione.
Infatti, come si è cercato prima di spiegare, se non vi è lesione di legittima non sussistono i presupposti perché l’altro erede possa esercitare l’azione di riduzione, con conseguente obbligo per la figlia donataria di rendere il bene in natura ex art. 746 c.c.
In ogni caso, anche ammesso che vi sia stata una lesione di legittima, la figlia donataria avrebbe facoltà, sempre ex art. 746 c.c., di scegliere se rendere il bene in natura o imputarne il valore alla propria porzione.
Solo se decidesse di rendere il bene in natura, il positivo esperimento dell’azione di riduzione da parte dell’altro erede comporterebbe l’obbligo per il donatario che ha ricevuto di più di restituire l’immobile donato ex art. 561 del c.c., il quale dovrà poi formare oggetto di divisione secondo le norme dettate dagli artt. 713 e ss. c.c.
Tra queste si vuole richiamare l’attenzione, qualora se ne presentasse la necessità, al disposto dell’art. 720 del c.c., il quale, per il caso di immobili non divisibili, attribuisce all’erede avente diritto alla quota maggiore il diritto di chiedere che l’immobile venga compreso per intero nella sua quota, con addebito dell’eccedenza in favore dell’altro erede.

Sembra ovvio suggerire che, se la figlia ha realmente interesse a trattenere per sé quell’immobile (e sempre se, a seguito di corretti conteggi, dovesse risultare una lesione di legittima a danno dell’altro figlio), sarà sufficiente avvalersi della collazione per imputazione, con diritto di reintegrare in denaro la quota di riserva spettante all’altro erede.