Deve ritenersi che la legittimazione dei soggetti diversi dai legittimari implichi che questi ultimi, o i loro eredi, abbiano personalmente, com’è necessario, dichiarato la loro volontà di conseguire la quota legittima. Così si capisce come si è potuto considerare patrimoniale l’azione di riduzione, per tutelare interessi dipendenti dall’acquisto dei legittimario, fra i quali deve ritenersi compreso, per applicazione della surrogatoria, anche quello dei creditori dell’erede. Lo conferma ora il terzo comma, nel quale, con una disposizione del resto superflua e non felicemente formulata, sembra si voglia stabilire un'eccezione alla regola che prevede che i creditori del defunto non possano chiedere la riduzione, né profittarne, quando il legittimario abbia accettato la quota legittima senza beneficio d’inventario. Non si tratta di un'eccezione, perché, quando si verifichi quest’ipotesi, i creditori del defunto diventano creditori personali dell’erede: la disposizione serve così soltanto a chiarire la portata del primo comma per la determinazione dei soggetti legittimati alla riduzione e che possono profittare della stessa. Quando invece il legittimario abbia accettato col beneficio d’inventario, i creditori del defunto non possono chiedere la riduzione né profittarne, perché, esclusa la confusione dei patrimoni, e quindi una vera successione dell'erede nei debiti,
"l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni (ereditari) a lui pervenuti" (art.
490).
Stante la necessità, in principio, dell’accettazione col beneficio d'inventario per la legittimazione all’azione di riduzione, i
casi in cui ai creditori del defunto può giovare la riduzione sono i seguenti: che le liberalità siano state fatte a coeredi del legittimario, perché in questa ipotesi non è necessaria per la riduzione l’accettazione col beneficio d’inventario (art.
564); che, trattandosi di liberalità fatte a non coeredi, l’erede sia decaduto dal beneficio d’inventario, perché la decadenza dal beneficio, mentre non preclude l’azione di riduzione, determina, d’altra parte, la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede.
Il secondo comma stabilisce espressamente che alla riduzione delle donazioni non si può rinunziare durante la vita del donante, né espressamente, né tacitamente, mediante prestazione di assenso alla donazione. Si tratta di un’applicazione particolare del
divieto dei patti successori rinunciativi, secondo il quale è nullo, fra l’altro, ogni atto col quale taluno rinuncia ai diritti che gli possono eventualmente spettare su una successione non ancora aperta. Si ritiene tuttavia che il divieto particolare trovi anche una specifica ragione nel carattere familiare del diritto alla legittima.
Nel terzo comma è detto ancora, come nell'art. #1092# del codice precedente, che non possono chiedere la riduzione, né profittarne, i donatari e i legatari. Disposizione, più che superflua, senza senso nel nostro sistema rispetto ai donatari e rispetto ai legatari di cosa determinata, mentre i legatari di quantità, come creditori dell’erede, devono ritenersi compresi fra quegli aventi causa anche considerati nel primo comma, cui la riduzione giova indirettamente, perché ne risulta aumentato il patrimonio dell’erede loro debitore. La disposizione è stata trasferita senza valutazione critica nell'attuale codice, come il codice precedente l’aveva mutuata da quello francese.