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Articolo 119 Testo unico bancario

(D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Comunicazioni periodiche alla clientela

Dispositivo dell'art. 119 Testo unico bancario

1. Nei contratti di durata i soggetti indicati nell'articolo 115 forniscono al cliente, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all'anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Il CICR indica il contenuto e le modalità della comunicazione.

2. Per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile.

3. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento.

4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 119 Testo unico bancario

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D.D. chiede
domenica 14/01/2024
“Gentile Studio Brocardi.it,
ho un quesito da porre. Ho la necessità di visionare gli estratti conto di mia madre relativi a conti correnti che sono stati chiusi anni fa. Il periodo che mi interessa supera sicuramente i 10 anni ( è riferito all'anno 2007). Volevo sapere come effettuare queste richieste alle banche. Inoltre ho la necessità di capire rispetto a assegni circolari (di cui conosco l'istituto bancario che li ha emessi , il destinatario e il numero degli assegni)emessi da diverse banche nell'anno 2007, da quali conti provengono ( l'intestatario del conto ed eventuali cointestatari a firma congiunta o disgiunta). In sostanza devo verificare se le somme pagate per un immobile nel 2007 che ha acquistato mia sorella, sia stato pagato dai conti di mia mamma che è ancora in vita. Vorrei quindi sapere come posso agire considerato che da un lato mia mamma è ancora in vita ( e quindi non posso agire con richieste da erede nei confronti delle banche)e dall'altro che se non verifico questa situazione, c'è il rischio che non possa più impugnare la donazione indiretta che suppongo si sia verificata. VI ringrazio. Attendo un riscontro Cordiali saluti”
Consulenza legale i 18/01/2024
Purtroppo nel caso in esame difettano sia i presupposti soggettivi che quelli oggettivi necessari per soddisfare i propri interessi.
Norma di riferimento è l’art. 119 TUB, sul cui ambito di applicazione si è in diverse occasioni pronunciata non solo la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ma anche l’Arbitro bancario finanziario.
Innanzitutto va evidenziato che secondo quanto espressamente disposto al comma 4 della suddetta norma (e come, peraltro, già sottolineato nel quesito), legittimato a chiedere ed ottenere copia della documentazione inerente a singole operazioni bancarie è soltanto “il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni” (in questo caso, dunque, difetta il presupposto soggettivo per avanzare ogni tipo di richiesta).

A prescindere da ciò, non si rientra neppure nel campo di applicazione oggettiva della norma, in quanto, come viene esplicitato nel quesito, i documenti di cui si vorrebbe chiedere copia fanno riferimento ad un periodo che va oltre il decennio.
Su quest’ultimo punto va segnalata la decisione dell’Arbitro bancario finanziario n. 12261 del 12.05.2021, nella quale viene in effetti precisato che la limitazione ai dieci anni anteriori, prevista al 4 comma dell’art. 119 TUB, deve intendersi limitata, come risulta dal testo della stessa norma, ai soli documenti relativi alle singole operazioni poste in essere dal cliente (es. copie assegni, bonifici, prelievi allo sportello o versamenti), mentre non può e non deve intendersi estesa ai documenti sintetici, ovvero ai c.d. estratti conto, che sono quelli che qui si ha intenzione di chiedere.
Gli estratti conto, infatti, non possono farsi rientrare in quella che il quarto comma definisce “documentazione inerente a singole operazioni”, ma costituiscono per il cliente esclusivamente un resoconto sulle movimentazioni di conto che, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 119 TUB, la banca ha l’obbligo di inviargli almeno con periodicità annuale.

Per tali estratti conto, invece, sempre secondo quanto si legge nella decisione dell’ABF, deve farsi valere il disposto di cui all’art. 2220 del c.c., rubricato “Conservazione delle scritture contabili”, norma che impone all’imprenditore di conservare le scritture contabili per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione.
In particolare, secondo quanto risulta da un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass., 18.9.2014, n. 19696; Cass., 2.8.2013, n. 18541; Cass., 26.1.2011, n. 1842), appare equo che la banca conservi le scritture contabili per almeno dieci anni dopo la chiusura del rapporto, considerato che entro questo lasso temporale non solo può chiedere il pagamento al cliente del saldo, ma anche il cliente può sollevare nei confronti della banca contestazioni e, qualora questi abbia già pagato, avanzare anche domande di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 del c.c..
E’, pertanto, in forza del generale principio di buona fede, quale risultante dall’art. 1375 del c.c., che deve ritenersi sussistente l’obbligo per la banca di conservare le scritture contabili finché esiste un interesse informativo in capo al cliente e quindi almeno per dieci anni dall’ultima registrazione, ovvero dalla chiusura del conto (così Cass., 27 settembre 2001, n. 12093).

Ciò posto, tuttavia, anche in questo caso non ci si può avvalere di tale orientamento interpretativo, in quanto gli estratti conto di cui si vorrebbe chiedere copia non solo vanno oltre il decennio, ma ineriscono a conti già chiusi dal 2007 (così viene precisato nel quesito).
L’impossibilità di avvalersi di tale mezzo probatorio, comunque, non esclude che al momento dell’apertura della successione possa egualmente esperirsi l’azione di riduzione, sempre che sussistano fondate ragioni per poter lamentare una lesione della propria quota di riserva conseguente alla presunta donazione indiretta di quell’immobile alla sorella (azione esperibile ex art. 809 del c.c.).
In tal caso, non essendo più possibile acquisire gli estratti di quei conti correnti già chiusi (per le ragioni sopra esposte), si dovrà necessariamente fare ricorso ad altri strumenti probatori, quale potrebbe essere, a titolo meramente esemplificativo, la richiesta, rivolta al giudice, di acquisire copia delle dichiarazioni reddituali della sorella relative al periodo interessato, onde far emergere una incongruenza tra quanto è stato speso per l’acquisto dell’immobile e l’ammontare dei redditi percepiti.
E’ chiaro che si tratta di mere ipotesi, in quanto soltanto una attenta valutazione della situazione di fatto, per come si presenta a quel momento, potrà consentire di valutare in concreto se vi è stata lesione e di come poter dare prova della stessa.

Per concludere si ritiene possa essere di interesse segnalare la recente ordinanza n. 35461/2022 della Corte di Cassazione, con la quale la S.C. afferma tra l’altro e per inciso che nelle donazioni indirette l’azione di riduzione non mette mai in discussione la titolarità del bene donato e che la riduzione può essere ottenuta dal legittimario solo nelle modalità tipiche del diritto di credito (ciò significa che il legittimario leso o pretermesso non potrà mai recuperare il bene in natura, ma solo il suo equivalente economico, nei limiti strettamente necessari a reintegrare la propria quota di riserva).
Del resto, si tratta di un principio pienamente da condividere, considerato che nel caso di una donazione indiretta ciò di cui si arricchisce il donatario non corrisponde a ciò di cui impoverisce il donante e, pertanto, l’azione di riduzione non può mai assumere un carattere reale.


P. chiede
venerdì 12/01/2024
“Salve, tempo fa ho scritto questo articolo:
"La questione relativa all'obbligo delle banche di fornire gli estratti conto ai clienti è regolata dall'art. 119 del Testo Unico Bancario (TUB). Secondo questa normativa, i clienti hanno il diritto di ricevere un aggiornamento annuale sullo stato del loro rapporto con la banca, che per i conti correnti si traduce in estratti conto e riassunti scalari.
Inoltre, il cliente ha il diritto di richiedere, entro 90 giorni e a sue spese, copia della documentazione relativa a qualsiasi operazione effettuata negli ultimi dieci anni. Questo obbligo si estende anche ai successori del cliente, come eredi o amministratori di beni.
L'art. 117 del TUB stabilisce inoltre che la banca è obbligata a fornire al cliente una copia del contratto bancario. Questa normativa implica che i contratti devono essere redatti per iscritto e che una copia deve essere consegnata al cliente sia al momento della firma che in caso di smarrimento del documento.
Recentemente, la Corte di Cassazione (ordinanza 35039/2022) ha ribadito che le banche sono obbligate a conservare la documentazione bancaria per un periodo di dieci anni. Tuttavia, questa posizione è stata contestata dal Tribunale di Napoli in una sentenza del 26 aprile 2023.
Il Tribunale di Napoli sostiene che le banche debbano fornire al cliente tutti gli estratti conto e riassunti scalari richiesti, indipendentemente dal decennio precedente. In altre parole, la documentazione dovrebbe essere fornita a partire dall'inizio del rapporto bancario. La sentenza del Tribunale sostiene che il limite di dieci anni indicato nell'art. 119 del TUB si riferisce solo alla documentazione di singole operazioni, come un bonifico, e non agli estratti conto e ai riassunti scalari.
Il Tribunale ha giustificato questa decisione affermando che l'obbligo di rendicontazione periodica è un aspetto dell'obbligo di trasparenza, e viene soddisfatto mediante la consegna degli estratti conto e dei riassunti scalari. Limitare l'accesso del cliente a questa documentazione solo agli ultimi dieci anni sarebbe quindi una violazione del suo diritto all'informazione e alla trasparenza.
Pertanto, il cliente ha il diritto di richiedere e ottenere gli estratti conto e i riassunti scalari per l'intero periodo del rapporto bancario. Se la banca non risponde a tale richiesta, il cliente può ricorrere al giudice per ottenere un decreto ingiuntivo che obblighi la banca a fornire la documentazione."
Vorrei che sulla base dell'articolo che avete scritto il 10 gennaio 2024 " Estratto conto, la Banca può rifiutarsi di fornirlo al cliente? Ecco cosa dice la legge e cosa dire alla Banca - e su quello che vi ho appena scritto, mi lasciate un vostro parere.

E' un tema molto sentito dalle famiglie, in quanto troppo spesso viene lesa la legittima degli eredi legittimari perché le operazioni bancario sono avvenute oltre i 10 anni.

Grazie.”
Consulenza legale i 18/01/2024
Sul tema dobbiamo necessariamente rifarci alle pronunce della Suprema Corte, tra le quali, peraltro, proprio quella citata nel quesito (Cassazione civile, sez. I, 29/11/2022, n. 35039), che compie una disamina molto ampia ed articolata sul punto.

La Corte interpreta la disciplina di cui all’art. 119, comma IV, del T.U. Bancario considerando contrario a buona fede imporre all’istituto bancario di preservare, in modo integrale e completo, oltre il decennio tutta la documentazione afferente ai singoli rapporti di conto corrente con il cliente “atteso che si finirebbe per obbligare la Banca a conservare potenzialmente all'infinito una massa indeterminata di dati, costringendo la stessa ad una attività dispendiosa".
Su questa premessa, altresì appoggiandosi a più risalente giurisprudenza di legittimità, (Cass. n. 11004/2006; Cass. n. 15669/2007), esclude “l'applicabilità al caso in esame, della regola generale dettata dall'art. 1713 c.c., in favore della disciplina speciale prevista dall'art. 119 T.U.B. e prima ancora dall'art. 2220 del c.c.. Ed invero, nel nostro ordinamento giuridico, stante il chiaro disposto dell'art. 2220 c.c., deve ritenersi vigente il principio generale di conservazione, da parte di ogni imprenditore commerciale (e, dunque, ex art. 2195 del c.c., anche di quello che eserciti attività bancaria), di tutta la documentazione contabile esclusivamente per la durata di dieci anni, cosicché, proprio in conformità a tale principio (e quale concreta applicazione di esso), la disposizione normativa di cui del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, u.c., permette che il cliente-correntista possa ottenere copia della documentazione concernente singole operazioni, solo se ed in quanto queste risultino essere state compiute nell'arco temporale degli ultimi dieci anni. Ne deriva che, se, da un lato, il correntista, giusta il disposto dell'art. 1713 del c.c., ha sempre il diritto di richiedere all'istituto bancario il rendiconto di tutto l'operato di quest'ultimo mediante analitica indicazione delle operazioni eseguite, nondimeno qualora richieda l'esibizione di copia dei documenti attinenti a tali operazioni, tale pretesa finisce con l'incontrare il limite temporale tassativo degli ultimi dieci anni, per il quale soltanto, come sopra chiarito, può ravvisarsi l'operatività dell'obbligo di conservazione della documentazione suddetta”.

Va evidenziato, peraltro, che la posizione espressa dalla Cassazione ed ivi commentata poggia le fondamenta su un orientamento solido, risalente e costante (Cass. 11733/1999; Cass., 15669/2017; Cass. 12093/2011; Cass., 24641/2021).
Le argomentazioni in essa esposte, peraltro, incontrano il modesto pare della scrivente redazione, nella misura in cui tengono in considerazione l’intero panorama normativo relativo alla conservazione degli atti, imposto agli imprenditori commerciali dall’art. 2220 del c.c..
Vieppiù, tale impostazione appare certamente una soluzione di buon senso ed improntata al principio di buona fede, come la stessa Corte rileva.
Trattasi di aspetti a cui il Tribunale di Napoli, al contrario, non fa cenno, o che, forse, non ha ritenuto rilevanti ai fini della propria decisione in merito.

In ogni caso, l’orientamento di cui alla recente pronuncia del Tribunale di Napoli in merito all’applicazione dell’art. 119, comma IV, del T.U. Bancario non trova riscontri tanto nella giurisprudenza di merito, quanto in quella di legittimità.
Per tali ragioni, la si ritiene una sentenza piuttosto isolata; di certo non si può aprioristicamente escludere l’emanazione di pronunce conformi, tuttavia, perlomeno fintantoché l’orientamento non verrà fatto proprio dalla Suprema Corte, non sembra destinata ad avere ampio seguito.

V. D. chiede
domenica 23/10/2022 - Campania
“La mia domanda e la mia situazione sono: mio zio è morto nel 2013 senza testamento definitivo, non è mai stato sposato e non ha figli, mio padre è suo fratello in linea diretta e ho la procura di mio padre. Abbiamo completato la successione. Quello che mi preoccupa è che l'ufficio postale del piccolo paese dice verbalmente che non aveva alcun conto. Verificando con un altro ufficio postale fuori regione lo schermo del computer dice "Blocco per Verifiche Anagrafiche", mostra anche ID CLIENTE, Non mi sento a mio agio con quello che ci è stato detto e vorrei sapere esattamente come confermare se qualcuno ha incassato titoli, obbligazioni, investimenti o qualsiasi prodotto che potrebbe aver avuto. Ho fatto una ricerca per pagamento Buono Fruttiferi che non ha dato risultati. Mio zio era nel settore agricolo a volte è stato pagato con assegni trasferibili che avrebbe incassato e immagino abbia anche acquistato qualche tipo di investimento dall'ufficio postale. Dove e come posso confermare se qualcuno ha incassato a mia insaputa? Potete indicarmi la procedura corretta necessaria in modo che io possa consigliare al nostro avvocato ciò che va fatto e trovare, si spera, una soluzione per risolvere questa situazione, saluti”
Consulenza legale i 27/10/2022
Il caso che si sottopone ad esame riguarda la morte di un soggetto che non lascia figli, né genitori né altri ascendenti, ma soltanto un fratello, al quale, in forza di quanto disposto dall’art. 570 del c.c., spetterà l’intero patrimonio ereditario.
Un problema che spesso si presenta nella prassi è quello di ricostruire il patrimonio della persona deceduta, ed a tal fine possono essere rilevanti le operazioni effettuate in vita sul conto corrente dello stesso defunto, soprattutto quando, come in questo caso, vi è il dubbio che siano state effettuate delle operazioni sospette sull’unico conto di cui si ha conoscenza.

Ebbene, proprio a tale scopo va riconosciuto a colui o a coloro che si trovano nella posizione di eredi legittimi il diritto di accedere alla documentazione relativa ai rapporti bancari del parente defunto, non potendosi la banca o l’Ufficio postale opporre a tale richiesta, in quanto è per legge tenuta a comunicare agli eredi i dati richiesti.
La suddetta facoltà, infatti, trova fondamento al comma 3 dell'art. 9 del codice privacy, il quale attribuisce il diritto di accesso ai dati personali riferiti a persone decedute a chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione.
Ai sensi del successivo art. 10 del codice privacy, le banche, da parte loro, e previo oscuramento di eventuali dati di terzi, hanno l’obbligo di estrapolare dai loro archivi e documenti solo i dati personali oggetto di richiesta d’accesso e di consegnare tutti i documenti inerenti la richiesta, senza poter porre in capo al richiedente alcun onere di versare un corrispettivo o rimborso spese (così art. 7 del codice privacy).
Solo in seguito ad un risultato negativo della ricerca o ad un "notevole impiego di mezzi in relazione alla complessità o all'entità delle richieste" è possibile richiedere un contributo spese, comunque mai eccedente i costi effettivamente sopportati per la ricerca fatta.

Una analoga disposizione si rinviene al comma 4 dell’ art. 119 del [[tub]], il quale riconosce al cliente, ma anche a colui che gli succede a qualunque titolo ed a colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, il diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre il termine di novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, con addebito dei costi di produzione di tale documentazione.
In merito alla corretta interpretazione di quest’ultima norma è intervenuta la Corte di Cassazione ((Cass. Sez. I n. 12093 del 27/9/2001, Cass. Sez. I n. 11004 del 12/5/2006), sottolineando che la normativa va interpretata in base al principio di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 del c.c.) e che quindi il cliente o chi per lui ha il diritto di ottenere tutta la documentazione di cui è interessato nel rispetto del solo limite temporale decennale (si è così cercato di porre fine ad un'interpretazione eccessivamente letterale che le banche davano a tale disposizione, rigettando le richieste della clientela troppo generiche o comunque non riguardanti una specifica e circostanziata operazione).

Quindi, ciò che si consiglia, innanzitutto, è di presentare una istanza di accesso a tutta la documentazione relativa al conto corrente postale caduto in successione, motivando tale richiesta con il proprio diritto, nella qualità di unico erede del defunto intestatario del conto corrente, di voler procedere ad una ricostruzione dell’asse ereditario del defunto.
Per dare prova della propria qualità di erede sarà sufficiente allegare all’istanza di accesso copia della denuncia di successione già presentata.

Qualora da tale istanza di accesso non dovessero emergere dati rilevanti ai fini della ricostruzione del patrimonio del defunto, si potrà tentare di accedere al cassetto fiscale dello stesso defunto, recuperando l’ultima dichiarazione dei redditi dallo stesso presentata, completa dei dati reddituali, degli oneri detraibili e deducibili sostenuti dalla persona deceduta (comunicati all’Agenzia delle Entrate dagli enti esterni), nonché delle altre informazioni presenti nell’Anagrafe Tributaria.
A tal fine sarà necessario recarsi personalmente presso un qualsiasi ufficio territoriale dell'Agenzia delle Entrate ed esibire la documentazione attestante la condizione di erede o presentare una dichiarazione sostitutiva che certifichi la propria qualità di erede.
In alternativa l’erede potrebbe inviare la richiesta all’ufficio territoriale tramite PEC, sottoscrivendola digitalmente insieme alla copia del documento di identità.
E’ possibile che da tale ricerca emergano ulteriori elementi che possano consentire di risalire ad altri prodotti finanziari di cui il de cuius era titolare.

Sembra improbabile, comunque, che soggetti privi di titolo abbiano potuto effettuare operazioni su prodotti finanziari facenti capo al defunto.
Inoltre, si tenga presente che dall’anno della morte del de cuius (avvenuta nel 2013) sono quasi decorsi dieci anni, termine oltre il quale si prescrive ogni diritto ex art. 2934 del c.c..

DR. M. S. chiede
venerdì 18/03/2022 - Lombardia
“buongiorno,
sono un coerede in una successione della quale sto cercando di ricostruire il patrimonio in quanto alcuni dei coeredi si sono appropriati indebitamente di alcuni beni liquidi del de cuius.
a tale scopo, come consentito dalla legislazione vigente, ho chiesto alla banca che teneva rapporti con il de cuius la copia degli assegni movimentati sul conto stesso.
mi risulta che tutti i documenti che una banca produce per un cliente devono essere conservati per dieci anni, un limite temporale quest'ultimo che riguarda anche la documentazione di tipo contabile/fiscale. la conservazione dei documenti contabili è normata, che io sappia, dall'articolo 2220 del codice civile.
ora la banca da me interpellata mi racconta che una parte delle copie degli assegni richiesti non potranno essermi consegnate in quanto la banca che ha materialmente negoziato il titolo asserisce che non riesce a rintracciarli (???) nonostante rientrino nel lasso temporale dei 10 anni previsto dalla legge.
io sono portato a pensare che la banca non voglia, anche se non immagino per quale motivo, ricercare ed esaudire la mia richiesta. se l'obbligo di conservazione è di legge deduco che "non si possano perdere dei documenti" che potrebbero essere importanti e/o decisivi in altre successive cause civili e o penali. magari per uno si, ma per oltre 10 mi sembra impossibile.
come posso obbligare le banche (emittente e negoziatrice del titolo) a fornirmi le copie dei titoli negoziati e chiedere loro dei danni per inadempienza che potrebbe crearmi un danno patrimoniale?
grazie per una risposta, cordialmente”
Consulenza legale i 23/03/2022
Le banche sono obbligate alla conservazione della documentazione contabile per un periodo di 10 anni, come disposto dall’art. 119 del T.U. bancario, comma 4, corrispondente al principio generale di cui all’art. 2220 del c.c..
Il medesimo art. 119 del T.U. bancario, comma 4, attribuisce al cliente, ovvero a colui che gli succede a qualunque titolo (anche per successione), il diritto di ottenere, a proprie spese (al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione), entro un termine non superiore a novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni.

Nel caso che espone, posta la sua qualità di coerede, la banca è obbligata a fornirle copia della documentazione che richiede riferita al de cuius.
In difetto potrà segnalare alla Banca d’Italia la vicenda e l’inadempimento dell’istituto bancario da Lei interpellato, eventualmente riservandosi la possibilità di chiedere il risarcimento del danno che detta condotta potrà arrecare, anche in via giudiziale.

Se anche la segnalazione e l’eventuale successivo richiamo della Banca d’Italia dovessero rivelarsi infruttuosi, allora potrà agire giudizialmente per la tutela del suo diritto, chiedendo al Giudice competente di ordinare all’istituto bancario la consegna di copia della documentazione richiesta.

In ogni caso, a prescindere dalla consegna delle copie degli assegni e salva comunque la possibilità di segnalare eventuali irregolarità alla Banca d’Italia, potrà ottenere il medesimo risultato di conoscere gli importi degli assegni emessi ed incassati mediante richiesta degli estratti conto dei periodi che Le interessano, nei quali troverà i corrispondenti addebiti, anche se soltanto per gli assegni già incassati.

Nell'eventualità in cui, infine, dovesse giungere alla conclusione di aver subito un danno da parte dei suoi coeredi, potrà agire in giudizio con azione di riduzione ai sensi dell'art. 553 e ss del c.c. per la reintegrazione della propria quota di legittima.


Marina B. chiede
mercoledì 31/03/2021 - Piemonte
“15 anni prima della morte di un mio amico, egli mi ha donato una somma in denaro tramite bonifico, di cui alcuna persona e’ a conoscenza. Egli è mancato 01/10/20
Oggi sono erede universale, e la figlia ha la legittima al 50%.
Mi risulta che la banca possa fornire documentazione ufficiale contabile unicamente dei 10 anni antecedenti alla morte. La figlia ha accettato eredità con beneficio di inventario.
E’ possibile che possa richiedere la riduzione di eredità su questa somma donata? E in che modo nel caso?”
Consulenza legale i 07/04/2021
L’art. 119 del Testo unico bancario impone agli istituti di credito il dovere di conservare gli estratti conto bancari non oltre il decennio e, pertanto, nel caso di specie la banca non avrebbe alcun obbligo di soddisfare una eventuale richiesta della figlia relativa ad un periodo che va ben oltre tale periodo.
Peraltro, nel quesito posto si dice che nessuno è a conoscenza di quel trasferimento di denaro che l’amico ha effettuato a titolo puramente liberale, il che induce a pensare che difficilmente la figlia potrebbe pensare di richiedere all’istituto di credito le movimentazioni bancarie relative ad un periodo superiore al decennio.

A ciò si aggiunga un’altra considerazione: la figlia non sembra essere stata del tutto esclusa dalla successione del padre, in quanto si dice che, sebbene chi pone il quesito sia stata nominata erede universale, alla figlia è andata comunque la quota spettantele per legge e pari al 50% del patrimonio del defunto.
Sotto questo profilo, dunque, almeno con riferimento al patrimonio c.d. relictus del defunto (ossia ai beni che componevano il suo patrimonio al momento della morte), non si può temere alcuna azione di riduzione, risultando la figlia pienamente soddisfatta dei diritti che la legge le riserva, quali risultanti dall’art. 537 del c.c., nella parte in cui dispone che se il genitore lascia un solo figlio, a questi deve essere riservata la metà del patrimonio.

Quanto detto, ovviamente, non tiene conto di quale può essere stata l’effettiva consistenza del bonifico ricevuto, in quanto se trattasi di una somma di una certa rilevanza, tale da non potersi far rientrare nei limiti di quella che la legge definisce quota disponibile, e se la figlia aveva comunque conoscenza della reale consistenza del patrimonio del padre, allora la stessa potrebbe essere interessata ad approfondire la situazione economica del de cuius, per cercare di capire come quest’ultimo abbia potuto consumare il suo patrimonio.

Un esempio pratico può aiutare a chiarire meglio ciò che si vuole dire: se il de cuius aveva accumulato in vita un patrimonio di 200 e di questi 150 sono stati trasferiti all’amica con bonifico, lasciando un relictus di 50, sembra evidente che la figlia possa non accontentarsi di 25, ossia del 50% di ciò che il padre ha fatto trovare al momento della sua morte.

Qualche dubbio in tal senso può farsi discendere dalla circostanza che la figlia ha scelto di accettare l’eredità con beneficio di inventario, non essendo dato sapere se ha fatto ricorso a tale forma di accettazione per il timore di trovare nell’eredità paterna dei debiti oppure nell’intento di soddisfare la condizione che l’art. 564 del c.c. pone all’erede per agire in riduzione (sebbene la stessa norma appena citata precisi che il rispetto di tale condizione non è richiesto nel caso in cui si intenda chiedere la riduzione di donazioni e legati fatti a soggetti chiamati come coeredi).

Se tale scelta fosse stata effettuata al fine di agire in riduzione, non può del tutto escludersi che la figlia possa essere in possesso di qualche indizio da cui poter desumere che la consistenza del patrimonio paterno era ben altra da quella risultante al momento della sua morte.
Qualora, dunque, si decidesse a voler approfondire in tal senso, sarebbe astrattamente possibile superare quel limite temporale del decennio al di là del quale viene meno il dovere degli istituti di credito di conservare la documentazione contrattuale dei clienti e, conseguentemente, il loro obbligo di fornire agli interessati, che ne fanno richiesta, i relativi estratti conto.

A tal fine, infatti, ci si potrebbe avvalere dell’orientamento fatto proprio in diverse occasioni dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. 22.08.1985 n. 4480; Cass. 09.04.1984 n. 2262; Cass. 14.05.2005 n. 1590), la quale ha affermato che, sebbene il quarto comma dell’art. 119 TUB imponga alla banca il dovere di conservazione degli estratti conto non oltre il decennio, in realtà il relativo dies a quo deve farsi decorrere dalla chiusura del conto corrente.
La S.C., infatti, fa rilevare che il rapporto contrattuale che si viene ad instaurare tra banca e cliente deve essere a tutti gli effetti ricondotto al contratto di mandato (quantunque articolato in più atti esecutivi), e pertanto è dalla conclusione di tale mandato (coincidente con la chiusura del conto corrente) che deve farsi decorrere il termine decennale a cui fa riferimento l’art. 119 TUB.

Nel caso di specie la morte del correntista è avvenuta in data 01.10.2020, il che lascia supporre che il rapporto contrattuale con la banca o le banche interessate o non sia stato ancora chiuso oppure sia stato chiuso in prossimità di quella data.
Ciò consente, facendo proprio l’orientamento sopra riportato della S.C., di pretendere che la banca (da cui è partito il bonifico per effettuare la liberalità in favore dell’amica) fornisca alla figlia ogni documentazione utile a ricostruire le movimentazioni bancarie del padre anche oltre l’ultimo decennio.
Se dall’esame di tale documentazione si dovesse venire a conoscenza di una somma abbastanza consistente uscita gratuitamente dal patrimonio del de cuius, sembra evidente che la figlia non esiterà ad agire in riduzione per pretendere la quota di riserva che effettivamente le compete, calcolata non solo sul relictum, ma anche sul donatum.


Anna chiede
martedì 24/11/2020 - Lombardia
“Buongiorno, avrei alcune informazioni da chiedere in merito ad un contenzioso con la banca: sto chiedendo in qualità di erede legittimo tutta la documentazione bancaria degli ultimi 10 anni del de cuius,dopo snervanti tira e molla ,mi viene consegnata la documentazione che presenta a mio parere delle stranezze: contratti ai quali mancano dei fogli(lo si evince dalla graffatura manomessa), contratti ai quali mancano praticamente le condizioni,le firme,eventuali modifiche contrattate col cliente...e via dicendo;inoltre ci sono pochissime fotocopie degli originali e dei prelievi fatti allo sportello tramite operatore, mi sono stati consegnati fogli che non sono assolutamente fotocopie ma sembrano stampati appositamente che indicano sì il tipo di operazione con data e ora, ma non riportano la firma dell'impiegato bancario e la firma del de cuius viene riportata in pennarello nero fortemente mancato, come se fosse stata presa e messa lì per la necessità.Il de cuius può aver depositato la firma visto le precarie condizioni di salute degli ultimi anni e autorizzato la banca ad usarla quando qualcuno si presentava magari chi aveva una delega? Presumo ci sia un contratto anche per queste autorizzazioni o no? Sono erede legittimo, ma la banca non mi ha richiesto alcuna autocertificazione di erede ne l'atto di morte quando ho fatto la richiesta,e mi ha comunque consegnato tali documenti.Mi è stato detto che un altro erede si è presentato in banca per sbloccare ,non riuscendoci il conto che io avevo fatto bloccare al momento del decesso di nostro padre, per far svincolare dei soldi, può aver fatto la richiesta anche a mio nome? È legale ciò? Un erede può rappresentare tutti gli altri senza il consenso degli stessi e chiedere alla banca determinate cose?Come posso tutelarmi, dato che ho prove certe che la banca sta ostacolando la mia legittimità nel richiedere ciò che mi spetta di diritto?Grazie.”
Consulenza legale i 01/12/2020
Il primo aspetto che il caso in esame richiede di affrontare è quello relativo alla presunta contraffazione dei documenti che la banca ha finora messo a disposizione.
Al riguardo occorre avvertire che il tema della falsità documentale è un tema molto delicato e rischioso, in quanto si tratta di mettere in dubbio documenti prodotti da terzi, accusandoli di averli scientemente e dolosamente alterati, ponendo dunque in essere una condotta che potrebbe assumere rilevanza anche sotto il profilo penale.
Si vuole a tal proposito segnalare la recente sentenza del Tribunale di Bari, Sezione IV civile n. 34/2019, pubblicata in data 03/01/2019, che può indurre a riflettere prima di pensare concretamente di portare avanti la tesi della falsità dei documenti messi a disposizione dalla banca, sentenza che si ritiene particolarmente pertinente al caso in esame perché proprio relativa alla materia bancaria.

Si legge in un passo della motivazione di tale sentenza che “secondo il prevalente e condiviso orientamento della giurisprudenza anche di legittimità il disconoscimento della conformità della copia all’originale presuppone che il dichiarante indichi in quali punti la copia costituisce un “falso” (cfr. Cass. 30.6.2014, n. 14804), ossia, sia stata materialmente contraffatta nel suo originario contenuto, o, più semplicemente, non corrisponde integralmente all’originale non prodotto e sia in grado di offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che la scrittura presentava nella versione originale del documento. Infatti, come testualmente affermato da Cass. n. 7775 del 3.4.2014, “La contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali “impugno e contesto” ovvero “contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante”, ma va operata – a pena di inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale …Una contestazione della conformità all’originale d’un documento prodotto in copia, insomma, è validamente compiuta ai sensi dell’art. 2719 del c.c. quando si indichi espressamente in cosa la copia differisca dall’originale, ovvero quando si neghi l’esistenza stessa d’un originale. Limitarsi a dichiarare di “contestare” un documento senza nemmeno indicare cosa ci sia da contestare è un artificio che può trovar spazio nei manuali di retorica, non negli atti d’un processo, e chi lo adotta non potrà che imputare a sè medesimo le conseguenze derivanti dalla imperfetta contestazione”.

Con ciò vuole chiaramente dirsi che, se non si ha assoluta certezza e riscontro concreto della asserita falsità documentale e se la stessa si fonda su semplici supposizioni, è consigliabile non portare avanti, né giudizialmente né in via extragiudiziaria, una contestazione di tale tipo.
Se, al contrario, i dubbi sulla autenticità di alcuni dei documenti prodotti dalla Banca sono seri, concreti e ben circostanziati (nel senso che si dispone di concrete fonti di prova), e soprattutto se si è consapevoli che dalla accertata falsità giudiziale di tali documenti possano trarsi dei concreti vantaggi, allora si potrà fare ricorso al disposto dell’art. 221 del c.p.c., norma che consente di proporre la querela di falso anche in via principale, ossia instaurando un autonomo giudizio ordinario di cognizione, volto ad accertare la falsità dei documenti oggetto di impugnazione.
Giudice competente è il Tribunale in composizione collegiale, come risulta dal combinato disposto degli artt. 221, 225 e 50 bis c.p.c. (è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero).

L’altro aspetto della vicenda descritta, per il quale si chiedono suggerimenti, è come possa giustificarsi l’atteggiamento assunto dalla Banca, la quale, nel fornire la documentazione richiesta, non ha preteso alcun documento che potesse servire a comprovare il proprio status di chiamato all’eredità (si ricorda che la posizione di erede si acquista solo dopo l’accettazione).
Va intanto detto che, dagli elementi che vengono forniti nel quesito potrebbe pensarsi ad un rapporto di conto corrente cointestato a firma congiunta, in cui la cointestazione potrebbe riguardare l’altro erede che ha tentato di operare sul conto, ma a cui non gli è stato concesso di farlo proprio perché a firma congiunta.

Per questo si ritiene che sia indispensabile acquisire, per prima cosa, tutta la documentazione contrattuale, in quanto solo dal suo esame sarà possibile verificare la presenza di eventuali deleghe o cointestazioni in favore di terzi.
Le banche, generalmente, cercano di frapporre ostacoli alla consegna di tale documentazione, adducendo che il quarto comma l’art. 119 T.U. bancario, sulla cui base viene esercitato il diritto di ricevere copia dei documenti da parte della banca, fa riferimento soltanto alle c.d. comunicazioni periodiche alla clientela, ed in particolare gli estratti conto, dai quali è possibile desumere le varie movimentazioni.
Ciò, tuttavia, non esclude che il cliente abbia il diritto di ricevere anche le copie dei contratti sottoscritti, in quanto, sebbene la norma citata non lo dica espressamente, il relativo obbligo in capo alla banca può farsi discendere dal dovere generale che sulla stessa grava di comportarsi secondo correttezza ex art. 1175 del c.c. anche nei confronti del cliente (debitore e creditore), oltre che dal principio contenuto all’art. 1375 del c.c.,, il quale impone che il contratto debba essere eseguito secondo buona fede.

E’ proprio argomentando da tali norme che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12093/2001 ha imposto alla banca di fornire al cliente l’intera documentazione relativa al rapporto obbligatorio ed al suo svolgimento.
Pertanto, qualora sussista il fondato dubbio che l’istituto di credito non abbia fornito tutta la documentazione relativa al rapporto intrattenuto con il de cuius e che abbia artificiosamente trasmesso documentazione incompleta, non resta altra soluzione che far pervenire alla stessa una diffida ad integrare detta documentazione, specificando anche di fornire ogni documento relativo ad eventuali deleghe o cointestazioni ed evidenziando, a tal proposito, tutte le incongruenze e le stranezze rilevate, senza mai palesare alcun sospetto nei confronti dell’operato della Banca.

Nel caso in cui l’istituto di credito non dovesse far seguito a tale diffida o dovesse rispondere asserendo di non essere in possesso di altri documenti e che tutta la documentazione prodotta è conforme agli originali, non resta altra soluzione che quella di ricorrere all’autorità giudiziaria, potendosi a tal fine avvalere dello strumento del ricorso per decreto ingiuntivo avente ad oggetto la consegna degli estratti conto degli ultimi dieci anni, nonché di tutti i contratti sottoscritti.
Nel momento in cui la banca, poi, dovesse opporre di aver già prodotto la documentazione richiesta e, si ripete, qualora si abbia fondata certezza della mancanza di autenticità di alcuni di essi, si potrà proporre nel corso del giudizio di opposizione, che si andrà ad instaurare, querela di falso c.d. incidentale, sempre ex art. 221 c.p.c. per contestare quei documenti in riferimento ai quali si nutrono dubbi di autenticità.

Infine, per quanto concerne la circostanza che la banca ha messo a disposizione di chi pone il quesito la documentazione richiesta senza pretendere di verificare il titolo che legittimava tale richiesta, le spiegazioni a cui può pensarsi sono due, ossia l’esistenza di un particolare rapporto di fiducia e conoscenza nei confronti del richiedente ovvero che tale legittimazione fosse stata già accertata nel momento in cui ci si è recati in banca per bloccare il conto (per cui sarebbe stata del tutto superflua un’ulteriore verifica).


Alessandro R. chiede
mercoledì 16/09/2020 - Emilia-Romagna
“Spett.le Brocardi, il problema riguarda l' ottenimento della così detta "copia conforme" dell' estratto conto del conto corrente bancario in ambito condominiale.
In ottemperanza a quanto disposto dall' art. 1129 c.c comma 7 ho preso appuntamento con l' amministratore di condominio per ricavare la copia degli estratti conto a partire dal 01/01/2013 al 31/12/2018, non essendo disponibili mi è stato fornito l' elenco dei movimenti contabili fino al 30/12/2017 e la copia dell'estratto conto per il restante periodo, il tutto in formato digitale pdf.
Il precedente amministratore aveva però effettuato dei pagamenti utilizzando il sistema dei bonifici multipli pertanto l' attuale amministratore avrebbe richiesto all' istituto bancario la copia conforme degli estratti conto e la distinta dei bonifici multipli.
Dopo circa 30 giorni, non ricevendo comunicazione in merito ho richiesto informazioni all' amministratore scoprendo che non aveva ancora provveduto, dopo circa altri 30 giorni ho trovato nella mia casella di posta elettronica diverse email, tutte inviate lo stesso giorno da parte dell' amministratore, con allegati gli estratti conto, le distinte dei bonifici ed il pagamento dell' operazione emesso dall' istituto bancario per un costo di € 19,50 il tutto in formato pdf, ho contattato l' amministratore il quale mi ha risposto che quello era ciò che gli ha dato la banca.
Survolando sul fatto che al passaggio di consegne il precedente amministratore avrebbe dovuto consegnare tutta la documentazione e quindi anche degli estratti conto e che il suo successore avrebbe dovuto pretendere la consegna di ciò che mancava, è noto che l' istituto bancario invii al correntista, periodicamente, l' estratto conto normalmente in formato cartaceo con l' addebito del costo di spedizione, oppure che , tramite accordo con il cliente, invii l' estratto conto in formato digitale, a titolo gratuito, nell account dell' home bancking e che, dietro richiesta, fornisca la copia conforme con addebito della produzione della copia.
Il dispositivo dell' art. 119 del T.U.B dispone che le comunicazioni inerenti il rapporto in essere debbano avvenire "in forma scritta o mediante altro supporto durevole" ed ai fini della direttiva n° 65/2002 C.E. per "supporto durevole" si intende qualsiasi strumento che permette al consumatore di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo che possano essere agevolmente recuperate durante un periodo di tempo adeguato ai fini a cui sono destinate le informazioni stesse e che consente la "riproduzione immutata" delle informazioni memorizzate.
Il semplice file in formato pdf non soddisfa le esigenze essendo privo di firma digitale elettronica, pertanto, facilmente modificabile e non equiparabile a scrittura privata, praticamente inutilizzabile in ambito giuridico, ritengo che l' istituto bancario debba produrre la copia degli estratti conto e le distinte dei bonifici multipli in apposito formato cartaceo e che la produzione e l' invio nell' account di home bancking del formato digitale debba essere a titolo gratuito e ritengo anche che, avendo già effettuata la necessaria richiesta tramite l' amministratore senza, per altro, aver ottenuto l' adeguato riscontro, mi possa rivolgere direttamente all' istituto bancario come da decisione A.B.F n° 7960/2016.
Le mie richieste possono essere considerate legittime?
Può la banca rifiutarsi di fornire quella che considero la "copia conforme"?”
Consulenza legale i 20/09/2020
La finalità dell’art. 119 tub, alla cui lettura si rimanda, è quella di permettere la trasparenza nel rapporto tra ente creditizio e cliente.

Nel caso di specie, risulta che la banca, conformemente all’art. 119, 1 comma, tub, abbia trasmesso gli estratti conto al cliente “in forma scritta o mediante altro supporto durevole accettato preventivamente dal cliente stesso”.

Non si possono condividere, infatti, le considerazioni svolte nel quesito per le seguenti ragioni.

Il file pdf risponde alla definizione di "supporto durevole" che si ritrova nella direttiva n° 65/2002 C.E. e anche nell’art. 120 quinquies TUB: “ogni strumento che permetta al consumatore o al professionista di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate”.

Tale formato del file permette di ottenere quanto indicato nella definizione di “supporto durevole”, come interpretato in base alla normativa comunitaria e nazionale e, pertanto, la richiesta di ottenere copia degli estratti del conto corrente in formati differenti non rientra nel perimetro dell’art. 119 TUB e potrebbe, dunque, essere oggetto di una legittima obiezione da parte dell’ente creditizio.

Vittorio D. chiede
venerdì 17/04/2020 - Campania
“Ciao Brocardi

Zio Rocco non aveva moglie o figli, io sono suo nipote
Rocco è morto a settembre 2013

> Ho completato il successione 2016
> Nessuna documentazione, libretti bancari, libretti degli assegni, carte mai trovate in casa sua Sono stato in grado di lanciare INPS solo per trovare questo conto previdenziale
> La Banca mi ha fornito gli ultimi dieci anni di estratti conto bancari per un numero di conto 148
Ma questo mostra solo attività quotidiane e nulla per quanto riguarda gli investimenti separati

> Anche l'ufficio delle banche si è trasferito nel 2014, facendo sì che il numero di conto passi da # 148 a # 63111132

> Ho ritirato la mia parte del denaro a ottobre 2016 e gli altri eredi hanno preso la loro parte 7 mesi dopo, a luglio 2017, è molto strano perché la banca è molto vicina alle loro case

> Zio Rocco ha aperto il conto n. 148 nell'anno 1987 e la banca ha risposto al mio avvocato dicendo che non riuscivano a trovare il contratto di apertura quando lo avevo richiesto, sono obbligati a far firmare una copia del contratto quando ha aperto?

> Ho ottenuto un ANGRAFE BANCARIA dall'Agenzia Entrate in merito ai movimenti della Banca di Zio Rocco

> Abbiamo presentato copie della Anagrafe alla banca e chiesto una spiegazione del motivo per cui vi sono date incomplete e numeri di conto bancario incompleti che non sono stati comunicati all'Agenzia Entrate poiché tutte queste informazioni dovrebbero essere finalizzate a causa della chiusura ufficiale Il sistema bancario di Zio quando abbiamo diviso i suoi beni

> La Banca afferma di non sapere nulla o di considerare in ogni caso questi processi e che Anagrafe Bancaria dell'Agenzia Entrate non significa nulla per loro

> L'Agenzia Entrata mi ha detto che la banca comunica tutte queste informazioni e movimenti all'Agenzia Entrate in quanto obbligati a farlo

> Posso allegare le quattro pagine ANAGRAFE e inviarle a voi come durante la creazione di questo lavoro di consultazione non mi ha permesso di allegarlo, qui potete vedere le informazioni mancanti che non sono state comunicate all'Agenzia Entrate

Penso che mi sia stato mostrato solo il normale conto bancario del libretto degli assegni generale e se c'era un conto di investimento o un risparmio non mi è stato mostrato e incluso nella divisione immobiliare

Abbiamo anche inviato un decreto ingiuntivo in merito a questo conto bancario e in particolare richiesto la conferma delle informazioni mancanti di ANAGRAFE Bancaria a cui hanno totalmente ignorato la domanda di ANAGRAFE, e l'avvocato delle banche ha risposto che era solo un conto bancario, questo mi fa preoccupare che potrebbe esserci stato un investimento o qualcosa che non ci viene comunicato

* Spero che tu possa capire ciò che ho scritto in dettaglio
* La banca non sta rispondendo o rispondendo a domande relative all'ANAGRAFE BANCARIA fornite dall'Agenzia Entrate e ha persino lanciato lettere di avvocati e molte telefonate

* Vi prego di informarmi su cosa posso fare per chiarire queste informazioni mancanti poiché la banca sta evitando la domanda e l'Agenzia Entrate ha confermato che questi dati sono stati completati e non completati, tutti provengono direttamente dalla banca
* Ho bisogno di questo ANGRAFE BANCARIA spiegato e perché mancano informazioni?
* Vorrei una revisione della revisione di tutta la storia bancaria di Zio Rocco
* Avvocati e commercialisti hanno visto ANAGRAFE e non sono in grado di spiegare le informazioni mancanti, ho bisogno di qualcuno che capisca esattamente di cosa tratta questo materiale
* Come posso risolvere questa situazione?”
Consulenza legale i 23/04/2020
Le strade da percorrere per tentare di ricostruire tutti i rapporti contrattuali intercorsi tra il de cuius e la Banca passano per due vie:

1) La prima è quella di trasmettere alla Banca una istanza ex art. 119 del Testo Unico Bancario finalizzata a richiedere formalmente tutta la documentazione che risulta dal documento “Anagrafe Bancario”.
Da quest’ultimo documento, infatti, risultano indicati alcuni dati (come la data di inizio del rapporto, l’Istituto Bancario, etc.) che potranno essere indicati nell’istanza al fine di circoscrivere la richiesta ed evitare eccezioni da parte della Banca;

2) Qualora l’istanza ex art. 119 TUB non abbia alcun effetto e la Banca si rifiuta di esibire la documentazione richiesta, si dovrà ricorrere ad un ricorso per decreto ingiuntivo ex art. 633 del c.p.c. con cui si chiederà che il Tribunale ordini l’esibizione di detta documentazione alla Banca.

Ovviamente, la documentazione di cui potrà essere richiesta copia può essere solo quella per cui è richiesta la forma scritta ex art. 117 TUB, tra questa non rientrano gli ordini di esecuzione di investimento, ad esempio.

Vittorio D. chiede
mercoledì 29/01/2020 - Campania
“Mio zio ha aperto un conto in banca nel 1987 e la stessa banca afferma che in (Banca delle M. del 1998) si sono trasferiti in carica e ha scritto un nuovo contratto

Ho il contratto del 1998
Ma ho chiesto il contratto del 1987 e stanno dicendo che non sono obbligati a darglielo ed è distrutto,

Sono autorizzati a distruggere un contratto del 1987?
È morto nel 2013, dopo 10 anni che hanno potuto distruggere, nel 2023 hanno dovuto tenere un registro

le banche sono tenute a conservare registri e firme dell'apertura dei conti bancari?

anche io ho i registri di storia bancaria dell'A. E. che mostrano la data di apertura del 1987 ma non è mai stata aperta la registrazione del 1998, quando le banche trasferiscono gli uffici sono obbligati a comunicarlo all'A.e.?

la mia domanda alla banca era se avesse già un conto nel 1987 perché avrebbe dovuto riaprire il conto nel 1998 se fosse la stessa banca che si è trasferita

quindi quali sono le leggi bancarie per tenere un registro di quando i clienti aprono conti?”
Consulenza legale i 02/02/2020
La risposta al primo quesito inerente alle motivazioni della riapertura di un conto, non si può che rilevare come, sovente, la banca sia portata, talvolta a causa di operazioni straordinarie che hanno coinvolto la banca (fusione tra banche, etc.), a porre in essere delle “migrazioni” dei rapporti di conto corrente.

La migrazione altro non è che la riapertura del contratto corrente, inizialmente in essere con una banca, con il nuovo soggetto bancario titolare del rapporto di conto corrente in forza del perfezionamento dell’operazione straordinaria.

Per fare un esempio, Caio intratteneva il rapporto di conto 1 con la banca x; la banca x si è fusa per incorporazione con la banca y; in seguito alla fusione, la banca x non esiste più in quanto incorporata nella banca y. Il nuovo soggetto titolare del rapporto sarà pertanto la banca y. Il vecchio rapporto di conto 1 intrattenuto con la banca x verrà migrato nella banca y, in quanto la banca x per via della fusione ha trasferito tutti i suoi rapporti con i vari clienti alla banca y, nuova titolare del rapporto di conto 1. Con la migrazione del rapporto, si avrà la riapertura del contro presso la banca y, e il rapporto di conto prenderà una nuova numerazione.

In relazione, invece, al secondo quesito, la norma di riferimento in punto di obblighi di conservazione della documentazione bancaria è l’art. 119, IV comma, del TUB, a mente del quale “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”.

Tale norma è stata interpretata in maniera difforme dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.

Secondo una certa giurisprudenza di merito, la banca sarebbe tenuta alla conservazione dei contratti, come quello indicato nel quesito, solamente per dieci anni dal momento in cui è stato sottoscritto (cfr. Trib. Ravenna 6.6.2012; Trib. Taranto 17.9.2015; Trib. Sassari 21.12.2015 e Trib. Roma 10.4.2015); aderendo a questo indirizzo, la banca, nel caso di specie, non sarebbe tenuta a conservare un contratto sottoscritto nel 1987.

Tuttavia, come evidenziato dalla Corte d’Appello di Milano “Il contratto di c/c bancario … costituisce prova scritta richiesta ad substantiam ed a pena di nullità … costituisce la fonte della disciplina dei rapporti obbligatori tra le parti e, come tale, non può essere distrutto decorso il termine di dieci anni dalla sua sottoscrizione, qualora i diritti da esso nascenti non si siano prescritti” (App. Milano 22.5.2012).

Del medesimo avviso è la Suprema Corte che, di recente, ha statuito che la banca che “si disfa della documentazione afferente a un credito, di cui non ha ancora ottenuto soddisfacimento e rientro, si manifesta, in sé stesso, di negligenza grave, pure venendo apertamente a violare il dovere di “sana e prudente gestione” di cui all’art. 5 del vigente Testo unico bancario” (Cass. 20.2.2018, n. 4102)

Tirando le somme di questi ultimi indirizzi giurisprudenziali, maggiormente convincenti in punto di obbligo di conservazione della documentazione bancaria, si può concludere come segue per rispondere al secondo quesito formulato: non sussiste un limite temporale massimo scaduto il quale la banca possa ritenersi esonerata dal conservare un rapporto di conto corrente e, pertanto, anche per un contratto sottoscritto nel 1987 potrebbe sussistere un obbligo per la medesima banca di conservazione. Tuttavia, e per questo è stato utilizzato il condizionale “potrebbe”, l’obbligo di conservazione si deve conciliare con l’istituto della prescrizione. Pertanto, ove i crediti scaturenti da tale rapporto di conto corrente fossero già prescritti, si può affermare correttamente che verrebbe meno anche l’obbligo di conservazione di detto rapporto per la banca; diversamente, laddove detti crediti ancora non fossero prescritti, la banca sarà tenuta a conservare detto contratto.

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