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Articolo 528 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 28/02/2023]

Nomina del curatore

Dispositivo dell'art. 528 Codice Civile

Quando il chiamato non ha accettato l'eredità [460, 470 ss. c.c.] e non è nel possesso di beni ereditari [487 c.c.](1), il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione [456 c.c.], su istanza delle persone interessate(2) o anche d'ufficio, nomina un curatore dell'eredità [460, 529 ss. c.c.](3)(4).

Il decreto di nomina del curatore, a cura del cancelliere, è pubblicato per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia(5) e iscritto nel registro delle successioni [52, 53, art. 781 del c.p.c. c.p.c., 193](6).

Note

(1) La possibilità di nominare un curatore è limitata alle sole ipotesi in cui il chiamato non sia nel possesso dei beni ereditari poichè solo in questo caso il chiamato ha a disposizione tempi ristretti per accettare o meno l'eredità (v. art. 485 del c.c.) e, di conseguenza, limitato è il periodo in cui l'eredità rimane priva di titolare.
(2) Legittimati alla proposizione dell'istanza di nomina sono tutti coloro che vi abbiano interesse, per esempio i chiamati in subordine, i creditori ereditari e quelli del chiamato.
(3) Il comma è stato così modificato ai sensi dell'art. 145, D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado).
(4) L'incaricato svolge un ufficio di diritto privato, ossia pone in essere un'attività nell'interesse altrui adempiendo ad un compito attribuitogli dalla legge. Il curatore non ha potere rappresentativo, cioè agisce in nome proprio e nell'interesse altrui (tutti coloro che hanno interesse all'eredità).
(5) La L. 24 novembre 2000, n. 340 (Legge di semplificazione 1999) ha abolito i fogli degli annunzi legali delle province, prevedendo quale unica forma di pubblicità la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
(6) Il decreto va notificato, a cura del cancelliere, al nominato il quale ha la facoltà di accettare o meno l'incarico. Nel primo caso è tenuto a prestare giuramento (v. l' art. 193 disp. att. c.p.c.)

Ratio Legis

La nomina di un curatore dell'eredità giacente assicura che quest'ultima non rimanga priva di tutela nel tempo che intercorre tra l'apertura della successione e l'accettazione del chiamato. Durante tale intervallo l'erede può esercitare i poteri di cui all'art. 460 del c.c.. Ove non si voglia avvalere di tale facoltà, la legge prevede la possibilità di nominare un curatore.

Brocardi

Curator
Curator rei datur
Hereditas iacens
Iacens hereditas dicitur quae heredem nondum habet, sed habere sperat
Quamdiu hereditas iacet, possessio nullius est
Si nemo subiit hereditatem, omnis vis testamenti solvitur

Spiegazione dell'art. 528 Codice Civile

Il concetto dell’eredità giacente nel codice del 1865 era profondamente diverso da quello del diritto romano, essendo differenti i principi che regolavano l’acquisto dell’eredità. Quel codice, infatti, ammetteva l’acquisto ipso iure del diritto all’eredità da parte del chiamato, per legge o per testamento, anche prima dell’accettazione, la quale era invece considerata come una conferma dell’acquisto già verificatosi. Dunque non poteva più parlarsi di una giacenza dell’eredità per mancata aditio o in attesa di questa, caso che invece era tipico per il diritto romano.
L’art. #965# di quel codice qualificava l’erede, durante lo spatium deliberandi, curatore di diritto dell’eredità; di conseguenza, mentre per diritto romano l’istituto dell’eredità giacente si aveva a causa dell’assenza oggettiva del soggetto che doveva raccogliere i beni, per il codice del 1865 questo si fondava sull’ipotesi che l’erede non fosse noto o che gli eredi testamentari o legittimi avessero rinunciato (art. #980#); quindi, da una parte, la mancanza del soggetto, dall'altra l’incertezza su di esso erano i due opposti requisiti per cui si poteva parlare di eredità giacente.
La formula dell’art. #980# era universalmente ritenuta poco felice: prova ne sono le non poche questioni cui essa aveva dato luogo.

Il codice del 1942 ha invece regolato l’istituto su diverse basi: per l’articolo in esame, i presupposti, al verificarsi dei quali l’eredità è considerata giacente, sono: a) la mancata accettazione da parte del chiamato e b) la vacanza del possesso reale di beni ereditari; di guisa che il criterio ispiratore della speciale disciplina dell’istituto non è più quello del codice del 1865, ma neppure quello romano, sebbene sia stato accolto il principio che con l'aditio si acquista l’eredità. Quel criterio è determinato da un mero stato di fatto: la vacanza del possesso di beni ereditari che impone il provvedimento cautelare di una particolare amministrazione; esso, in altri termini, prescinde dal considerare se l’erede sia noto o ignoto.
Anche se, nelle relazioni al progetto definitivo, il Guardasigilli aveva precisato che l'esplicita previsione del chiamato ignoto era apparsa superflua, in quanto essa sarebbe già compresa in quella del chiamato che non accetti o non si trovi nel possesso reale di beni ereditari, non sembra corretto affermare ciò con riferimento all'art. 528, perché, quando si parla di un chiamato che non ha accettato l’eredità, si intende riferirsi ad un chiamato che, noto, non si sia ancora manifestato per l’aditio; in altri termini, appare alquanto forzata l’inclusione dell'ipotesi "chiamato ignoto" nell’altra di "chiamato che non ha ancora accettato". Alla luce di queste considerazioni, non sarebbe stato né superfluo, né inopportuno che si fosse specificata l’ipotesi de qua.

L’altra condizione per la giacenza dell’eredità, pur essa negativa, è, come si è detto, la vacanza del possesso di beni ereditari; il chiamato, cioè, non deve essersi immesso nel possesso anche di un bene ereditario soltanto, non essendo richiesto il possesso di tutto il compendio ereditario. Questa ipotesi va messa in relazione con quanto è stabilito nell’art. 485 in cui, previsto il caso che il chiamato all’eredità si trovi nel possesso reale, cioè effettivo, di un bene ereditario, lo si obbliga a fare l’inventario entro un breve termine, trascorso il quale inutilmente, lo si considera erede puro e semplice.
Ma sono soltanto questi i casi di eredità giacente? La dottrina, sotto il codice del 1865, era concorde nel ritenere che oltre che nelle ipotesi previste dall’art. #980#, l’eredità dovesse considerarsi giacente anche nel caso: a) di istituzione condizionale (così come in diritto romano); b) in cui fosse stato chiamato un concepito o un non concepito. Anche per l'attuale sistema successorio possiamo accogliere tale teoria: infatti l’art. 664 dichiara esplicitamente che agli amministratori nominati per le eredità lasciate sotto condizione o a nascituri concepiti o non concepiti si applicano le regole dettate per i curatori dell’eredità giacente; ciò significa parificazione delle diverse specie di istituzioni. Inoltre, può ancora ritenersi eredità giacente c) l’eredità devoluta ad un ente da istituire: qui si delinea la stessa situazione di fatto e giuridica che spiega i provvedimenti dati dalla legge per le altre specie di eredità. Accertatine i presupposti, l’eredità è giacente.

La nomina del curatore è fatta dal Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, e, sebbene la legge non lo dichiari, anche su designazione che della persona avesse fatto il testatore, per il caso in cui la sua eredità si fosse resa giacente, oppure su richiesta del pubblico ministero. Il decreto di nomina del curatore deve essere, poi, a cura del cancelliere, pubblicato per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia e iscritto nel registro delle successioni. A cura dello stesso cancelliere, inoltre, e nel termine indicato nel decreto medesimo, questo è notificato alla persona nominata.
La scelta del curatore è demandata, perciò, all'apprezzamento discrezionale del Tribunale; ma vi sono dei casi in cui è la legge stessa ad attribuire l'amministrazione dei beni ereditari a determinate persone. Così: se taluno è istituito sotto condizione sospensiva, fino a che questa non si verifica o è certo che non si può più verificare, l'amministratore dell'eredità giacente sarà o la persona a cui favore è stata disposta la sostituzione, ovvero il coerede o i coeredi, se tra di essi e l'erede condizionale ha luogo il diritto di accrescimento; se non è stata prevista la sostituzione o se non può aver luogo un accrescimento, l’amministrazione spetta a chi è il presunto erede legittimo. Da queste disposizioni si vede come la legge in tali casi abbia affidato - quindi non occorre l’intervento dell’autorità giudiziaria - l’amministrazione alle persone direttamente interessate; infatti tali devono dirsi l’erede sostituto in caso di mancata condizione sotto cui è chiamata una prima persona, il coerede o i coeredi a favore dei quali la legge consente l'acquisto, per accrescimento, della quota resasi vacante; infine il presunto erede legittimo.

Ma, allo scopo di non sottrarre ad un controllo amministrazioni di eredità talvolta ingenti, l’ultimo comma dell'art. 642 lascia sempre integra per l’autorità giudiziaria la facoltà di provvedere altrimenti nominando, ove si ravvisino giusti motivi, un amministratore estraneo, che dia sufficienti garanzie anche per il chiamato sotto condizione.
Se costui è un nascituro occorre tener distinte le ipotesi in cui sia già concepito oppure ancora non concepito. Nel primo caso, l’amministrazione dei beni spetta ai genitori. Ora, è appunto considerando questa disposizione che taluni - sotto il codice del 1865 - hanno ritenuto di giungere alla medesima conclusione nell’ipotesi che chiamato all'eredità fosse stato un non concepito; in altri termini, si è detto, poiché i genitori rappresentano i figli nati e nascituri, a loro spetta anche l’amministrazione dei beni assegnati ai figli che saranno concepiti, in quanto pur questi sono nascituri. Ma altri - ed erano i più - avevano rilevato l'inaccoglibilità di siffatta opinione, contro la quale stava il fatto che il codice aveva inteso attribuire ai genitori la rappresentanza solo dei figli nati e nascituri ma già concepiti, ed avevano concluso che, nel caso in cui istituiti fossero stati dei non concepiti, doveva procedersi alla nomina del curatore così come se si fosse trattato di un’eredità devoluta sotto condizione sospensiva.
L'attuale codice ha risolto la questione, poiché ha attribuito la rappresentanza del nascituro non concepito, per la tutela dei suoi diritti successori, a quelli che saranno i suoi genitori, e ciò anche se amministratore dell’eredità è una persona diversa, come ben può verificarsi dal momento che l'art. 356 consente a chi fa una donazione o dispone con testamento a favore di un minore, ancorché soggetto alla responsabilità genitoriale, di nominargli un curatore speciale per l’amministrazione dei beni donati o lasciati.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 528 Codice Civile

Cass. civ. n. 6771/2001

Il provvedimento di nomina del curatore dell'eredità giacente, ex art. 528 c.c., è atto di volontaria giurisdizione privo del requisito della decisorietà e dell'attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale. Come tale non è suscettibile di impugnazione ex art. 111 Cost. né con il regolamento di competenza.

Cass. civ. n. 2611/2001

Nel concorso di più chiamati all'eredità, alcuni soltanto accettanti l'eredità stessa, non è legittimamente configurabile, con riguardo agli altri chiamati non accettanti, la fattispecie dell'eredità giacente pro quota (che giustifichi la nomina di un curatore ex artt. 528-532 c.c.), atteso che la funzione dell'istituto de quo è quello della conservazione ed amministrazione del patrimonio ereditario nel suo complesso, e non in una sola sua parte, in attesa della definitiva devoluzione a che ne abbia titolo.

Cass. civ. n. 5113/2000

Le disposizioni di cui agli artt. 528 e 529 c.c. in tema di nomina e di attività del curatore dell'eredità giacente presuppongono la mancata accettazione da parte dell'unico chiamato alla successione ovvero di tutti i destinatari della delazione ereditaria.

Cass. civ. n. 11619/1997

Il curatore dell'eredità giacente, nominato dal pretore a norma dell'art. 528 c.c., va annoverato fra gli ausiliari del giudice, dovendo intendersi per tale secondo la definizione datane dall'art. 68 c.p.c. (che, nel prevedere, oltre il custode e il consulente tecnico, gli altri ausiliari, nei casi previsti dalla legge o quando ne sorga la necessità, ha creato al riguardo una categoria aperta), il privato esperto in una determinata arte o professione ed in generale idoneo al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo, temporaneamente incaricato di una pubblica funzione, il quale sulla base della nomina effettuata da un organo giurisdizionale secondo le norme del codice o di leggi speciali presti la sua attività in occasione di un processo in guisa da renderne possibile lo svolgimento o consentire la realizzazione delle particolari finalità (caratteristiche tutte riunite nella figura del curatore dell'eredità, ove si considerino l'impossibilità del pretore di provvedere da solo ai compiti di conservazione del patrimonio ereditario affidatigli dalla legge; la conseguente strumentalità delle funzioni del curatore, tenuto sotto giuramento, ex art. 193 disp. att. c.p.c., a custodire e amministrare fedelmente i beni dell'eredità, sotto l'attività di direzione e sorveglianza del giudice, da esplicarsi mediante appositi provvedimenti giudiziari; il provvedimento finale di chiusura della procedura, cui conseguono l'approvazione del rendiconto e la consegna all'erede del patrimonio convenientemente gestito). Pertanto, conformemente alla regola fissata dall'art. 52 disp. att. c.p.c., iI compito di liquidare il compenso al curatore dell'eredità giacente spetta, in sede camerale, al pretore che lo ha nominato, senza che a ciò sia d'ostacolo la circostanza che la suddetta liquidazione, con l'indicazione del soggetto tenuto a corrispondere il compenso, attenga a diritti soggettivi, posto che
questi ultimi, nell'ambito di quel procedimento ricevono tutela, sia in prime cure con la partecipazione allo stesso di ogni controinteressato sia in sede di gravame con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., (con correlativa inammissibilità di censure di insufficiente o contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato, e perciò, in particolare, di motivi attinenti all'erronea qualificazione dell'attività svolta dal curatore anche ai fini della scelta del parametro tariffario cui commisurare il compenso) e senza che la mancata previsione di un doppio grado di giudizio di merito, non imposto da alcuna norma della Carta fondamentale, possa dar luogo a dubbi di incostituzionalità.

Cass. civ. n. 3087/1987

Per la giuridica configurabilità di un'eredità giacente ex art. 528 c.c. e per la connessa possibilità di nomina di un curatore della stessa da parte del pretore del mandamento ove si è aperta la successione, non è necessario che sia certa l'esistenza di un chiamato all'eredità il quale non l'abbia accettata e non sia nel possesso di beni ereditari, ma è sufficiente che si ignori se il de cuius abbia eredi e se questi siano ancora in vita, e ciò fin quando, essendo acquisita la certezza della loro inesistenza, non ne derivi la posizione di erede dello Stato.

Cass. civ. n. 1841/1982

La dichiarazione di giacenza dell'eredità, con conseguente nomina del curatore, postula unicamente, ai sensi dell'art. 528 c.c., che il chiamato all'eredità non l'abbia accettata e non sia nel possesso di beni ereditari, mentre a nulla rileva che il patrimonio relitto consista di soli debiti, poiché anche in tal caso è necessario che di esso vi sia un custode ed amministratore (ossia il curatore), il quale tuteli gli interessi di tutti i chiamati, dal primo all'ultimo, eventuale e necessario (lo Stato), sino alla devoluzione dell'eredità.

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Consulenze legali
relative all'articolo 528 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

P. S. chiede
lunedì 28/11/2022 - Toscana
“Sono stato nominato curatore di una eredità giacente. il de cuius ha disposto con testamento notarile dei legati assegnando specifiche unità immobiliari.
1° quesito: i legatari mi stanno richiedendo l'immissione in possesso, devo consegnare loro le chiavi ove in mio possesso oppure possono provvedere alla sostituzione della serratura autonomamente in forza dell'art. 649 c.c.?
2° quesito: si pone il problema dei beni di pertinenza dell'eredità (e quindi soggetti ad inventario) ricoverati negli appartamenti legati. Premesso che al momento l'eredità non detiene alcuna liquidità, come devo comportarmi se il legatario mi richiede la rimozione dei beni? Eventualmente, ove in presenza di beni di nessun valore, qualora i legatari volessero accollarsi l'onere di smaltimento riterrei che il costo sostenuto potrebbe essergli riconosciuto in pre-deduzione una volta che l'eredità avrà la liquidità necessaria.
3° quesito: Alcuni immobili legati sono situati in un condominio che ha deliberato rilevanti spese di ristrutturazione. Ritengo quindi che le spese condominiali maturate sino alla data di decesso del de cuius siano a carico dell'eredità e non rientrino fra i pesi a carico del legatario, non avendo previsto il testamento alcun gravame a carico del legato ex art. 668 co. 1.
Ringraziando anticipatamente, porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 06/12/2022
L’istituto giuridico che viene in considerazione nel caso in esame è quello della curatela dell’eredità giacente, ed è pertanto nella disciplina ad esso relativa (artt. 528 e ss. c.c.) che va ricercata la risposta alle domande che vengono poste.
Si ritiene, intanto, opportuno svolgere alcune considerazioni di carattere generale per meglio affrontare il tema posto dai singoli quesiti.
Com’è noto, l'istituto dell'eredità giacente mira ad assicurare la conservazione e l'amministrazione del patrimonio ereditario nel periodo intercorrente tra il momento dell'apertura della successione e quello dell'eventuale accettazione da parte del chiamato, allorquando vi siano concrete esigenze gestorie non rinviabili al tempo in cui si realizzerà l'effetto devolutivo.
Infatti, la nomina del curatore comporta la cessazione dei poteri conservativi, amministrativi e di vigilanza conferiti al chiamato all'eredità ex art. 460 del c.c., comma 3 (non si vuole evitare una duplicazione di incarico, bensì impedire che il chiamato possa intralciare od ostacolare l'attività del curatore).

A tale nomina si provvede con decreto del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, il quale ha efficacia costitutiva, in quanto da quel momento cessano i poteri attribuiti al chiamato dall' art. 460 c.c.
Particolare rilevanza assume, ai fini della soluzione delle questioni che vengono poste, la tesi, sostenuta sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui la presenza di un esecutore testamentario esclude la necessità di nominare il curatore dell'eredità giacente, essendovi già il soggetto incaricato di amministrare la massa dei beni ereditari, con la precisazione che al curatore potrà farsi ricorso soltanto nel caso in cui all'esecutore testamentario non sia stato attribuito il potere di amministrazione, ovvero quando il suo ufficio abbia già avuto termine.
Da quanto appena detto, dunque, se ne deve dedurre che compito del curatore sarà non soltanto quello di amministrare il patrimonio ereditario esercitando i poteri del chiamato, ma anche quello di dare esecuzione alla volontà testamentaria (ciò che qui assume particolare rilievo, considerato che si è in presenza di un testamento con un contenuto particolarmente elaborato).

Fatte queste precisazioni, si possono adesso esaminare le questioni che vengono poste.
Il primo quesito riguarda la necessità o meno di immettere i legatari nel possesso dei beni di cui la testatrice ha disposto in loro favore.
La risposta è positiva, in tal senso dovendosi argomentare proprio dall’art. 649 del c.c., citato nello stesso quesito.
Il secondo comma di tale norma, in effetti, dispone che se oggetto del legato è la proprietà o altro diritto su un bene determinato, il trasferimento di quel diritto si realizza automaticamente al momento dell’apertura della successione (l’automaticità dell’acquisto è infatti la caratteristica principale delle disposizioni a titolo particolare).
Tuttavia, occorre prestare attenzione anche a quanto disposto dal terzo comma di quella medesima norma, ove si pone in capo al legatario l’obbligo di domandare all’onerato il possesso della cosa legata “…anche quando ne sia stato espressamente dispensato dal testatore”.
La ratio di quest’ultima disposizione va ravvisata, secondo la tesi che si ritiene preferibile, nell’opportunità o esigenza per l’onerato di trattenere l’oggetto del legato fino all’accertamento della sua validità o dell’esclusione dell’incidenza di esso sulla quota di riserva.
E’ stato anche osservato che la domanda del possesso vale a determinare la stabilizzazione dell’acquisto, che si è realizzato senza bisogno di accettazione, fatta salva la facoltà di rinunziare.
La stessa può essere fatta sia giudizialmente che stragiudizialmente, va rivolta all’onerato ovvero, nel caso di eredità giacente al curatore (se il testatore ha designato un esecutore testamentario, è a questo soggetto che deve essere rivolta la domanda del possesso).
Va precisato che il legatario deve chiedere il possesso della cosa anche quando ne abbia già la detenzione ad altro titolo (quale il deposito, il comodato o la locazione).
Prima della domanda del possesso, il legatario non può immettersi nella disponibilità della cosa, e si osserva che, in mancanza di consenso dell'onerato, questi è da considerare spogliato e può chiedere la reintegrazione con l'azione di spoglio, o, quando ne ricorrano i presupposti, con quella di manutenzione; peraltro, può chiedere al legatario il risarcimento del danno.
Sono tutte queste le ragioni per cui è da escludere che i legatari possano provvedere autonomamente a sostituire le serrature di accesso agli immobili a ciascuno di essi legati.

Il secondo quesito attiene alla sorte dei beni mobili inventariati e che si trovano all’interno degli immobili legati, una volta che i legatari abbiano conseguito il possesso degli stessi immobili.
Al riguardo viene innanzitutto in considerazione l’art. 529 del c.c., il quale dispone che il curatore non solo deve procedere all’inventario dell’eredità, ma anche ad amministrarla e a depositare presso un istituto di credito designato il denaro che si ritrae dalla vendita dei mobili ed a rendere conto della propria amministrazione.
Il successivo art. 531 del c.c., invece, fa rinvio alle disposizioni che lo stesso codice civile detta in relazione all’accettazione con beneficio di inventario.
Tra queste assume particolare rilievo l’art. 493 del c.c., il quale pone in capo all’erede che ha accettato con beneficio di inventario (figura assimilabile al curatore dell’eredità giacente) l’onere di richiedere l’autorizzazione giudiziaria per disporre (alienare, sottoporre a pegno o ipoteca) dei beni ereditari, la quale, per i soli beni mobili, non sarà più necessaria decorsi cinque anni dalla dichiarazione di voler accettare con beneficio di inventario.

Dal coordinamento di tali norme, dunque, se ne ricava che, trattandosi d beni regolarmente inventariati, anche se privi di valore commerciale realizzabile, sarà pur sempre necessario farsi autorizzare dal giudice sia per spostare gli stessi in altro luogo sia per il loro eventuale smaltimento, a meno che non si decida di attendere il trascorrere dei cinque anni.
Qualora ci si decida a chiedere l’autorizzazione al giudice per il loro smaltimento, ci si potrebbe far autorizzare contestualmente a porre le relative spese in capo ai legatari, riconoscendo agli stessi un diritto di credito da far valere sul patrimonio ereditario al momento della cessazione della giacenza dell’eredità.

Il terzo ed ultimo quesito pone il problema di stabilire su chi debbano essere fatte gravare le spese straordinarie deliberate dai condomini dei quali fanno parte gli immobili legati, e precisamente se sull’eredità (quali debiti ereditari) o sui legatari che nel frattempo ne hanno acquisito la proprietà.
Trattandosi di un trasferimento mortis causa a tiolo particolare della cosa legata, si ritiene che debba farsi applicazioni delle ordinarie regole da seguire in caso di trasferimento inter vivos.
In particolare, secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, occorre operare una distinzione a seconda della natura delle spese.
Così, per quanto riguarda le spese ordinarie, l’insorgenza dell’obbligazione deve essere individuata con il compimento effettivo dell’attività gestionale relativa alla manutenzione, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi, sul presupposto che l’erogazione delle inerenti spese non richiede la preventiva approvazione dell’assemblea condominiale (ma soltanto l’approvazione in sede di consuntivo), trattandosi di esborsi dovuti a scadenze fisse e rientranti nei poteri attribuiti all’amministratore in quanto tale (ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 3, c.c.), e non come esecutore delle delibere assembleari riguardanti l’approvazione del bilancio preventivo, che hanno valore meramente dichiarativo e non costitutivo.

Per le spese condominiali straordinarie, invece, l’obbligo in capo ai singoli condomini non può essere ricollegato all’esercizio della funzione gestionale demandata all’amministratore in relazione alla somme indicate nel bilancio preventivo, ma deve considerarsi quale conseguenza diretta della correlata delibera assembleare (avente valore costitutivo e, quindi, direttamente impegnativa per i condomini che l’adottano) con la quale siano disposti gli interventi di straordinaria amministrazione ovvero implicanti l’apporto di innovazioni condominiali.
Pertanto, in caso di trasferimento a titolo particolare, sia inter vivos (compravendita) che mortis causa (legato) di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, tenuto a sopportare i relativi costi è colui che risultava proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente.
L’acquirente o il legatario avrà, dunque, diritto di rivalersi, nei confronti del proprietario originario (ovvero nei confronti dell’eredità), di quanto eventualmente pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 delle disp. att. c.c..

P. S. chiede
martedì 19/04/2022 - Toscana
“Buoansera,
Dopo la mia nomina a curatore dell’eredità giacente sono in questa situazione:
il figlio ha rinunciato alla eredità della madre defunta che detiene i 3/4 di un immobile il cui restante 1/4 è detenuto per 1/8 dal “nipote A” e 1/8 dal “nipote B”.
La nonna defunta non ha fatto testamento e pertanto la sua quota, stante la rinuncia all’eredità del figlio, finisce ai nipoti che saranno liberi di accettare o meno? Qualora i nipoti fossero nel possesso del bene immobile sarebbero da considerare eredi a tutti gli effetti ex art. 485 c.c.?”
Consulenza legale i 25/04/2022
La prima domanda a cui va data risposta è quella relativa alla corretta individuazione dei chiamati all’eredità a seguito della rinuncia dei figli della de cuius.
Norme applicabili sono quelle che il codice civile detta in materia di diritto di rappresentazione, ossia gli artt. 467 e ss. c.c.
Si tratta di quell’istituto giuridico per effetto del quale in caso di rinuncia o di impossibilità di accettare (ad esempio per premorienza) da parte dei figli o dei fratelli e delle sorelle del de cuius, si determina il passaggio della chiamata ereditaria in favore dei discendenti degli stessi.
Ciò comporta che in un caso come questo, apertasi la successione legittima (si dice nel quesito che la de cuius non ha disposto del suo patrimonio per testamento) ed avendo i figli (si presume che non vi sia coniuge superstite) rinunciato all’eredità, in virtù di quanto disposto dall’art. 467 del c.c. i discendenti di questi subentreranno nel luogo e nel grado dei loro ascendenti.

Poiché i nipoti si vengono a trovare nella posizione di chiamati ulteriori, per essi vale quanto disposto dall’art. 480 del c.c., il che significa che avranno termine di dieci anni, sempre decorrente dalla data di apertura della successione (e non dalla rinuncia all’eredità dei rappresentati) per accettare o rinunciare all’eredità; il terzo comma della norma appena citata, infatti, precisa che, nel caso di chiamati ulteriori, il termine di prescrizione non decorre soltanto nel caso in cui vi sia stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario sia venuto meno.

La posizione dei chiamati ulteriori è del tutto analoga a quella di qualunque altro chiamato all’eredità, nel senso che anche per essi vale quanto disposto dall’art. 476 del c.c. (relativo all’accettazione tacita di eredità) e dagli artt. 484 e ss. c.c. in ordine alle prescrizioni da rispettare al fine di potersi eventualmente avvalere del beneficio di inventario.
Peraltro, la circostanza che i nipoti si trovino nel compossesso di una quota dell’immobile caduto in successione non li esime dal rispetto di quanto previsto dal codice civile per potersi avvalere del beneficio di inventario e per non decadere dalla facoltà di rinunciare.

In tal senso può richiamarsi quanto sancito dalla Corte di Cass. Sez. VI con ordinanza n. 6167 del 01.03.2019, nella quale si legge quanto segue:
Nella nozione di "possesso" ex art. 485 c.c. è compresa qualunque situazione di fatto che consenta l'esercizio di concreti poteri sui beni ereditari e, quindi, vi è incluso anche il compossesso, essendo irrilevante che taluno degli altri compossessori non sia chiamato all'eredità poiché, pure in questo caso, il chiamato ha la possibilità di esercitare i detti poteri”.
Alla luce di ciò, la Corte ricorda che “il compossesso di un patrimonio ereditario indiviso non esonera il chiamato all’eredità dall’osservanza delle disposizioni di legge sul beneficio di inventario ove voglia evitare, trascorso il termine stabilito dall’art. 485 c.c., d’essere erede puro e semplice“.

Tuttavia, se il principio espresso dalla S.C. può indiscutibilmente valere in linea generale in tutte le situazioni in cui il chiamato all’eredità sia anche compossessore iure proprio dei beni ereditari, dei dubbi sussistono circa l’estensione dello stesso ad un’ipotesi quale quella in esame, la quale si caratterizza per la presenza di un ulteriore elemento che arricchisce la fattispecie, ossia la presenza di un curatore dell’eredità giacente.
In casi come questo, infatti, si rende necessario coordinare le disposizioni che disciplinano il beneficio di inventario con quelle che lo stesso codice civile detta in materia di curatela dell’eredità giacente.
La presenza di un curatore dell’eredità giacente, infatti, presuppone che colui o coloro che si trovano nella posizione di chiamati all’eredità non abbiano accettato l’eredità e non siano nel possesso dei beni ereditari, possesso che, invece, deve riconoscersi in capo allo stesso curatore, tant’è che tra gli obblighi che gravano sullo stesso vi è quello, previsto dall’art. 529 del c.c., di procedere alla redazione dell’inventario di eredità, oltre a quelli di amministrazione e rendimento del conto.

Pertanto, la presenza di un curatore ed il fatto che dei beni ereditari sia stato già redatto l’inventario da parte dello stesso, si ritiene che siano elementi più che sufficienti per escludere che nei confronti dei nipoti, chiamati all’eredità nonché compossessori iure proprio dell’immobile caduto in successione, possa trovare applicazione il disposto di cui all’art. 485 del c.c. e, ancor più, che il compossesso dai medesimi esercitato possa configurarsi come accettazione tacita di eredità.
Del resto, la funzione dell'inventario è quella di accertare la consistenza dell'asse ereditario, specificandone gli elementi attivi e passivi, in modo tale da determinare da un lato i limiti entro i quali l'erede risponderà dei debiti del defunto e dall'altro di evitare la confusione tra beni ereditari e beni dell'erede.
Nel caso di specie tale duplice finalità può dirsi già raggiunta per effetto dell’inventario redatto dal curatore, il che rende privo di ogni concreta utilità un eventuale successivo inventario redatto da coloro che si trovano nella posizione di chiamati all’eredità, sebbene compossessori del bene ereditario.

In conclusione, dunque, malgrado la rinuncia del figlio primo chiamato ed il subingresso dei discendenti dello stesso per rappresentazione, sul curatore continua a permanere l’obbligo di amministrare il patrimonio ereditario e rendere il conto fin quando l’eredità non verrà accettata ex art. 532 del c.c..
Per anticipare la cessazione della curatela ci si potrà eventualmente avvalere del disposto di cui all’art. 481 del c.c., norma che disciplina la c.d. actio interrogatoria, per mezzo della quale è possibile chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro cui i chiamati debbono decidere se accettare o rinunciare all’eredità.
Il legislatore, infatti, ha attribuito a “chiunque vi ha interesse” l'esercizio di tale azione, spettando poi al giudice valutare caso per caso la sussistenza di un concreto interesse
Nel caso specifico del curatore dell'eredità giacente, così come in quello dell'esecutore testamentario, il loro interesse può ravvisarsi proprio nell’intento di potersi definitivamente liberare dai doveri inerenti l'ufficio.


GIOVANNI . C. chiede
giovedì 20/09/2018 - Sardegna
“Ho permesso ad un amico di abitare e utilizzare gratuitamente il mio appartamento per 1 anno . Il mio amico - che, per comodità, chiameremo Vincenzo - é improvvisamente deceduto in casa mia, lasciando nel mio appartamento i suoi beni ed effetti personali ( vestiti, quadri, computer, servizi di piatti ed altro, ecc. del valore di alcune migliaia di euro) .
Io ho concentrato tutte le cose del mio amico deceduto in una stanza del mio appartamento.
Attualmente ho necessità di liberare la suddetta stanza al più presto perché devo vendere il mio appartamento .
Gli eredi legittimi di Vincenzo, che sono i suoi genitori ed una sorella , si rifiutano di ritirare le cose del loro congiunto deceduto che si trovano attualmente in casa mia .
Come posso fare per costringerli a ritirare le cose che il loro congiunto deceduto Vincenzo ha lasciato in casa mia ?
Quale azione giudiziaria posso intentare ?
Che tipo di provvedimento giudiziario posso chiedere ?
Posso chiedere un provvedimento d'urgenza ai sensi degli artt. 700 e 614 bis c.p.c. con cui chiedere che il giudice intimi ai congiunti di Vincenzo di ritirare le cose di quest'ultimo che sono in casa mia entro un termine preciso , condannandoli - in caso di mancato ritiro - a pagare una somma di denaro ex art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento giudiziale che ordina loro il ritiro ?
Preciso che i genitori e la sorella di Vincenzo sono ancora dei semplici chiamati all'eredità e non sono ancora eredi perché non hanno ancora accettato l'eredità di Vincenzo nè hanno intenzione di accettarla !
Poichè si trovano nella posizione di semplici chiamati all'eredità - poichè non hanno ancora accettato l'eredità di Vincenzo - posso chiedere nei loro confronti i provvedimenti giudiziari di cui agli artt. 700 e 614 bis c.p.c. ?
E' necessario, o, almeno, utile che io esperisca nei loro confronti anche l' actio interrogatoria ai sensi dell'art. 481 c.c. , affinché chiariscano in modo preciso e chiaro se vogliono accettare o rinunciare all'eredità di Vincenzo ?
Ringrazio fin d'ora della risposta che spero sia chiara e mi faccia capire quale azione giudiziaria posso intentare per costringere i congiunti di Vincenzo a ritirare le cose che Vincenzo ha lasciato in casa mia.
Grazie

Consulenza legale i 28/09/2018
Riguardo alla questione della legittimazione passiva - cioè della possibilità di essere citato in giudizio - del semplice chiamato all'eredità, occorre distinguere la posizione di chi abbia il possesso dei beni ereditari da quella di chi, invece, non lo abbia.
Più precisamente, l’art. 486 del c.c., dettato con riferimento all’accettazione con beneficio d'inventario, stabilisce che, durante i termini fissati per l’esecuzione dell’inventario e per deliberare, il chiamato che sia nel possesso di beni ereditari può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità; se non compare, l'autorità giudiziaria nomina un curatore all'eredità affinché la rappresenti in giudizio.
Tale possibilità non è invece prevista nel caso in cui il chiamato all’eredità non sia nel possesso di beni ereditari; questi non può stare in giudizio in rappresentanza dell'eredità: pertanto nei suoi confronti non è possibile né proseguire il giudizio instaurato nei confronti del de cuius, né agire ex novo. Inoltre, se si sia agito contro il chiamato non possessore e costui si sia costituito eccependo la propria carenza di legittimazione, il giudice dovrà disporne l'estromissione dal giudizio, senza che, peraltro, la semplice costituzione intensa al solo fine di far valere il proprio difetto di legittimazione possa configurarsi come accettazione tacita dell'eredità, trattandosi di atto pienamente compatibile con la volontà di non accettare l'eredità (così Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 10197/2000).

Al fine di eliminare la situazione di incertezza che si crea in caso di mancata manifestazione della volontà di accettare o meno l’eredità, l’art. 481 del c.c. prevede che chiunque vi ha interesse può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all'eredità; trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare.
Il procedimento per la fissazione del termine è disciplinato dall’art. 749 del c.p.c. (al quale per brevità si rimanda), in cui si precisa che la relativa istanza può essere proposta sia nel corso di un giudizio, sia con autonomo ricorso al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione.
In realtà, anche l’eventuale fissazione di un termine per l’accettazione non risolverebbe il problema in caso di dichiarazione espressa di rinuncia ovvero di inutile decorso del termine stabilito dal giudice.

La soluzione per uscire dalla situazione di stallo è semmai offerta dagli artt. 528 ss. c.c., che prevedono la nomina di un curatore dell'eredità giacente. Infatti nel periodo che intercorre tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità, in cui i beni ereditari sono privi di un titolare, si parla di “vacanza dell’eredità”.
Ora, l’art. 528 del c.c. prevede che, quando il chiamato non ha accettato l'eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d'ufficio, nomina un curatore dell'eredità.
Il curatore dell’eredità giacente può e deve, secondo l’art. 529 del c.c., formare l’inventario dell’eredità, amministrarne i beni e anche, naturalmente, agire e resistere in giudizio nell’interesse dell’eredità e quindi potrà, eventualmente, essere convenuto in giudizio laddove, pur informato dell’esistenza di beni di proprietà del defunto lasciati da quest’ultimo presso l’appartamento di proprietà del cliente, non provveda al loro asporto.

Quanto alla possibilità di proporre un ricorso d’urgenza ex art. 700 del c.p.c., occorrerà verificare e dimostrare al Giudice la sussistenza non solo del c.d. fumus boni iuris (cioè della verosimile esistenza del diritto fatto valere), ma anche del c.d. periculum in mora, ovvero del “pregiudizio imminente e irreparabile” che si produrrebbe in caso di giudizio proposto nelle vie ordinarie (con tempi più lunghi di attesa).
Chiaramente la sussistenza di un tale pericolo andrà valutata attentamente, documentata o comunque provata onde scongiurare il rischio di un rigetto della domanda cautelare.

Quanto al riferimento, contenuto del quesito, all’art. 614 bis del c.p.c., tale norma prevede che, con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice può fissare, su richiesta di parte, una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Si tratta di disposizione sicuramente utilizzabile nel caso in esame, in cui si intende chiedere al Giudice di ordinare a controparte di asportare i beni del defunto (obbligo di fare); inoltre, la stessa è generalmente ritenuta applicabile anche nel caso di provvedimento cautelare, qual è quello previsto dall’art. 700 c.p.c.; in tal caso, la richiesta dovrà essere formulata già nel ricorso introduttivo.