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Articolo 342 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Forma dell'appello

Dispositivo dell'art. 342 Codice di procedura civile

L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell'articolo 163. L'appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico:

  1. 1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;
  2. 2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
  3. 3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all'estero(3)(4).

Note

(1) L'esposizione sommaria dei fatti consiste in una sintetica narrazione dell'accaduto, al fine di rappresentare al giudice i termini della controversia.
L'enunciazione dei motivi specifici di impugnazione individua l'oggetto della domanda d'appello: essi devono contestare in modo specifico (sono insufficienti censure vaghe e superficiali) l'iter logico-argomentativo che ha condotto alla decisione definitiva.
(2) Le parole tra parentesi sono state soppresse con D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in l. 11 agosto 2012, n. 143, che ha aggiunto il periodo successiva da "L'appello deve essere motivato [...] ai fini della decisione impugnata".
(3) Prima della Riforma Cartabia veniva richiamato l'art. 163 bis del c.p.c., con la conseguenza che il termine di comparizione era lo stesso di quello previsto per la citazione nel giudizio di primo grado. Adesso, invece, la norma fissa in novanta e centocinquanta giorni il termine di comparizione, senza fare alcun richiamo all'art. 163 bis c.p.c.
Qualora l'appellante abbia fissato un termine inferiore, l'atto di appello sarà viziato da nullità, sanabile ex nunc con la costituzione dell'appellato, con salvezza dei diritti quesiti: se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine per proporre gravame, vi sarà la formazione del giudicato.

(4) Disposizione interamente riformulata dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia").
Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto: - (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti"; - (con l'art. 35, comma 4) che "Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".

Ratio Legis

La riforma del 2012 ha ridelineato l'atto di appello, sostituendo l’esposizione sommaria dei fatti con l'esatta indicazione al giudice delle parti appellate e delle modifiche richieste; vanno, inoltre, indicate le circostanze da cui deriva la violazione di legge, unitamente alla loro rilevanza pratica (va esplicitata la rilevanza di tale vulnus sul piano concreto, e non solo teorico).
I primi commentatori sottolineano come si sia passati dagli "specifici motivi" d'appello alla "motivazione dell’atto" nella sua interezza.

Spiegazione dell'art. 342 Codice di procedura civile

L’art. 342 c.p.c. è stato riformulato dalla Riforma Cartabia al fine di attuare il principio, contenuto nella legge delega, il quale richiede di prevedere che, negli atti introduttivi dell'appello disciplinati dalla norma in esame e dall’art. 434 del c.p.c. relativo alla forma dell’appello nel processo del lavoro), le indicazioni previste a pena di inammissibilità siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico.
In questo modo si è cercato di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze di efficienza e quelle di tutela effettiva, volendosi così fare in modo, da un lato che la chiarezza e sinteticità non debbano mai portare ad una indebita compressione dell’esercizio del diritto di azione e del diritto di difesa delle parti, e d’altro che le regole non debbano essere intese in modo tanto formalistico da impedire il raggiungimento dello scopo del processo (ovvero, quello di giungere ad una sentenza che riconosca o neghi il bene della vita oggetto di controversia).

Sempre nell’ottica della sinteticità, analoga ragione ha indotto il legislatore della Riforma a riformulare la previsione relativa alla indicazione, in relazione a ciascun motivo di appello, del capo della decisione che viene impugnato (in luogo della indicazione, richiesta dalla norma prima vigente, “delle parti del provvedimento che si intende appellare”): in questo modo si sono volute evitare inutili trascrizioni nell’atto delle pagine delle pronunce appellate.
Inoltre, in luogo del previgente richiamo all’art. 163 bis del c.p.c., viene richiesta la specifica indicazione del termine a comparire, e ciò perché si è dovuto tenere conto del fatto che nell’ambito del giudizio di primo grado tale termine è destinato ad essere aumentato per lasciare spazio alle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza.
Analogo intervento si è avuto al successivo art. 343 del c.p.c., ove si prevede l’indicazione esplicita del termine per il deposito della comparsa di costituzione in luogo del previgente rinvio all’art. 166 del c.p.c..

In termini generali, invece, va osservato che l’atto introduttivo del giudizio d'appello ha la stessa forma dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ossia citazione o ricorso, a seconda che si tratti di rito ordinario o di rito del lavoro.
La sua funzione, però, è diversa da quella dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto l'atto d'appello da un lato contiene la manifestazione della volontà di impugnare, mentre dall'altro identifica l'oggetto dell'impugnazione, attraverso l’indicazione dei motivi specifici dell'impugnazione.

Per quanto concerne il contenuto dell'atto di appello, si rimanda espressamente a quanto prescritto dall’art. 163 del c.p.c., dettato per il giudizio di primo grado; ovviamente, tale richiamo deve essere reso compatibile con la natura e la struttura del giudizio d'appello.

Così anche l'atto d'appello deve contenere:
a) l'indicazione del giudice e delle parti (art. 163, nn. 1 e 2);
b) l'indicazione dei mezzi di prova e dei documenti che si offrono in comunicazione (art. 163, n. 5),
c) l'indicazione del procuratore e della procura;
d) la sottoscrizione dell'atto;
e) l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione;
f) l'invito all'appellato a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata nelle forme stabilite dalla legge e a comparire davanti al giudice designato all'udienza indicata, e l'avvertimento circa le decadenze cui va incontro (art. 163, n. 7).

Le decadenze derivanti dalla tardiva costituzione dell'appellato non sono quelle di cui all'art. 167 del c.p.c., (norma che non si applica al giudizio d'appello), ma quelle direttamente riferibili all'appello stesso, ovvero la decadenza dal diritto a proporre appello incidentale ex art. 343 del c.p.c. e dalla facoltà di riproposizione delle domande o delle eccezioni non accolte o assorbite in primo grado ex art. 346 del c.p.c..

La norma richiede che l’appello sia motivato, con la conseguenza che, allorchè tale motivazione dovesse difettare, l'impugnazione dovrà essere dichiarata inammissibile e non potrà essere esaminata nel merito (a differenza della sanzione della nullità, il comportamento dell'appellato non può sanare il vizio).

Questa norma è stata interpretata nel senso di aver introdotto un “filtro” al giudizio di appello, riguardante il rispetto delle prescrizioni in tema di forma-contenuto dell'atto di appello, richieste a pena di inammissibilità (un primo filtro che si aggiunge al secondo introdotto dall'art. 348 bis del c.p.c.).

All’appellante non vengono imposte forme particolari, ma solo di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice.

Nulla viene detto su come il giudice dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione, ed al riguardo sono state prospettate due soluzioni:
a) con sentenza, soggetta a ricorso in cassazione;
b) con ordinanza, applicando analogicamente il nuovo 348biscpc , che consente al giudice di appello di dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione quando ritiene che esso non abbia una ragionevole probabilità di essere accolta.
Si ritiene preferibile la prima delle due soluzioni.

La specificità dei motivi di appello non deve essere intesa in senso formalistico, ma deve essere sufficientemente chiara e precisa per consentire la delimitazione in modo esatto dell'ambito di riesame invocato dall'appellante.
La mancanza dei motivi specifici dell'impugnazione non consente all'atto d'appello di esplicare una delle sue fondamentali funzioni, quella di individuare la parte di sentenza impugnata che si intende sottoporre al riesame del giudice di secondo grado.

Nel silenzio della norma, parte della dottrina ritiene che la sanzione per la mancanza dei motivi specifici sia la nullità.
Secondo un'altra impostazione, invece, la sanzione più corretta è quella dell'inammissibilità dell'appello, data dalla carenza di una condizione indispensabile per la decisione nel merito.
Infine, vi è un terzo orientamento secondo il quale il difetto del requisito dei motivi è causa di mera irregolarità dell'atto di appello.

È da escludere, invece, la possibilità di specificare i motivi in corso di causa (qualora siano stati inizialmente indicati in maniera generica), e ciò perchè l'ambito della cognizione del giudice d'appello deve essere fissato fin dall'inizio del processo.

Il secondo comma contiene una disposizione che la dottrina reputa superflua, in quanto il termine non si può iniziare a far decorrere dal giorno della citazione, bensì dal giorno della notificazione della citazione.

Massime relative all'art. 342 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 40560/2021

Ai fini della specificità dei motivi d'appello richiesta dall'art. 342 c.p.c. è sufficiente una chiara esposizione delle doglianze rivolte alla pronuncia impugnata, senza necessità di proporre un progetto alternativo di sentenza, sicché l'appellante il quale lamenti l'erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare "ex novo" le prove già raccolte e sottoporre le argomentazioni già svolte nel processo di primo grado. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 21/11/2018).

Cass. civ. n. 11549/2019

In tema di giudizio di appello, se tra la notifica dell'atto di citazione e l'udienza di comparizione intercorre un termine inferiore a novanta giorni, come prescritto dall'art. 163 bis c.p.c., cui rinvia l'art. 359 c.p.c., l'atto è nullo ex art. 164, comma 1, c.p.c. e deve applicarsi il secondo comma di tale norma, secondo cui in caso di mancata costituzione del convenuto, il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne dispone la rinnovazione entro un termine perentorio. La sanatoria del vizio ha efficacia ex tunc e l'atto risulta valido ed efficace fin dalla prima notifica, così da impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, non assumendo alcun rilievo che sia già decorso il termine per impugnazione al momento del rinnovo.

Cass. civ. n. 11197/2019

L'appello, nei limiti dei motivi di impugnazione, è un giudizio sul rapporto controverso e non sulla correttezza della sentenza impugnata, rispetto ad esso non è quindi concepibile alcun rapporto di autosufficienza ma solo di specificità, che presuppone la specificità della motivazione della sentenza impugnata, sicché, ove manchi quest'ultima, non è esigibile dall'appellante, che intenda dolersi del rigetto in primo grado delle sue istanze istruttorie, altro onere se non quello di riproporre l'istanza o la domanda immotivatamente rigettata.

Cass. civ. n. 3194/2019

In materia di appello, affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato, è necessario che l'atto di gravame esponga compiute argomentazioni che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, mirino ad incrinarne il fondamento logico-giuridico; tanto presuppone che sia trascritta o riportata con precisione la pertinente parte motiva della sentenza di primo grado, il cui contenuto costituisce l'imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del paradigma delineato dagli artt. 342 e 343 c.p.c. e, in particolare, per apprezzare la specificità delle censure articolate.

Cass. civ. n. 24155/2018

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all'esito del giudizio di primo grado, l'ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo tabelle successivamente modificate nel corso del giudizio di appello, il danneggiato è legittimato a proporre impugnazione per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, purché deduca, con specifico motivo di gravame, la differenza tra i valori minimi o massimi tra le tabelle (ante e post 2008) ed alleghi che l'applicazione dei nuovi valori-punto nel minimo comporterebbe per ciò stesso un risultato più favorevole della liquidazione del danno attribuitagli con la sentenza impugnata. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha ritenuto inidonea, la mera deduzione in appello della non adeguatezza della somma liquidata per la mancata personalizzazione del danno, senza alcuna contestazione relativa all'omessa applicazione delle variazioni tabellari intervenute medio - tempore).

Cass. civ. n. 27199/2017

Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

Cass. civ. n. 23052/2017

L’individuazione del rito applicabile in appello e il conseguente giudizio sulla tempestività dell’impugnazione (all’atto della notifica o del mero deposito del gravame) deriva dal necessario accertamento in concreto del rito applicato, anche erroneamente in primo grado, in virtù del principio di ultrattività del rito. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva erroneamente trattato con il rito ordinario anche in grado di appello un procedimento di opposizione all’ordinanza di ingiunzione ex l. n. 689 del 1989, individuando il rito applicabile solo sulla base della intestazione del ricorso originario di primo grado, senza individuare quello applicato in concreto dal giudice).

Cass. civ. n. 21336/2017

L'art. 342 c.p.c., come novellato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. conv. con modif. in l. n. 134 del 2012, non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata.

Cass. civ. n. 13151/2017

In sede di gravame, nel vigore dell’art. 342 c.p.c., come novellato dall’art. 54, comma 1, lett. a), del d.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), qualora venga impugnato il capo della sentenza di primo grado con il quale l’appellante sia stato condannato al pagamento delle spese processuali in applicazione del principio della soccombenza, non è ammissibile il motivo che deduca soltanto “l’ingiustizia” della decisione, senza specificare le circostanze, costituenti gravi ed eccezionali ragioni, per le quali, secondo l’appellante stesso, il giudice avrebbe potuto compensare tra le parti le spese di lite, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c. (nel testo applicabile “ratione temporis”).

Cass. civ. n. 12413/2017

L’appello erroneamente proposto con ricorso, anziché con atto di citazione, è ammissibile ove esso sia notificato entro il termine di impugnazione; né rileva, in senso ostativo alla maturazione della decadenza dalla facoltà di proporre gravame, la circostanza che il decreto di fissazione dell’udienza sia stato emesso e comunicato dopo lo spirare di tale termine, poiché il tempestivo deposito del ricorso è soltanto uno degli elementi che concorre alla potenziale sanatoria dell'errore nella scelta del rito, non potendo la parte, relativamente agli altri elementi che non sono nella propria disponibilità, pretendere che l’ufficio provveda in tempi sufficienti a garantire detta sanatoria, né, tantomeno, invocare il diritto alla rimessione in termini, giacché l'errore sulla forma dell'atto di appello non è sussumibile nella causa non imputabile.

Cass. civ. n. 10916/2017

L’art. 342, comma 1, c.p.c., come novellato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), non esige lo svolgimento di un "progetto alternativo di sentenza", né una determinata forma, né la trascrizione integrale o parziale della sentenza appellata, ma impone all'appellante di individuare, in modo chiaro ed inequivoco, il "quantum appellatum", formulando, rispetto alle argomentazioni adottate dal primo giudice, pertinenti ragioni di dissenso che consistono, in caso di censure riguardanti la ricostruzione dei fatti, nell'indicazione delle prove che si assumono trascurate o malamente valutate ovvero, per le doglianze afferenti questioni di diritto, nella specificazione della norma applicabile o dell'interpretazione preferibile, nonchè, in relazione a denunciati "errores in procedendo", nella precisazione del fatto processuale e della diversa scelta che si sarebbe dovuta compiere.

Cass. civ. n. 8604/2017

Ai sensi dell'art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicché non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel “thema decidendum” del giudizio. (Nella specie, la S.C. ha rigettato la censura di extrapetizione mossa alla sentenza impugnata, evidenziando che il motivo di appello relativo alla sussistenza del requisito dimensionale per il riconoscimento della tutela reintegratoria implicava necessariamente la questione preliminare della illegittimità o inefficacia del licenziamento, sulla quale non si era formato il giudicato interno, essendo ancora “sub iudice” l’effetto giuridico riconducibile alla patologia dell’atto).

Cass. civ. n. 4028/2017

Gli interessi compensativi sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest'ultimo e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella domanda di risarcimento e possono essere liquidati d'ufficio. Pertanto, l'impugnazione della decisione di primo grado si estende necessariamente anche al computo di quegli interessi, pur se non sia stato specificamente censurato il criterio adottato sul punto, con la conseguenza che il giudice dell'impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di un puntuale rilievo sulla loro modalità di liquidazione prescelta dal giudice precedente, può procedere ad una nuova quantificazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell'ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore.

Cass. civ. n. 11797/2016

Nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d'appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata ("novum judicium"), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata ("revisio prioris instantiae"), assumendo l'appellante sempre la veste di attore rispetto al giudizio d'appello e con essa l'onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado, sicché ove si dolga dell'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l'onere di estrarne copia ai sensi dell'art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame.

Cass. civ. n. 9986/2016

Qualora, nell'atto di appello, la società appellante risulti diversa da quella costituita in primo grado, il giudice del merito, al fine di decidere in ordine alla validità dell'impugnazione, non può omettere di valutare gli elementi che rendano riconoscibile l'eventuale errore materiale nella stesura dell'atto introduttivo del giudizio, così escludendo l'incertezza assoluta circa l'indicazione della parte, quale causa di nullità ex artt. 164, comma 1, e 163, n. 1, c.p.c., in quanto l'interpretazione di un documento, anche di natura processuale, non può limitarsi alla mera intestazione, dovendosi avere riguardo all'atto nella sua interezza ed al suo senso complessivo.

Cass. civ. n. 21791/2015

Quando la sentenza di primo grado sia censurata con riguardo alle spese di giudizio, sotto il profilo della violazione dei minimi della tariffa professionale, l'onere dell'appellante di fornire al giudice d'appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando specificamente importi e singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado, può essere assolto anche con nota allegata all'atto di appello, e in questo richiamata.

Cass. civ. n. 20124/2015

In materia di appello, l'inammissibilità del gravame per violazione dell'art. 342 c.p.c. sussiste solo quando il vizio investa l'intero contenuto dell'atto, mentre quando sia possibile individuare motivi o profili autonomi di doglianza, sufficientemente identificati, è legittimo scrutinare questi ultimi nel merito, resecandoli dalle ragioni d'impugnazione viziate da genericità, sicché, ove la suddetta opera selettiva e l'esame che ne è derivato siano stati compiuti correttamente, l'eventuale errore del giudice sul tipo di formula adottata all'esito dello scrutinio dei motivi (dichiarati inammissibili o rigettati) non integra ragione di nullità della sentenza, risolvendosi in una irregolarità non incidente sul diritto di difesa.

Cass. civ. n. 12606/2015

In materia di appello, quando il giudizio di primo grado venga definito sulla base di una motivazione idonea a sorreggere la decisione, l'appellante, che postuli l'erroneità in fatto e in diritto della decisione, senza però farsi carico di criticare la motivazione nella parte idonea a reggere il "decisum", incorre nel fenomeno della acquiescenza tacita, ponendo in essere un atto incompatibile con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione. (Nella specie, gli attori - soccombenti in un giudizio risarcitorio promosso nei confronti di un professionista, cui attribuivano la responsabilità dell'aver predisposto una relazione tecnica erronea, così inducendoli a promuovere verso terzi una domanda petitoria poi rivelatasi infondata - avevano criticato, nell'appello, la sentenza sotto vari profili, ma non la motivazione con cui il giudice di prime cure affermava l'insussistenza del nesso causale tra la erroneità della relazione tecnica e l'azione petitoria introdotta contro i terzi).

Cass. civ. n. 4259/2015

È inammissibile l'appello avverso la sentenza che affermi l'incontestabilità del preavviso di fermo amministrativo non iscritto nel pubblico registro e l'insussistenza di vizi propri della comunicazione preventiva, qualora il gravame non contenga specifiche censure alla prima delle predette "rationes decidendi", la quale è logicamente e giuridicamente pregiudiziale e di per sé sufficiente a giustificare la decisione.

Cass. civ. n. 26831/2014

La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l'impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito. (Nell'enunciare tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal contribuente che, deducendo una tardiva produzione documentale verificatasi nel corso del giudizio di merito, aveva omesso di precisare l'effettivo e concreto pregiudizio che siffatta allegazione aveva comportato per l'esercizio del diritto di difesa).

Cass. civ. n. 22502/2014

In tema di appello, il requisito della specificità dei motivi, di cui all'art. 342 cod. proc. civ., deve ritenersi sussistente, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, quando l'atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non é richiesta né l'indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 21406/2014

Quando l'appello va proposto con citazione ma erroneamente sia stato introdotto con ricorso, perché vi sia tempestiva "vocatio in ius" occorre avere riguardo non alla data di deposito dell'atto, ma a quella in cui lo stesso, unitamente al decreto del giudice di fissazione dell'udienza, risulti notificato alla controparte, non potendo peraltro trovare applicazione la sanatoria prevista dall'art. 164, secondo comma, cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 20828/2014

La discordanza tra gli estremi della sentenza appellata, come precisati nell'atto di impugnazione, e i corrispondenti dati identificativi della sentenza prodotta in copia autentica dell'appellante non è di per sé significativa, potendo essere conseguenza di un mero errore materiale, senza comportare incertezza nell'oggetto del giudizio, qualora la corrispondenza tra la sentenza depositata e quella nei cui confronti è rivolta l'impugnazione sia confermata da una verifica della congruenza tra contenuto della sentenza in atti e motivi dell'appello.

Cass. civ. n. 18868/2014

L'omessa indicazione, nella copia notificata dell'atto di citazione in appello, della data dell'udienza di comparizione produce l'inammissibilità del gravame ed il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, trattandosi di nullità non suscettibile di sanatoria poiché ricollegata all'assenza di un elemento necessariamente richiesto dall'art. 342 cod. proc. civ. attraverso il richiamo al precedente art. 163.

Cass. civ. n. 11828/2014

La valutazione dell'osservanza dell'onere di specificità dei motivi di impugnazione, di cui agli artt. 342 e 434 cod. proc. civ. - nella formulazione "ratione temporis" applicabile, anteriore alle modifiche di cui al d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 - non può essere effettuata direttamente dalla Corte di cassazione, spettando al giudice di merito interpretare la domanda, mentre il giudice di legittimità può solo indirettamente verificare tale profilo avuto riguardo alla correttezza giuridica del procedimento interpretativo e alla logicità del suo esito, senza poter ricondurre la censura nell'ambito degli "errores in procedendo", mediante interpretazione autonoma dell'atto di appello.

Cass. civ. n. 2631/2014

L'inammissibilità dell'appello, per la mancata esposizione degli elementi di fatto e per la genericità delle censure, ove sia stata esclusa dal giudice d'appello, non può essere rilevata d'ufficio in sede di legittimità, né può essere dedotta, per la prima volta, con la memoria illustrativa di cui all'art. 378 cod. proc. civ., ma deve essere fatta valere con i motivi di ricorso, attesa la conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame, con onere della parte interessata di impugnare la decisione anche con riguardo alla pronuncia, implicita, sulla validità dell'atto.

Cass. civ. n. 1651/2014

La specificità dei motivi di appello deve essere commisurata alla specificità della motivazione e non è ravvisabile laddove l'appellante, nel censurare le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, ometta di indicare, per ciascuna delle ragioni esposte nella sentenza impugnata sul punto oggetto della controversia, le contrarie ragioni di fatto e di diritto che ritenga idonee a giustificare la doglianza. Ne consegue l'inammissibilità dell'atto di appello che, a fronte della motivazione con la quale il tribunale abbia respinto la domanda di risarcimento del danno commisurata al valore estrattivo dei beni espropriati, basata sul difetto dell'attualità della destinazione estrattiva, si sia limitato a far rilevare il contrasto della motivazione del tribunale con la legislazione e la giurisprudenza in tema di danni provocati dalla P.A. nella materia della illegittima occupazione di fondi.

Cass. civ. n. 19222/2013

Il difetto di specificità dei motivi di appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alla modifica di cui all'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), non rilevato d'ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell'impugnazione e, quindi, alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d'ufficio dalla Corte di cassazione.

Cass. civ. n. 18958/2013

La procura al difensore per il giudizio di appello deve ritenersi validamente conferita, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., in calce o a margine della copia notificata della sentenza impugnata, quando il deposito del documento - per la cui attestazione è sufficiente il timbro e la sottoscrizione del cancelliere in calce all'indice dei documenti contenuto nel fascicolo di parte - sia avvenuto al momento della costituzione in giudizio, desumendosi da tale circostanza la certezza dell'autografia della parte e la posteriorità della data del mandato rispetto sia alla sentenza impugnata sia alla notifica dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 13639/2013

Quando la legge imponga l'introduzione del giudizio con citazione, anziché con ricorso, ed il rito ordinario, l'adozione del rito camerale non induce alcuna nullità, per il principio della conversione degli atti nulli che abbiano raggiunto il loro scopo, quando non ne sia derivato un concreto pregiudizio per alcuna delle parti, relativamente al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel gudizio ordinario; tale principio opera anche in relazione agli atti introduttivi del giudizio di secondo grado, a condizione che l'atto nullo possegga i requisiti di sostanza e forma del diverso atto processuale che avrebbe dovuto essere utilizzato. (Così statuendo, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato che, ritenendo nella specie - regolata dall'art. 183 legge fall., nel testo anteriore alla riforma di cui al D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169 esperibile l'appello, in luogo del proposto reclamo, avverso il decreto del tribunale reiettivo della domanda di omologazione del concordato preventivo proposta dalla ricorrente, aveva perciò solo ritenuto inammissibile il suddetto reclamo).

Cass. civ. n. 10440/2013

L'inammissibilità dell'appello, in ragione del deposito del relativo atto oltre il termine annuale di decadenza previsto dall'art. 327, primo comma, c.p.c. ("ratione temporis" vigente), è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità; tuttavia, la parte che lamenti il mancato rilievo della tardività, sollecitando il giudice di legittimità a provvedervi nell'esercizio dei propri poteri officiosi, ha l'onere di indicare gli elementi di fatto al cui riguardo richiede la verifica. (Nella specie, il ricorso è stato rigettato, essendosi la parte limitata ad affermare come, agli atti processuali, non risultasse provata la tempestività dell'appello, sollecitando, quindi, la Corte a ripercorrere in modo esplorativo l'intero sviluppo della attività procedimentale).

Cass. civ. n. 10025/2013

L'atto di citazione in appello è nullo qualora vi sia contrasto tra l'intestazione del gravame (indicante quale giudice il tribunale) e la "conventio in ius" (contenente l'invito a comparire davanti alla corte d'appello), ciò determinando assoluta incertezza sul giudice effettivamente adìto.

Cass. civ. n. 9407/2013

L'art. 342 cod. proc. civ. - che, nel testo (applicabile "ratione temporis") quale sostituito dall'art. 50 legge 26 novembre 1990, n. 353, e prima dell'ulteriore modifica di cui all'art. 54, comma 1, lett. a, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n.134, prevede che l'appello si propone con citazione contenente l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell'impugnazione, "nonché le indicazioni prescritte nell'art.163 cod. proc. civ." - non richiede altresì, che, in ragione del richiamo di tale ultima disposizione, l'atto di appello contenga anche lo specifico avvertimento, prescritto dal n. 7 del terzo comma dell'art. 163 cod. proc. civ., che la costituzione oltre i termini di legge implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 cod. proc. civ., atteso che queste ultime si riferiscono solo al regime delle decadenze nel giudizio di primo grado e non è possibile, in mancanza di un'espressa previsione di legge, estendere la prescrizione di tale avvertimento alle decadenze che in appello comporta la mancata tempestiva costituzione della parte appellata.

Cass. civ. n. 3302/2013

Nel giudizio d'appello rimangono estranee al dibattito processuale le considerazioni critiche, mosse dalla parte al consulente tecnico d'ufficio sulla base delle osservazioni del proprio consulente, che non siano state trasfuse in specifici motivi di impugnazione della sentenza, formulati nel rispetto delle prescrizioni stabilite dall'art. 342 c.p.c., dovendosi le argomentazioni critiche dell'appellante contrapporre non alla relazione di perizia espletata in primo grado, ma al fondamento logico-giuridico su cui è fondata del decisione impugnata.

Cass. civ. n. 30603/2011

Non sussiste nullità dell'atto di appello, allorché esso manchi dell'avvertimento secondo cui l'appellato, in caso di mancata costituzione nel termine, decade dal diritto di proporre l'appello incidentale, in quanto l'art. 342 c.p.c., nel richiamare l'art. 163 c.p.c., non prevede che tale avvertimento, nel giudizio di gravame, debba riferirsi espressamente alla possibilità di proporre appello incidentale, tenuto anche conto che l'atto di appello viene notificato al procuratore della parte, ove costituita, dunque a soggetto professionalmente attrezzato a conoscere le decadenze comminate dalla legge in caso di ritardata costituzione.

Cass. civ. n. 25218/2011

Ai fini della specificità dei motivi d'appello richiesta dall'art. 342 c.p.c., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice. Ne consegue che, nel formulare un motivo di appello riguardante la pretesa erroneità della liquidazione dei danni effettuata da quest'ultimo, l'appellante non può esaurire la sua ragione di doglianza nella reiterazione delle sue richieste e nell'affermazione della loro maggiore meritevolezza di accoglimento rispetto all'operata liquidazione, ma ha l'onere di indicare specificamente per ciascuna delle voci censurate, a pena di inammissibilità del ricorso, gli errori di fatto e di diritto attribuibili alla sentenza.

Cass. civ. n. 23299/2011

Affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamene impugnato non è sufficiente che nell'atto d'appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico. Ne consegue che deve ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado in merito al quale l'atto d'appello si limiti a manifestare generiche perplessità, senza svolgere alcuna argomentazione idonea a confutarne il fondamento.

Cass. civ. n. 3718/2011

Al fine di stabilire se con l'atto d'impugnazione l'appellante si sia limitato a dedurre (inammissibilmente, al di fuori dei casi indicati agli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.) censure di mero rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole nel merito, il giudice del gravame non può fermarsi ad esaminare la rubrica dei motivi di impugnazione, ma deve guardare anche allo sviluppo dei motivi stessi, e così scrutinare nel merito l'impugnazione ove, con essi, l'appellante abbia dedotto ritualmente, nel rispetto del requisito di specificità della doglianza richiesto dall'art. 342 cod. proc. civ., anche questioni attinenti al fondo del prodotto decisorio, lamentando, al di là di quanto indicato in sede di intitolazione del vizio denunciato, l'ingiustizia della sentenza.

Cass. civ. n. 13128/2010

In virtù del rinvio operato dall'art. 359 c.p.c. alle disposizioni del procedimento di primo grado, l'art. 163 bis c.p.c. (nella formulazione anteriore alla modifica di cui all'art. 2, comma 1, lett. g), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, applicabile "ratione temporis"), secondo il quale tra il giorno della notifica della citazione e quello dell'udienza di comparizione devono intercorrere termini liberi non minori di giorni sessanta, se il luogo della notifica si trova in Italia, si applica anche al giudizio di appello. Ne consegue che, se tra la notifica dell'atto di appello e l'udienza di comparizione intercorre un termine inferiore a quello indicato, l'atto di citazione é nullo ai sensi del primo comma dell'art. 164 c.p.c., e deve applicarsi il secondo comma di tale norma, secondo cui, in caso di mancata costituzione del convenuto, il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne dispone la rinnovazione entro un termine perentorio. (Nella specie tra la notifica dell'atto di appello e l'udienza di comparizione fissata in tale atto erano intercorsi solo sette giorni, per effetto della sospensione dei termini processuali dal 31 ottobre 2002, al 31 marzo 2003, disposta dall'art. 4 del d.l. 4 novembre 2002, n. 245, convertito in legge 27 dicembre 2002, n. 286, e prorogata dalla O.P.C.M. del 10 aprile 2003, n. 3279, per i soggetti residenti nella Regione Molise, a seguito del sisma ivi verificatosi).

Cass. civ. n. 7786/2010

La valutazione circa il rispetto, da parte dell'appellante, dell'obbligo di indicare specificamente le critiche rivolte contro la sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., va compiuta tenendo presente le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado, poiché non è possibile una contestazione specifica di conclusioni non fondate su basi specifiche. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva ritenuto non generica la doglianza con cui l'appellante allegava che la liquidazione del danno non patrimoniale compiuta dal giudice di primo grado era stata eccessiva in relazione all'entità del pregiudizio, in base all'assunto che tale liquidazione era avvenuta in via equitativa e che pertanto, rispetto ad essa, la doglianza di "eccessività" era sufficiente a soddisfare il precetto di cui all'art. 342 c.p.c.).

Cass. civ. n. 7190/2010

Il principio di necessaria specificità dei motivi d'appello - secondo cui la manifestazione volitiva dell'appellante, indirizzata ad ottenere la riforma della sentenza impugnata, deve essere sorretta da una parte argomentativa, idonea a contrastare la motivazione di quest'ultima e proporzionata alla sua maggiore o minore specificità - va coordinato con il principio "jura novit curia" che, ai sensi dell'art. 113, c.p.c., presiede alla soluzione delle questioni di diritto, essendo invece necessario, per il c.d. giudizio di fatto, pronunciare "iuxta alligata et probata", ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. (Nella specie, la S.C., in riforma della sentenza impugnata ha affermato che le censure contenute nei motivi d'appello consistevano nella contestazione della soluzione giuridica adottata dal tribunale - secondo cui dalle norme comunitarie richiamate in ricorso non poteva derivare alcuna posizione soggettiva tutelabile - ed erano pertanto idonee ad introdurre nel giudizio di appello la relativa "quaestio juris" ed a suscitare l'obbligo del giudice di pronunciare in ordine alla medesima a prescindere dall'allegazione di singoli argomenti intesi a dimostrare l'erroneità della pronuncia di primo grado).

Cass. civ. n. 6481/2010

Qualora l'impugnazione investa una pronuncia in rito che abbia negato il diritto alla pronuncia nel merito (nella specie, per nullità della procura nell'atto di citazione), l'appellante può limitarsi a denunciare l'erroneità della decisione ed a richiamare le domande proposte in primo grado, senza bisogno di riprodurne le ragioni di merito,atteso che dall'accoglimento dell'impugnazione discende l'integrale devoluzione al giudice dell'appello del compito di decidere tutte le questioni dedotte nel giudizio di primo grado.

Cass. civ. n. 2053/2010

È ammissibile l'impugnazione con la quale l'appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dai citati artt. 353 e 354 c.p.c., è necessario che l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l'appello fondato esclusivamente su vizi di rito (nella specie, sulla mera denuncia di omessa motivazione della sentenza di primo grado), è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione.

Cass. civ. n. 22123/2009

Per la sussistenza del requisito della specificità dei motivi di gravame, prescritto dall'art. 342 c.p.c., occorre indicare nell'atto di appello, anche mediante un'esposizione sommaria, le doglianze in modo tale che il giudice del gravame sia posto in grado non solo di identificare i punti impugnati, ma anche le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene richiesta la riforma della pronuncia di primo grado. Non è necessario, peraltro, che gli errori attribuiti alla sentenza impugnata siano evidenziati con nuove argomentazioni, in quanto non esiste una stretta correlazione tra la specificità dei motivi e la novità degli argomenti addotti a sostegno di essi, che si collega alla scelta che l'appellante ha di completare ed integrare le difese con il solo limite del rispetto della norma dell'art. 345 c.p.c.

Cass. civ. n. 16135/2009

La mancata riproduzione della procura al difensore nella copia dell'atto d'appello notificato alla controparte non incide sulla validità dell'atto, essendo sufficiente che l'originale della procura sia contenuto in uno degli atti depositati dei quali la controparte abbia possibilità di prendere visione al fine di verificare la tempestività del rilascio e il contenuto della procura.

Cass. civ. n. 15497/2009

In materia di appello, fra i requisiti dell'atto di impugnazione non è prevista, a differenza di quanto stabilito dall'art. 366, n. 2, c.p.c. per il giudizio di cassazione, l'indicazione della sentenza impugnata, la cui individuazione attiene all'oggetto della domanda e, al contenuto dell'impugnazione proposta, restando i relativi accertamenti, non censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati, di spettanza del giudice di merito.

Cass. civ. n. 12655/2009

Nella citazione in appello di una persona giuridica, tanto l'inesatta ed incompleta indicazione della sua denominazione, quanto l'errata o l'omessa individuazione del legale rappresentante di essa incidono sulla validità dell'atto soltanto ove le stesse si traducano nell'assoluta incertezza della sua indicazione, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito, il quale può escludere la nullità dell'appello nel caso in cui ritenga di poter individuare la persona giuridica appellata, nonostante l'errore di nome, attraverso gli atti processuali collegati all'atto di appello, come la notifica, l'iscrizione a ruolo o la costituzione in giudizio, la sentenza impugnata o gli altri atti del giudizio di primo grado. (Nella specie, la S.C. ha confermato il rigetto dell'eccezione di nullità sollevata da una s.p.a. sul rilievo che l'atto di appello era stato notificato nei sui confronti con l'omissione dell'indicazione "Costruzioni" di seguito alla sua denominazione, avendo la Corte di merito evidenziato che non era possibile l'insorgenza di alcuna confusione di soggetti e che, in ogni caso, la costituzione della stessa appellata aveva dimostrato che l'atto aveva raggiunto il suo scopo).

Cass. civ. n. 8536/2009

L'appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull'impugnazione di una delibera dell'assemblea condominiale, in assenza di previsioni di legge "ad hoc", va proposto - secondo la regola generale contenuta nell'art. 342 c.p.c. - con citazione; ne consegue che la tempestività dell'appello, va verificata in base alla data di notifica dell'atto di citazione e non alla data di deposito dell'atto di gravame nella cancelleria del giudice "ad quem".

Cass. civ. n. 7341/2009

Quando l'appellante lamenti un errore di diritto, per soddisfare il requisito della specificità dei motivi di gravame, prescritto dall'art. 342 cod. proc. civ., è necessario e sufficiente che l'atto d'appello invochi l'applicazione di un principio di diritto diverso rispetto a quello enunciato nella sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 28739/2008

In tema di appello, allorquando la sentenza di primo grado si sia pronunziata espressamente su una questione del tutto distinta dalle altre, tale specifica pronunzia non può considerarsi implicitamente impugnata allorché il gravame sia proposto in riferimento a diverse statuizioni, rispetto alle quali la questione stessa non costituisca un antecedente logico e giuridico, così da ritenersi in esse necessariamente implicata, ma sia soltanto ulteriore ed eventuale e, comunque, assolutamente distinta, con la conseguenza che, ove la sentenza di secondo grado investa i capi non impugnati (esplicitamente, od anche implicitamente), si verifica una violazione del giudicato interno. (Fattispecie in tema di risarcimento dei danni da occupazione appropriativa, in cui la sentenza di primo grado era stata impugnata dal soccombente proprietario limitatamente al capo della decisione che aveva dichiarato la prescrizione del credito nei confronti del Comune, e la Corte di appello aveva riformato anche la statuizione che ne aveva escluso la titolarità passiva in capo all'Assessorato regionale, solo perchè il proprietario aveva insistito nella condanna di entrambi gli enti pubblici).

Cass. civ. n. 20730/2008

Nel vigente sistema processuale è consentito solo al giudice di primo grado il potere incondizionato di qualificazione della domanda, mentre al giudice di appello in ragione dell'effetto devolutivo di tale impugnazione e della presunzione di acquiescenza di cui all'art. 329 c.p.c. non è più permesso di mutare ex officio la qualificazione ritenuta dal primo giudice, a meno che questa non abbia formato oggetto di impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica di un motivo di impugnazione espressamente formulato (nella specie, la S.C., pur rigettando il ricorso, ha rilevato che la sentenza di appello era incorsa nel vizio di ultrapetizione in quanto, avendo la domanda originaria come oggetto la sola tutela di un presunto uso privato di una strada, il giudice di secondo grado non aveva il potere, in assenza di contestazione sul punto, di riqualificare tale domanda come intesa a far valere un diritto di uso pubblico sulla strada medesima ).

Cass. civ. n. 9038/2008

La necessaria specificità dei motivi di appello comporta che avverso l'esplicito diniego della giurisdizione da parte del giudice di primo grado su una domanda, l'appellante deve muovere una specifica contestazione, non potendo questa desumersi implicitamente dalle argomentazioni dirette a confutare capi diversi della sentenza, in cui altre domande siano state rigettate nel merito, e comunque dall'insistenza per l'accoglimento nel merito della prima domanda. (Nella specie la S.C. ha ritenuto sussistere il giudicato sul diniego di giurisdizione pronunciato dal giudice di primo grado sulla domanda di risarcimento da occupazione appropriativa, essendosi l'appellante limitato ad impugnare il diverso capo della sentenza con cui era stata rigettata la domanda di indennità da occupazione legittima, e ad insistere nella domanda di risarcimento per il carattere illecito dell'occupazione).

Cass. civ. n. 19026/2007

In una controversia in cui la sentenza di primo grado sia impugnata per carenza assoluta di motivazione, senza che vengano sottoposte al secondo giudice anche conclusioni di merito, l'appello è inammissibile in quanto la deduzione di un vizio in rito determina la nullità e non la giuridica inesistenza della sentenza impugnata (non incidendo, esso, sulla configurabilità della pronuncia come atto di esercizio della funzione giurisdizionale) e consente, una volta eliminato il vizio stesso, il riesame del merito della controversia.

Cass. civ. n. 18310/2007

Allorché la sentenza di primo grado pronunci sulla domanda in base ad una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sé sufficiente a giustificare la decisione, come al giudice è consentito, qualora egli, ritenendo di poter fondare la decisione sopra una determinata ragione di merito, ritenga utile valutare anche un'altra concorrente ragione, parimenti di merito, al fine di fornire adeguato sostegno alla decisione adottata, anche per l'eventualità che il giudice dell'impugnazione reputi erronea la soluzione della questione preliminarmente affrontata, la parte soccombente ha l'onere di censurare con l'atto d'appello ciascuna delle ragioni della decisione, non potendosi, in difetto, trattare successivamente della ragione non tempestivamente contestata e non potendosi, conseguentemente, più nemmeno utilmente discutere, sotto qualsiasi profilo, della stessa statuizione che nella detta ragione trova autonomo sostegno, a nulla valendo a tal fine la richiesta di integrale riforma della sentenza, poiché la non contestata autonoma ragione di decisione resta anche in tal caso idonea a sorreggere la pronunzia impugnata, non potendo il giudice d'appello estendere il suo esame a punti non compresi neppure per implicito nei termini prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.

Cass. civ. n. 17960/2007

L'indicazione dei motivi di appello richiesta dall'art. 342 c.p.c. non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell'appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza, all'interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, devono essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione, potendo sostanziarsi pure nelle stesse argomentazioni addotte a suffragio della domanda disattesa dal primo giudice. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, in tema di quantificazione del danno biologico, aveva ritenuto priva della necessaria specificità e, quindi, inidonea a consentire una nuova valutazione di merito, la «generica protesta» dell'appellante secondo cui «i criteri applicati nella quantificazione del danno non considerano i canoni applicativi seguiti dalla dominante giurisprudenza, anche della Corte»).

Cass. civ. n. 17474/2007

In relazione alla nullità dell'atto di citazione in appello, la disciplina dettata dal nuovo testo dell'art. 164 c.p.c. (come sostituito, a far data dal 30 aprile 1995, dall'art. 9 della legge n. 353 del 1990) opera una distinzione quanto alle conseguenze della costituzione del convenuto, giacché mentre i vizi afferenti alla vocatio in ius sono sanati con effetto ex tunc quelli relativi alla editio actionis sono sanati con effetto ex nunc. Ne consegue che, ove nell'atto di appello manchi l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione, del giudice adito e del soggetto convenuto, la relativa nullità è sanata, con effetto sin dalla notificazione dello stesso atto di appello, dalla costituzione del convenuto, la quale, anche se avvenuta quando sia già decorso il termine di impugnazione, vale ad escludere l'inammissibilità dell'impugnazione ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Cass. civ. n. 13175/2007

Anche nel caso in cui sia impugnata nella sua globalità la sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 342 c.p.c. (pur nel testo previgente alla legge n. 353 del 1990), ai fini dell'ammissibilità del gravame, devono essere svolte specifiche critiche in ordine alle censurate statuizioni di merito.

Cass. civ. n. 9244/2007

Nel giudizio di appello - che non è un novum iudicium - la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue che, nell'atto di appello, ossia nell'atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d'ufficio e non sanabile per effetto dell'attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l'atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 4035/2007

L'erronea indicazione nell'atto di appello della data di nascita della parte appellata non determina la configurazione di un valido motivo di nullità o addirittura di inesistenza dell'atto stesso e della relativa notificazione trattandosi di una mera inesattezza che non comporta né l'impossibilità di individuare la parte citata nel giudizio di secondo grado e destinataria della notifica, né la irregolare instaurazione del contraddittorio nei confronti di tale parte. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il relativo motivo di ricorso, rilevando che i destinatari dell'atto di appello risultavano ben individuati con precisazione del nome e del cognome oltre che con l'indicazione dell'esatto domicilio, puntualizzando, altresì, che l'identificazione con certezza delle parti appellate aveva trovato ulteriore conferma nella circostanza che l'atto di appello era stato consegnato a persone che avevano accettato il ritiro del documento senza frapporre alcuna eccezione circa l'individuazione dei soggetti destinatari della notificazione).

Cass. civ. n. 2217/2007

Il principio della specificità dei motivi di impugnazione - richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c. per la individuazione dell'oggetto della domanda d'appello e per stabilire l'ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata - impone all'appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che confutino e contrastino le ragioni addotte dal primo giudice, così da incrinarne il fondamento logico-giuridico. Peraltro, la verifica dell'osservanza dell'onere di specificazione non è direttamente effettuabile dal giudice di legittimità, dacché interpretare la domanda - e, dunque, anche la domanda di appello - è compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione - così come avviene per ogni operazione ermeneutica - ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito.

Cass. civ. n. 970/2007

Per effetto delle innovazioni introdotte dalla legge n. 353 del 1990, tra gli elementi che la citazione in appello deve contenere — in virtù del richiamo operato dall'art. 342, primo comma, c.p.c. — vi è anche l'avvertimento di cui all'art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. che la costituzione tardiva implica le conseguenti decadenze, le quali, pur se non possono consistere nelle situazioni previste per il giudizio di primo grado in quanto non vi è luogo in appello per l'applicabilità dell'art. 167 c.p.c., consistono invece nelle decadenze proprie del giudizio di gravame (in particolare con riferimento al diritto di proporre impugnazione incidentale e alla facoltà di riproporre le eccezioni disattese nonché le questioni non accolte o ritenute assorbite nel primo giudizio). Ne consegue che, essendo esso posto a garanzia della parte appellata, quando l'atto introduttivo del giudizio d'appello non contiene l'avvertimento che la costituzione tardiva implica le conseguenti decadenze di cui all'art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., in mancanza di costituzione dell'appellato il giudice ne dichiara la nullità e ne ordina la rinnovazione.

Cass. civ. n. 23870/2006

La mancata indicazione nell'epigrafe dell'atto di appello della qualità nella quale l'appellato è chiamato in giudizio (nella specie trattavasi dell'appello nei riguardi di compagnia assicuratrice senza specificazione della sua qualità di soggetto designato alla liquidazione per conto del F.G.V.S.) non importa l'inammissibilità o la nullità dell'appello quando la predetta qualità risulti con certezza dal contesto dello stesso atto di appello, poiché per effetto del rinvio disposto dall'art. 342 c.p.c. alle disposizioni degli artt. 163, terzo comma, n. 2) — che richiede l'esatta indicazione, nell'atto di citazione, delle parti — e 164 dello stesso codice, che fa dipendere la nullità dell'atto introduttivo solo dall'assoluta mancanza od incertezza del predetto requisito, dovendo porsi riferimento al contenuto sostanziale dell'atto, anche eventualmente integrato con gli atti pregressi, rispetto alla mera forma di esso, deve ritenersi valido l'atto di appello che consenta, alla stregua della valutazione del suo contenuto complessivo, di desumere univocamente il requisito riguardante la qualità in ordine alla quale l'appellato deve considerarsi evocato in giudizio.

Cass. civ. n. 21745/2006

Essendo l'appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi — previsto dall'art. 342, primo comma, c.p.c. — prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure.

Cass. civ. n. 20261/2006

Il requisito della specificità dei motivi di appello, prescritto dall'art. 342 c.p.c., non può essere definito in via generale ed assoluta, ma dev'essere correlato alla motivazione della sentenza impugnata, nel senso che la manifestazione volitiva dell'appellante dev'essere formulata in modo da consentire d'individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione, e deve quindi contenere l'indicazione, sia pure in forma succinta, degli errores attribuiti alla sentenza censurata, i quali vanno correlati alla motivazione di quest'ultima, in modo da incrinarne il fondamento logico-giuridico, con la conseguente inammissibilità dell'individuazione dei motivi operata mediante il generico richiamo alle deduzioni, eccezioni e conclusioni della comparsa depositata in primo grado.

Cass. civ. n. 15519/2006

I motivi di appello concorrono a determinare l'oggetto del relativo giudizio e, per questo profilo, incidono sullo stesso esercizio del potere d'impugnazione, non potendosi considerare proposti all'esame del giudice del gravame i capi della sentenza di primo grado che non siano stati in concreto oggetto di specifiche censure nell'atto di appello. Pertanto, la parte non può riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado senza espressamente censurare, con motivo di gravame, le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta o dolersi della omessa pronuncia al riguardo.

Cass. civ. n. 12984/2006

La specificità dei motivi di appello esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. A tal fine non è sufficiente che l'individuazione delle censure sia consentita, anche indirettamente, dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di appello, dovendosi considerare integrato in sufficiente grado l'onere di specificità dei motivi di impugnazione, pur valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, solo quando alle argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle dell'appellante in guisa tale da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione della sentenza, restando in tal caso superfluo l'esame dei singoli passaggi argomentativi. (Nell'affermare il suindicato principio la S.C., nel qualificare il motivo formalmente proposto per asserita violazione di legge come sostanzialmente prospettante la deduzione di una doglianza ex art. 112 e 345 c.p.c., ha ritenuto essere stato dalla corte di merito correttamente giudicato inammissibile il motivo di gravame con il quale, nel censurare la declaratoria di inammissibilità della domanda pronunziata dal giudice di prime cure, l'appellante si era limitato a chiedere che il giudice dell'impugnazione emettesse pronunzia sul merito della domanda, a tale stregua omettendo di assolvere all'onere di investire la sentenza di primo grado con uno specifico motivo d'impugnazione sulla detta statuizione di inammissibilità, e di indicare perché la domanda era da considerarsi ammissibile, a tale stregua non evitando il formarsi del giudicato processuale interno).

Cass. civ. n. 12899/2006

In tema di rappresentanza, benché il rappresentato ed il rappresentante costituiscano un unico centro di imputazione dell'attività processuale (art. 77 c.p.c.), l'appello della sentenza resa nei confronti del rappresentato va proposto nei confronti del rappresentante in detta qualità, non già in proprio, e qualora ciò non avvenga va dichiarato il difetto di legitimatio ad causam quindi l'invalidità dell'impugnazione ex artt. 342 e 263 n. 2 c.p.c., salvo che l'omessa indicazione della qualità non abbia determinato alcuna incertezza nell'individuazione della parte nei cui confronti è stato proposto il gravame.

Cass. civ. n. 12140/2006

L'onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall'art. 342 c.p.c., non è assolto con il semplice richiamo per relationem alla comparsa conclusionale di primo grado, perché i motivi di gravame devono riferirsi alla decisione appellata, e tali non possono essere le osservazioni e le difese esposte prima di essa; inoltre un siffatto richiamo obbligherebbe il giudice ad quem, al fine di identificare i motivi sui quali deve pronunciarsi, ad un'opera di relazione e di supposizione che la legge processuale non gli affida: anzi, una simile ricostruzione, da parte del giudice, delle censure della parte, si tradurrebbe in una sostanziale violazione dei principi del contraddittorio, giacché, per l'inevitabile soggettività dei criteri che a tal fine il giudice impiegherebbe, l'altra parte sarebbe posta nell'incertezza delle domande dalle quali difendersi, potendo accertare solo dalla lettura della sentenza — e dunque a posteriori — i motivi sui quali, secondo la ricostruzione operata dal giudice del gravame, era stata chiamata a contraddire.

Cass. civ. n. 11372/2006

Il thema decidendi nel giudizio di secondo grado è delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex artt. 342 e 434 c.p.c. per l'individuazione dell'oggetto della domanda d'appello e per stabilire l'ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata. Tuttavia, allorquando sia impugnata una sentenza di totale reiezione della domanda originaria, poichè il bene della vita richiesto non può che essere, in linea di massima, quello negato in primo grado, ovvero delimitato dagli stessi motivi di impugnazione, ove questi siano «specifici» e chiaramente rivolti contro le argomentazioni che avevano condotto il primo giudice al rigetto della domanda, va escluso che, pur in mancanza di conclusioni precise, possa ravvisarsi acquiescenza alla reiezione di essa, dovendosi viceversa ravvisare la riproposizione della domanda negli identici termini iniziali, con le eventuali delimitazioni evidenziate dalla specificazione dei motivi di gravame e dalla eventuale incompatibilità rispetto ad essi. Altrettanto vale nella ipotesi opposta, in cui il convenuto soccombente si dolga del mancato accoglimento delle eccezioni e difese proposte in primo grado allo scopo di paralizzare l'avversa domanda.

Cass. civ. n. 6630/2006

In tema di processo di appello, in ossequio al principio del tantum devolutum quantum appellatum di cui all'articolo 342 c.p.c., il quale importa non solo la delimitazione del campo del riesame della sentenza impugnata ma anche l'identificazione, attraverso il contenuto e la portata delle censure, dei punti investiti dall'impugnazione e delle ragioni per le quali si invoca la riforma delle decisioni, i motivi debbono essere tutti specificati nell'atto di appello (con cui si consuma il diritto di impugnazione), sicchè restano precluse nel corso dell'ulteriore attività processuale sia la precisazione di censure esposte nell'atto di appello in modo generico, che la possibilità di ampliamenti successivi delle censure originariamente dedotte.

Cass. civ. n. 26192/2005

Il requisito della specificità dei motivi di appello non può essere soddisfatto da un mero e generico richiamo agli atti di primo grado, che prescinda dal contenuto argomentativo della sentenza impugnata, essendo necessaria una contrapposizione argomentativa rivolta al contenuto della decisione impugnata. Al riguardo, seppure — stante la mancanza nell'appello di un principio di autosufficienza — deve ritenersi ammissibile anche una integrazione dei motivi mediante un rinvio circostanziato ai singoli atti del processo (che si presumono noti), è pur sempre necessario che l'insieme degli elementi forniti dall'appellante, o direttamente o per relationem si contrapponga al contenuto della decisione impugnata e consenta la individuazione non solo dell'ambito del devolutum ma anche delle ragioni del gravame. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui l'appellante si era limitato ad una mera richiesta di un iudicium novum sulla base delle argomentazioni tutte svolte in primo grado, senza specificare in alcun modo le ragioni poste a fondamento del gravame e senza neppure considerare le ragioni addotte, nella sentenza di primo grado, a giustificazione delle singole decisioni adottate).

Cass. civ. n. 2041/2005

I motivi di appello concorrono a determinare l'oggetto del relativo giudizio, e per questo profilo incidono sullo stesso esercizio del potere di impugnazione, non potendosi considerare proposti all'esame del giudice del gravame i capi della sentenza di primo grado che non siano stati, in concreto, oggetto di specifiche censure nell'atto di appello ed incorrendo in vizio di ultrapetizione il giudice di appello che estenda il proprio esame a parti della decisione di primo grado che pur genericamente investite dall'impugnazione in toto della sentenza, non siano state specificatamente censurate.

Cass. civ. n. 21/2005

Il requisito della «sommaria esposizione dei fatti» richiesto dall'art. 342 c.p.c. non esige una parte espositiva formalmente autonoma ed unitaria ma, in quanto funzionale alla individuazione delle censure mosse dall'appellante, può ritenersi soddisfatto anche qualora tale individuazione sia consentita anche indirettamente dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di appello, ed in mancanza ne cnosegue la nullità del relativo atto, che rimane sanata per effetto della costituzione dell'appellato, e non l'inammissibilità del gravame, che non è esplicitamente prevista da alcuna norma.

Cass. civ. n. 16422/2004

L'indicazione dei motivi di appello richiesta dall'art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall'art. 434 c.p.c., non esige una parte espositiva formalmente autonoma ed unitaria, ma, in quanto funzionale all'individuazione delle censure mosse dall'appellante, può emergere anche indirettamente dalle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di impugnazione, ove questi forniscano gli elementi idonei a consentire l'individuazione dell'oggetto della controversia e delle ragioni del gravame. Inoltre, atteso il carattere devolutivo dell'appello e la mancanza in esso del principio di autosufficienza, tale requisito è soddisfatto mediante il rinvio circostanziato a singoli atti del processo, in modo da consentire al giudice, attraverso l'esame di tali atti (che si presumono noti), di acquisire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dei termini della controversa e dello svolgimento del processo.

Cass. civ. n. 16264/2004

La questione relativa alla nullità assoluta ed insanabile dell'atto di appello per mancanza di una valida procura ad litem, vertendo in tema di inammissibilità del gravame, attiene al controllo circa la sussistenza di un presupposto processuale dell'azione, che rientra tra i poteri officiosi del giudice, esercitabile in ogni stato e grado del processo e, nel giudizio di cassazione, consente l'esame diretto degli atti processuali, in quanto attiene ad un errore in procedendo.

Cass. civ. n. 14251/2004

L'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'articolo 342 c.p.c., integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata. (Principio affermato dalla S.C. in fattispecie relativa ad azione risarcitoria da sinistro stradale nella quale l'appellante compagnia assicuratrice si era limitata alla generica affermazione della mancanza di prova della responsabilità del conducente, senza investire il compendio probatorio utilizzato dal giudice di primo grado con specifici motivi di impugnazione).

Cass. civ. n. 12092/2004

Ancorché il richiamo per relationem a precedenti scritti difensivi non sia compatibile con l'onere di specificazione dei motivi di appello imposto dall'art. 342 c.p.c., tuttavia detto richiamo deve ritenersi consentito allorché l'impugnazione investa una pronuncia per motivi di rito che abbia negato il diritto alla pronuncia di merito, poiché dall'accoglimento dell'impugnazione discenderebbe l'integrale devoluzione al giudice dell'appello del compito di decidere su tutte le questioni dedotte nel giudizio di primo grado.

Cass. civ. n. 11160/2004

La argomentazioni ultronee, che non hanno lo scopo di sorreggere la decisione già basata su altre decisive ragioni, sono improduttive di effetti giuridici e, come tali, non sono suscettibili di gravame, né di censura in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 11079/2004

I poteri d'ufficio di cui è dotato il tribunale quanto alla dichiarazione di fallimento persistono anche nel giudizio di opposizione, e l'officiosità del processo non è limitata allo svolgimento del giudizio di primo grado, ma prosegue nel successivo grado di appello; l'officiosità, tuttavia, non implica una deroga ai principi fissati per l'appello dall'art. 342 c.p.c. Pertanto, mentre in primo grado il giudizio, per la sua natura pienamente devolutiva, non resta vincolato dagli eventuali motivi, in sede di gravame avverso la pronuncia del tribunale, invece, non subisce deroghe il principio secondo cui l'ambito del giudizio, con la conseguente cristallizzazione del thema decidendum su cui il giudice di secondo grado è chiamato a pronunziarsi, è determinato dalle questioni effettivamente devolute con gli specifici motivi di impugnazione, oltre quelle rilevabili d'ufficio che delle stesse costituiscano l'antecedente logico ed in ordine alle quali non sia intervenuta pronuncia in prime cure. (Nella fattispecie la S.C. ha statuito che la Corte di appello, investita della questione se il soggetto dichiarato fallito in estensione del fallimento di società in nome collettivo, ai sensi dell'art. 147 legge fall., fosse o meno socio occulto della società, non poteva conoscere della diversa questione relativa all'esistenza di una società di fatto tra la stessa società in nome collettivo e tale soggetto).

Cass. civ. n. 10314/2004

Ai fini della specificità dei motivi dell'appello (anche incidentale) non è sufficiente che l'atto di gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma è altresì necessario, anche quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, unendo alla parte volitiva dell'appello una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Ne consegue che la mancanza di specificità dei motivi comporta nullità dell'atto di appello, non sanabile con la costituzione dell'appellato e rilevabile d'ufficio dal giudice per il collegamento con la formazione del giudicato interno, e si traduce in inammissibilità, atteso che il giudizio di appello non può giungere alla sua naturale conclusione. (Nella specie l'appello aveva censurato la violazione del contraddittorio e la classificazione catastale dell'immobile locato ai fini del calcolo dell'equo canone, ma non aveva riguardato il rigetto della domanda di simulazione del rapporto locatizio, su cui la sentenza confermata dalla S.C. ha ritenuto che si fosse formato il giudicato).

Cass. civ. n. 8093/2004

Non subisce deroghe, in seno alle procedure fallimentari, il principio secondo cui l'ambito del giudizio di appello, e la conseguente cristallizzazione del thema decidendum su cui il giudice di secondo grado è chiamato a pronunciarsi, è determinato dalle questioni effettivamente devolutegli con gli specifici motivi di impugnazione, oltre che da quelle rilevabili di ufficio che, delle stesse, costituiscano l'antecedente logico e in ordine alle quali non sia intervenuta pronuncia in prime cure.

Cass. civ. n. 16684/2003

L'indicazione dei motivi di appello richiesta dall'art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall'art. 434 c.p.c., non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell'appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame — che può validamente consistere anche nella mera richiesta di riforma della sentenza impugnata e di accoglimento della domanda iniziale — sia delle ragioni della doglianza, che, in caso di censura rivolta alla valutazione della consulenza tecnica d'ufficio, non deve necessariamente concretizzarsi nell'allegazione della relazione del consulente di parte, adempimento non richiesto né previsto da alcuna disposizione in tema di impugnazioni.

Cass. civ. n. 15930/2002

Il requisito, di cui all'art. 342 c.p.c., dell'esposizione sommaria dei fatti nell'atto di appello — la cui inosservanza peraltro non comporta l'inammissibilità dell'impugnazione — può dirsi soddisfatto quando l'atto di appello fornisca, sia pure indirettamente attraverso l'argomentazione dei motivi di doglianza, gli elementi necessari per l'individuazione dell'oggetto del giudizio e dei termini della controversia.

Cass. civ. n. 10681/2002

Ai fini della individuazione del thema decidendum in appello, sebbene l'art. 342 c.p.c. preveda la devoluzione al giudice d'appello delle sole questioni che siano state fatte oggetto di specifici motivi di gravame, esso si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, necessariamente connessi ai punti censurati, e con possibilità di riesame dell'intero rapporto controverso e di tutte le questioni dibattute delle parti in primo grado se i motivi d'appello fanno puntuale riferimento all'impianto logico letterale complessivo della sentenza di primo grado, sottoponendola ad una critica completa e radicale, non essendo però sufficiente, a tal fine, la richiesta generica di riforma integrale della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 696/2002

Il giudice di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, può, senza violare il principio del contraddittorio, anche d'ufficio sostituirne la motivazione che ritenga scorretta, purché la diversa motivazione sia radicata nelle risultanze acquisite al processo e sia contenuta entro i limiti del devolutum, quali risultanti dall'atto di appello.

Cass. civ. n. 8804/2001

Poiché i poteri del giudice di appello vanno determinati con esclusivo riferimento alle iniziative delle parti, in assenza di impugnazione incidentale della parte parzialmente vittoriosa, la decisione del giudice d'appello non può essere più sfavorevole all'appellante e più favorevola all'appellato di quanto non sia stata la sentenza impugnata e non può, quindi, dare luogo alla reformatio in peius in danno dello stesso appellante.

Cass. civ. n. 7809/2001

Allorché la sentenza di primo grado pronunci sulla domanda in base ad una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sé sufficiente a giustificare la decisione, come al giudice è consentito, qualora egli, ritenendo di poter fondare la decisione sopra una determinata ragione di merito, ritenga utile valutare anche un'altra concorrente ragione, parimenti di merito, al fine di fornire adeguato sostegno alla decisione adottata, anche per l'eventualità che il giudice dell'impugnazione reputi erronea la soluzione della questione preliminarmente affrontata, la parte soccombente ha l'onere di censurare con l'atto d'appello ciascuna delle ragioni della decisione, non potendosi, in difetto, trattare successivamente della ragione non tempestivamente contestata e non potendosi, conseguentemente, più nemmeno utilmente discutere, sotto qualsiasi profilo, della stessa statuizione che nella detta ragione trova autonomo sostegno, a nulla valendo a tal fine la richiesta di integrale riforma della sentenza, poiché la non contestata autonoma ragione di decisione resta anche in tal caso idonea a sorreggere la pronunzia impugnata, non potendo il giudice d'appello estendere il suo esame a punti non compresi neppure per implicito nei termini prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.

Cass. civ. n. 7088/2001

I motivi di impugnazione della sentenza di primo grado possono essere formulati solo con l'atto di appello e l'appellante non può, quindi, aggiungere altre censure nel corso dell'ulteriore attività processuale in quanto il diritto di impugnazione si esplica e si consuma con l'atto di appello, il quale fissa i limiti della devoluzione della controversia in sede di gravame. Ne consegue che qualora la sentenza di secondo grado abbia trattato e deciso una questione che, ancorché affrontata dall'appellante nel corso del giudizio, non abbia tuttavia formato oggetto di uno specifico motivo di impugnazione si verifica una violazione del giudicato interno che è rilevabile in sede di legittimità e comporta la cassazione senza rinvio della sentenza stessa relativamente al capo della sentenza di primo grado non impugnato.

Cass. civ. n. 4991/2001

Se è proposta impugnazione avverso l'entità del danno aquiliano liquidato dal giudice di primo grado, il giudice d'appello non può procedere d'ufficio a riliquidare anche il danno da ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria. A questo principio il giudice d'appello può tuttavia derogare in due casi: (a) quando rigetti l'impugnazione, ma per effetto di un mutamento delle condizioni di redditività del danaro è opportuno liquidare il danno da ritardato adempimento, maturato dopo la sentenza di primo grado, con criteri diversi rispetto a quelli adottati dal primo giudice; (b) quando accolga l'impugnazione riducendo il quantum debeatur, allorché la variazione dell'importo dovuto renda presumibile una variazione delle condizioni di redditività del denaro, anche per il periodo passato.

Cass. civ. n. 2476/2001

È affetto da nullità per difetto di ius postulandi l'atto di appello proposto con citazione senza che, alla costituzione (art. 165 c.p.c.) risulti depositata la procura al difensore, in originale o in copia conforme (rilasciata anteriormente, ex art. 125 comma secondo e contenuta in una scrittura privata autenticata, ex art. 83 c.p.c.), non avendo il giudice alcun onere (art. 182 c.p.c.) di ordinare la regolarizzazione della posizione dell'appellante, ormai non più sanabile.

Cass. civ. n. 12794/2000

L'inammissibilità dell'appello proposto tardivamente può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità dalla parte interessata, ed è comunque rilevabile d'ufficio dalla Corte di cassazione quando la relativa questione non sia stata dibattuta davanti al giudice di secondo grado e non abbia formato oggetto di una sua pronuncia, dato che l'indagine sulla tempestività del gravame si risolve nell'accertamento di un presupposto processuale per la proseguibilità del giudizio, determinando la sua tardiva proposizione il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Cass. civ. n. 7327/2000

È inammissibile l'appello proposto con procura a firma illeggibile, proveniente non dal sindaco, ma da altra persona (non identificata neppure nell'intestazione dell'atto) «per» il sindaco, poiché, mancando la sottoscrizione dell'organo dell'ente locale e la delega al sottoscrittore per conferire la procura, il gravame non è riferibile al Comune.

Cass. civ. n. 6231/2000

L'atto d'appello introduce un procedimento d'impugnazione, nel quale i poteri cognitori del giudice, all'infuori delle questioni rilevabili d'ufficio, sono circoscritti dall'iniziativa della parte istante, spettando ad essa di attivarsi per la riforma delle decisioni sfavorevoli contenute nella sentenza di primo grado. Pertanto, l'onere della specificazione dei motivi d'appello esige che la manifestazione volitiva dell'appellante, indirizzata a ottenere la suddetta riforma, trovi un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione in proposito della sentenza impugnata, con la conseguenza che i motivi stessi devono essere più o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, di quella motivazione.

Cass. civ. n. 5945/2000

La specificità dei motivi di impugnazione, prevista dall'articolo 342 del c.p.c., implica la necessità che la manifestazione volitiva dell'appellante consenta di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione che le sostiene. Ne segue, pertanto, che qualora il giudice di primo grado abbia ritenuto di poter decidere la causa sulla base della decisione di una questione preliminare o pregiudiziale, la parte soccombente, che intenda proporre impugnazione, deve specificare i suoi motivi di impugnazione in relazione a questa sola ratio decidendi. (Nella specie, la sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda attrice, ritenendo prescritto il diritto azionato e la Suprema Corte, in applicazione del principio riferito sopra, ha ritenuto che correttamente l'attore appellante avesse investito, con i motivi d'appello, esclusivamente tale ratio decidendi, unica posta a fondamento del rigetto della domanda).

Cass. civ. n. 4601/2000

L'inammissibilità dell'appello per tardivo deposito del relativo atto, siccome rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, può essere eccepita anche in sede di legittimità e non è sanata dalla costituzione dell'appellato, in quanto la tardività dell'appello comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Cass. civ. n. 1502/2000

Nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario con interessi e rivalutazione, qualora l'appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito e nessuno, neppure subordinato, sul resto, al giudice di appello è inibito il riesame delle statuizioni accessorie relative agli interessi ed alla rivalutazione monetaria, rispetto ai quali vi è stata acquiescenza dell'appellante per effetto della indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione.

Cass. civ. n. 16/2000

L'inammissibilità non è la sanzione per un vizio dell'atto diverso dalla nullità, ma la conseguenza di particolari nullità dell'appello e del ricorso per cassazione, e non è comminata in ipotesi tassative ma si verifica ogniqualvolta - essendo l'atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo (nel caso dell'appello, evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) - non operi un meccanismo di sanatoria; pertanto, essendo inapplicabile all'atto di citazione di appello l'art. 164, secondo comma c.p.c. (testo originario), per incompatibilità - in quanto solo l'atto conforme alle prescrizioni di cui all'art. 342 c.p.c. è idoneo a impedire la decadenza dall'impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza - l'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'art. 342 cit., integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilità di sanatoria dell'atto a seguito di costituzione dell'appellato - in qualunque momento essa avvenga - e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta in corso di causa.

Cass. civ. n. 3905/1999

L'effetto devolutivo dell'appello entro i limiti dei motivi d'impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d'impugnazione. Pertanto, non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, ovvero prenda in esame questioni non specificamente proposte dall'appellante le quali appaiono, tuttavia, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi costituendone un necessario antecedente logico e giuridico.

Cass. civ. n. 464/1999

Ai fini della validità dell'appello non è sufficiente che l'atto di gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma è altresì necessario, anche quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall'altro lato, esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime.

Cass. civ. n. 383/1999

Il giudice di merito, nell'esercizio del suo potere di interpretazione e qualificazione giuridica della domanda, non è in alcun modo condizionato dalle formule adottate in concreto dalla parte, dovendo egli tener conto, al fine di identificare correttamente l'oggetto sostanziale della emananda pronuncia (desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio), del solo contenuto effettivo della pretesa (oltre che del provvedimento richiesto in concreto), senza conoscere altri limiti che quelli del rispetto del principio di consonanza tra il chiesto ed il pronunciato (principio affermato dalla S.C. nel confermare la pronuncia con cui il giudice di appello, in accoglimento del petitum sostanziale del convenuto in riconvenzionale — che chiedeva accertarsi, in base ai bilanci, l'entità della propria quota di socio con condanna del consocio alla restituzione delle somme a questi corrisposte in eccedenza — aveva condannato l'attore alla restituzione di quanto ricevuto in eccedenza a titolo di indebito oggettivo parziale, così modificando la pronuncia di primo grado del tribunale, che aveva invece fondato la medesima condanna alla restituzione su di un presunto dolus incidens dell'attore).

Cass. civ. n. 12727/1998

La mancanza della sottoscrizione del procuratore nella copia notificata dell'atto di appello non ne determina la nullità, ma configura una mera irregolarità sanabile ex tunc della costituzione dell'appellato.

Cass. civ. n. 12541/1998

È ammissibile l'impugnazione con la quale l'appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l'appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l'ingiustizia della sentenza di primo grado, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione.

Cass. civ. n. 11657/1998

L'appello avverso una sentenza pronunciata all'esito di un giudizio celebrato, in primo grado, con rito ordinario è inammissibile, perché tardivo, se proposto con la forma prescritta per l'impugnazione delle sentenze pronunciate all'esito di rito camerale, e cioè con il deposito del ricorso anziché con la notificazione dell'atto di citazione. Il deposito del ricorso, pur se tempestivo, non è, difatti, idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale, che richiede, pur sempre, che l'atto recettizio d'impugnazione venga portato a conoscenza della controparte entro il termine perentorio di cui all'art. 325 c.p.c. nella forma legale della notificazione nel luogo indicato dal successivo art. 330, senza che possa, in contrario, invocarsi la eventuale sanatoria dell'atto nullo qualora (come nella specie) si sia medio tempore verificata una decadenza ratione temporis che abbia determinato il passaggio in giudicato della sentenza oggetto di appello per essere ormai irrimediabilmente spirato il relativo termine d'impugnazione.

Cass. civ. n. 10524/1998

La mancata indicazione della procura nell'atto di citazione in appello non è causa di nullità della citazione stessa, non essendo tale omissione ricompresa tra le violazioni cui, ai sensi dell'art. 164 c.p.c. (applicabile in forza del rinvio operato dall'art. 359 stesso codice), il legislatore abbia voluto riconnettere la sanzione della nullità dell'atto, e non potendosi tale nullità virtualmente desumere dalla generale disciplina processuale del sistema della invalidità degli atti, poiché, alla stregua del principio di cui all'art. 125, comma 2, c.p.c. (a mente del quale la procura può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione della citazione), risulta normativamente disciplinata addirittura un'ipotesi in cui non è fatto alcun obbligo di detta indicazione nell'atto di citazione (prescritta, invece, per il giudizio di cassazione, a pena di inammissibilità del ricorso ex art. 366, comma 1, n. 5 c.p.c.).

Cass. civ. n. 10425/1998

Per il principio dell'ultrattività del rito, ove la controversia, ancorché introdotta con ricorso, sia stata trattata in primo grado con rito ordinario in luogo di quello del lavoro al quale è assoggettata (nella specie: determinazione dell'equo canone ex art. 45 legge 27 luglio 1978, n. 392) debbono essere seguite le forme ordinarie anche per la proposizione dell'appello e dell'eventuale appello incidentale.

Cass. civ. n. 10337/1998

Spetta al giudice di primo grado il compito di definire il contenuto e la portata delle domande avanzate dalle parti, identificando e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del provvedimento richiesto (cosiddetto petitum), nonché il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivino le pretese dedotte in giudizio (cosiddetta causa petendi), mentre al giudice di appello è devoluta la facoltà di procedere, a sua volta, ad una nuova qualificazione giuridica dei suddetti elementi, purché circoscritta entro i limiti dei fatti originariamente prospettati dalla parte, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con il quale, senza prospettare vizi motivazionali, venga censurato l'errore del giudice di merito nel compimento della detta operazione ermeneutica, soggiace alla sanzione della inammissibilità, alla quale esso resta, invece, sottratto quando l'errore venga fatto valere quale vizio riconducibile alla previsione dell'art. 112 c.p.c. (a norma del quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa), nel qual caso la natura del vizio (error in procedendo) comporta l'estensione del sindacato di legittimità anche al fatto, con conseguente esame diretto degli atti processuali da parte della Corte di cassazione. (Nell'affermare tale principio di diritto, la S.C. ha annullato la sentenza del giudice di merito ritenendo irrilevante la confusione tecnica, pur rilevabile in seno alla domanda introduttiva del giudizio, scaturente dalla prospettazione cumulativa delle ipotesi giuridiche della interposizione reale, di quella fittizia e, addirittura, della simulazione, poiché la domanda di parte attrice, volta alla restituzione della somma complessivamente versata nella specie, consentiva di ritenere sia la regolarità dell'instaurazione del contraddittorio, sia la sostanziale identificabilità del contenuto della richiesta).

Cass. civ. n. 9902/1998

In materia di responsabilità aquiliana, qualora la sentenza di primo grado contenente una statuizione di condanna venga impugnata unicamente sull'accertamento della responsabilità e sull'esistenza del danno, il giudice d'appello, se non accoglie il gravame, non ha il potere di riesaminare i criteri di liquidazione del danno.

Cass. civ. n. 9631/1998

La mancata indicazione nella copia notificata dell'atto di citazione in appello della data di comparizione determina, ove l'appellato non si sia costituito, la nullità dell'atto introduttivo del giudizio a norma dell'art. 164 c.p.c., senza che rilevi che la data dell'udienza risulti indicata nell'originale dell'atto, non potendo il convenuto che fare riferimento al contenuto dell'atto a lui consegnato. Necessaria conseguenza della nullità dell'impugnazione e della sua estensione ex art. 159 c.p.c., è la nullità dell'intero procedimento e del provvedimento conclusivo ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado ove nel frattempo sia scaduto il termine perentorio per l'impugnazione.

Cass. civ. n. 9597/1998

Il giudice d'appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere dovere di inquadrare nell'esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell'ambito delle questioni riproposte col gravame e col limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto. (Nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza d'appello che aveva fondato la responsabilità sulla clausola generale dell'art. 2043 c.c., mentre in primo grado si era ritenuta sussistente una responsabilità per danno cagionato da cose in custodia a norma dell'art. 2051 c.c.

Cass. civ. n. 6335/1998

Nel giudizio d'appello — che non è un iudicium novum — la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso specifici motivi, e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne deriva che, nell'atto d'appello (e non in atti successivi e in particolare, nella comparsa conclusionale) ossia nell'atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d'ufficio e non sanabile per effetto dell'attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al quale fine non è sufficiente che l'atto d'appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare peraltro con la motivazione della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 13117/1997

L'art. 342 c.p.c. prevede la devoluzione al giudice di secondo grado delle sole questioni che siano state fatte oggetto di specifici motivi di gravame, oltre di quelle rilevabili d'ufficio che delle stesse costituiscono l'antecedente logico e in ordine alle quali non sia intervenuta pronuncia in prime cure, posto che alla stregua di detti motivi si determina l'ambito del giudizio d'appello, con conseguente cristallizzazione del thema decidendum su cui il giudice di questo è chiamato, ed è tenuto, a pronunciare.

Cass. civ. n. 7888/1997

Quando dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni contenute nell'atto d'appello risulti la volontà di sottoporre l'intera controversia al giudice dell'impugnazione, questi è tenuto a riesaminare anche quelle parti della sentenza di primo grado che non abbiano, a differenza di altre, formato oggetto di specifica trattazione nel suddetto atto, in quanto comunque coinvolte nell'integrale impugnazione della prima pronuncia.

Cass. civ. n. 7158/1997

Nel procedimento di impugnazione della sentenza di separazione personale dei coniugi, l'appello va proposto con ricorso e non con citazione; tuttavia, ove l'appello sia stato proposto con citazione, in applicazione del principio generale di conservazione degli atti viziati, è da escludere la nullità dell'atto di impugnazione se il deposito della citazione nella cancelleria sia avvenuto in termini perentori fissati dalla legge, non essendo sufficiente che, in tali termini, sia stata effettuata la notificazione.

Cass. civ. n. 5147/1997

Una volta fissato nell'atto d'appello il thema decidendum, è precluso all'appellante di ampliare nel corso del giudizio l'indagine sulle statuizioni di primo grado per le quali, in quanto non investite da specifico motivo di gravame, si è verificata la formazione del giudicato formale, che però non comprende anche le questioni che, pur non specificatamente prospettate, costituiscano un antecedente logico e giuridico di quelle espressamente dedotte nei motivi d'appello.

Cass. civ. n. 6235/1996

L'inammissibilità dell'appello, ancorché non rilevata dal giudice del gravame, può essere rilevata nella successiva sede di legittimità anche d'ufficio, salvo i limiti del giudicato, nel caso in cui la relativa questione sia stata già esaminata e risolta dal giudice d'appello e manchi una specifica impugnazione. La rilevabilità d'ufficio riguarda anche l'ipotesi di acquiescenza parziale siccome legata al potere del giudice di verificare i limiti oggettivi dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 1721/1996

La sottoscrizione della citazione, di primo grado o di appello, da parte di un procuratore iscritto nell'albo di un distretto diverso da quello del giudice adito non è causa di nullità dell'atto quando la procura, apposta in calce o a margine dello stesso, sia stata conferita anche ad un procuratore territorialmente competente, sempreché quest'ultimo si sia costituito in giudizio nel rispetto dei termini di rito. Pertanto, l'atto di appello, sottoscritto da un procuratore esercente extra districtum e da un procuratore non munito di valida procura anteriormente alla costituzione della parte rappresentata (art. 125, secondo comma, c.p.c.), è affetto da nullità che determina l'improcedibilità dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 12602/1995

Nel caso in cui uno dei soccombenti in primo grado notifichi alla parte vittoriosa un atto di appello privo di procura ad litem e notifichi identico atto, contenente valida procura, all'altro soccombente, tale mandato non sana la carenza di jus postulandi insita nell'atto di impugnazione, atteso che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 82, comma terzo, 83, 163, comma terzo, e 342 c.p.c., lo jus postulandi deve risultare dall'atto che esprime la volontà di impugnare e che instaura il giudizio di appello, mentre il mandato alle liti contenuto nell'atto notificato al soccombente — il quale non ha natura di impugnazione, bensì di mera provocatio ad impugnandum — non può esplicare effetti ulteriori rispetto a quelli propri dell'atto per cui è stato conferito, e non può quindi valere come procura ad litem dell'atto di appello.

Cass. civ. n. 6066/1995

La cognizione del giudice nel giudizio di appello — che non è — iudicium novum con effetto devolutivo generale — resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso l'enunciazione di specifici motivi. La specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni della sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, di modo che alla parte volitiva dell'appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

Cass. civ. n. 4953/1995

Il principio tantum devolutum quantum appellatum preclude al giudice di appello l'indagine sui punti della sentenza di primo grado non direttamente investiti dal gravame, ma solo in quanto essi non siano compresi nel thema decidendum neanche per implicito, perché non necessariamente connessi con i temi censurati. Ne consegue che, quando dal complesso delle deduzioni e delle richieste formulate nell'atto di appello risulti in maniera chiara la volontà dell'appellante di sottoporre al giudice dell'impugnazione tutte le questioni dibattute dalle parti in primo grado circa la natura di un rapporto e i diritti e gli obblighi che ne derivano, il giudice di secondo grado deve riesaminare l'intera problematica, compresi i profili impliciti nelle deduzioni formulate espressamente.

Cass. civ. n. 3583/1995

Non costituisce causa d'inammissibilità dell'atto di appello la indicazione, in questo, da parte del difensore, della procura rilasciata dallo stesso con il medesimo atto, e che risulti essere invalida, se il difensore sia altresì munito di altra procura valida (anche per la proposizione dell'appello) rilasciatagli in primo grado; in quanto dalla descritta errata indicazione della procura non possono farsi derivare conseguenze più gravi di quelle ricollegabili alla totale omissione dell'indicazione della procura medesima nell'atto di appello (che non costituisce causa di nullità di quest'ultimo atto).

Cass. civ. n. 9626/1994

Il principio, desumibile dall'art. 329, comma 2, c.p.c., secondo cui l'effetto devolutivo dell'appello non si verifica per i capi della sentenza di primo grado che non siano investiti dai motivi di impugnazione, con relativa formazione del giudicato (tantum devolutum quantum appellatum), assume positivo rilievo solo con riferimento alle parti della sentenza concernenti questioni che siano indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame e che potrebbero in astratto formare oggetto di separati giudizi, e non anche alle statuizioni che costituiscano l'antecedente logico-giuridico della statuizione impugnata. (Nella specie la Suprema Corte ha escluso che, appellato il capo della sentenza con cui era stata rigettata una domanda di risarcimento del danno derivante dal rifiuto del precedente proprietario di un veicolo iscritto al pubblico registro automobilistico a provvedere alle formalità necessarie per l'annotazione al PRA del passaggio di proprietà, potesse validamente sostenersi la formazione del giudicato in ordine a ragioni giustificatrici del rifiuto; peraltro ha altresì rilevato che, in realtà, era stata posta in discussione dall'appellante anche la validità di tali ragioni).

Cass. civ. n. 8181/1993

La volontà della parte di impugnare nella sua globalità la sentenza di primo grado non richiede di essere espressa attraverso formule sacramentali, essendo sufficiente ai sensi dell'art. 342 c.p.c., che siano, ancorché sommariamente, spiegate le ragioni dell'impugnazione, sì da consentire al giudice di identificare i punti da esaminare e di vagliare le ragioni di fatto e di diritto per le quali è formulato il gravame.

Cass. civ. n. 12518/1992

Ai fini del requisito della specificità dei motivi, stabilito dagli artt. 342 e 434 c.p.c., l'atto di appello (che la Corte di cassazione può interpretare autonomamente per accertare se al giudice di secondo grado sia stato o no devoluto l'esame del punto controverso) deve indicare, sia pure in forma succinta, le ragioni in fatto e in diritto della doglianza contro la sentenza impugnata, non essendo sufficiente il generico richiamo alle difese svolte in primo grado. Pertanto, in presenza di una sentenza di primo grado che (disattendendo la correlativa eccezione della parte) abbia espressamente affermato la giurisdizione del giudice adito, pronunciando nel merito, il motivo di appello con il quale la parte si limiti a richiamare le eccezioni svolte in prima istanza e ad insistere per la declaratoria d'infondatezza della domanda, non costituisce impugnazione della pronuncia sulla giurisdizione; con l'ulteriore conseguenza che esattamente il giudice del gravame ritiene precluso il riesame della relativa questione, senza che possa invocarsi in contrario il principio che il difetto di giurisdizione deve essere rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, atteso che tale principio opera solo nell'ipotesi in cui sia mancata un'espressa statuizione sul punto e deve essere coordinato con quelle della convertibilità dei motivi di nullità della sentenza in motivi di gravame.

Cass. civ. n. 10725/1992

Contro le sentenze di separazione personale e di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, pubblicate successivamente alla data di entrata in vigore della L. 5 marzo 1987, n. 74 — ancorché rese in procedimenti anteriormente iniziati — l'appello deve essere proposto non con citazione, ma con ricorso, nel termine di trenta giorni (art. 325 c.p.c.) dalla notificazione o, in mancanza di questa, nell'anno dalla pubblicazione della sentenza stessa (art. 327 c.p.c.); mentre, in applicazione del principio di conservazione, la forma della citazione può non escludere l'ammissibilità del gravame solo nel caso di tempestivo deposito del relativo atto in cancelleria.

Cass. civ. n. 3370/1979

Non sussiste nullità dell'atto di appello quando la sottoscrizione del procuratore risulta apposta soltanto sotto la certificazione dell'autenticità della firma della parte, posta sotto la procura alle liti redatta in calce o a margine dell'atto stesso, in quanto, in tal caso, la firma del difensore ha il duplice scopo di sottoscrivere l'atto stesso e di certificare l'autografia del mandato.

Cass. civ. n. 3051/1979

Ove sia stato assegnato al convenuto un termine di comparizione minore di quello stabilito dalla legge, l'atto introduttivo del giudizio è nullo e la relativa nullità, se non sia stata sanata con effetti ex nunc dalla costituzione del convenuto, deve essere rilevata di ufficio e si ripercuote sul procedimento e sulla sentenza che lo definisce; ciò vale anche per il giudizio di appello, in virtù del richiamo all'art. 163 c.p.c. da parte dell'art. 342 dello stesso codice. Ne consegue che il termine in oggetto è previsto a tutela esclusiva del convenuto o dell'appellato, in relazione all'esigenza di costoro di predisporre tempestivamente le proprie difese, sicché nessuna questione attinente al termine di comparizione e alla sanzione di nullità per inosservanza del medesimo si pone con riguardo all'attore o all'appellante.

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Anonimo chiede
martedì 26/12/2023
“Fatto: un ciclista – il sottoscritto- che percorre, con bici da corsa, una strada statale in pianura, verso le ore 11,00, con piena visibilità, tampona una vettura ferma in parte sulla carreggiata ed in parte minima oltre la carreggiata con molto spazio libero dalla vettura al guardrail. Il conducente la vettura dichiara che al momento del tamponamento era fermo da almeno 5 minuti per un guasto; il ciclista ritiene che la sosta è avvenuta in maniera improvvisa. La polizia municipale verbalizza la mancata attivazione delle 4 frecce lampeggianti e la mancata collocazione del segnale di sosta del veicolo (triangolo)
La stessa polizia municipale, oltre al conducente della vettura, sanziona anche il ciclista per violazione dell’art. 141 del C.d.s. per non essere stato in grado di fermarsi prima dell’impatto.
La sanzione al ciclista è sta annullata dal Prefetto in accoglimento dell’apposito ricorso.
Il successivo procedimento civile per risarcimento danni si conclude con l’attribuzione al ciclista del 60% di responsabilità e con il seguente dispositivo di sentenza;
"Va, dunque, ritenuto che il sinistro sia stato cagionato anche per disattenzione del ciclista, che, peraltro, secondo le dichiarazioni del teste assunto, percorreva il tratto stradale a velocità moderata, così da avere il tempo di avvedersi del furgone e arrestare la marcia o procedere al sorpasso in sicurezza".
Il quesito è il seguente: una sentenza di primo grado può attribuire una colpa sostanzialmente con la stessa motivazione di una sanzione annullata dal Prefetto a seguito di accoglimento dell’apposito ricorso?
Il provvedimento del Prefetto, nella citazione e nelle successive memorie, non è stato trattato come fatto a favore del ciclista; è stato allegato alla citazione e quindi a disposizione del giudice.”
Consulenza legale i 04/01/2024
Va premesso che la decisione del prefetto non ha valore di giudicato vincolante per il Tribunale, in quanto si tratta di un provvedimento emesso a conclusione di un ricorso amministrativo.
Inoltre, si nota che le considerazioni del Giudice sulla velocità del ciclista e sulla sua “disattenzione” si basano sulla deposizione di un testimone sentito nel corso del giudizio.
Secondo un costante indirizzo normativo e giurisprudenziale (e in disparte il caso delle prove legali), l’esame dei documenti prodotti e delle deposizioni dei testimoni, oltre alla valutazione dei documenti e delle risultanze testimoniali, il giudizio sull'attendibilità e credibilità di alcuni testi invece che di altri, come la scelta, tra le diverse risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, richiedono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non richiamati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cassazione civile, sez. II, 27 settembre 2023, n. 27432).

Ancora, è stato precisato che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto a una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cassazione civile, sez. VI, 10 ottobre 2022, n. 29361).
Questo significa che il Giudice può liberamente stabilire il “peso” dei vari elementi probatori emersi in corso di causa ed eventualmente attribuire una valenza maggiore alle dichiarazioni di un testimone rispetto alla decisione del Prefetto.

Tanto chiarito in via generale, si rileva che nel caso specifico la sentenza dedica pochissimo spazio nella motivazione a spiegare per quale ragione il teste sia ritenuto attendibile sul punto, mentre sembra non considerare in alcun modo la decisione del Prefetto.

Pertanto, pur non essendo riscontrabile per le ragioni suddette un vero e proprio obbligo per il Giudice di giungere alla stessa conclusione del Prefetto, la sentenza su questo punto pare attaccabile, posto che comunque il provvedimento che ha annullato la sanzione irrogata ai sensi del Codice della strada è stato emesso a seguito di un confronto in contraddittorio con la P.A. e che avrebbe quindi, a parere dello scrivente, meritato qualche considerazione ulteriore, soprattutto nel caso in cui tale provvedimento sia stato non solo prodotto, ma anche oggetto di specifiche deduzioni da parte dell’attore.

Si tratta di contestazioni che possono essere avanzate in secondo grado, in quanto con l’appello (a differenza di quanto accade davanti alla Cassazione) le censure possono essere proposte anche con riferimento alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 342 del c.p.c., proponendone una diversa.

Fermo che l’opportunità di impugnare deve essere valutata con il proprio legale di fiducia, che ha una conoscenza completa degli atti di causa, va, comunque, tenuto conto che la responsabilità concorrente del ciclista è stata affermata dal Tribunale non solo sulla base dell’elemento della velocità, ma anche di altri profili che emergono anche da rapporti della Polizia Municipale (questi ultimi dotati di efficacia probatoria rafforzata ex art. 270 del c.c.), quali la visibilità del veicolo fermo e le buone condizioni meteo.
Pertanto, non è detto che una diversa valutazione della Corte d’appello dell’aspetto relativo alla velocità sia sufficiente a ridurre o ad escludere del tutto la responsabilità concorrente del ciclista, che potrebbe essere confermata sulla base degli altri elementi sopra citati tenuti in considerazione nella sentenza di primo grado.


Angelo F. chiede
mercoledì 17/01/2018 - Sicilia
“QUESITO
Nel 1976 la propria madre procede alla catastazione di tre edifici limitrofi di sua proprietà prospicienti ad una strada provinciale, i primi due edifici costituiti da piano terra e primo piano sono divisi da un vano scala che si fermava al primo piano anche perché non esistevano altre sopraelevazioni. Nella catastazione dichiara che la scala è comune ai due edifici, il terzo edificio è costituito soltanto dal piano terra. Procede altresì alla catastazione di un appezzamento di terreno posto alle spalle degli edifici in argomento debitamente frazionati.
Tenuto conto che i propri genitori avevano assegnato verbalmente allo scrivente il primo edificio costituito da piano terra e primo piano il figlio aveva realizzato a proprie spese ulteriori tre sopraelevazioni da potere assegnare ai propri figli ed aveva continuato la costruzione delle scale per accedere ai piani superiori.
Nel 1981 la propria madre prima di procedere alla donazione degli immobili sopra elencati e del terreno posto alle spalle dei predetti immobili effettua una nuova catastazione dove al primo figlio dona l’immobile a 5 elevazioni fuori terra ed il suolo relativo alla scala ed all’immobile, la nuova catastazione stabilisce una netta dicotomia tra le altre costruzioni. E la scala diventa bene comune non censibile relativo all’edificio con le 5 elevazioni fuori terra.
Con ulteriore donazione trascritta nel medesimo giorno dona all’altra figlia la piena proprietà della casa al 1° piano sottostante il piano terra che rimane di esclusiva proprietà della donante e dona altresì alla figlia la nuda proprietà dell’edificio ad una elevazione fuori terra, comunicandole verbalmente che poteva utilizzarlo a suo piacimento. Nel medesimo rogito, tenuto conto che la donazione fatta al proprio figlio confina con una strada laterale stabilisce una servitù di passaggio sul terreno donatogli che consente alla figlia l’accesso al proprio terreno ed al suo primo piano attraverso un scala costruita sul proprio terreno. Tale servitù di passaggio consente alla stessa di accedere alla sua nuova abitazione posteggiano la macchina sul proprio terreno. La figlia sulla base della comunicazione della madre quando i lavori del suo primo piano vengono ultimati, trasferisce la propria residenza al piano terra sottostante la sua nuova abitazione che tra l’altro ha l’accesso al suo terreno ed alla sua abitazione. Il figlio divenuto proprietario della scala procede alla chiusura dell’accesso al primo piano della sorella e successivamente concede a titolo di cortesia di potere utilizzare anche la propria scala per accedere al suo primo piano dove successivamente la stessa aveva istallato la porta d’ingresso e raramente utilizzava il predetto nuovo ingresso, anche perché utilizzando la servitù di passaggio metteva al sicuro la propria macchina. Giova precisare altresì che il contatore dell’energia elettrica era istallato nell’edificio ad una elevazione fuori terra. Soltanto nel 1993 quando il sottoscritto era residente in altra regione trasferisce il proprio contatore enel all’interno della scala di mia proprietà.
Purtroppo la propria germana procedeva alla stesura di un testamento falso che registrava regolarmente ed altre operazioni che le provocavano il possesso di ulteriori beni a danno degli altri fratelli. Tenuto conto che la stessa non era disponibile alla chiusura dell’ingresso nella scala di mia proprietà, lo scrivente nel 1993 è intervenuto legalmente. Il problema è stato il CTU che nella sua relazione finale non allega la catastazione del 1981, che stabilisce la dicotomia tra le costruzione, non trasmette le osservazioni formulate dal proprio CTP e si limita a riferire che la scala è un bene comune non censibile e quindi l’appartamento del 1° piano deve avere l’accesso all’utilizzo della scala. Il giudice nella sua sentenza stabilisce addirittura che l’inquilina è comproprietaria della scala, anche in assenza del titolo di comproprietà che può venire fuori soltanto dal rogito.
Giova precisare altresì che la propria germana ed il tecnico che le presenta la sanatoria edilizia non fanno alcun riferimento alla catastazione del 1981 che la esclude dall’utilizzo della scala anzi evidenziano la porta d’ingresso che lo scrivente aveva autorizzato e ribadiscono che la scala è un bene condominiale, nonostante che dall’elaborato planimetrico non esiste il sub che le consente l’accesso.
Si precisa altresì che il giudice GOT fa proprie le decisioni del CTU e fa riferimento all’art. 1117 c.c. da questo la comproprietà, anche se le costruzioni insistono su suoli diversi e con diversi proprietari.
Su quali elementi è necessario redigere l’appello per ribaltare la sentenza? Lo scrivente ha proposto al proprio legale di procedere anche con la denunzia del CTU per le sue omissioni. ( tra l’altro sono convinto che il CTU sia stato contattato con quello che questo contatto comporta)
Consulenza legale i 03/03/2018
Prima di rispondere alla domanda contenuta nel quesito, occorre premettere alcune osservazioni. Dall’esame della documentazione catastale trasmessa, parrebbe che il vano scala oggetto di causa sia effettivamente bene comune al solo edificio con cinque elevazioni di Sua proprietà.
Tuttavia, occorre tenere presente che:
1) la valutazione di tale aspetto strettamente tecnico pertiene ad un geometra o altra figura professionale analoga;
2) dal punto di vista giuridico, per costante giurisprudenza, la certificazione catastale non costituisce una prova del diritto di proprietà.
A tal proposito, si cita una massima della Cassazione (sentenza n. 5257 del 04/03/2011) secondo cui: “La omessa considerazione da parte del giudice di merito dei documenti catastali non integra, d'altra parte, una critica su un punto decisivo dell'accertamento impugnato. Costituisce principio consolidato, infatti, che la prova della proprietà di beni immobili non può essere fornita con la produzione dei certificati catastali, i quali sono soltanto elementi sussidiari essendo necessario in materia l'atto scritto ad substantiam o un fatto equiparato come l'usucapione”.
Tale principio, viene ribadito anche dalla giurisprudenza amministrativa. Si veda, ad esempio, la sentenza n.5 del 2015 emessa dal Consiglio di Stato secondo cui: “Ai fini della determinazione dell’effettiva proprietà del bene, alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi in quanto contenenti utili indicazioni in ordine all’estensione dei fondi confinanti.”
Non solo, anche in un caso proprio analogo a quello in esame (dove una parte del giudizio riteneva che un terrazzo fosse di proprietà esclusiva fornendo come prova la documentazione del catasto) la Cassazione ha ribadito il valore puramente indicativo di tale tipo di documentazione (Cfr. sentenza 29 gennaio 2014 n. 1947).

Ciò posto come premessa, dall’esame dell’atto notarile di donazione del 1981 non si evince un diritto di proprietà esclusivo con riguardo il corpo scala ed il vano androne. Né vi sono altri documenti tra quelli trasmessi (fatta eccezione per la documentazione catastale di cui sopra) dai quali risulti tale diritto di proprietà.
Inoltre, a seguito dell’esame dello stato dei luoghi il c.t.u. incaricato ha evidenziato nell’elaborato che i due fabbricati (rispettivamente di proprietà dell’attore e del convenuto) siano “adiacenti e comunicanti dal punto di vista strutturale in quanto la parete est del corpo scala oggetto di causa, alla quale le rampe della scala risultano strutturalmente incastrate, costituisce muro di fabbrica per entrambi i fabbricati”.
Il fatto che i due fabbricati abbiano tali caratteristiche strutturali – sempre che sia corretta tale ricostruzione dei luoghi fatta dal perito (e questo può dirlo un altro tecnico, non certamente un avvocato) - fa legittimamente desumere che il vano scala sia effettivamente bene comune.
Circa poi la natura di “bene comune non censibile”, correttamente il c.t.u. richiama la Circolare del Ministero delle Finanze n°2, del 20 gennaio 1984 secondo la quale le porzioni non censibili sono quelle che: “non possiedono autonoma capacità reddituale, comuni ad alcune o a tutte le u.i. per destinazione, (androne,scale, locale centrale termica, ecc.) ovvero per la loro specifica funzione di utilizzazione indivisa (ad esempio una rampa al servizio di soli posti auto).”
Ciò significa che vi è una sorta di presunzione legale che il corpo scale ed il vano androne siano beni comuni.
Quindi, essendovi tale presunzione, non deve esserci un titolo che dimostri la comproprietà ma semmai uno che dimostri la proprietà esclusiva (laddove, come nel caso di specie, si abbia interesse a far valere quest’ultima).
Sul punto, citiamo una massima della Suprema Corte che ben spiega tale concetto: “In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall'art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesi­mo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di pro­prietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova. Nè per vincere, in base al titolo, la presunzio­ne legale di proprietà comune delle parti dell'edifi­cio condominiale indicate nell'art. 1117 c.c., sono sufficienti il frazionamento-accatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del ven­ditore costruttore, trattandosi di atto unilaterale di per sè inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, e dovendosi invece riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell'oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti” (Cass.11195/2010).

Fatte tali premesse, nel quesito si lamenta in primo luogo che il c.t.u. non abbia allegato la documentazione catastale del 1981. Tale omissione potrebbe costituire in effetti un motivo di richiesta di rinnovo della CTU (è stato fatto nel giudizio?).
Tuttavia, occorre anche considerare che il tecnico in questione, di contro, ha comunque:
1) esaminato gli atti notarili di donazione;
2) effettuato visure storiche per verificare la corrispondenza tra i dati identificativi catastali attuali e quelli riportati nell’atto di donazione;
3) verificato lo stato dei luoghi;
4) esaminato l’ulteriore documentazione indicata nell’elaborato.

Quanto alla circostanza che nella CTU non risultino le osservazioni svolte dal consulente di parte dell’attore (dando per certo che siano state tempestivamente e ritualmente trasmesse), si osserva che secondo prevalente giurisprudenza il mancato inserimento nell’elaborato peritale delle osservazioni dei c.t.p. non comporta la nullità della consulenza, essendo sufficiente che il c.t.u. ne abbia comunque tenuto conto nella redazione del proprio atto (sul punto, Cfr. ad esempio, Cass. n. 9090 del 2005 secondo cui: “Non dà luogo a nullità della consulenza tecnica l’omessa verbalizzazione delle operazioni compiute senza l’intervento del giudice, così come delle osservazioni e delle istanze delle parti e dei loro consulenti, potendo il ctu limitarsi a farne relazione nel proprio elaborato, ai sensi dell’art. 195, secondo comma, c.p.c., e non essendo comminata alcuna nullità in relazione a dette omissioni”).
Ad ogni modo, teniamo presente che un ipotetico motivo di nullità della consulenza, deve essere stato tempestivamente eccepito dalla parte. Infatti, come ha osservato la Suprema Corte (Cass. n.17032 del 2016) la nullità “resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio della causa”.
In ogni caso, tale omissione, anche se non costituisce motivo di nullità, potrebbe comunque costituire motivo per chiedere integrazione e/o rinnovazione della CTU: tale richiesta è stata fatta nel corso del giudizio?

Quanto alla circostanza lamentata secondo cui “il giudice GOT fa proprie le decisioni del c.t.u. e fa riferimento all’art. 1117 c.c.” non costituisce un vizio della sentenza.
Infatti, il Giudice ha la facoltà di recepire integralmente il contenuto della consulenza, tramite un mero richiamo alle conclusioni del c.t.u. Cosa che è stata correttamente fatta.
Ricordiamo, infatti, che la consulenza tecnica d'ufficio ha la funzione di “fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede e che non è destinata ad esonerare le parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova previsti dall'art. 2697 c.c.” (Cass. 14628 del 2016).

Da ultimo, nel quesito leggiamo anche che “Purtroppo la propria germana procedeva alla stesura di un testamento falso che registrava regolarmente ed altre operazioni che le provocavano il possesso di ulteriori beni a danno degli altri fratelli.” Tale circostanza non appare rilevante nella presente vicenda sia per la sua genericità, sia perché non è specificato a cosa si riferisca tale testamento nè come sia stata accertata la sua falsità (è stato impugnato? C’è stato un procedimento in tribunale?).

Ed arriviamo così a rispondere alla domanda contenuta nel quesito: “Su quali elementi è necessario redigere l’appello per ribaltare la sentenza?”.
In base all’art. 342 c.p.c., nell’atto di appello devono essere indicate, tra l’altro, “le circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”. Non c’è quindi un elenco tassativo dei motivi da far valere in appello (come è invece per il ricorso in cassazione).
Come ha chiarito la Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza n.27199 del 2017): “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22/06/2012 n. 83 art. 54, conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”.

Tra i motivi di appello, a titolo di esempio, può esserci una erronea interpretazione del giudice delle risultanze istruttorie o una errata applicazione di una norma di legge o, ancora, una motivazione insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia.
Nel caso in esame, considerato che il Giudice ha fatto proprie le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. e la consulenza rappresenta quindi il presupposto della sua decisione, l’unico motivo di appello potrebbe essere relativo proprio alla consulenza tecnica d’ufficio, se questa sia stata già contestata durante il giudizio di primo grado con richiesta di rinnovo della ctu medesima in sede di precisazione delle conclusioni (“avverso le ordinanze emesse dal giudice, di ammissione o di rigetto delle prove le richieste di modifica o di revoca devono essere reiterate in sede di precisazione delle conclusioni definitive al momento della rimessione in decisione ed, in mancanza, le stesse non possono essere riproposte in sede di impugnazione” Cass. 10748 del 27/06/2012).
In tal caso, opportunamente motivando, potrebbe essere reiterata in sede di appello una richiesta di rinnovazione della CTU. Laddove tale richiesta sia stata formulata in sede di precisazione conclusioni potrebbe essere un ulteriore motivo di appello anche la mancata motivazione nella sentenza in merito al diniego della richiesta di rinnovo. Sul punto, teniamo comunque presente che “in tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto"(Cass. n. 18507/2014).
In ogni caso, nel giudizio di appello, si potrebbe comunque allegare una nuova perizia di parte per confutare quella del c.t.u. Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto che “una consulenza di parte deve essere considerato un mero atto difensivo, la cui produzione non può ricondursi in alcun modo al divieto di cui all'art. 345 c.p.c., e la cui allegazione al procedimento deve ritenersi regolata dalle norme che disciplinano tali atti. La natura tecnica del documento non vale infatti ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo, conseguentemente e logicamente ammissibile anche in appello.”

Infine, con riguardo alla volontà che leggiamo nel quesito di denunciare il c.t.u. “per le sue omissioni”, si osserva quanto segue. In base all’art. 64 c.p.c., si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti. Inoltre, in base a tale norma, è prevista anche una responsabilità risarcitoria. Ovviamente, in tal caso, occorrerebbe dare prova -oltre che dei danni – anche della colpa grave del c.t.u.
Sul piano penale, l’unico reato ipotizzabile sarebbe quello previsto dall’art. 373 c.p. laddove il c.t.u. abbia dato un parere o interpretazioni mendaci o abbia affermato fatti non conformi al vero. Tuttavia, occorrerebbe provare il dolo del consulente (che, nel caso in esame sulla base della documentazione in nostro possesso, non appare essere sussistente).
Una tale denuncia appare, insomma, destituita di fondamento.

Mario D.L. chiede
mercoledì 08/11/2017 - Toscana
“Buon giorno.
Venerdi ultimo scorso,il mio avvocato ha depositato un per me un atto di appello a una sentenza civile di primo grado.Il termine per l'appello scade domani.
Lunedì,rileggiendo tale atto,ho notato cose no esposte bene,non utili alla mia difesa e forse a vantaggio della controparte.
Ho scritto lunedì stesso al mio avvocato(mail)chiedendo se fosse stato possibile fare alcune modifiche al documento di appello presentato venerdì passato.
Egli mi ha risposto ieri dicendo che ormai l'atto era registrato e se intendo fare modifiche all'atto stesso ,lo posso fare nella prima udienza di costituzione .
Quell'atto non mi piace proprio in certfi punti,e temo che mi riduca le possibilità di successo.
Vi chiedo se posso in qualche modo rimediare.

Consulenza legale i 17/11/2017
L’appello si introduce con un atto di citazione, il quale deve contenere “l’esposizione sommaria dei fatti”, ossia la ricostruzione dei fatti del processo di primo grado ed “i motivi specifici dell’impugnazione”, ossia i capi della sentenza che si intendono impugnare e le ragioni che stanno alla base della impugnazione.
Pertanto, nel giudizio di appello, in ossequio al principio del “tantum devolutum quantum appellatum” di cui all’art. 342 c.p.c., i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado devono essere tutti specificati nell’atto di citazione in appello, sicchè restano precluse, nel corso dell’ulteriore attività processuale, sia la precisazione di censure esposte nell’atto di appello in modo generico, che la possibilità di ampliamenti successivi delle censure originariamente dedotte. ( cfr. Cassaz. n. 6630 del 24 marzo 2006).

In sostanza ciò che è stato dedotto, argomentato, eccepito e richiesto nell’atto di appello non può successivamente essere modificato.
Solo all’udienza di precisazione delle conclusioni (che, si badi bene, non coincide con la prima udienza di comparizione, c.d. di trattazione, nella quale il giudice verifica solo la regolare costituzione del giudizio) e, successivamente, con la redazione della comparsa conclusionale, l’avvocato potrà esporre nuovi profili di diritto ed illustrare le proprie ragioni in fatto, alla luce delle attività compiute in corso di causa.
Non è in ogni caso possibile produrre nuovi documenti, chiedere l’assunzione di nuovi mezzi di prova o effettuare nuove allegazioni, con la conseguenza che l’eventuale diversa impostazione di diritto che si intende dare alla causa è ammissibile nei limiti in cui non presuppone l’allegazione in giudizio di fatti nuovi.