Cassazione civile Sez. II sentenza n. 10337 del 19 ottobre 1998

(1 massima)

(massima n. 1)

Spetta al giudice di primo grado il compito di definire il contenuto e la portata delle domande avanzate dalle parti, identificando e qualificando giuridicamente i beni della vita destinati a formare oggetto del provvedimento richiesto (cosiddetto petitum), nonché il complesso degli elementi della fattispecie da cui derivino le pretese dedotte in giudizio (cosiddetta causa petendi), mentre al giudice di appello è devoluta la facoltà di procedere, a sua volta, ad una nuova qualificazione giuridica dei suddetti elementi, purché circoscritta entro i limiti dei fatti originariamente prospettati dalla parte, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con il quale, senza prospettare vizi motivazionali, venga censurato l'errore del giudice di merito nel compimento della detta operazione ermeneutica, soggiace alla sanzione della inammissibilità, alla quale esso resta, invece, sottratto quando l'errore venga fatto valere quale vizio riconducibile alla previsione dell'art. 112 c.p.c. (a norma del quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa), nel qual caso la natura del vizio (error in procedendo) comporta l'estensione del sindacato di legittimità anche al fatto, con conseguente esame diretto degli atti processuali da parte della Corte di cassazione. (Nell'affermare tale principio di diritto, la S.C. ha annullato la sentenza del giudice di merito ritenendo irrilevante la confusione tecnica, pur rilevabile in seno alla domanda introduttiva del giudizio, scaturente dalla prospettazione cumulativa delle ipotesi giuridiche della interposizione reale, di quella fittizia e, addirittura, della simulazione, poiché la domanda di parte attrice, volta alla restituzione della somma complessivamente versata nella specie, consentiva di ritenere sia la regolarità dell'instaurazione del contraddittorio, sia la sostanziale identificabilità del contenuto della richiesta).

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