Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 12092 del 1 luglio 2004

(3 massime)

(massima n. 1)

Ancorché il richiamo per relationem a precedenti scritti difensivi non sia compatibile con l'onere di specificazione dei motivi di appello imposto dall'art. 342 c.p.c., tuttavia detto richiamo deve ritenersi consentito allorché l'impugnazione investa una pronuncia per motivi di rito che abbia negato il diritto alla pronuncia di merito, poiché dall'accoglimento dell'impugnazione discenderebbe l'integrale devoluzione al giudice dell'appello del compito di decidere su tutte le questioni dedotte nel giudizio di primo grado.

(massima n. 2)

Ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o in maniera più complessa, il fatto costitutivo della pretesa del lavoratore che richieda la qualifica superiore, il cui onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, non è solo lo svolgimento della suddetta attività di base, ma anche l'espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento. (Nella specie, relativa ad esperto assunto dal Ministero degli esteri con contratto di lavoro di diritto privato, la disciplina specifica prevedeva l'inquadramento nei diversi livelli in funzione della professionalità posseduta in precedenza e dunque un'equivalenza o fungibilità di mansioni tra i suddetti livelli; la S.C. ha rilevato che se al livello rivendicato non sono collegabili specifiche mansioni, resta esclusa la possibilità di risalire dalle mansioni al livello e di presupporre che il contemplare diversi livelli comporti il collegamento di specifiche mansioni a ciascuno di essi).

(massima n. 3)

Poiché nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità d'ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell'istanza di parte solo dall'esistenza di un'eventuale specifica previsione normativa, l'esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall'art. 2909 cod. civ., ma corrispondono entrambi all'unica finalità rappresentata dall'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l'autorità del giudicato, riconosciuta non nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - per l'intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell'allegazione - e la relativa pronuncia sia stata impugnata - il giudice di legittimità accerta l'esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

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