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Responsabilità processuale aggravata: possibile in caso di soccombenza reciproca?

Responsabilità processuale aggravata: possibile in caso di soccombenza reciproca?
La Cassazione precisa come il presupposto per la condanna per lite temeraria sia la totale soccombenza della parte.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4212 del 9 febbraio 2022, ha affrontato il tema dei presupposti della responsabilità processuale aggravata, affermando che la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. non è possibile in caso di soccombenza reciproca delle parti.

Va premesso che tale responsabilità è prevista dall’art. 96 c.p.c., per cui se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.
La norma prevede altresì che il giudice, quando accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, trascritta domanda giudiziale, iscritta ipoteca giudiziale oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata può condannare al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente che abbia agito senza la normale prudenza.
La norma in analisi sanziona quel comportamento illecito della parte, poi risultata soccombente nel giudizio, che dia luogo alla c.d. lite temeraria: con l’introduzione di questo istituto giuridico il legislatore ha infatti inteso tutelare l’interesse di una delle parti a non subire pregiudizi a seguito dell’azione o resistenza dolosa o colposa dell’altra parte.

Si riconosce, invero, al giudice il potere di condannare al risarcimento dei danni (oltre alla refusione delle spese di lite) la parte che, agendo in giudizio, abbia posto in essere il c.d. illecito processuale. A fondamento di tale fattispecie si pone il concetto di abuso del diritto o, rectius, di abuso del processo, ossia l’impiego distorto del “processo” per fini che esulano dal suo scopo tipico e al di là dei limiti determinati dalla sua funzione.

Orbene, quanto ai presupposti per la condanna di una parte ai sensi dell’art. 96 c.p.c., con la recente pronuncia la Suprema Corte ha ribadito – ponendosi in linea di continuità con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 21590/2009; Cass. n. 7409/2016 e Cass. n. 24158/2017) – la centralità della condizione di "soccombente" della parte nei cui confronti la sanzione per responsabilità aggravata è invocata, come si desume inequivocabilmente dal tenore letterale della norma.
Gli Ermellini hanno pertanto affermato espressamente che “la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., integra una particolare forma di responsabilità processuale a carico della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, sicchè non può farsi luogo all'applicazione della norma quando non sussista il requisito della totale soccombenza per essersi verificata soccombenza reciproca”.

Il caso concreto giunto al vaglio della Cassazione, in particolare, vedeva come protagonista una signora che, ricevuta la notifica di un decreto ingiuntivo, aveva proposto opposizione chiedendo la revoca del decreto stesso e la rideterminazione dell'importo dovuto.
Il Tribunale aveva dunque accolto l’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo e condannato la signora al pagamento della minor somma nonché condannato il creditore opposto alla rifusione delle spese di lite.
Avverso la sentenza di primo grado, il creditore aveva dunque proposto appello, lamentando la mancata compensazione delle spese di lite, cui doveva procedersi in quanto l’opponente era comunque stata condannata al pagamento della minor somma. Quest’ultima, dal canto suo, aveva chiesto la condanna dell’appellante per responsabilità processuale aggravata.
Così investita della questione, la Corte territoriale aveva quindi dato ragione all’appellante, riformando la sentenza in relazione alla statuizione sulle spese e rigettando la domanda di risarcimento avanzata dalla signora alla luce del difetto della soccombenza totale del primo.
Per la cassazione di questa sentenza, la signora aveva allora proposto ricorso, censurando – con esclusivo riferimento a quanto qui di interesse – la mancata applicazione della sanzione prevista dall'art. 96 c.p.c., commi 2 e 3, nonostante l'accertata malafede dello stesso per avere richiesto una somma esorbitante non dovuta: ritenendo la doglianza infondata, la Corte di Cassazione ha quindi espresso i principi sopra riportati.


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