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Articolo 336 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Effetti della riforma o della cassazione

Dispositivo dell'art. 336 Codice di procedura civile

La riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata (1).

La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata (2) (3).

Note

(1) Si tratta del c.d. effetto espansivo interno della riforma o della cassazione del provvedimento impugnato. Esso trova applicazione rispetto ai capi della sentenza, non impugnati autonomamente, dipendenti da quelli riformati o cassati.
Ad esempio, se viene impugnata la sentenza che ha riconosciuto il diritto al risarcimento, se la pronuncia viene riformata in senso opposto, cadrà anche la parte del provvedimento che ha quantificato l'entità del risarcimento.
(2) Comma così modificato con l. 26 novembre 1990, n. 353, che ha soppresso l'inciso "con sentenza passata in giudicato".
E' stata così risolta la questione dibattuta in giurisprudenza sulla decorrenza della pronuncia relativa alla restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza riformata. Esistevano, infatti, diverse posizioni circa la decorrenza degli effetti di questa pronuncia dal giorno della pubblicazione o da quello del passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado. Oggi, è pacifico che la sentenza d'appello sia immediatamente operativa.
La modifica della norma si è resa necessaria anche in relazione alla contemporanea riforma legislativa per cui le sentenze di primo grado sono immediatamente esecutive (art. 282 del c.p.c.), altrimenti, fino al passaggio in giudicato, si dovrebbe dare esecuzione ad una pronuncia riformata o cassata.
(3) Il secondo comma dell'articolo prevede il c.d. effetto espansivo esterno, in base al quale la riforma o l'annullamento in cassazione della sentenza estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti. Tale estensione di efficacia opera fin dal momento della pubblicazione della sentenza, senza necessità di attendere il suo passaggio in giudicato.
La riforma o cassazione delle sentenze non definitive comporta la caducazione di quelle definitive dipendenti dalla pronuncia riformata o caducata: gli atti istruttori compiuti sulla base della sentenza non definitiva caducata diventano definitivamente inutilizzabili.
Per un esempio di effetto espansivo esterno, si veda il caso della riforma in appello della sentenza che aveva dichiarato illegittimo un licenziamento: il lavoratore, in conseguenza della mutata decisione del giudice di secondo grado, dovrà restituire le somme corrispostegli dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza di prime cure.

Spiegazione dell'art. 336 Codice di procedura civile

La norma in esame disciplina il c.d. effetto espansivo della sentenza riformata o cassata, distinguendosi due diversi tipi di effetto espansivo, ossia quello interno (previsto al primo comma) e quello esterno (previsto al secondo comma).

Il disposto di cui al primo comma ha come conseguenza che le parti di sentenza legate da un vincolo di dipendenza con le parti di sentenza impugnate, che sono state riformate o cassate, possono essere a loro volta riformate o cassate anche se non sono state investite dall'impugnazione; restano invece estranei agli effetti della riforma e della cassazione i capi autonomi ed indipendenti da quello riformato o cassato, sui quali si forma giudicato.
L'effetto espansivo interno non si verifica quando la sentenza è stata impugnata per intero e l'impugnazione è stata accolta solo per alcune parti di essa, mentre per altre parti è stata respinta (l'applicabilità della norma, dunque, va ristretta alle ipotesi di impugnazione parziale).

Il secondo comma disciplina il c.d. effetto espansivo esterno, statuendo che la riforma o la cassazione della sentenza impugnata estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.
Tale tipo di effetto opera in relazione a più provvedimenti, uno dei quali dipendente dall'altro.
Si ha dipendenza quando un provvedimento si fonda sulla decisione di una questione contenuta in un altro provvedimento, ed è questo il caso delle:
- sentenze non definitive;
- sentenze parzialmente definitive;
- sentenze esecutive.

La norma comporta anche l'immediata caducazione degli atti esecutivi compiuti sulla base della sentenza riformata, con il limite costituito dalla definitiva intangibilità della vendita forzata ex art. 2929 del c.c..

Massime relative all'art. 336 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 19989/2021

In tema di spese processuali, i parametri introdotti dal d.m. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto d.m., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d'appello, atteso che l'accezione omnicomprensiva di "compenso" evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera prestata nella sua interezza. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 26/06/2018).

Cass. civ. n. 33719/2019

In tema di obbligazioni di valore, la regola per la quale capitale ed interessi compensativi formano un "unicum" inscindibile, con la conseguenza che l'impugnazione del capo di sentenza relativo alla liquidazione del primo rimette in discussione anche quello concernente i secondi e viceversa, non trova applicazione nel diverso caso di correzione di errore materiale della sentenza medesima (nella specie, in ordine all'entità del capitale), poiché il provvedimento di correzione, di natura amministrativa, non produce gli effetti di cui all'art. 336 c.p.c.

Cass. civ. n. 30389/2019

Il principio secondo cui il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., per il solo fatto della riforma della sentenza e può essere fatto valere immediatamente, se del caso anche con procedimento monitorio, trova applicazione analogica nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, che si concludono con la revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In tali ipotesi, la domanda di restituzione può essere formulata davanti al giudice dell'opposizione anche separatamente e il relativo giudizio non deve essere sospeso in attesa della definizione di quello di opposizione, perché la restituzione non è subordinata al passaggio in giudicato della revoca del decreto.

Cass. civ. n. 14253/2019

In relazione alla domanda - proposta nella fase di gravame - di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado impugnata, il giudice di appello opera quale giudice di primo grado, in quanto detta domanda non poteva essere formulata precedentemente; ne consegue che, se il giudice dell'impugnazione omette di pronunziarsi sul punto, la parte può alternativamente far valere l'omessa pronunzia con ricorso in cassazione o riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che la mancata impugnazione della sentenza determini la formazione del giudicato.

Cass. civ. n. 22776/2018

Il principio dettato dall'art. 336 c.p.c., secondo cui la riforma o la cassazione parziale della sentenza ha effetto anche sui capi della stessa dipendenti dalla parte riformata o cassata, trova applicazione rispetto ai capi non impugnati autonomamente, ma necessariamente collegati ad altro che sia stato impugnato. Ne consegue che, in tema di contratti bancari, la riforma o la cassazione della sentenza che abbia dichiarato la nullità del contratto di conto corrente per difetto di forma scritta e contenga l'espressa statuizione della non debenza di interessi e spese, impedisce il passaggio in giudicato della parte di sentenza relativa alla non debenza degli accessori, trattandosi di statuizione necessariamente collegata al capo impugnato e riformato o cassato.

Cass. civ. n. 14103/2018

L'atto di ricostituzione del rapporto lavorativo, avvenuto in esecuzione di sentenza (indifferentemente di reintegra ex art. 18 st.lav. ovvero di riammissione in servizio per effetto della ritenuta illegittimità del termine) successivamente riformata o cassata, viene travolto insieme con quest'ultima, in applicazione dell'effetto espansivo esterno di cui all'art. 336, comma 2, c.p.c., che priva di titolo il prosieguo del rapporto dopo che ne sia venuta meno, a monte, l'originaria statuizione di ripristino, senza che sia necessario un atto di recesso da parte del datore di lavoro.

Cass. civ. n. 20145/2017

La restituzione delle somme corrisposte in virtù della provvisoria esecuzione di un’ordinanza immediatamente esecutiva, concessa dal giudice di prime cure a titolo di provvisionale ex art. 24 della l. n. 990 del 1969 - ed implicitamente revocata dalla sentenza di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria - ben può essere chiesta per la prima volta in appello o con la comparsa di risposta contenente impugnazione incidentale avverso detta sentenza, atteso che tale istanza, oltre ad essere conforme al principio di economia dei giudizi, non altera i termini della controversia e non costituisce, perciò, domanda nuova.

Cass. civ. n. 12387/2016

La sentenza d'appello che, in riforma quella di primo grado, faccia sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce, in mancanza di un'espressa statuizione di condanna alla ripetizione di dette somme, titolo esecutivo, occorrendo all'uopo che il "solvens" attivi un autonomo giudizio, ovvero che formuli in sede di gravame - per evidenti ragioni di economia processuale ed analogamente a quanto disposto dagli artt. 96, comma 2 e 402, comma 1, c.p.c. - un'apposita domanda in tal senso.

Cass. civ. n. 17213/2015

La cassazione della sentenza non definitiva, intervenuta nelle more del giudizio di legittimità instaurato avverso la sentenza definitiva, comporta, ove la prima di tali pronunce risulti logicamente pregiudiziale rispetto alla seconda, l'automatica caducazione di quest'ultima, ai sensi dell'art. 336, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che il ricorso per cassazione contro la medesima, svuotatosi di contenuto e di interesse per il venire meno del provvedimento che ne era oggetto, deve essere dichiarato inammissibile.

Cass. civ. n. 4874/2015

In caso di illegittimità del licenziamento, il diritto riconosciuto al lavoratore dall'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (nel testo novellato dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, e antecedentemente alle modifiche apportate dalla legge 28 giugno 2012, n. 92), di optare fra la reintegrazione nel posto di lavoro e l'indennità sostitutiva, in quanto atto negoziale autonomo nell'esercizio di un diritto potestativo derivante dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento, non soggiace agli effetti espansivi della sentenza di riforma previsti dall'art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., sicché la scelta del lavoratore, in esecuzione della sentenza di primo grado che abbia dichiarato l'illegittimità del licenziamento e disposto la reintegrazione nel posto di lavoro, di rinunciare all'indennità sostitutiva e riprendere il lavoro ha carattere irreversibile, consumando in via definitiva il diritto di opzione.

Cass. civ. n. 13492/2014

L'effetto espansivo esterno del giudicato previsto dall'art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., opera anche nel caso in cui il diritto posto alla base di un decreto ingiuntivo - ottenuto in base ad una sentenza immediatamente esecutiva sull'"an debeatur" - sia stato negato a seguito della riforma o cassazione della sentenza che l'aveva accertato e travolge gli effetti anche esecutivi del decreto stesso.

Cass. civ. n. 13249/2014

Quando il processo esecutivo sia iniziato o minacciato in forza di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, la sentenza di riforma resa in grado d'appello si sostituisce sin dalla pubblicazione alla pronuncia riformata, privando quest'ultima della idoneità a legittimare l'instaurazione o la prosecuzione della procedura esecutiva senza che sia necessario attenderne il suo passaggio in giudicato, come conferma la modifica apportata all'art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., che ha eliminato il collegamento necessario tra l'effetto rescindente della sentenza di riforma e il suo passaggio in giudicato.

Cass. civ. n. 18611/2013

Quando l'adempimento, volontario o coattivo, della condanna al pagamento pronunciata in primo grado sia avvenuto in parte prima della proposizione dell'appello e in parte nel corso del giudizio di appello, la domanda di restituzione dell'intero, in conseguenza della riforma della sentenza impugnata, può essere proposta dall'appellante, senza incorrere in decadenza, fino alla precisazione delle conclusioni, atteso che il pagamento parziale non consente di ritenere adempiuta la prestazione della cui restituzione trattasi e considerato che, ipotizzando la necessità di un'autonoma domanda, in altro giudizio, per la parte residua del credito frazionato, si realizzerebbe un effetto inflattivo di moltiplicazione dei giudizi non rispondente al principio costituzionale della "durata ragionevole" del processo.

Cass. civ. n. 3074/2013

La cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, ove il precetto non seguito dall'esecuzione sia stato intimato sulla base della combinazione tra sentenza di primo grado e sentenza di appello, ovvero ove l'esecuzione abbia avuto inizio successivamente alla sentenza di appello, determina, rispettivamente, la caducazione del precetto e dell'esecuzione a norma dell'art. 336, secondo comma, c.p.c..

La cassazione con rinvio della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo, ove l'esecuzione abbia avuto inizio sulla base della decisione del giudice di prime cure e sia proseguita con atti successivi alla pronuncia della sentenza di appello poi cassata, determina - a norma dell'art. 336, secondo comma, c.p.c. - la caducazione soltanto di tali atti successivi, mentre restano fermi quelli pregressi, potendo riprendere l'esecuzione dall'ultimo di essi, salvo che, ai sensi dell'art. 283 c.p.c., il giudice del rinvio sospenda l'esecutività della sentenza di primo grado, delibando le ragioni della disposta cassazione.

Cass. civ. n. 9658/2012

La sentenza del giudice di appello che dichiari inammissibile l'appello principale contro decisione già appellata, erroneamente omettendo di convertirlo in appello incidentale, deve essere cassata con rinvio, producendosi, qualora il giudice di rinvio accolga l'appello convertito, gli effetti indicati dall'art. 336 c.p.c., secondo il quale la riforma ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata nonché sui provvedimenti e gli atti dipendenti dalla sentenza riformata, senza che osti il giudicato formatosi su parti, provvedimenti e atti, colpiti dall'effetto espansivo, che resta condizionato dall'esito della decisione sulle questioni ancora pendenti.

Cass. civ. n. 3129/2011

Il principio dettato dall'art. 336 c.p.c., per il quale la riforma o la cassazione parziale della sentenza ha effetto anche sui capi della stessa dipendenti dalla parte riformata o cassata, trova applicazione rispetto ai capi di sentenza non impugnati autonomamente, ma necessariamente collegati ad altro capo che sia stato impugnato. Ne consegue che, in relazione a pronuncie di risarcimento del danno per dequalificazione del lavoratore, cassata o riformata la sentenza sul capo relativo alla dequalificazione, viene travolto anche il capo riguardante l'accertamento della eventuale esistenza di un danno professionale o biologico, trattandosi di pronunzia che presuppone la stabilità del capo riguardante la dequalificazione, a nulla rilevando la mancata impugnazione del capo relativo al danno.

Cass. civ. n. 16152/2010

La richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello; la stessa deve, peraltro, essere formulata, a pena di decadenza, con l'atto di appello, se proposto successivamente all'esecuzione della sentenza, essendo invece ammissibile la proposizione nel corso del giudizio soltanto qualora l'esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell'impugnazione. Resta in ogni caso inammissibile la domanda di restituzione proposta con la comparsa conclusionale in appello, atteso che tale comparsa ha carattere meramente illustrativo di domande già proposte, non rilevando in contrario che l'esecuzione della sentenza sia successiva all'udienza di conclusioni ed anteriore alla scadenza del termine per il deposito delle comparse.

Cass. civ. n. 10124/2009

L'art. 336 c.p.c. (nel testo novellato dell'art. 48 della legge 26 novembre 1990, n. 353), disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, con la pubblicazione della sentenza di riforma, vengano meno immediatamente sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione della somma pagata e di ripristino della situazione precedente. Ne consegue che la richiesta di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello; la stessa deve, peraltro, essere formulata, a pena di decadenza, con l'atto di appello, se proposto successivamente all'esecuzione della sentenza, essendo invece ammissibile la proposizione nel corso del giudizio soltanto qualora l'esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 5323/2009

L'art. 336 cod. proc. civ., nella nuova formulazione introdotta dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, non subordina più al passaggio in giudicato della sentenza di riforma i cosiddetti effetti espansivi esterni, comportando perciò non soltanto la caducazione immediata della sentenza riformata (le cui statuizioni vengono sostituite automaticamente da quelle della sentenza di riforma), ma altresì l'immediata propagazione delle conseguenze della sentenza di riforma agli atti dipendenti dalla sentenza impugnata. Ove, peraltro, la sentenza di riforma sia stata, a sua volta, oggetto di cassazione, non possono perdurare tali effetti espansivi esterni, posto che, in detta ipotesi, viene meno il loro stesso presupposto e, qualora il giudice del rinvio confermi la sentenza di primo grado, la temporanea inefficacia di quest'ultima pronuncia nel periodo tra sentenza di riforma e quella di cassazione non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dei diritti da essa riconosciuti, con conseguente risarcibilità delle relative lesioni eventualmente realizzatesi "medio tempore".

Cass. civ. n. 25143/2008

Allorché venga riformata in appello una sentenza già posta in esecuzione forzata, il debitore esecutato ha diritto alla restituzione non solo del capitale pagato sulla base del titolo successivamente riformato, ma anche delle somme corrisposte a titolo di rifusione delle spese del giudizio di esecuzione sostenute dal creditore esecutante, e ciò a prescindere dallo stato soggettivo di buona o mala fede di quest'ultimo.

Cass. civ. n. 24821/2008

A norma dell'art. 336 c.p.c., la sentenza di riforma resa in grado d'appello pone nel nulla la sentenza di primo grado, che perde efficacia in quanto caducata e sostituita immediatamente — in tutto o nei limiti dei capi riformati — dalla pronuncia di secondo grado; ne consegue che, ove la sentenza di primo grado sia stata riformata in punto di regolazione delle spese processuali, la data della pronuncia di appello — determinando il nuovo assetto degli interessi — segna il momento della nascita del relativo credito in favore della parte vittoriosa, ed è da quel momento (e non dalla data della pronuncia di primo grado) che decorrono gli interessi legali sulla somma liquidata.

Cass. civ. n. 21901/2008

La domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza, successivamente cassata in sede di legittimità, va proposta esclusivamente dinanzi al giudice competente per effetto del rinvio, e non dinanzi al giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, anche nel caso in cui il giudizio di rinvio non sia stato mai introdotto ovvero si sia estinto.

Cass. civ. n. 15461/2008

Le pretese restitutorie conseguenti alla riforma in appello della sentenza di primo grado possono trovare ingresso nella fase di gravame al fine di precostituire il titolo esecutivo per la restituzione (non conseguendo tale effetto alla mera sentenza di riforma e fermo restando che la condanna restitutoria deve essere subordinata al passaggio in giudicato e, in ogni caso, non può essere eseguita prima di quel momento ), in tal senso deponendo sia evidenti ragioni di economia processuale sia l'analogia con quanto stabilito nell'art. 96, comma secondo, e nell'art. 402, comma primo, c.p.c., rispettivamente per le esecuzioni ingiuste e per la pronuncia revocatoria.

Cass. civ. n. 10765/2008

In tema di omessa pronuncia sulla specifica domanda di restituzione delle somme pagate dall'appellante in esecuzione della sentenza di primo grado, in caso di accoglimento dell'appello senza che si dia atto nel relativo provvedimento della sussistenza di tutti i presupposti per la restituzione, l'omissione non integra un mero errore materiale emendabile con l'apposito procedimento correttivo, risultando violato l'art. 112 c.p.c.; ne consegue che la sentenza va censurata con il ricorso per cassazione previsto per gli errores in procedendo dall'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.

Cass. civ. n. 7485/2008

Quando è proposta una domanda principale ed una domanda riconvenzionale che abbia come presupposto il rigetto della prima, l'accoglimento della domanda principale implica l'esplicito rigetto della riconvenzionale e, ove venga impugnata la sentenza quanto al detto accoglimento, il rigetto della riconvenzionale non deve essere assoggettato ad impugnazione, in quanto, per effetto del nesso di dipendenza dall'accoglimento della domanda principale, la riforma o la cassazione della sentenza quanto a quest'ultimo estendono i loro effetti, a norma dell'art. 336, primo comma, c.p.c., al rigetto implicito della riconvenzionale.

Cass. civ. n. 8829/2007

È ammissibile la ripetizione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello (con sentenza confermata dalla Corte Suprema di Cassazione), pur non ricorrendo in tal caso un'ipotesi di condictio indebiti (art. 2033 c.c.), dalla quale differisce per natura e funzione, laddove non vengono in rilievo — tra l'altro — gli stati soggettivi di buona o mala fede dell'accipiens atteso che il diritto alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, facendo venir meno ex tunc e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza. Ne consegue che non incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di appello il quale, nel riformare completamente la decisione impugnata, non dispone la condanna della parte vittoriosa in primo grado a restituire gli importi ricevuti in forza dell'esecuzione della sentenza appellata, atteso che tale obbligo sorge automaticamente, quale effetto consequenziale, dalla riforma della sentenza.

Cass. civ. n. 26171/2006

L'art. 336 c.p.c. (nel testo novellato dall'art. 48 della legge 26 novembre 1990, n. 353), disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengono meno immediatamente sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. Ne consegue ulteriormente che, nel giudizio di appello, non configura una domanda nuova la richiesta di restituzione delle somme versate in forza della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado.

Cass. civ. n. 24354/2006

Ai sensi dell'art. 336 c.p.c., la riforma non soltanto pone nel nulla la sentenza non definitiva che ne costituisce l'oggetto immediato, ma estende i propri effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti da quest'ultima, e quindi anche alla sentenza definitiva, ove logicamente connessa a quella non definitiva, con la quale interrompe dunque il nesso di consequenzialità logica e necessaria posto dall'art. 279 c.p.c., ma condizionato alla mancata riforma di questa decisione. Ne consegue che, in controversia relativa al risarcimento dei danni da illegittima requisizione di immobili, ove il giudice di primo grado, con statuizione non definitiva, abbia dichiarato responsabile la sola amministrazione statale, emettendo condanna generica al risarcimento dei danni e rinviando all'ulteriore corso del giudizio la liquidazione del concreto pregiudizio e, con statuizione definitiva, abbia estromesso dal giudizio l'amministrazione comunale, ritenendola estranea al rapporto obbligatorio controverso, e tali statuizioni, fatte oggetto di impugnazione immediata, siano state riformate, in sede di rinvio, dal giudice dell'impugnazione, che, con sentenza passata in giudicato, abbia dichiarato la sola amministrazione comunale tenuta al risarcimento di tutti i danni derivanti dalla illegittima requisizione degli immobili, l'assetto di interessi che ne risulta è quello introdotto dalla sentenza di riforma, che si sostituisce interamente alle statuizioni di quella riformata, con effetto di vincolo anche in relazione alla prosecuzione del giudizio davanti al giudice di primo grado. (Nella specie, invece, la pronuncia impugnata — annullata dalla Suprema Corte — aveva ritenuto che la sentenza emessa in sede di rinvio consentisse al privato esclusivamente di intraprendere un nuovo giudizio nei confronti dell'amministrazione comunale per ottenere la liquidazione del danno, stante la preclusione ad emettere la relativa pronuncia in relazione ad una parte estromessa dal giudizio con sentenza definitiva, benché riformata).

Cass. civ. n. 17330/2005

Il venir meno, a seguito di sentenza della Corte di cassazione, della pronuncia che aveva riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato in luogo di un rapporto di lavoro autonomo e disposto il ripristino del rapporto con la reintegrazione del lavoratore licenziato, comporta, da un lato, la caducazione del diritto a differenze retributive — che trovavano titolo in parametri retributivi riferiti a lavoratori subordinati — e al risarcimento dei danni per l'illegittimità del licenziamento e, dall'altro, che il definitivo accertamento della natura autonoma del rapporto impedisce l'applicazione dell'art. 2126 c.c., rendendo irrilevante la messa a disposizione delle energie lavorative. Pertanto, in conseguenza dell'affermazione definitiva della diversa qualificazione giuridica del rapporto di lavoro — autonomo anzichè subordinato — e del venir meno, perciò, del titolo in base al quale erano state incassate le relative somme da parte del lavoratore, trova applicazione l'art. 336 c.p.c. che legittima il datore di lavoro a richiedere la restituzione di quelle somme.

Cass. civ. n. 12190/2004

Le domande di restituzione o di riduzione in pristino della parte che ha eseguito una prestazione in base ad una sentenza poi cassata (nella specie, sentenza del giudice ordinario di condanna al pagamento di somma di denaro) può essere proposta, oltre che nell'eventuale giudizio di rinvio (ove la cassazione della sentenza sia stata pronunciata con rinvio ad altro giudice), anche in separata sede (come nel caso, quale quello di specie, di cassazione senza rinvio della sentenza del G.O. per avere la S.C. ravvisato la giurisdizione del giudice amministrativo), atteso che le predette domande sono del tutto autonome da quelle dell'eventuale giudizio di rinvio, assolvendo all'esigenza di garantire all'interessato la possibilità di ottenere al più presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, a prescindere dal successivo sviluppo del giudizio (nella specie, da celebrarsi dinanzi al giudice amministrativo, e non a quello ordinario).

Cass. civ. n. 3054/2004

La cassazione della pronuncia resa sulla domanda principale, per difetto di giurisdizione del giudice adito, estende i suoi effetti, ai sensi dell'art. 336 c.p.c., non soltanto alla statuizione inerente al rimborso delle spese in favore della parte che ha proposto detta domanda principale, ma anche alla decisione sulla domanda di manleva avanzata da un convenuto nei confronti di altro convenuto, giacchè la pretesa di uno dei convenuti di essere sollevato dall'altro, con riguardo agli effetti dell'eventuale soccombenza nel rapporto con la parte attrice, introduce in causa una domanda di garanzia condizionata all'indicata evenienza, di tal che l'annullamento della statuizione di accoglimento della domanda principale elide il presupposto della pronuncia sulla rivalsa, non suscettibile di vita autonoma una volta che sia venuta meno detta soccombenza.

Cass. civ. n. 567397/2003

In materia di ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, le somme percepite dall'uno o dall'altro coniuge in base a sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, riformata in appello, sono irripetibili nei soli limiti in cui siano riconducibili a prestazioni che, per la loro misura e le condizioni economiche del percettore, possano ritenersi dirette ad assicurare unicamente i mezzi economici necessari per far fronte alle esigenze di vita, così da essere normalmente consumate per adempiere a tale loro destinazione.

Cass. civ. n. 10615/2003

Il principio, fissato dall'art. 336, primo comma, c.p.c., secondo il quale la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata (cosiddetto effetto espansivo) comporta che la caducazione, in sede di legittimità, della pronuncia impugnata si estende alla statuizione relativa alle spese processuali, con necessità della rinnovazione della relativa statuizione all'esito della lite.

Cass. civ. n. 6579/2003

Il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una decisione successivamente cassata, ovvero di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge per il solo fatto della cassazione o della riforma della sentenza e può essere richiesto automaticamente, se del caso, anche con procedimento monitorio.

Cass. civ. n. 17551/2002

Proposta dall'utente del servizio idrico domanda di restituzione, dinanzi al giudice ordinario, delle somme indebitamente versate a titolo di canone di depurazione delle acque reflue, allorché il giudice abbia condannato in solido tanto l'ente pubblico destinatario del canone quanto l'azienda speciale che aveva proceduto all'attività di riscossione, accogliendo nel contempo la domanda di garanzia interposta da quest'ultima, in quanto rivestente la posizione di mero adiectus solutionis causa, nei confronti dell'altro condebitore in solido, la mancata impugnazione, da parte dell'azienda speciale, della condanna solidale implica il passaggio in giudicato, nei suoi confronti, della statuizione di condanna, con il riconoscimento implicito della giurisdizione del giudice adito; mentre l'accoglimento dell'impugnazione — promossa ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 1, c.p.c. dall'ente pubblico condebitore — per carenza di giurisdizione di detto giudice, non comporta la caducazione, in via di estensione ex art. 1 c.p.c. dall'ente pubblico condebitore — per carenza di giurisdizione di detto giudice, non comporta la caducazione, in via di estensione ex art. 336 c.p.c., della pronuncia di accoglimento della domanda di garanzia, non sussistendo alcun rapporto di dipendenza di detta domanda dalla pronuncia di difetto di giurisdizione del giudice adito.

Cass. civ. n. 16170/2001

Nel giudizio di appello, non soltanto la richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenza di primo grado non configura una domanda nuova — essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata — e può dunque essere proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, ma detta restituzione può, altresì, essere disposta di ufficio dal giudice, atteso che l'art. 336 c.p.c. (nel testo novellato dall'art. 38 della legge 26 novembre 1990, n. 353), secondo cui la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che a seguito della sentenza di riforma vengono meno immediatamente — al fine di scoraggiare successive impugnazioni proposte a scopo dilatorio — sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, conseguentemente rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con la ulteriore conseguenza che il giudice di appello ha il potere di adottare direttamente i provvedimenti capaci di ripristinare la situazione precedente, non diversamente da quanto accade nella situazione disciplinata dall'art. 669 novies c.p.c., in cui il giudice, nel dichiarare l'inefficacia del provvedimento cautelare, deve dare direttamente le disposizioni necessarie a ripristinare la situazione precedente.

Cass. civ. n. 13635/2001

Le pretese restitutorie conseguenti alla riforma in appello della sentenza di primo grado possono trovare ingresso nella fase di gravame, pur in assenza di una norma specifica nel codice di rito, per precostituire il titolo esecutivo per la restituzione di quanto corrisposto dal soccombente per effetto della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, ma l'eseguibilità del capo restitutorio della sentenza di appello che accolga la relativa domanda è necessariamente subordinata alla cessazione degli effetti esecutivi della sentenza riformata, e cioè al passaggio in giudicato della sentenza di riforma, senza che, perciò, occorra che i giudici di appello dispongano un'esplicita condizione in tal senso.

Cass. civ. n. 4739/2001

Qualora la sentenza di appello contenga una pluralità di statuizioni, l'eventuale ricorso per cassazione può giovare solo alla parte che abbia esercitato il diritto di impugnazione, per rimuovere quelle ad essa sfavorevoli, mentre le altre, se non censurate dalla controparte con ricorso incidentale, restano coperte dal giudicato. Pertanto, quando la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso della parte parzialmente soccombente non onerata dalle spese processuali, cassi la sentenza della Corte di appello, rinviando per il riesame ad altra sezione della stessa Corte cui affida il compito di riesaminarlo e di decidere sulle spese del giudizio di legittimità, il giudice di rinvio può decidere solo su tali punti e la statuizione sulle spese del merito, se non ha formato oggetto di ricorso incidentale, passa in giudicato, senza che in contrario possa invocarsi l'effetto espansivo interno della cassazione parziale stabilito dall'art. 336, comma primo, c.p.c.; atteso che la regola della dipendenza del capo di sentenza concernente le spese processuali da quelli recanti le statuizioni del merito opera nei limiti della soccombenza effettiva della parte impugnante e, quindi, con esclusivo riguardo alle ipotesi in cui il giudice dell'impugnazione possa rivedere in senso più favorevole al vincitore anche la decisione sulle spese non direttamente impugnata, non anche in quella, inversa, in cui la statuizione dipendente non implica soccombenza di detta parte ma dell'altra, la quale invece non abbia proposto al riguardo alcuna doglianza.

Cass. civ. n. 1720/2001

La cassazione, anche se con rinvio, della sentenza non definitiva, che abbia pronunziato positivamente sull'an debeatur, comporta la caducazione della sentenza sul quantum, dipendendo quest'ultima totalmente dalla prima e tenendo conto che essa, una volta annullata la pronunzia sull'an, viene ad essere privata del proprio fondamento logico-giuridico, che non può essere sostituito ex post dalla nuova pronunzia emessa in sede di rinvio; ne deriva l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso l'indicata sentenza sul quantum, ma non anche di quello rivolto a censurare il capo della sentenza impugnata integrante una autonoma pronuncia processuale. (Nella specie la Corte di merito, nel determinare il quantum risarcibile, aveva anche dichiarato inammissibile l'appello incidentale).

Cass. civ. n. 8745/2000

L'art. 336 c.p.c., nella nuova formulazione introdotta dalla legge n. 353 del 1990, non subordina più al passaggio in giudicato della sentenza di riforma i cosiddetti effetti espansivi esterni, comportando perciò non soltanto la caducazione immediata della sentenza riformata (le cui statuizioni vengono sostituite automaticamente da quelle della sentenza di riforma), ma altresì l'immediata propagazione della conseguenze della sentenza di riforma agli atti dipendenti dalla sentenza impugnata; ne consegue che la riforma in appello della sentenza che abbia accertato l'illegittimità di un licenziamento e ordinato la reintegrazione del lavoratore comporta non soltanto la caducazione dell'accertamento e dell'ordine ripristinatorio, ma altresì il venir meno della ricostituzione del rapporto di lavoro provvisoriamente riaffermata da quell'ordine e la restituzione al licenziamento della sua piena efficacia estintiva fin dalla data della sua intimazione.

Cass. civ. n. 8263/2000

Le somme corrisposte dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegra nel posto di lavoro costituiscono, ex art. 18 legge n. 300 del 1970 (nel nuovo testo introdotto dalla legge 11 maggio 1990, n. 108), risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l'illegittimo licenziamento; pertanto, in caso di riforma della sentenza che dichiara l'illegittimità, venendo a cadere l'illecito civile ascritto al datore di lavoro e non sussistendo più obbligo di risarcimento a suo carico, le somme percepite dal lavoratore perdono il loro titolo legittimante e debbono essere conseguentemente restituite fin dal momento della riforma, atteso che per il nuovo testo dell'art. 336, secondo comma, c.p.c. non è più necessario il passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado.

Cass. civ. n. 5485/2000

Con riguardo agli effetti della riforma della sentenza pretorile di reintegrazione del lavoratore licenziato, per le pretese restitutorie che sono limitate alla somma corrisposta dal datore di lavoro a titolo di risarcimento del danno valgono i principi ordinari, in base ai quali, se viene meno il fatto ingiusto — costituito dal licenziamento illegittimo — necessariamente viene meno anche il fatto che di esso è diretta conseguenza; invece sono irripetibili le retribuzioni riscosse o maturate fino alla sentenza d'appello dichiarativa della legittimità del licenziamento, in riforma della pronuncia di primo grado che lo aveva ritenuto illegittimo.

Cass. civ. n. 4362/1993

La cassazione o la riforma con sentenza passata in giudicato della sentenza non definitiva si estendono alle parti, da questa dipendenti, della successiva sentenza definitiva, con la conseguenza che, ove sopravvengano in pendenza dell'impugnazione proposta contro questa seconda sentenza, ne comportano l'inammissibilità per cessazione della «materia» dell'impugnazione medesima, anche quando si tratti di ricorso per cassazione, nel qual caso al rilievo dell'impedimento — documentabile ai sensi dell'art. 372 c.p.c. — è legittimata la stessa corte di legittimità e non il giudice di rinvio.

Cass. civ. n. 5186/1991

Sebbene nel codice di rito manchi una norma specifica relativa alle pretese restitutorie conseguenti alla riforma in appello della sentenza di primo grado, tali pretese possono trovare ingresso nella fase di gravame predetta al fine di precostituire il titolo esecutivo per le restituzioni, fermo restando che la condanna restitutoria va subordinata al passaggio in giudicato e, in ogni caso, non può essere eseguita prima di quel momento.

Cass. civ. n. 1589/1990

La riforma o la cassazione della sentenza non definitiva pone nel nulla le pronunce rese con la sentenza definitiva, in quanto dipendenti dalla sentenza riformata o cassata (art. 336 secondo comma c.p.c.). Pertanto, in pendenza di ricorso contro la sentenza non definitiva, la mancata impugnazione della sentenza definitiva, determinando un giudicato solo apparente, non può incidere sulla procedibilità del ricorso medesimo, né implicare cessazione della materia del contendere.

Cass. civ. n. 1409/1990

A norma del secondo comma dell'art. 336 c.p.c., la riforma con sentenza passata in giudicato o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata: tra tali provvedimenti devono ricomprendersi anche le successive sentenze, che, pronunciate nello stesso procedimento, abbiano il loro necessario presupposto logico giuridico nella sentenza riformata o cassata. Pertanto nel caso di sentenza non definitiva, impugnata immediatamente con ricorso per cassazione, e di sentenza definitiva, emessa successivamente alla proposizione di detto ricorso e passata in giudicato per mancata tempestiva impugnazione, il ricorso per cassazione contro la prima sentenza, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza definitiva, rimane procedibile, perché l'eventuale cassazione della sentenza non definitiva porrebbe nel nulla le statuizioni della successiva sentenza definitiva, dovendo questa ultima, per il suo rapporto di dipendenza dalla prima pronuncia, ritenersi condizionata alla mancata cassazione della stessa, nonostante il suo passaggio in cosa giudicata formale.

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Consulenze legali
relative all'articolo 336 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
giovedì 03/02/2022 - Sicilia
“Buongiorno,vorrei porre due quesiti su un contenzioso che mi riguarda e che di seguito vi vado ad illustrare:
Sono un dipendente dello stato e qualche anno fa ho fatto causa al ministero di appartenenza per abuso di contratto a tempo determinato (il c.d. danno comunitario), in primo grado il tribunale ha dichiarato nulli i contratti e mi ha riconosciuto un risarcimento pari ad alcune mensilità come prevedeva la giurisprudenza del momento. Il ministero, anche in virtù della trasformazione del contratto di lavoro in tempo indeterminato arrivata poco prima della sentenza e di un mutato orientamento da parte della cassazione, ha proposto appello. La corte d'appello territoriale ha accolto il ricorso del ministero.
Subito dopo la proposizione dell'appello da parte del datore di lavoro sono stato risarcito di quanto stabilito in primo grado, tuttavia, nonostante fossero passati dal momento del risarcimento al momento della sentenza di appello 1 anno e 5 mesi il ministero non ha mai, per il tramite dell'avvocatura, chiesto la restituzione dell'importo nella fase di gravame. La sentenza di appello, difatti, recita così: 1. accoglie l'appello e rigetta il ricorso proposto da XXXXX. 2. compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Primo quesito:Come si inquadra questa situazione giuridica alla luce della recente sentenza della cassazione n. 7144 del 15 marzo 2021 la quale parla di "decadenza" della domanda di ripetizione delle somme corrisposte in primo grado (segnatamente ai punti 4.3 - 4.4 - 4.4.2), consolidandolo così: "orientamento che si condivide e al quale questo Collegio intende dare continuità". Cosa si intende per decadenza? E' applicabile al mio caso?
Secondo quesito:Il mio ufficio mi ha appena comunicato che sta per iscrivere a ruolo presso l'agenzia delle entrate detta somma sotto la voce recupero crediti. Può procedere in tal senso se la sentenza della corte d'appello non mi ha di fatto condannato? Non avrebbe bisogno di un titolo esecutivo?
Si ringrazia.”
Consulenza legale i 11/02/2022
L’art. 336, comma 2, c.p.c. stabilisce che la riforma o la cassazione di una sentenza estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla pronuncia riformata o cassata, sicchè vengono meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente (Cass., 5 agosto 2005 n. 16559; Cass., 6 dicembre 2006, n. 26171; Cass., 19 ottobre 2007, n. 21992).

Pertanto, come ricordato dalla giurisprudenza (si veda Cass. Civ., Sez. I, n. 23972/2020), l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado sorge per effetto dell’accoglimento dell’impugnazione (art. 336 c.p.c.).

La domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo (o di secondo) grado può essere proposta nell’atto di impugnazione, ma anche in separato giudizio; nessuna decadenza, pertanto, può essere ravvisata a carico di chi non chieda la restituzione nella prima sede.

Il principio si trova chiaramente enunciato in Cass. Civ., Sez. VI - 2, n. 11140/2019, laddove si afferma che la domanda di restituzione di quanto già versato in esecuzione della sentenza riformata può essere proposta nel medesimo giudizio, ovvero in un giudizio distinto ed autonomo (cfr. Cass.18062/18; 12387/16), “senza che derivi alcuna preclusione dal mancato esercizio della domanda di restituzione nell'ambito del giudizio originario”.

La domanda può essere avanzata sia con l’atto di appello che in separato giudizio: come ha chiarito, ad esempio, Cass. Civ., Sez. III, 19/02/2007, n. 3758, “in caso di riforma di sentenza contenente condanna al pagamento di somme di denaro, la sentenza di riforma non costituisce di per sé titolo esecutivo per la restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza riformata, occorrendo a tal fine un'apposita domanda, che può essere proposta nel giudizio di appello o in altro giudizio autonomo, e che non si inquadra nell'istituto della "condictio indebiti", dal quale differisce per natura e funzione, dal momento che il diritto alla restituzione sorge direttamente dalla riforma della sentenza che fa venire meno, con efficacia "ex tunc", l'obbligazione di pagamento e impone la restituzione della situazione patrimoniale anteriore”.

La sentenza Cass. n. 7144/2021, richiamando un orientamento della medesima corte, ha affermato che “la richiesta di restituzione delle somme deve essere formulata, a pena di “decadenza”, con l’atto di appello, se proposto successivamente all’esecuzione della sentenza, essendo ammissibile la formulazione della domanda nel corso del giudizio, sino alla precisazione delle conclusioni, soltanto qualora l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione (Cass. 8 agosto 2002, n. 12011; Cass. 18 luglio 2003, n. 11244; Cass. 13 luglio 2004, n. 12905; Cass. 8 luglio 2010, n. 16152; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17227; Cass., 26 gennaio 2016, n. 1324; Cass., 30 gennaio 2018, n. 2292”.

La decadenza è da intendersi relativamente al giudizio di appello. Infatti, nel caso oggetto della sentenza della Cassazione la domanda di restituzione delle somme era stata proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni, nonostante l’esecuzione fosse avvenuta prima del termine per la proposizione dell’appello.

Dalla lettura delle sentenze citate si evince che il fatto di non aver proposto la domanda in appello, non preclude che la stessa possa essere proposta in separato giudizio, anche tramite decreto ingiuntivo.

Come rilevato dalla giurisprudenza citata, la sentenza di riforma non costituisce di per sé titolo esecutivo per la restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado. Pertanto, il datore di lavoro dovrà proporre la domanda di condanna alla restituzione in separato giudizio, oppure nell’ambito di un ricorso per decreto ingiuntivo, per ottenere un titolo esecutivo utile per l’esecuzione.


ARMANDO N. chiede
lunedì 24/05/2021 - Toscana
“In una lite fra tre soggetti, la Corte di Appello ha stabilito le spese legali sono compensate. Per una solo soggetto sono compensate quelle relative all'appello, mentre per quelle relative al primo grado (circa 3 mila euro) non devono essere restituite perché le altre due parti non l'hanno richieste.
Domanda: è possibile assimilare il rimborso spese versate alla terza parte e non dovute come un indebito?
Se si a chi va inoltrato il ricorso al Giudice di Pace o al Tribunale?
Grazie, attendo risposta.”
Consulenza legale i 03/06/2021
Va premesso che il quesito non è formulato in maniera chiarissima, se non altro perché dalla lettura della sentenza di appello è emerso che in quella sede è stata disposta la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
In ogni caso, quanto all'inquadramento della domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, si osserva quanto segue.
La domanda può essere avanzata sia con l’atto di appello che in separato giudizio: come ha chiarito, ad esempio, Cass. Civ., Sez. III, 19/02/2007, n. 3758, “in caso di riforma di sentenza contenente condanna al pagamento di somme di denaro, la sentenza di riforma non costituisce di per sé titolo esecutivo per la restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza riformata, occorrendo a tal fine un'apposita domanda, che può essere proposta nel giudizio di appello o in altro giudizio autonomo, e che non si inquadra nell'istituto della "condictio indebiti", dal quale differisce per natura e funzione, dal momento che il diritto alla restituzione sorge direttamente dalla riforma della sentenza che fa venire meno, con efficacia "ex tunc", l'obbligazione di pagamento e impone la restituzione della situazione patrimoniale anteriore”.
Nel nostro caso, risulta che la richiesta di restituzione non sia stata proposta in sede di impugnazione; pertanto, potrà proporsi autonoma azione. La competenza va individuata con riferimento all’importo della somma pagata, tenendo conto che, ai sensi dell’art. 7 c.p.c., il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro.
Si sottolinea, poi, che la restituzione può essere richiesta anche con il procedimento per decreto ingiuntivo.

Nicolò R. chiede
martedì 09/02/2021 - Sicilia
“Il quesito posto è finalizzato per accettare la proposta di conciliazione del giudice di rinuncia ” delle parti alle proprie domande ed eccezioni tutte nascenti dalla vicenda in esame come da atti di causa”, come mi consiglia il mio legale o andare a sentenza.
********
La controversia agli atti:
Il termine perentorio fissato dalla legge, a pena decadenza, viene così precisato nella sentenza della Corte di Cass.Sez VI Civile n.9929 del 27/03-8/5/2014: “..la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado..è ammissibile in appello, segnatamente precisando, a riguardo, che la stessa deve essere formulata, a pena decadenza, con l’atto di gravame, mentre qualora…..... l’esecuzione sia avvenuta successivamente..è ammissibile…anche nel corso del giudizio”.
La controparte non ha avanzato la richiesta di restituzione delle somme corrispostemi in forza della sentenza di primo grado né all’Appello né in corso di questo, non adempiendo al termine perentorio, a pena decadenza.
La sentenza viene depositata in Cancelleria in data 09/05/01 che dimostra chiaramente il mancato rispetto del termine perentorio. Cosicché da quella data (9/05/01) controparte non avrebbe più il diritto ad avanzare domanda di restituzione delle somme corrispostemi.
Invece in data 9/12/02 mi notifica che intende agire esecutivamente e mi intima e pone precetto di pagare la somma XXX e successivamente il 6/03/03 mi notifica l’atto di pignoramento immobiliare.
Aveva ancora il diritto a chiedere la restituzione delle somme in forza della sentenza di primo grado, nonostante l’avvenuta decadenza per il mancato rispetto del termine perentorio?
Il Giudice della esecuzione non rileva (come avrebbe dovuto) la decadenza del diritto e, pertanto, rimane a me sconosciuta.
E così ho continuato a versare acconti fino a saldo del debito.”
Consulenza legale i 11/03/2021
Va premesso che, come ricordato dalla giurisprudenza più recente (si veda Cass. Civ., Sez. I, n. 23972/2020), l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado sorge per effetto dell’accoglimento dell’impugnazione (art. 336 c.p.c.); tuttavia, non è neppure necessaria una domanda di parte, dal momento che, “nel giudizio di appello, il ripristino può [...] essere disposto anche di ufficio dal giudice, il quale ha il potere di adottare direttamente i provvedimenti a tal fine necessari”.
Pertanto, prosegue la Corte, “certamente la domanda restitutoria può essere proposta anche in appello, ove non integra una domanda nuova ex art. 345 c.p.c.: dal momento, infatti, che l'istanza di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado è conseguente alla stessa richiesta di modifica della decisione impugnata, essa non costituisce domanda nuova (sin da tempi lontani: e multis, Cass. 21 luglio 1981, n. 4684; Cass. 6 novembre 1995, n. 11527; Cass. 16 giugno 1998, n. 6002). Ne consegue che, ove il pagamento sia intervenuto durante il giudizio di impugnazione, l'istanza restitutoria può essere formulata in qualunque momento, come all'udienza di discussione della causa in sede di precisazione delle conclusioni (come statuito da Cass. 5 agosto 2013, n. 18611, e Cass. 16 maggio 2006, n. 11491) od anche nella comparsa conclusionale”.
Del resto, la stessa pronuncia citata nel quesito (ovvero Cass. Civ., Sez. VI - 3, n. 9929/2014) chiarisce che, “ove il giudice di appello ometta di pronunciare sul punto, la parte potrà o impugnare l'omessa pronunzia con ricorso in cassazione oppure riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che ivi, stante la menzionata facoltà di scelta, le sia opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronuncia”.
In altri termini, la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo (o di secondo) grado può essere proposta nell’atto di impugnazione, ma anche in separato giudizio; nessuna decadenza, pertanto, può essere ravvisata a carico di chi non chieda la restituzione nella prima sede.
Il principio si trova chiaramente enunciato in Cass. Civ., Sez. VI - 2, n. 11140/2019, laddove si afferma che la domanda di restituzione di quanto già versato in esecuzione della sentenza riformata può essere proposta nel medesimo giudizio, ovvero in un giudizio distinto ed autonomo (cfr. Cass.18062/18; 12387/16), “senza che derivi alcuna preclusione dal mancato esercizio della domanda di restituzione nell'ambito del giudizio originario.

I. G. chiede
giovedì 15/11/2018 - Emilia-Romagna
“Salve,

In presenza di:
1) Sentenza di primo grado che riconosce in toto quanto richiesto da decreto ingiuntivo bancario (importo di 10.000 euro + interessi anatocistici al 13,75% annuo a partire dal 1/04/1997).
2) Dopo varie sentenze, la Corte di Rinvio riconosce, in data 1/06/2018, in toto la sentenza di primo grado.

Si chiede:
1) E' giusto riconoscere alla Banca interessi semplici al 13,75% annuo a partire dall' 1/04/1997 sull'importo di 10.000 euro ?
2) Oppure è giusto riconoscere alla Banca sull'importo di 10.000 euro interessi legali correnti a partire dall' 1/06/2018 (Cassazione Civile sentenza n. 24821/2008)?
3) Oppure cosa è giusto riconoscere alla Banca ?

Grazie anticipatamente
Gabelli Italo”
Consulenza legale i 26/11/2018
Il quesito accenna ad un giudizio di rinvio.
Ciò significa che la controversia, vinta in primo grado, riformata in appello e poi oggetto di ricorso per cassazione, è stata decisa da quest’ultima con pronuncia che ha rimesso la causa al giudice dell’appello per una seconda/nuova e definitiva decisione.
Quest’ultimo giudice (quello che nel quesito viene definito come “Corte del rinvio”) ha deciso confermando la statuizione del Giudice di primo grado sulle somme dovute in forza di ingiunzione e sui relativi interessi.
Il debitore si chiede ora se queste voci di condanna debbano essere calcolate – per determinarne l’ammontare – con decorrenza dalla data indicata nella prima originaria pronuncia che le riconosceva (quella di primo grado che è stata poi confermata a seguito del rinvio) oppure dalla pronuncia del rinvio, intervenuta evidentemente in un momento successivo. Tale ultima soluzione consentirebbe, infatti, al condannato di pagare di meno.

Ebbene, come correttamente osservato da chi pone il quesito, la sentenza emessa a seguito del giudizio di rinvio va a sostituire in tutto e per tutto quella originaria, per cui – come nel caso in esame – la sentenza di appello pronunciata a seguito del rinvio è l’unica cui fare riferimento per la definitiva decisione nel merito sull’intera controversia e per tutte le conseguenti statuizioni.
Per il principio, poi, dell’immediata sostitutività della sentenza di appello, la sentenza di primo grado viene sostituita dalla riforma in appello (nel nostro caso, a seguito del rinvio) e dunque cessa di produrre effetti di qualsiasi tipo.

A proposito, tuttavia, della citata sentenza della Cassazione n. 24821/2008, si rileva come, ad avviso di chi scrive, questa non sia strettamente pertinente al caso di specie.
Tale statuizione della Suprema Corte riguarda, infatti, le spese del giudizio e non – come nel caso che ci riguarda – gli interessi nel merito dovuti sulle somme oggetto di condanna (ricordiamo che il quesito fa riferimento ad un giudizio originato da un decreto ingiuntivo per pagamento di somme).
Una cosa, insomma, è la pronuncia sulle spese, altra cosa è quella sulle domande nel merito della controversia.

Se parliamo di spese processuali, infatti, come statuisce la sentenza citata, Cassazione n. 24821/2008, “Al riguardo è sufficiente rilevare che, come è noto, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., la sentenza di riforma, resa in grado d'appello, pone nel nulla la sentenza di primo grado che perde qualsiasi efficacia in quanto caducata e sostituita immediatamente - integralmente o per i capi riformati - dalla pronuncia di secondo grado che travolge le statuizioni modificate e quelle da esse dipendenti: l'assetto di interessi che ne risulta è quello introdotto con la seconda decisione. Da ciò consegue che la data della pronunzia di appello sul nuovo regolamento delle spese processuali - in sostituzione di quanto sul punto disposto dalla sentenza di primo grado - segna il momento della nascita del relativo credito in favore della parte vittoriosa, credito che non retroagisce al momento della decisione riformata e sostituita.”

Nel caso che ci riguarda, tuttavia, gli “interessi” di cui si sta parlando non sono quelli legati al trascorrere del tempo tra una sentenza e l’altra e quindi quelli sulle spese di giudizio (come nella Cassazione citata), spese sulle quali, dovendosi attendere i diversi gradi del processo e la decisione finale all’esito delle varie impugnazioni, maturano evidentemente interessi legali (questi sì, dice la Suprema Corte, vanno riconosciuti solo dalla pronuncia della Corte d’Appello all’esito del giudizio di rinvio, che chiude il procedimento intero e sostituisce in toto la sentenza di primo grado).

Al contrario, nel quesito si parla degli interessi sulle somme da pagare alla Banca in forza di decreto ingiuntivo poi opposto: pertanto, si tratta di somme non maturate a causa del processo e legate al processo stesso, ma di somme che “appartengono” al merito della causa.
Anche per il principio per il quale chi promuove un giudizio non può esser pregiudicato nelle sue ragioni dal tempo necessario allo svolgimento di quest’ultimo, se alla fine il Giudice che emette la decisione finale riconosce le ragioni della parte opposta (in questo caso, la Banca), quest’ultima avrà diritto a che le venga infine pagato l’intero credito di cui era creditrice all’inizio della vertenza, ovvero la somma capitale che le era dovuta in forza del rapporto contrattuale con il cliente e gli interessi di mora su tale somma dal momento della scadenza di tale credito (nella fattispecie, 1/4/1997, ovvero data in cui è stato riconosciuto, e successivamente confermato, il giorno iniziale di decorrenza del credito bancario agli interessi, in quanto giorno fino al quale è stata calcolato il “dare” della Banca ed emesso il decreto ingiuntivo) e non dalla data della sentenza di secondo grado.

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