Iniziativa individuale e autonomia della volontà: terminologia
Per quanto funzionale possa proclamarsi l'attività di ogni soggetto, in confronto agli scopi perseguiti del gruppo sociale nel cui quadro è inserito, deve riconoscersi che i rapporti giuridici patrimoniali
non possono ridursi ad una mera attuazione di norme prefissate dalla legge: l'iniziativa individuale è molla di progresso, e un ordinamento rigido che riducesse l’attività dei soggetti ad una meccanica utilizzazione di schemi giuridici insuperabili, isterilirebbe l'azione produttiva e non aderirebbe alla realtà economica, che aspira ad un perpetuo rinnovamento di risultati.
L’iniziativa individuale è potenziata, oltre che riconosciuta, dall'ordinamento vigente; il che si traduce nel conferire al soggetto il potere di determinarsi liberamente, per la realizzazione delle finalità che si propone di attuare.
Questo potere della volontà, con riferimento al contratto, è denominato, nella rubrica dell'art. 1322, «autonomia contrattuale» (in un senso più generale dovrà designarsi «autonomia negoziale»). La legittimazione di tale terminologia non è nel significato tradizionale di «autonomia» se, come vedremo (v. n. 2), il potere della volontà non può essere nè un potere di produrre norme giuridiche nè un potere originario e indipendente; ma in una accezione particolare che risulterà ultra, al n. 2. Si parla di autonomia privata; ma questa denominazione non riesce a comprendere anche quell'attività contrattuale (o negoziale) che la pubblica amministrazione pone in essere in regime di diritto privato, e, se mai, dovrebbe qualificare la più vasta libertà del soggetto di compiere atti giuridici. In tal senso deve anche intendersi la formula «autonomia della volontà» o «volontà autonoma», che infatti accenna alla volontà in modo troppo generico perché si possa riferire esclusivamente all'attività negoziale.
Efficacia giuridica della volontà individuale
Affermato il principio sociale come base e direttiva dell'ordinamento giuridico, il potere conferito al soggetto, di scegliere liberamente i mezzi necessari alla realizzazione degli scopi individuali, non poté intendersi come signoria della volontà e cioè come predominio di una sconfinata discrezione; ma la individualistica prevalenza di un potere senza limiti si trasformò in un principio di subordinazione di ogni manifestazione soggettiva ad un volere esterno e superiore che controlla e limita. Questa trasformazione è più evidente nel sistema del nuovo codice.
L' art. 1173 fa derivare il rapporto obbligatorio da ogni atto o fatto idoneo a produrlo in conformità dell'ordinamento giuridico; l’art. 1322 pone, alla libertà di determinare il contenuto del contratto, il confine delle norme cogenti (v. ultra, n. 3), e, alla libertà di produrre contratti atipici, il limite segnato dalla necessità che questi siano idonei a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico; l'art. 1987 esclude che la promessa unilaterale sia obbligatoria fuori dei casi determinati dalla legge; l’art. 2004 limita ai casi stessi la libertà di emissione di titoli al portatore contenente l'obbligazione di pagare una somma di danaro. Ciò vuol dire che il potere della volontà ha carattere secondario nelle sue manifestazioni efficaci, e che può sopravanzare la legge soltanto se la legge lo consente. Il problema della natura originaria della volontà individuale e della sua capacità di sviluppare un sistema giuridico indipendente dalla legge viene così risoluto nel senso assolutamente negativo; e si afferma inoltre che l'efficacia della volontà singola deve essere imputata in modo esclusivo all'ordinamento giuridico (c. d. principio di autorizzazione legale). In conseguenza la volontà individuale deve ritenersi competente a indicare solo gli effetti economici del negozio, non gli effetti giuridici, e, perché possa essere rivestita di efficacia, non deve necessariamente dirigersi agli effetti stessi.
La volontà non resta degradata con ciò ad elemento di fatto che la norma riveste di effetti giuridici, ma si manifesta quale fonte della situazione prevista dalla norma, come elemento cioè che determina il verificarsi di quegli effetti che sono dalla norma messi a disposizione del soggetto.
Diversa interpretazione non potrebbe darsi all'art. 1322 senza condurre il sistema contrattuale ordinato dal nuovo codice verso direttive incoerenti, dato il principio generale posto nell'art. 1173 e applicato negli articoli 1987 e 2004, dal quale si estrae sicuramente la regola generale secondo cui la volontà individuale non ha la forza di creare in modo indipendente effetti giuridici. Si noti che il secondo comma dell'art. 1322 fonda il riconoscimento della giuridicità sulla valutazione dell'utilità generale degli effetti che ne derivano; ora il compito di far questa valutazione non può conferirsi al soggetto senza porre in pericolo l'uniformità a cui essa deve ispirarsi, senza, cioè, far luogo ad una relatività di giudizi che scompone disordinatamente gli scopi della pluralità organizzata.
Autonomia poi non vuole dire potere della volontà individuale di produrre norme giuridiche, sia pure in modo complementare in confronto della legge. Se altri argomenti non concorressero per escludere la parificazione (sostanziale) dell'atto di volontà con l'atto dovrebbe bastare la contrapposizione che si fa, nell'art. 1 delle preleggi e nell'art. 1321, fra fonte di produzione della norma e fonte di produzione della fattispecie presupposta dalla norma. Non si nega che autonomia della volontà può essere autoregolamento di interessi concreti; ma questo regolamento sarebbe sempre gestione, in. modo che non può essere nel tempo stesso posizione di norme. Non lo è per il motivo ulteriore che la norma è estrinsecazione di imperio, e imperio non è conferito al soggetto di diritti.
L'autonomia della volontà si manifesta piuttosto come discrezionalità di diritto privato; ma poiché, dopo quanto si è detto, apparirà chiaro che contenuto dell'autonomia stessa è la libertà di scelta dei mezzi per il raggiungimento dei fini propri del soggetto, deve ulteriormente spiegarsi che una differenza fra discrezionalità di diritto amministrativo e discrezionalità di diritto privato sta in ciò, che, mentre per la prima la legge determina tutti i fini che deve attuare, per la seconda la legge prefigge soltanto alcuni fini (esempi si vedano nei consorzi obbligatori e negli ammassi).
L'autonomia della volontà non deve naturalmente confondersi con l'attitudine del soggetto a porre i presupposti necessari per l'effetto giuridico, che si delinea come problema di capacità o di legittimazione: una differenza potrebbe darsi nel senso che la capacità è una qualità del soggetto e la legittimazione una posizione dello stesso, mentre autonomia della volontà è somma di poteri spettanti al soggetto stesso in quanto capace o legittimato, in modo che la capacità è la legittimazione sono antecedenti all'autonomia e suoi presupposti necessari.
L’autonomia contrattuale e i suoi limiti
L'autonomia della volontà, specificatasi quale autonomia contrattuale, viene delimitata nell'art. 1322 in un doppio ordine di direzione: si assegna alla volontà, da un lato il potere di esplicarsi
nell'appropriazione della fattispecie contrattuale astratta per adattarla a situazioni concrete (determinazione del contenuto del contratto: primo comma dell'art. 1322), e dall'altro i1 potere di creare fattispecie contrattuali concrete non corrispondenti ad alcuna fattispecie legale, per la soddisfazione di interessi non valutati preventivamente dalla legge (determinazione di contratti atipici: secondo comma dell'art. 1322).
La prima direzione, vincolata ai tipi legali, non soltanto, com’è noto, permette di integrare le determinazioni della legge, ma consente anche di sostituire la disciplina dispositiva predisposta dalla legge, di piegarla «alla soddisfazione di particolari interessi con modificazioni o aggiunte, con l’eliminazione di elementi naturali o con l’inserzione di elementi accidentali».
La seconda direzione, non vincolata a tipi legali, permette che siano creati elementi di fatto non corrispondenti ad alcuno di quelli espressamente previsti dalla legge; in modo che rimane contrastata la tendenza della dottrina, che vorrebbe ridurre i1 potere della volontà di produrre il novum, alla sola possibilità di combinare i tipi contrattuali riconosciuti dalla legge. Probabilmente questa tendenza è sorta dall'osservazione che gli schemi tipici tradizionali hanno potuto fino ad ora dare alla pratica soddisfacenti basi di disciplina per qualsiasi nuovo bisogno economico, e quindi per qualsiasi nuovo rapporto giuridico al quale i1 bisogno stesso ha potuto dar causa. Ciò si spiega col riflesso che nessuna situazione sfugge all'influsso delle norme, espresse o inespresse, dell'ordinamento giuridico, il quale, avendo la capacità di sussumere ogni nuova manifestazione della vita, riesce a far coincidere il suo ambito con le mobili e sempre rinnovantisi linee estreme dell'ordine sociale e di quello economico; ma proprio l’elasticità di limiti che è nel carattere dell'ordinamento consiglia di ritenere che esso riconosce anche le manifestazioni dell'autonomia individuale che abbiano un contenuto assolutamente nuovo, cioè che non possano ricondursi ad alcun tipo contrattuale riconosciuto. In questo caso si delinea senza alcun dubbio la figura del contratto innominato; la quale esiste però anche se si sono utilizzati elementi dei tipi riconosciuti, perché il tipo del rapporto va identificato nella sua organicità complessiva e non per i suoi componenti staccati, se non si vuole pregiudicare l'unità del rapporto. I contratti c. d. misti devono perciò considerarsi come altrettante fattispecie di contratti innominati: contratti misti in quanto comprendano elementi ricavati da tipi riconosciuti dalla legge, contratti misti in quanto siano formati di elementi propri di tipi legali e, assieme, di elementi extralegali.
Una terza direzione dell'autonomia della volontà non è espressamente prevista nell'art. 1322; ma è oggi riconosciuta legittima, e comporta il potere della volontà di utilizzare la fattispecie contrattuale astratta per la soddisfazione di scopi ulteriori rispetto a quelli, a realizzare i quali il contratto è tipicamente rivolto (produzione di negozi a scopi indiretti). Il potere di piegare il contratto tipico a funzioni nuove è un minus in confronto di quello indiscutibilmente consentito al soggetto privato, di produrre nuove figure giuridiche; perciò il procedimento indiretto deve ritenersi implicitamente tutelato dall'ordinamento positivo. Anche in un sistema aformalistico come quello che ci governa può essere utile assumere il negozio tipico in funzione strumentale: invece di affrontare i dubbi e le incertezze di risultati ai quali non di rado può condurre una forma nuova, è certo preferibile servirsi di mezzi apprestati dalla legge, di cui già si conoscono i risultati dell'applicazione; a parte il fatto che l'utilizzazione della forma esistente per funzioni nuove può consentire di sfruttare qualche aspetto della sua disciplina che la forma nuova non permetterebbe di utilizzare (v. ultra, sub art. 1323, 11. 2).
Ostacoli insuperabili alla libertà contrattuale del soggetto, risultano però, per l’art. 1322, a seconda che l'autonomia si svolga nell'ambito di tipi legali o si indirizzi alla creazione di rapporti atipici.
Nel primo caso la validità della scelta, compiuta dal soggetto, dei mezzi necessari all'attuazione dei propri scopi, è subordinata al fatto che ad essa non si oppongano norme di una qualsiasi legge: formale o sostanziale. A «limiti imposti» accenna, infatti, l' art. 1322 donde le norme che indicano l'estensione e l'efficacia della volontà individuale devono essere cogenti per produrre invalidità. Ma il contrasto fra norma e scelta può essere virtuale oltre che testuale, in modo che può consistere in una violazione dei principi che compongono l'ordine pubblico e delle regole del buon costume (cfr. art. 1343): questa violazione apparirà esclusivamente attraverso l'indagine sui motivi (comuni: art. 1345) o sulla causa concreta del singolo rapporto perché la liceità della causa astratta è assicurata dalla sua corrispondenza al tipo legale (v. ultra, sub art. 1343).
Nel caso di creazione di rapporti atipici il limite alla validità della scelta del mezzo è dato, come si è visto, dalla necessità che il rapporto formato realizzi finalità degne di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Il controllo opera sulla causa del rapporto, che non è stata apprezzata preventivamente dall'ordinamento giuridico (v. ultra, sub art. 1343), e deve essere quindi saggiata al paragone delle finalità ritenute degne di tutela dall'ordinamento stesso: indagine positiva perché non è sufficiente constatare, come nel caso di utilizzazione del tipo legale, che l'autonomia privata non urta contro norme cogenti (testuali o virtuali), ma è necessario accertare che il soggetto si propone fini di utilità sociale: «Si pensi, per esempio, ad un contratto col quale alcuno consenta, dietro compenso, all'astensione da un'attività produttiva, o a un'esplicazione sterile della propria attività personale, o a una gestione antieconomica o distruttiva di un bene soggetto alla sua libera disposizione, senza una ragione socialmente plausibile, ma solo per soddisfare il capriccio o la vanità della controparte».
Concetto di limite all’autonomia contrattuale
La disciplina della causa e dei motivi forma dunque un vero proprio limite all'autonomia contrattuale (ultra, sub art. 1325, n. 3), ma non è il solo, perché l’art. 1322 non esaurisce la materia.
Saranno di guida nell’individuazione delle altre ipotesi le costanti caratteristiche alle quali tutte devono rispondere: imposizione ad opera di una norma giuridica e imposizione di un obbligo, non di un onere.
Fonte del limite deve essere una norma giuridica, perché il limite comprime il potere della volontà individuale. Non si intenderebbe l'esistenza di un limite quando la sua costituzione derivasse non da una coazione esterna alla volontà medesima, come è la coazione promanante dalla legge, ma dalla libera valutazione che il soggetto fa del proprio interesse; in tal caso il limite sarebbe esso stesso espressione dell'autonomia del volere, e non potrebbe logicamente assurgere a vincolo di questa autonomia.
Contenuto del limite è l'imposizione di un obbligo, non di un onere infatti ogni vincolo all'autonomia della volontà si pone, per il soggetto che deve osservarlo, quale presupposto per la tutela di un interesse (pubblico o di terzi) estraneo alla sfera alla quale appartiene l'interesse dedotto net contratto.
Si è affermato che le manifestazioni dell'autonomia della volontà sono sempre caratterizzate dal potere, attribuito alla volontà di un soggetto di diritto, di interferire nella sfera giuridica di altro soggetto; ma l'opinione non convince, e non soltanto perché, in un certo senso, anche al rappresentante è conferito il potere di interferire nella sfera d'altri, senza che con ciò resti confusa rappresentanza e autonomia della volontà, ma anche perché l'enunciazione non si attaglierebbe, ad esempio, al caso in cui la libertà individuale si indirizza alla scelta delle forme per la manifestazione del consenso. Vero è, invece, che ogni limite si risolve in una soppressione della libertà di scelta dei mezzi giuridici relativamente ad un bene garantito dalla legge; e pertanto non possono distinguersi cause di limitazione e cause di soppressione dell'autonomia contrattuale: a proposito del diritto di proprietà, per esempio, si parla di limiti anche con riferimento ai vincoli che producono soppressione del potere di disporre.
Classificazione dei principali limiti all’autonomia contrattuale; rinvio per lo studio di alcuni di essi
Una classificazione dei limiti all'autonomia contrattuale non dà se non risultati incompleti. Il tentativo di compierla tenendo conto solo di quelli che hanno maggiore rilevanza ne permette un raggruppamento in separate categorie che rispettivamente hanno riguardo: alla posizione del soggetto rispetto all'interesse che è dedotto nel rapporto, alla funzione del rapporto, alla necessità e al modo di produrlo, agli effetti che ne derivano.
Il primo gruppo di vincoli adegua alla natura dei poteri che spettano al soggetto rispetto all'interesse che egli deduce net rapporto, il limite della discrezionalità nella quale si estrinseca l'autonomia del volere, e comprende, in particolare, ogni ipotesi di gestione di un interesse altrui (sostituzione, ufficio, rappresentanza organica, gestione d'affari); il secondo gruppo comprime la libertà del volere negando tutela alle situazioni non conformi alla volontà della norma, nel qual senso operano la causa e i motivi; il terzo gruppo costringe l'autonomia individuale col provocare una situazione giuridica anche contro la volontà del soggetto, nel qual senso agiscono: la costituzione coattiva del rapporto e l'obbligo di contrarre; il quarto gruppo, pur muovendo dalla volontà del soggetto favorevole alla costituzione della situazione giuridica, indirizza questa volontà verso modalità inderogabili che assicurano la realizzazione di scopi assunti dall'ordinamento giuridico (in questo gruppo vanno compresi i limiti alla libertà di scelta dell'altro contraente, alla libertà di forme nella manifestazione del consenso, alla libertà di determinare il contenuto del contratto); il quinto gruppo di vincoli parte ugualmente dalla volontà del soggetto favorevole alla costituzione della situazione, ma determina ,gli effetti che l'ordinamento vuole perseguire, nella quale direzione agiscono il principio di obbligatorietà del contratto, quello di tutela dell'affidamento, quello di conversione del contratto, la disciplina legale dell'efficacia soggettiva dei contratti.
Si rinvia rispettivamente al commento degli articoli 1343, 1345, 135o e 1372 lo studio dei limiti che l'autonomia contrattuale riceve in conseguenza delle disposizioni sulla causa, sui motivi, sulle forme e sull'efficacia obbligatoria del contratto, onde far cenno qui soltanto di tutti gli altri vincoli, con esclusivo riferimento all'argomento dell'articolo che si commenta.
I) limiti derivanti dalla posizione del soggetto rispetto all’interesse dedotto
Si può parlare di limiti all'autonomia contrattuale dipendenti dalla posizione del soggetto rispetto all'interesse dedotto nel rapporto, perché, quando il rapporto è creato da un soggetto diverso dal titolare dell'interesse, la discrezionalità nella quale si estrinseca l'autonomia non si espande con la stessa elasticità che è propria dell'analoga discrezionalità spettante al titolare. La ragione è che colui il quale gestisce l'interesse altrui, mettendo la sua autonomia a disposizione di un interesse che non è il proprio, deve commisurare l'esercizio dei poteri agli obblighi che la gestione comporta, e soprattutto deve apprezzare la convenienza di ogni atto con un criterio valutativo che pone al suo centro il dovere di operare nel senso che meglio realizzi l'interesse gestito. Perciò il soggetto si considera in una originaria prevalente situazione di obblighi anziché in una originaria prevalente situazione di diritti come vive il titolare dell'interesse: il gestore esplica, infatti, dei poteri-doveri, ossia delle facoltà scaturenti dal dovere di realizzare l'interesse altrui, là dove il titolare dell'interesse esercita facoltà del suo diritto soggettivo, che signoreggia fino a poterne far gettito. Anche al gestore può spettare un potere di disposizione, ma nella necessità di un conferimento specifico (art. 1708) o di una autorizzazione spesso vincolata (articoli 320, 374 e 375) e nella possibilità di vederne controllato l'esercizio (art. 1713) si rinvengono dei limiti di autonomia, che si estendono fino al dovere di diligenza, ignoti all'autonomia del titolare dell'interesse. Si aggiunga che, in qualche caso, come nella negotiorum gestio, solo l'utiliter compone l'autonomia (art. 2031), la quale risulta perciò particolarmente compressa in relazione alla spontaneità di assunzione della gestione.
II) Limiti derivanti dalla necessità di produrre il rapporto: a) costituzione coattiva
Costituzione coattiva del rapporto si ha quando la legge conferisce all'autorità amministrativa il potere di formarlo per atto della sua volontà, indipendentemente dalla volontà degli interessati. La categoria è legittimata dalle disposizioni concernenti la costituzione di consorzi obbligatori che tuttavia, danno luogo, sempre,ad un rapporto associativo qualificato dagli scopi per il quale il consorzio è stato costituito. E tale rapporto non potrà essere ritenuto di diritto pubblico per ciò solo che la sua costituzione deriva dall'atto dell'amministrazione o dall'atto legislativo: la eventuale natura pubblicistica dell'ente che sorge dal rapporto costituito ex auctoritate si riflette con conseguenze esterne, mai con risultati incidenti sul vincolo che lega i consorziati, qualora manchino gli estremi della c. d. causa pubblica. E’ agevole escludere la qualifica negoziale al rapporto costituito coattivamente, non essendo sostenibile che esso si formi in base ad un obbligo di contrarre: creativo del consorzio obbligatorio infatti è l'atto amministrativo e non un atto di volontà privata. A fortiori deve escludersi la contrattualità del rapporto nei casi in cui la costituzione di esso avviene ex lege.
Il rapporto costituito coattivamente ha fonte nella legge sia direttamente, che indirettamente. Quando occorre la pronuncia amministrativa, questa riconosce l'esistenza degli estremi richiesti dalla Legge per la cooperazione dei soggetti ai quali è comune la situazione presupposta, e in concreto dà vita alla situazione che produrrà gli effetti voluti dalla legge. L'atto amministrativo perciò ha una funzione meramente strumentale rispetto alla volontà della norma, alla quale risale sempre l'effetto giuridico che esso verrà a produrre; a sua volta la volontà privata può rappresentare elemento d'impulso per la costituzione della situazione concreta consentita dalla norma (esempio nell’art. 2 a, legge 16 giugno 1932, n. 834, per i consorzi industriali obbligatori), ma non è sempre un elemento necessario, nemmeno per i limitati effetti di provocare la costituzione della situazione stessa (così negli articoli 850, 862, 863, 914, 921 cod. civ.).
Si è sostenuto che, quando è richiesta l'adesione preventiva di un minimo di interessati (art. 2 della predetta legge sui consorzi industriali), l'atto amministrativo non costituisce il consorzio, ma estende il vincolo contrattuale già formatosi fra coloro ai quali è consentita l'iniziativa di provocare collettivamente la costituzione del rapporto. La tesi, se muove dall'esatto rilievo che la richiesta di un numero minimo di interessati presuppone necessariamente un accordo fra tutti coloro che lo fanno, giunge ad inaccettabili conseguenze perché il rapporto che si instaura fra gli autori dell'iniziativa ha per contenuto di promuovere la produzione del contratto, non di produrre i1 contratto.
b) Obbligo di contrarre
Quanto all'obbligo di contrarre, in un sistema che riconoscesse carattere legislativo ai contratti collettivi (esempio negli articoli n. 3, e 5 preleggi) sarebbe da escludere che possa ritenersi vincolo all'autonomia contrattuale l'obbligo di costituirli che fosse imposto alle associazioni professionali.
Si ha poi onere e non obbligo di contrarre quando la prestazione coattiva del consenso mira a realizzare un interesse proprio, i1 che, come si è detto (supra, sub n. 4), elide in realtà la figura del limite all'autonomia contrattuale: esempio da riferire a questa ipotesi è l'onere di cauzione previsto negli articoli 238 e 283 cod. pen. nonché nell'art. 2 r. d. 7 marzo 1925, n. 222, che si risolve nella costituzione di pegno o di fideiussione.
L'adempimento dell'obbligo di contrarre dà vita ad un rapporto contrattuale, perché il vincolo non si sarebbe potuto costituire senza la volontà della parte obbligata; ciò basterebbe a differenziarlo nettamente dalla precedente categoria di limiti, che non produce rapporti negoziali. L'atto amministrativo che costituisce il rapporto obbligatorio ha, con la sentenza prevista dall'art. 2932, il solo punto di contatto della comune produzione coattiva di effetti giuridici; la seconda interviene soltanto in caso di inadempimento dell'obbligo, mentre il primo non presuppone un precedente obbligo del soggetto, in modo che non sarebbe mai, come la sentenza ex art. 2932, un atto di esecuzione forzata, a parte l'ovvia distinzione dipendente dalla diversa natura dell'organo statuale dal quale l'uno e l'altra promanano.
Talune manifestazioni dell'obbligo di contrarre costituiscono dei limiti all'intensità di un diritto, altre specificano il contenuto di una funzione (pubblica o privata).
1° - Nel primo gruppo vanno anzitutto sistemati i casi in cui l'obbligo di contrarre ha per oggetto la costituzione di un rapporto a favore di un qualsiasi soggetto, com'è l'obbligo che incombe su coloro che esercitano monopoli o sui concessionari di servizi pubblici. Quest'obbligo, espressamente previsto per i monopoli di diritto (art. 2597 cod. civ. ) e per alcuni servizi (art. 1679 cod. civ.; art. I, § I, r. d. l. 25 gennaio 1940, n. I; art. 121, t.u. 9 maggio 1912, n. 1447; art. 6 legge 20 giugno 1935, n. 1349, per i trasporti; art. 16 t.u. 3 maggio 1893, n. 118, per i servizi telegrafici; art. 16 t.u. 3 maggio 1903, n. 196, e l’art. 2, r.d. 3 ottobre 1929, n. 1887, per i servizi telefonici) ha una portata più vasta. Concerne anche i casi di monopolio di fatto se il rifiuto di obbligarsi da parte del monopolista possa ledere un interesse pubblico, come quando comporti abuso del diritto; i concessionari di qualsiasi servizio pubblico non possono rifiutare la prestazione per la natura del servizio che esercitano, destinato fondamentalmente al soddisfacimento dei bisogni generali, in modo che ognuno ha il diritto di goderli.
In secondo luogo deve sistemarsi in questa prima categoria l'obbligo di contrarre costituito a favore di un numero determinato di soggetti particolarmente qualificati, come è l'obbligo di assumere alle proprie dipendenze un numero di lavoratori prefissato in rapporto all'importanza dell'attività economica esercitata dall’obbligato in rapporto all'importanza dell’attività economica che l'obbligato deve per legge svolgere (imponibile di mano d'opera risultante dai contratti collettivi in un sistema che considerasse questi contratti come fonti di diritto; art. II legge 21 agosto 1921, n. 1312, per i mutilati e invalidi della prima guerra mondiale; art. 58, r. d. 26 luglio 1929, n. 1397, per gli orfani della guerra predetta; d. 1. t. 4 agosto 1945, n. 453; d. 1. Lt. 14 febbraio 1946, n. 27 e d. 1. Lt. 5 marzo 1946, n. 81, per i mutilati, invalidi, combattenti, patrioti, deportati dal nemico, orfani e vedove dei caduti della seconda guerra mondiale ; decreto legislativo 16 settembre 1947, n. 929, circa il massimo impiego di lavoratori agricoli). Infine debbono prospettarsi anche ipotesi di obbligo di contrarre costituito a favore di un determinato soggetto, come è nel caso della facoltà attribuita all'erede di soddisfare mediante rendita o assegno di frutti le ragioni ereditarie del coniuge superstite (art. 547 cod. civ.), che dà luogo a coattiva trasformazione di diritti; come è nel caso della comunione obbligatoria (art. 874 cod. civ.) e nel caso dell'ammasso o dell'assegnazione di materie prime o di prodotti in un sistema di economia controllata o pianificata, che implicano cessioni coattive e come è infine nel caso delle servitù coattive (art. 1032 cod. civ.) che creano vincoli al diritto di proprietà.
2° - Anche per l'obbligo di contrarre connesso all'esercizio di una funzione può distinguersi la destinazione all'interesse di tutti, all'interesse di alcuni o all'interesse di un solo soggetto; esempi ne sono, rispettivamente, l'obbligo del medico condotto e del notaio di prestare la loro opera ogni qualvolta ne siano richiesti (art. 4, r. d. 27 luglio 1934, n. 1265 ; art. 27, legge 16 febbraio 1913, n. 89), quello imposto agli istituti assicuratori di costituire una riserva matematica (art. 13 r. d. 29 aprile 1923, n. 996), l'obbligo imposto al tutore di dare un determinato impiego al patrimonio del minore (art. 372 cod.civ.).
Il carattere pubblico o privato della funzione non incide sui presupposti della classificazione fatta; e può aversi funzione pubblica e destinazione dell'obbligo di contrarre all'interesse di un solo (caso nella tutela) e funzione privata con destinazione dell'obbligo stesso ad un interesse più generale (caso delle imprese di assicurazione).
III) Limiti concernenti il modo di produrre il rapporto: a) limiti alla libertà di scelta dell’altro contraente
I limiti alla libertà di scelta dell'altro contraente si distinguono da quelli che hanno per contenuto l'obbligo di contrarre, perché raggruppano ipotesi nelle quali oggetto della coazione non è la produzione del contratto, che rimane nella piena libertà giuridica del soggetto, ma la libertà di contrarre con qualsiasi soggetto, che viene sottratta all'arbitrio individuale. L'altro contraente deve essere, in tali casi, o il soggetto al quale la legge attribuisce un diritto di preferenza come nelle ipotesi previste dagli articoli 732, 966, 2157 e 2441 cod. civ., dall'art. 3 legge 24 luglio 1936, n. 1692, per le vendite degli immobili ad uso alberghiero e dall'art. 24, r. d. 29 giugno 1939, n. 1127, sui brevetti, ovvero un soggetto compreso in una categoria predeterminata dalla legge. La scelta per categoria è consentita talvolta senza riferimento a speciali qualità, come quando si impone di assumere soltanto lavoratori iscritti nelle liste degli uffici di collocamento, liberamente o in turno di lavoro (art. 2098 cod. civ.) ; talvolta però deve aver luogo con riferimento a qualità tecniche, come è previsto nelle norme che regolano l'esercizio delle professioni, in base alle quali il rapporto si può produrre esclusivamente con le persone che hanno avuto il riconoscimento delle qualità predette.
b) Limiti alla libertà di determinare il contenuto del contratto
I limiti all'autonomia della volontà circa il contenuto del contratto sono stabiliti dalla norma in modo diretto o indiretto.
La norma costituisce fonte diretta per la determinazione coattiva del contenuto del contratto quando pone l'obbligo di regolare in modo conforme il rapporto (articoli 2066, 2077), quando stabilisce il divieto di pattuire clausole ritenute contrarie ad un interesse da tutelare (articoli 1229, 1379, 1654, 1815, 1838, 1932, 2113, 2265, 2596, 2744) ovvero fa divieto di promettere prestazioni inique (art. 1447), o sproporzionate alla controprestazione (art. 1448), quando rinvia ad altre fonti normative la determinazione del contenuto inderogabile del contratto (calmiere, tariffe di prestazioni, ecc.: art. 1339; art. 12 decreto legislativo 15 settembre 1947, n. 896).
La norma è fonte indiretta di vincoli alla libera determinazione del contenuto stesso quando preordina l'approvazione amministrativa delle condizioni che siano state predisposte in via uniforme per tutti i rapporti identici (art. 1679 cod. civ.; art. 19 e segg., r. d. 29 aprile 1923, n. 966, per le imprese di assicurazione); con il che non si vuole affermare che le condizioni generali di contratto, dopo l'approvazione amministrativa, diventino norme giuridiche, o che l'approvazione stessa vincoli all'osservanza di tutte le clausole approvate. L'approvazione mira soltanto a controllare se l’attività contrattuale dell'impresa può essere lesiva dell'ordine giuridico, mentre fonte dell'obbligatorietà delle clausole approvate e la legge, che subordina all'osservanza di esse la concessione del servizio pubblico o l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa. L'inderogabilità delle clausole approvate e poi in funzione del loro carattere determinante rispetto all'atto di approvazione: se può ritenersi che questa non sarebbe stata data quando le condizioni generali avessero contenuto la clausola derogante, la deroga dovrà considerarsi violatrice del vincolo costituito dall'approvazione; in ogni altro caso la deroga e efficiente. Non è a distinguere, quindi, come si è fatto, fra clausole rispetto alle quali l'approvazione è data a garanzia della parità di trattamento riservata ai singoli, che sarebbero inderogabili, e clausole rispetto alle quali l'approvazione serve ad assicurare regolare funzionamento dell'impresa e ad evitare la concorrenza con altre imprese esercenti uguale attività, che sarebbero derogabili; perché anche in questo ultimo caso l'approvazione condiziona la concessione del servizio pubblico o l'autorizzazione all'esercizio dell'impresa.
Si noti, ad ogni modo, che, di massima, l’obbligo di contrarre importa un vincolo alla determinazione del contenuto del contratto. Questa determinazione, infatti, non può essere lasciata all'arbitrio della parte tenuta a contrarre, senza attenuare la forza vincolante dell'obbligo che le fa carico, il quale soprattutto importa parità di trattamento di coloro che chiedono la conclusione del contratto (art. 2597).
Si noti ancora che di contenuto necessario del contratto deve discorrersi in un doppio senso: o la norma detta una disciplina rigida che non può essere in alcun modo sorpassata, salva la determinazione di effetti secondari ed accessori, come avveniva, ad esempio, in regime corporativo, per l'atto costitutivo delle associazioni professionali destinate al riconoscimento, o il contenuto del contratto è predisposto su un piano elastico, che è suscettibile di flessione, e cioè consente di comporre il contratto con clausole che danno un risultato di maggior favore per l'interesse che la norma ha voluto tutelare (articoli 1932, 2077 cod. civ.; articoli 424, 953 cod. nav.; art. 12 citato decreto legislativo 15 settembre 1947, n. 896).
IV) Limiti derivanti dalla determinazione legale degli effetti giuridici del contratto: a) tutela dell’affidamento
L'esigenza di tutelare l'affidamento che il terzo ha tratto dal significato obiettivo della dichiarazione fattagli (art. 1362) costituisce un limite all'autonomia contrattuale derivante dalla disciplina legale degli effetti del rapporto, perché fa prevalere il significato obiettivo della dichiarazione della parte sulla volontà che questa poteva avere.
Si suole ricondurre tale tutela ad un principio di autoresponsabilità, ritenuto quale indissolubile portato dell'autonomia della volontà, e risolventesi nell'obbligo di soggiacere alle conseguenze onerose della propria iniziativa giuridica, allo stesso titolo che attribuisce i1 diritto di apprenderne le conseguenze vantaggiose. Comunque sia, sembra indubbio che l'affidamento si viene a garantire non soltanto in via di interpretazione della volontà contrattuale, ma anche sul terreno della rilevanza dei vizi del contratto. Infatti l'ordinamento giuridico non presta efficacia alla volontà dell'autore della dichiarazione quando essa non corrisponde alla rappresentazione che può obiettivamente fame colui al quale la dichiarazione e diretta, e viceversa dà effetto alla dichiarazione inficiata da un vizio se l'anomalia non era inescusabilmente riconoscibile dalla controparte (articoli 1428 e 1433; cfr. articolo 428). Nel primo caso i1 dichiarante non ottiene il risultato che si riprometteva dal compimento dell'atto di autonomia, e vi è mutamento nella considerazione degli effetti garantiti all'atto, rispetto agli effetti voluti, cioè, coazione alla volontà circa il contenuto dell'atto; nel secondo caso il dichiarante soggiace ex lege alle conseguenze della dichiarazione come se fosse valida, donde vi è coazione alla volontà dell'atto.
c) conservazione del contratto
Anche il principio di conservazione dei contratti reca vincoli all'autonomia, imponendo di stare al rapporto, quando e nei limiti in cui sia possibile, nonostante l'anomalia che lo inficia e che avrebbe potuto determinare effetto distruttivo.
Il principio di conservazione dei contratti, studiato particolarmente a proposito dell'art. 1367, va oltre la materia dell'interpretazione, per affermare l'esigenza dell'ordinamento giuridico di fondare su una base di serietà ogni espressione dell'autonomia e di ogni iniziativa autonoma trarne massimo effetto utile. In fondo è lo stesso principio di autoresponsabilità, ricordato a proposito dell'affidamento (supra, sub n. II) che impone di mantenere il rapporto quando, purificato da ogni vizio originario o sopravvenuto, e potendo ugualmente realizzare l'effetto che era destinato a produrre o un effetto minore corrispondente ad un intento ugualmente perseguito dalle parti, non si giustificherebbe la sua distruzione se non con la tutela della capricciosa volontà della parte di liberarsi da una situazione onerosa da lei posta in essere volontariamente.
Gli istituti della nullità parziale (art. 1419), della convalida (articolo 1444), della conversione (art. 1424) e della correzione (articoli 1432, 1339) del contratto devono perciò riportarsi al principio di conservazione alla stessa stregua della regola contenuta nell'art. 1367; ma soltanto la conversione e la correzione si risolvono in un vincolo all'autonomia contrattuale, in quanto solo esse impediscono, alla parte che avrebbe potuto far valere la nullità, la rescissione o la risoluzione, di riacquistare autonomia giuridica rispetto al bene dedotto in contratto e, contro la volontà della parte che avrebbe potuto ottenerne la distruzione, mantengono in vita il rapporto, sia pure con effetti minori o modificati. La nullità parziale presuppone una scindibilità del rapporto, in modo che rispetto alla parte sana di esso non si può prospettare alcuna pretesa distruttiva; la sanatoria è atto volontario della parte che avrebbe potuto chiedere l'annullamento del rapporto al quale l'altra parte è rimasta tenuta.
d) efficacia soggettiva del contratto
Ulteriore limite all'autonomia contrattuale scaturisce dalla determinazione legale circa l'efficacia soggettiva dei contratti.
Nell'art. 1321 il contratto è descritto come vincolo fra le parti che lo producono (« accordo... fra loro»); nell'art. 1372 si proclama che esso ha forza di legge tra le parti, e che produce effetto rispetto ai terzi soltanto nei casi previsti dalla legge. Dopo tutto, questa posizione della legge è un dato naturale e logico prima che giuridico, perché ogni sfera individuale può essere dominata soltanto dal suo titolare, la cui volontà non è suscettibile di piegarsi ad una volontà esterna che non sia la volontà della legge. Comunque sia, certo è che il limite all'efficacia soggettiva del rapporto regolato dal contratto è anche limite all'autonomia della volontà, di cui il contratto è espressione, perché, a causa della esistenza del limite, rimane chiaro che il potere della volontà non si potrà esercitare se non nella direzione di quei soggetti verso i quali il contratto riceve tutela da parte dell'ordinamento giuridico. Da ciò in primo luogo la conseguenza che la volontà del soggetto non ha il potere di produrre contratti costitutivi di diritti reali atipici che restringerebbero, oltre alla libertà di chi li produce, anche quella di chi acquista un diritto sulla cosa oggetto del diritto atipico; da ciò ancora la conseguenza che non sia consentita la produzione di contratti atipici ad effetti reali, che imporrebbero ugualmente ai terzi vincoli da loro non consentiti rispetto alla cosa oggetto del contratto; da ciò infine l’inammissibilità della produzione di tipi contrattuali nuovi, che costituissero un qualsiasi vincolo alla libertà giuridica dei terzi (ad esempio: negozio atipico di disposizione di un credito, che dovrebbe essere osservato dal debitore).
Né basta, perché, nei casi in cui l'ordinamento giuridico assoggetta al presupposto dell'osservanza di alcune forme l'effetto estensivo a terzi di un contratto ai quali essi non partecipano (notifica della cessione del credito: art. 1264; notifica della cessione del contratto: art. 1407; trascrizione: art. 2643 e segg.), l'osservanza di queste forme è condizione dell'esercizio del potere di creare atti efficaci oltre alla sfera delle parti, e perciò l'atto di autonomia non può dirigersi alla produzione di un rapporto che si imponga ai terzi indipendentemente dall'osservanza della forma prescritta.
Si noti che ogni limite soggettivo all'efficacia del contratto si pone soltanto perché l'atto di autonomia provochi effetti diretti nella sfera giuridica d'altri; per altri scopi non vi è limite al valore dell'atto stesso. Così esattamente si afferma che ogni rapporto ha valore verso i terzi, in quanto fatto giuridico, la cui esistenza deve essere da ognuno riconosciuta come deve essere da ognuno riconosciuto qualsiasi mutamento del mondo esterno.
Si parla di contratto a danno di terzi; ma i principi che regolano l'argomento determinano nuova conferma alla regola secondo la quale l'interesse del terzo costituisce limite all'autonomia della volontà, perché, o la legge attribuisce al terzo che ha avuto pregiudizio dal contratto il potere di farlo dichiarare inefficace (articoli 1415 e 2901), o gli conferisce il diritto di chiedere il risarcimento del danno, se il contratto produce una lesione concreta nella sfera del terzo (art. 2043). Questa lesione è una conseguenza di mero f atto del rapporto costituitosi, e perciò la possibilità che si produca non addita la possibilità di interferenze giuridiche tra l'atto di autonomia e l'ambito del terzo.