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Biodiritto e bioetica -

La maternitą surrogata nel confronto tra ordinamenti: le normative e le prassi in italia, india e california.

AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2019
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi Roma Tre
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
L’espressione “maternità surrogata” indica la situazione in cui una donna si presta a portare a termine la gravidanza per conto di una coppia sterile alla quale s’impegna a consegnare il nascituro. È un fenomeno affatto nuovo -se ne rinvengono, infatti, tracce nei diritti antichi- che lo sviluppo scientifico e tecnologico ha contribuito a rendere più complesso e diffuso. La figura della madre gestante può dar luogo a diverse fattispecie, a seconda che provveda alla sola gestazione o partecipi al concepimento dell’embrione con il proprio patrimonio genetico. Nel primo caso di parla di accordo di maternità surrogata gestazionale, nel secondo di accordo tradizionale. Ad accomunare queste ipotesi è la radicale scissione tra la madre genetica, gestante e sociale che mette in crisi il principio per cui è madre colei che ha partorito il neonato. Nella maternità surrogata il criterio gestativo convive con la regola genetica. La questione si è posta per la prima volta all’attenzione delle corti californiane con il caso Johnson c. Calvert nel 1993. Da un’attenta analisi delle fonti legislative emergeva che sia la madre intenzionale che la madre surrogata potevano vantare un titolo per pretendere legittimamente l’affidamento del neonato. I giudici quindi ritenevano di dover valorizzare l’intenzione delle parti nella formazione dell’accordo e, dunque, considerare il neonato come figlio della coppia committente. Il criterio dell’intent è utilizzabile anche nei casi in cui i genitori intenzionali facciano ricorso a dei donatori. In una simile situazione infatti non è ipotizzabile l’applicazione della regola genetica. Quest’ultima tuttavia permette di ancorare la responsabilità genitoriale ad un dato scientifico certo ed è preferita dal legislatore indiano. Una simile scelta tutela il minore poiché nella maggior parte degli ordinamenti il concetto di famiglia dà rilevanza alla discendenza genetica e l’atto di nascita esplicherà i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti che vantano un legame biologico con il neonato. Se è concluso un contratto gestazionale il bambino sarà considerato, anche dall’ordinamento di destinazione, come membro della nuova famiglia, altrimenti sarà figlio della madre intenzionale e, di conseguenza, cittadino indiano. La concessione della cittadinanza indiana è stata introdotta dal Surrogacy regulation Bill nel 2016 per evitare che il minore dovesse considerarsi apolide tutte le volte in cui l’ordinamento di destinazione non riconosceva la validità del contratto di maternità surrogata. Emblematico è il caso Baby Manji nel quale la bambina rimase coinvolta in un limbo diplomatico senza la possibilità di ottenere i documenti per rientrare il Giappone insieme al padre. L’apolidia rappresenta solo uno dei vulnera che il best interest of the child subisce in caso di mancata trascrizione dell’atto di nascita. La tensione è dunque in nuce tra l’interesse dello Stato al rispetto dell’ordine pubblico e il diritto del minore al rispetto della propria vita privata e familiare. Ci si trova dinanzi ad un’impasse difficilmente risolvibile: o si afferma che il divieto di maternità surrogata -in Italia stabilito dalla legge n. 40/2004 e comunque interpretativamente derivabile dalle norme della Costituzione e del codice civile- non è provvisto di alcuna sanzione per cui si permette di sanare attraverso fatti concludenti una situazione contraria al diritto, o si puniscono i genitori intenzionali con conseguenze che ricadono sul soggetto da proteggere. La Corte EDU ha provveduto a limitare le ipotesi di intervento dello Stato alle sole circostanze in cui non si è ancora creato un rapporto stabile tra il minore e la coppia committente, senza tuttavia indicare un lasso di tempo sufficiente affinché ciò avvenga. Come in ogni campo del diritto il legislatore è chiamato a fare una scelta che tenga conto dei mutamenti tecnici e sociali. In conclusione, concordando con la massima dell’ordinanza del tribunale di Roma del 2000, la maternità surrogata ridefinisce il concetto di famiglia nella quale la nascita del minore diventa una fattispecie a formazione progressiva. Si rende necessaria una rilettura storicamente orientata del criterio dell’art. 269 c.c., che attribuisca la maternità alla gestante solo nei casi in cui sia anche legata geneticamente al nascituro.

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