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Articolo 1180 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Adempimento del terzo

Dispositivo dell'art. 1180 Codice Civile

L'obbligazione può essere adempiuta da un terzo [1201, 1203 n. 3, 1208 n. 2, 1406, 1717, 1950](1), anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione [1201, 1656, 1811, 2036, 2222, 2230](2).

Tuttavia il creditore può rifiutare l'adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione [1236, 1936](3).

Note

(1) Il terzo può adempiere spontaneamente e senza esservi obbligato, come nel caso di debito del figlio estinto da un genitore, ovvero pagare previo accordo con il debitore. Tale ultima ipotesi rimane distinta da quella dell'accollo (1273 c.c.), con il quale il terzo assume solo l'obbligo di adempiere. L'adempimento del terzo condivide con la delegazione di pagamento la funzione immediatamente solutoria (1269 c.c.), ma se ne distingue perché in essa il terzo dichiara di adempiere su incarico del delegante, cui è imputato il pagamento. L'adempimento del terzo è atto negoziale che ne presuppone la capacità. Se il terzo adempie nell'erronea convinzione di estinguere una propria obbligazione si configura indebito soggettivo (2036 c.c.) che gli consente di agire per la ripetizione.
(2) Il creditore può legittimamente rifiutare l'adempimento del terzo se l'obbligazione è infungibile, cioè deve essere eseguita personalmente da quel debitore, come, ad esempio, nel caso di un noto pittore che deve eseguire un ritratto. In caso di obbligazioni fungibili il rifiuto è ammissibile solo se c'è un rischio oggettivo di pericolo per l'interesse del creditore, come nel caso in cui il terzo sia un minore (v. 1425 c.c.).
(3) L'ultimo comma disciplina l'ipotesi in cui il creditore non potrebbe, di sua iniziativa, rifiutare l'adempimento del terzo: in tal caso egli ha la facoltà, comunque non l'obbligo, di rifiutare.

Ratio Legis

La norma ammette l'adempimento del terzo anche se questi non abbia alcun interesse in tal senso ed agisca spontaneamente. Il limite è dato dalla eventuale opposizione del debitore: pertanto, in capo al terzo non può riconoscersi un vero diritto ad adempiere ma solo un potere. Tuttavia, secondo la dottrina, può configurarsi un diritto se il terzo ha prestato garanzia reale, mediante costituzione di un pegno (v. 2784 c.c.) o un'ipoteca (v. 2808 c.c.) su un suo bene. In tal caso il legislatore privilegia l'interesse del terzo a non subire l'espropriazione del bene.

Brocardi

Solvendo quisque pro alio, licei invito et ignorante, liberat eum
Solvere pro ignorante et invito, cuique licet

Spiegazione dell'art. 1180 Codice Civile

L’adempimento del terzo nel vecchio e nel nuovo codice

La possibilità di adempimento dell'obbligo da parte del terzo — s'intende per sua esclusiva iniziativa, cioè senza preventivo accordo con il debitore (nel qual caso si avrebbe un'espromissione) — era già prevista dagli articoli 1238 e 1239 del codice abrogato: per il primo « le obbligazioni possono estinguersi con il pagamento fatto da qualunque persona che vi ha interesse come da un coobbligato o da un fideiussore. Possono anche essere estinte con il pagamento fatto da un terzo che non vi ha interesse purché questo terzo agisca in nome e per la liberazione del debitore e, ove agisca in nome propri, non venga a sottentrare nei diritti del creditore », per il secondo « l'obbligazione di fare non può adempiersi da un terzo contro la volontà del creditore, ove questi abbia interesse che sia adempiuta dal debitore medesimo ».

Poiché la persona del solvens non può, salvo che la natura della prestazione (es. di fare, con riguardo alle qualità personali del debitore) vi si opponga, ritenersi essenziale alla validità dell'adempimento dell'obbligo come, invece, quella dell'accipiens il quale, e lo si vedrà, deve essere legittimato a ricevere, si comprendono le disposizioni del vecchio art. 1238 e del nuovo art. 1180, che se sono teleologicamente identici, hanno, però, avuto una modifica nei presupposti e nella forma. Per la forma si rileva che i vecchi articoli 1238 e 1239 sono stati fusi in uno, per i presupposti l'art. 1238 considerava separatamente che ad adempiere la prestazione fosse stato un terzo interessato o un terzo non interessato e che quest'ultimo, poi, avesse agito in nome proprio o in nome del debitore. L'art. 1180 invece non ha mantenuto tali distinzioni che si erano dimostrate prive di rilevanza: infatti mentre l'ipotesi prevista dal primo comma dell’ art. 1238 era quella di prestazione effettuata da persone che vi avevano interesse (nel qual caso si dubitava che si potesse parlare di adempimento del terzo in quanto il solvens era un coobbligato) e l'ipotesi di cui alla prima parte del capoverso si prestava alla stessa considerazione (non è terzo chi paga in nome del debitore), nel capoverso che, invece, contemplava in effetti l'adempimento del terzo si richiedevano, per la validità di questo, alcuni requisiti che se non erano proprio in contrasto con i principi che regolavano la surrogazione convenzionale, si rivelavano per lo meno inutili, poiché presupponendo la surrogazione determinate condizioni era intuitivo che mancando una soltanto di queste essa non poteva verificarsi. In altri termini, se lo scopo della norma in esame era sicuramente quello di impedire che un terzo, effettuando la prestazione, si surrogasse nei diritti del creditore, esso doveva dirsi già raggiunto dalle norme che escludevano la surrogazione convenzionale quando non si verificavano le. ipotesi dalla legge volute.

L’analisi dell’art. 1180, comparata con quella dell'art. 1238, consente di fissare i punti nei quali le due disposizioni si differenziano. Il nuovo articolo non parla più, come si è detto, di terzo interessato e
di terzo non interessato all'adempimento: una simile distinzione mal si reggeva di fronte alla constatazione che per l'uno e per l'altro terzo sussiste, con pari intensità ed efficacia, l' animus solvendi.
Ma la fungibilità della prestazione, che qui si potrebbe qualificare soggettiva, si differenzia da quella oggettiva che si verifica quando le cose dovute sono le une con le altre sostituibili — può venir memo o oggettivamente, cioè per l'indole della prestazione promessa (casi di obblighi di fare) o soggettivamente, cioè per la particolare considerazione in cui le parti hanno voluto tenere la prestazione medesima.

L'indifferenza del soggetto che adempie può essere pregiudizievole sia per il creditore che per il debitore: al primo perché desume giustamente, (ad es. dal pagamento degli interessi da parte del debitore) un atto ricognitivo del debito interruttivo di una prescrizione in corso: ed ecco che al diritto del creditore di conseguire la cosa dovuta si unisce il diritto dello stesso creditore di ricevere la prestazione dal debitore personalmente. Ma un interesse a che l'obbligazione sia soddisfatta da lui e non da altri può sussistere anche nello stesso debitore: è questo caso che, sebbene non previsto dal codice del 1865, dottrina e giurisprudenza fondatamente avevano ricondotto entro i confini dell'art. 1239, ed è stato conseguenetmente regolato dal nuovo codice, il quale ha dato facoltà al creditore di rifiutare l'adempimento da parte del terzo se il debitore gli ha manifestato (rectius: notificato) la sua opposizione. Sennonché, trattandosi di mera facoltà (l'articolo dice « può »), il creditore potrebbe anche accettare la prestazione che gli offre il terzo.

Un altro punto di divergenza tra il vecchio ed il nuovo codice sta nel fatto che mentre l'art. 1239 si riportava, per il modo in cui era formulato, esclusivamente agli obblighi di fare, l'articolo 1180 invece generalizza e comprende qualsiasi specie di prestazione, sia fare sia di dare. L’estensione si comprende perché se e vero che, di regola, l’ obbligo di fare non tollera sostituzione del debitore e se anche quello di dare spesso deve essere adempiuto dallo stesso obbligato, ben può verificarsi che per altre prestazioni, le quali si prestano per la loro indole ad essere adempiute da persona diversa dal debitore, il creditore abbia un interesse, morale o patrimoniale, ad evitare mutamenti nella persona del solvens.
Riassumendo: il terzo può eseguire lui stesso, animo solvendi debiti alieni, la prestazione al creditore, a meno che costui non abbia interesse a che il debitore vi adempia personalmente, quando questi non abbia notificato al creditore la sua opposizione all'adempimento da parte del terzo; ma il terzo non può eseguire la prestazione contro la volontà espressa del creditore e del debitore, e ciò si comprende poiché una cosa è estinguere un obbligo contro la volontà di una delle parti del rapporto, altro è estinguerlo contro la volontà concorde di entrambe le parti. Infatti ammettere quest'ultimo principio significherebbe, in definitiva, ammettere che un obbligo possa estinguersi nonostante i soggetti — attivo e passivo — vogliano mantenerlo in vita.


Presupposti per la validità della prestazione del terzo

La validità della prestazione del terzo è regolata da norme che in parte coincidono con quelle che disciplinano la prestazione del debitore, in parte ne divergono. Cosi il terzo:
a) dovrà essere capace di effettuare il pagamento (all'opposto del debitore) ;
b) non potrà (come il debitore) nè adempiere in parte, né costringere il creditore a ricevere aliud pro alio: a questo principio una dottrina ha derogato per la compensazione, ma senza fondamento, ammettendo, cioè, che il terzo possa opporre al creditore tale mezzo di estinzione di un debito che egli ha verso di lui.


Effetti

Per concludere sull'adempimento da parte del terzo è necessario accennare agli effetti che si producono e nei riguardi di costui e di riflesso sul rapporto obbligatorio esistente tra debitore e creditore.

Sotto il primo aspetto vanno distinte le ipotesi: a) del terzo che adempia animo donandi; b) del terzo che adempia in nome del debitore; c) del terzo che adempia in nome proprio ; d) del terzo che adempia, ritenendo, erroneamente, di solvere un proprio obbligo; e) del terzo che adempia e venga surrogato nei diritti del creditore o da costui direttamente o dal debitore.

Su ciascuna delle anzidette situazioni vi sono delle osservazioni da svolgere:
a) Quanto alla prima ipotesi, accertato nel solvens l' animus donandi e l'osservanza, se necessaria, delle forme volute dalla legge per il negozio di liberalità, ogni rapporto tra debitore e solvens e tra questo ed il creditore sarà disciplinato dalle norme relative alla donazione;

b) Quanto alla seconda situazione, il terzo che adempie in nome del debitore potrà farlo o in forza di una rappresentanza legale o a seguito di un mandato che abbia ricevuto dal debitore: contro di questo, egli, conseguentemente, proporrà l'azione derivante da quel rapporto che lo lega al debitore oppure, senza che vi sia stato alcun rapporto legale o convenzionale con il debitore, l'adempimento del terzo potrà in tal caso essere considerato una gestio negotiorum che lo legittimi ad agire contro il debitore in base all'utilitas che costui ha conseguito dal fatto del terzo. A supporto di tale tesi basti considerare gli elementi costitutivi della gestione d'affari ( art. 2028 del c.c.), è però necessario che la prestazione non sia stata effettuata dal terzo contra prohibitionem debitoris, perché qui, non trattandosi di un divieto contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume, che è improduttivo di effetti, non si potrà parlare di gestione di affari (art. 2031 cpv.).

c) Relativamente al terzo punto, il terzo, che scientemente (cioè sapendo di estinguere un ob-bligo altrui) adempie in nome proprio, potrà solo proporre un'azione che, fondata sul principio per cui a nessuno e consentito di arricchirsi senza una giusta causa a danno di altri, gli consentirà di essere indennizzato dal debitore della correlativa diminuzione patrimoniale subita (art. 2040 del c.c.).

d) Se il terzo ha effettuato la prestazione in base ad errore scusabile, potrà ripetere ciò che ha pagato, purché il creditore non si sia privato in buona fede del titolo e delle garanzie del credito (art. 2036, comma 1).

e) Quanto all’ultima ipotesi, qui il terzo avrà nella surroga il mezzo per far valere i suoi diritti nei confronti del debitore.

Sotto il secondo aspetto, non vi è dubbio che, ritenuta valida la prestazione, si verifichi l'estinzione del rapporto obbligatorio tra debitore e creditore per adempimento dell'obbligo primario. Il rilievo secondo cui in tal caso si ha un adempimento dell'obbligo dovuto non al debitore è esatto in quanto precisa da parte di chi viene effettuata la prestazione, e non può essere portato, come si vorrebbe, alla conseguenza che si debba vedere in esso non il soddisfacimento dell'obbligo, ma invece, una prestazione in luogo dell’ adempimento. Questa conclusione sulla natura giuridica della prestazione non tiene nel dovuto conto che il terzo adempie quanto era addossato allo stesso debitore, infatti la datio in solutum si risolve nella sostituzione, efficace se fatta secundum legem, di un oggetto diverso da quello dedotto nel rapporto; nonché, da ultimo, va ricordato che la datio in solutum è causa d'estinzione di un obbligo.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

65 La norma concernente l'adempimento del terzo (art. 75) comprende, in linee più sintetiche e precise, gli articoli 1238 e 1239 cod. civ. (articoli 171 e 172 progetto del 1936).
E' stata eliminata la irrilevante distinzione tra terzi interessati all'adempimento e terzi non interessati, e l'altra distinzione tra terzi che pagano in nome proprio e terzi che adempiono in nome del debitore.
Si è generalizzata la disposizione dell'art. 1239 cod. civ., perché contiene un principio comune a tutte le obbligazioni e non è solo limitato a quelle di fare, per quanto in queste sia di più frequente applicazione.
Si è in definitiva migliorata notevolmente la formula dell'art. 1238, la quale, fra l'altro, sembrava porre un divieto di surrogazione per il caso di pagamento di un terzo non avente interesse, divieto che, invece, non si poteva conciliare con le norme relative alla surrogazione convenzionale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

560 La possibilità di adempimento da parte del terzo è stata prevista art. 1180 del c.c. senza distinguere tra terzo interessato e terzo non interessato, come faceva l'art. 1238 del c.c. del codice civile abrogato. La distinzione serviva, per il codice stesso, anzitutto ad esigere, nel secondo caso, che il terzo agisse in nome e per la liberazione del debitore. Che però il terzo debba necessariamente aver l'animo di liberare il debitore, si desume dalla natura del pagamento; questo implica sempre animus solvendi, e l'animus solvendi, com'è naturale, deve esistere, perchè si abbia pagamento, non solo quando solvens sia il terzo non interessato, ma anche quando sia solvens un terzo interessato o lo stesso debitore. La distinzione, da questo aspetto, non aveva quindi ragion d'essere. Essa poi aveva dato luogo a gravi dubbi, perchè, riferendosi al caso in cui il terzo non interessato pagava in nome proprio, il suddetto art. 1238 del c.c. richiedeva, quale condizione di legittimazione alla solutio, che il terzo non sottentrasse nei diritti del creditore. Questa determinazione è sembrata ad alcuni in contrasto con i principii della surrogazione convenzionale, ad altri assolutamente inutile; in modo che nemmeno da questo secondo aspetto la distinzione tra terzo interessato e terzo non interessato poteva accogliersi. Dei divieti di adempimento ad opera del terzo posti dal codice del 1865 è rimasto quindi soltanto quello dell'art. 1239 del c.c., riferibile alla prestazione che per sua natura deve essere eseguita solo dal debitore. L'art. 1239 del c.c. però si riportava esclusivamente alle obbligazioni di fare, mentre anche per le prestazioni di dare si può profilare l'interesse del creditore, per lo meno in concreto, ad evitare mutamenti nella persona del solvens; pertanto l'art. 1230 del c.c. andava generalizzato, in modo da comprendere qualsiasi prestazione. Si è aggiunto però, con il secondo comma dell'art. 1180 del c.c., il diritto del creditore di rifiutare l'adempimento del terzo quando il debitore ha preventivamente manifestata la sua opposizione.

Massime relative all'art. 1180 Codice Civile

Cass. civ. n. 29528/2022

In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una obbligazione concorrente del datore di lavoro apparente per i contributi dovuti agli enti previdenziali, fatta salva l'incidenza satisfattiva dei pagamenti eventualmente eseguiti da terzi, ai sensi dell'art. 1180, comma 1, c.c., ovvero dallo stesso datore di lavoro fittizio, senza che assuma rilievo la consapevolezza dell'altruità del debito, atteso che, in caso di indebito soggettivo, anche il pagamento effettuato per errore è qualificabile, in forza del coordinamento tra gli artt. 1180 e 2036 c.c., come pagamento di debito altrui, con efficacia estintiva dell'obbligazione in presenza delle condizioni di cui all'art. 2036, comma 3, c.c..

Cass. civ. n. 35786/2021

L'adempimento del terzo, ai sensi dell'art. 1180 c.c., per avere effetto liberatorio deve avere carattere specifico e assolutamente conforme all'obbligazione del debitore; tale accertamento di fatto è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito ed è, quindi, insindacabile in sede di legittimità, se non quale vizio di motivazione nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come modificato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012.

Cass. civ. n. 26694/2020

Qualora un pacchetto turistico del "tour operator" venga acquistato per il tramite di un'agenzia di viaggi, quest'ultima agisce, al contempo, come mandataria sia all'acquisto per conto del cliente sia alla vendita per conto del medesimo "tour operator", ed in tal veste assicura la conclusione, tra i predetti mandanti, del contratto di viaggio, sicché i diritti e gli obblighi relativi a tale ultimo rapporto sorgono direttamente tra "tour operator" e cliente finale. Ne consegue che l'adempimento, da parte dell'agente di viaggi, di un obbligo restitutorio del "tour operator" nei confronti del cliente (nella specie, la restituzione del prezzo del pacchetto turistico), per un verso, preclude all'agente di ripetere quanto versato al proprio cliente finale, posto che costui ha il diritto di ricevere il rimborso di quanto versato per un servizio non ricevuto ed a trattenere l'utilità ricevuta, e, per altro verso - in difetto di un'azione titolata tra "solvens" e debitore indirettamente beneficiato dell'adempimento eseguito dal primo -, legittima l'agente di viaggi a proporre nei confronti del "tour operator" l'azione generale di arricchimento senza causa di cui all'art. 2041 c.c.

Cass. civ. n. 24976/2020

L'adempimento del debito altrui può avvenire sia direttamente sia per il tramite di un mandatario; in tale ultima ipotesi, la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 1180 c.c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferimento alla persona del mandante, non a quella del mandatario.

Cass. civ. n. 20878/2020

Per aversi accettazione tacita di eredità non basta che un atto sia compiuto dal chiamato all'eredità con l'implicita volontà di accettarla, ma è altresì necessario che si tratti di atto che egli non avrebbe diritto di porre in essere, se non nella qualità di erede. Pertanto, poiché il pagamento di un debito del "de cuius", che il chiamato all'eredita effettui con danaro proprio, non è un atto dispositivo e, comunque, suscettibile di menomare la consistenza dell'asse ereditario - tale, cioè, che solo l'erede abbia diritto a compiere - ne consegue che rispetto ad esso difetta il secondo dei suddetti requisiti, richiesti in via cumulativa e non disgiuntiva per l'accettazione tacita. (Nella specie, la S.C. ha escluso che il pagamento, ad opera di uno dei chiamati all'eredità, di una sanzione pecuniaria elevata nei confronti del "de cuius", per contravvenzione al codice della strada, potesse intendersi alla stregua di un atto di accettazione tacita, trattandosi di atto meramente conservativo e comunque compatibile, in tesi, con un'ipotesi di adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.). (Cassa con rinvio, TRIBUNALE ROMA, 25/05/2016).

Cass. civ. n. 8101/2020

L'adempimento del debito altrui può avvenire sia direttamente sia per il tramite d'un mandatario; in tale ultima ipotesi, la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 1180 c.c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferimento alla persona del mandante, non a quella del mandatario.

L'adempimento dell'obbligo del terzo, così come di qualsiasi altra obbligazione fungibile, può avvenire sia personalmente, sia per il tramite di un terzo, che può assumere la veste di un mero rappresentante (art. 1387 c.c.) o di un mandatario (art. 1703 c.c.). Dunque per mezzo di un mandatario o rappresentante è possibile adempiere sia l'obbligazione propria, sia l'obbligazione altrui. Il mandatario che esegua un pagamento ad un terzo per conto del mandante non è assimilabile al terzo che adempie per il debitore ai sensi dell'art. 1180 c.c.

Cass. civ. n. 31572/2019

Nell ipotesi di estinzione dell'obbligazione pecuniaria per effetto dell'adempimento spontaneo di un terzo, secondo la previsione dell'art 1180 c.c., il pagamento resta riferibile a quest'ultimo, al quale soltanto, pertanto, spetta l'azione di ripetizione dell'indebito oggettivo, secondo il principio per cui è chi esegue il pagamento non dovuto a poterne richiedere la restituzione. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della corte di merito, che aveva negato il diritto dei richiedenti alla restituzione delle somme versate in forza di un decreto ingiuntivo pronunciato nei loro confronti e poi revocato, perché il pagamento era stato eseguito da un terzo). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 28/11/2014).

Cass. civ. n. 26856/2019

Nell'adempimento del debito altrui da parte del terzo, mancando nello schema causale tipico la controprestazione in favore del disponente, si presume che l'atto sia stato compiuto gratuitamente, pagando il terzo, per definizione, un debito non proprio e non prevedendo la struttura del negozio nessuna controprestazione in suo favore; pertanto, nel giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di tale atto, ai sensi dell'art. 64 l.fall., incombe al creditore beneficiario l'onere di provare, con ogni mezzo previsto dall'ordinamento, che il disponente abbia ricevuto un vantaggio in seguito all'atto che ha posto in essere, in quanto questo perseguiva un suo interesse economicamente apprezzabile. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 02/02/2016).

Cass. civ. n. 2207/2013

Ai sensi dell'art. 1180, comma secondo, c.c., il rifiuto del creditore all'adempimento da parte del terzo, in presenza di opposizione del debitore (la quale deve essere, a sua volta, dettata da situazioni giuridiche legittimamente tutelabili e deve ispirarsi all'osservanza del principio generale di cui all'art. 1175 c.c.), non deve essere contrario a buona fede e correttezza; ne deriva che il giudice è abilitato a sindacare detta contrarietà ogni qualvolta il terzo alleghi e deduca in giudizio l'esercizio abusivo del rifiuto da parte del creditore (anche in relazione alla legittimità delle ragioni dedotte dal debitore a fondamento della manifestata opposizione), che abbia così impedito allo stesso terzo - legittimato ed interessato a soddisfare il credito per i rapporti intercorrenti con il debitore, di cui il creditore sia stato reso edotto - di pagare in sostituzione del debitore estinguendo l'obbligazione, in funzione della legittima tutela di propri eventuali diritti.

Cass. civ. n. 23354/2011

L'adempimento del terzo, ai sensi dell'art. 1180 c.c., si realizza allorquando un soggetto diverso dal debitore effettua concretamente, in modo libero, spontaneo ed unilateralmente, il pagamento di quanto dovuto al creditore ovvero quella diversa prestazione dedotta in obbligazione. Ne consegue che l'adempimento del terzo deve avere carattere specifico e conforme all'obbligazione del debitore e non può, dunque, consistere in una generica disponibilità ad adempiere, tanto più se riguardi una non meglio specificata prestazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nell'ambito di una controversia avente ad oggetto la cessione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, aveva escluso che si potesse configurare un adempimento del terzo nella dichiarazione stragiudiziale di disponibilità al pagamento delle prestazioni del debitore cedente nei confronti del creditore ceduto effettuata dai cessionari del contratto anzidetto).

Cass. civ. n. 9946/2009

L'adempimento spontaneo di un'obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell'art. 1180 c.c., determina l'estinzione dell'obbligazione, anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce automaticamente al terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore, non essendo in tal caso configurabili né la surrogazione per volontà del creditore, prevista dall'art. 1201 c.c., né quella per volontà del debitore, prevista dall'art. 1202 c.c., né quella legale di cui all'art. 1203 n. 3 c.c., la quale presuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del debito; la consapevolezza da parte del terzo di adempiere un debito altrui esclude inoltre la surrogazione legale di cui agli artt. 1203 n. 5 e 2036, terzo comma, c.c., la quale, postulando che il pagamento sia riconducibile all'indebito soggettivo "ex latere solventis", ma non sussistano le condizioni per la ripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio; pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, stante l'indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore.

Cass. civ. n. 23292/2007

L'art. 1180 c.c. ha la funzione di attribuire al pagamento effettuato dal terzo effetto solutorio dell'obbligazione anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce all'adempiente un titolo che gli consenta di agire nei confronti del debitore allo scopo di ripetere la somma versata, essendo necessario, a tal fine, che sia allegato e dimostrato il rapporto sottostante tra terzo e debitore. Ne consegue che, nel caso in cui sia escluso che tra questi esista un rapporto di mutuo (e, comunque, non sia dimostrata l'esistenza di qualsiasi altra causa a sostegno dell'azione) il giudice non può accogliere la domanda in virtù della mera considerazione che, nella specie, sia effettivamente dimostrato l'avvenuto pagamento, ad opera del terzo, del debito altrui.

Cass. civ. n. 889/2006

L'adempimento del terzo, di cui all'art. 1180 c.c., non è inquadrabile nella previsione dell'art. 67, primo comma, legge fall., in quanto rientrano nella categoria di atti revocabili contemplati dalla predetta norma i contratti commutativi stipulati dall'imprenditore poi dichiarato fallito, qualora ricorra il requisito della notevole sproporzione tra le reciproche prestazioni, mentre, nel caso dell'adempimento del terzo, sussiste un contratto commutativo stipulato tra altri soggetti, in cui il terzo, poi dichiarato fallito, interviene solo come soggetto legittimato ad adempiere, e, quindi, non nella fase genetica, ma solo in quella di attuazione del negozio giuridico.

Cass. civ. n. 6728/1988

L'adempimento del terzo — consentito dall'art. 1180 c.c. - in tanto può avere effetto liberatorio per il debitore in quanto la prestazione sia regolarmente effettuata in modo conforme alla obbligazione del debitore, sicché, quando l'adempimento sia parziale, l'accettazione da parte del creditore non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce non precludendo conseguentemente al creditore di agire contro il debitore per il pagamento della parte residua del credito.

Cass. civ. n. 2651/1982

L'art. 1180 c.c., nel prevedere che il creditore non può rifiutare l'adempimento offerto dal terzo se non abbia interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione, presuppone identità della prestazione offerta con quella da eseguire. (Nella specie, si è ritenuto che il creditore aveva legittimamente rifiutato la prestazione offerta dal terzo a condizioni economiche più onerose).

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A. L. chiede
mercoledì 21/02/2024
“Salve, dovendo acquistare per me la prima casa, e volendo usufrure a tale titolo una somma di denaro (a mezzo di bonifico bancario o eventuamente tramite assegno circolare), che mi donerebbe mio padre nella misura di 170.000 euro (circa il 50% dell'intero importo), volevo capire se:
1) per tale donazione è necessario un qualche atto notarile?
2) è necessario in ogni caso farne menzione nell'atto di compravendita preliminare (o nell'atto di acquisto)?
3) è previsto in ogni caso il pagamento di una tassa all'Agenzia delle Entrate per la donazione in questione?
Grazie mille”
Consulenza legale i 27/02/2024
E’ molto frequente nella prassi negoziale che un figlio non disponga di risorse economiche sufficienti per acquistare un immobile (da destinare o meno a sua prima casa) ed affrontare tutte le spese a tal fine necessarie, comprese quelle relative al pagamento del notaio e delle imposte.
Per tale ragione, nello studio del notaio chiamato a rogare l’atto pubblico di compravendita sono soliti presentarsi, oltre al venditore ed al compratore, anche i genitori (o il genitore) dell’acquirente, chiamati lì ad intervenire per pagare tutto o parte del prezzo della compravendita dell’immobile, il quale, tuttavia, verrà intestato al figlio.

Ora, come viene esplicitamente chiesto nel quesito, il medesimo effetto dell’intestazione ad un soggetto (il figlio) di un bene il cui corrispettivo sia stato versato da un altro soggetto (i genitori) può realizzarsi anche per mezzo di una donazione di denaro, per la quale, in osservanza di quanto disposto dall’art. 782 del c.c., è richiesto pur sempre, pena la sua nullità, il rispetto della forma dell’atto pubblico (salvo il caso in cui dovesse trattarsi di donazione di modico valore, ex art. 783 del c.c.).
Tuttavia, come unanimemente affermato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, il rispetto della forma dell’atto pubblico si intende pienamente soddisfatto allorchè il pagamento da parte dei genitori ed in favore del venditore venga effettuato contestualmente alla stipula del contratto di vendita, venendosi giuridicamente a configurare quella che i giuristi definiscono “donazione indiretta”.

Ricorre l’istituto giuridico della donazione indiretta ogni qual volta, dal punto di vista economico, si raggiunge il medesimo risultato della donazione diretta, ovvero l’impoverimento della parte donante e l’arricchimento della parte donataria.
Nel caso in esame, ad impoverirsi sono ovviamente i genitori, mentre l’arricchimento si produce in capo al figlio, il cui patrimonio viene appunto accresciuto del bene acquistato con il denaro dei primi.
Infatti, in un unico passaggio, si vengono a realizzare due distinti risultati, e precisamente:
  1. il venditore riceve l’intero pagamento del prezzo;
  2. Il figlio non esborserà il denaro necessario per l’acquisto (o almeno parte di esso), in quanto i genitori avranno provveduto al pagamento del prezzo, senza ricevere nulla in cambio (per questo si assiste ad un loro impoverimento).

Proprio in considerazione del fatto che nella fattispecie negoziale sopra descritta si ravvisa una donazione indiretta, il notaio incaricato di ricevere il relativo atto è solito richiedere la presenza di due testimoni, onde soddisfare il requisito prescritto dall’art. 48 della Legge Notarile (Legge 16.02.1913 n.89), nella parte in cui dispone che la parte o le parti che sappiano leggere e scrivere hanno facoltà di rinunciare di comune accordo all’assistenza dei testimoni per tutti gli atti tra vivi, tranne le donazioni e i contratti di matrimonio.

Sotto il profilo meramente fiscale, è opportuno che nell’atto notarile di compravendita venga precisato che il denaro utilizzato per l’acquisto proviene dai genitori e che non si tratta di denaro del figlio; tale precisazione, infatti, consentirà di dissipare ogni ipotetico e futuro dubbio da parte dell’Agenzia delle Entrate circa la probabile incongruenza tra la dichiarazione dei redditi del figlio e l’acquisto fatto dallo stesso.

Per quanto concerne le modalità per realizzare il trasferimento di denaro, è ben possibile utilizzare sia lo strumento dell’assegno circolare che il bonifico preventivamente effettuato dal conto dei genitori a quello del figlio, onde creare su quest’ultimo conto la provvista necessaria per saldare il prezzo della compravendita (ciò che conta è che della modalità prescelta se ne dia atto nell’atto pubblico di compravendita per le ragioni di cui si è appena detto).
Del resto, si tenga presente che nel nostro ordinamento giuridico è consentito che qualsiasi persona, estranea al rapporto giuridico, si decida ad adempiere, in modo del tutto spontaneo, ad un obbligo a cui non sarebbe tenuto, perché facente capo ad un’altra persona, con l’unico limite, quale risultante dall’art. 1180 c.c., di una opposizione da parte del creditore o del debitore fondata su comprovate ragioni.

Con riferimento, infine, all’ultima delle domande poste nel quesito, va detto che la donazione indiretta, posta in essere secondo le modalità sopra descritte, non sconta alcuna imposta se collegata ad un atto, come la compravendita immobiliare, soggetto a IVA (se l’acquisto viene fatto da costruttore) o ad imposta di registro.


A.P. chiede
mercoledì 07/09/2022 - Sicilia
“Egregi Avvocati,
sono cointestatario a firma disgiunta del libretto postale pensione di mia mamma (solo io e mia mamma), e con la sua pensione pago tutte le sue utenze che, per comodità ho intestate io dal momento in cui abito presso la sua abitazione, pago inoltre tutte le le sue spese ordinarie e straordinarie, come ho sempre fatto in molti anni. Mia mamma: (di anni 98 attualmente in grado di intendere e volere), casa di proprietà SI, pensione SI, risparmi postali SI (pensione + buoni postali rimborsati e altri in scadenza da rimborsare). A suo tempo, ha ereditato dai genitori un terreno agricolo il quale successivamente è diventato edificabile, ceduto in permuta appalto con altri permutanti, l’impresa di costruzione non ha completato i lavori e ha dichiarato il fallimento. Il Tribunale ha emesso un decreto il 03/04//2022 addebitando ai permutanti tutte le spese dell’impresa appaltatrice nel seguente modo: Il CTU ha accertato i lavori complessivi eseguiti dalla appaltatrice pari ad € 445.650,00* + iva + c.p.a., la quota di mia mamma è di circa un terzo, e pertanto i lavori eseguiti a suo carico sono circa € 190.000,00 (iva compresa). Le relative spese processuali per la lite in favore della curatela del fallimento in € 15.276,27 (la quota di mia mamma) da pagare in due tate. La prima rata di € 7.776,27 tramite bonifico l’ho pagata io con i risparmi di mia mamma, la seconda rata di € 7.500,00 tramite bonifico l’ha voluta pagare mia sorella (con i suoi soldi) con una forte e irrevocabile insistenza. Premetto che, mia sorella non ha mai pagato e/o partecipato a nessuna spesa inerente il fallimento del costruttore: Notaio, Avvocati, ricorso al TAR, due volte il CTU, CTP e tante altre spese. In attesa del giudizio di primo e secondo grado del Tribunale, gli avvocati prevedono che, all’ottanta per cento sarà confermato l’importo come sopra indicato*. Mia mamma con tutti i suoi risparmi, pensione piu’ buoni postali da rimborsare, non riuscirà a coprire l’eventuale somma richiesta dal Tribunale. Nel maggio 2020, mia mamma dopo molti anni di indecisioni, per non pagare l’imposta di bollo annuale sul libretto postale e, con una donazione indiretta, mi ha dato oralmente pieni poteri sui suoi risparmi pensione, ed io in buona fede, in previsione di future e ulteriori spese fallimentari ho acquistato un buono dematerializzato e l’ho collegato ad un mio libretto postale cointestato a firma disgiunta con mia sorella, la quale non ha mai effettuato nessuna operazione di versamento, prelievo o altro nel suddetto libretto. Con una furbata, a febbraio 2022, ha fatto firmare a mia mamma tre deleghe per ricerca rapporti di risparmio postale, libretto pensione e buoni postali, in archivi cartacei ed elettronici, e per come prevedo anche nei miei confronti essendo lei cointestataria del mio libretto. A maggio 2022, viste le poco rassicuranti intenzioni di mia sorella, chiudo il libretto cointestato con mia sorella e trasferisco tutti i risparmi di mia mamma sul mio conto corente BancoPosta con acquisto buoni dematerializzati ad esso collegati, (solo io intestatario sul conto). Personalmente mi ritrovo in una condizione economica di notevole disagio.
Conclusione: a cosa posso andare incontro con il pagamento della seconda rata di € 7.500,00 di mia soerella ? A quale art. del c.c. si può collegare il suo unico pagamento fatto con forte e irrevocabile insistenza? Forse per poi potere rivendicare eventuali esenzioni o riduzioni per le spese fallimentari, sia nei miei confronti che di mia mamma? Oppure in previsione di una futura successione ereditaria? Come mi posso tutelare?
Grazie”
Consulenza legale i 18/09/2022
Ciò che si ritiene debba più preoccupare nel caso in esame non è tanto il pagamento da parte della sorella della metà delle spese processuali, quanto piuttosto tutte le movimentazioni finanziarie, dal conto della madre a quello del figlio, a cui nel quesito si fa riferimento.
La circostanza che la sorella abbia voluto provvedere a pagare con propri fondi una quota delle spese processuali, pari ad euro 7726,27 configura, da un punto di vista prettamente giuridico, un adempimento del debito altrui, come tale disciplinato dall’art. 1180 c.c.

Ricorre tale istituto giuridico allorchè un soggetto, diverso dal debitore, effettui concretamente il pagamento di quello che quest’ultimo deve al proprio creditore o la diversa prestazione che fosse stata dedotta in obbligazione.
In linea generale, fatto salvo il caso in cui il creditore abbia uno specifico interesse a che la prestazione venga effettuata dal debitore in persona, risulta irrilevante che l’adempimento proceda direttamente dal debitore anziché da un terzo.
Continuando nell’analisi della natura giuridica di tale istituto, va detto che l’adempimento del debito altrui da parte di un terzo deve qualificarsi come un atto libero, a cui va riconosciuta, almeno secondo la tesi prevalente, natura negoziale: nel terzo non sarebbe necessaria esclusivamente la consapevolezza di adempiere un debito altrui, ma anche la volontà diretta a questo risultato, vale a dire il cosiddetto animus solvendi.

In mancanza di specifico accordo tra le parti, risultante da un eventuale atto scritto, risulta alquanto complesso individuare correttamente e con certezza il c.d. rapporto sottostante sussistente tra terzo e debitore.
In genere tale rapporto viene individuato in un mandato senza rappresentanza (nel qual caso il mandante, ossia il debitore, sarà tenuto a rimborsare al mandatario, ossia il terzo adempiente, quanto versato al creditore ex art. 1719 del c.c.) ovvero in una donazione indiretta (c.d. liberalità non donativa, a cui fa riferimento l’art. 809 del c.c., e dalla quale ne discenderebbe, in considerazione della sua gratuità, la rinuncia a ripetere quanto pagato).

In mancanza di rapporti interni tra terzo e debitore, ovvero qualora non sia possibile avvalersi di alcun elemento probatorio in tal senso, il terzo potrà giovarsi della surrogazione del creditore ex art. 1201 del c.c. ed avrà, in ogni caso, diritto al rimborso secondo il principio dell’arricchimento senza causa.
Pertanto, la sola conseguenza che si può temere dalla ferma volontà della sorella di pagare una quota del debito facente capo alla madre è quella di poter vantare e far valere un credito di pari ammontare nei confronti della stessa, ora defunta, da inserire tra le passività ereditarie ai fini del calcolo della quota di riserva spettante a ciascun legittimario ex art. 556 del c.c..

Come si è accennato prima, però, non è tanto questo che deve preoccupare colui che pone il quesito (in quanto, in fondo, si tratta di restituire alla sorella quanto versato in luogo della madre debitrice), quanto piuttosto la cointestazione, a firma disgiunta, dei conti alimentati soltanto con somme di pertinenza della madre ed, in ultimo, l’operazione effettuata a maggio 2020, di acquisto con i risparmi della madre di un buono postale dematerializzato, collegato ad un libretto postale cointestato ad entrambi i figli, ma sul quale la sorella non ha mai operato.
Il compimento di tali atti, infatti, può da un lato legittimare la sorella, in sede di calcolo della quota di riserva, ad agire in giudizio per provare che le operazioni di cointestazione hanno dato luogo a donazioni indirette in favore del solo fratello e dall’altro legittimare eventuali creditori ad agire in revocatoria ex artt. 2901 e ss. c.c.
Sotto il primo profilo (quello della donazione indiretta) va osservato che, secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione (ordinanza n. 25684 del 22 settembre 2021), l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, può essere qualificato come donazione indiretta allorchè si riesca a provare e sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.

Sotto il secondo profilo, invece, ciò che si deve temere è che eventuali creditori possano, entro il termine di cinque anni (ex art. 2903 c.c.) agire in revocatoria al fine di ottenere la revoca dell’atto posto in essere nel maggio 2020, per effetto del quale, in pregiudizio degli stessi, sono state distolte somme di denaro dal patrimonio della madre debitrice per essere destinate all’acquisto di un buono intestato ai figli.

V. P. chiede
domenica 01/05/2022 - Veneto
“Buongiorno, sono a chiedere una consulenza in materia di successione ereditaria. Un figlio entra come socio in una cooperativa edilizia, la quale prevede di acquistare un terreno e costruire una palazzina divisa in varie unità immobiliari. Man mano che la cooperativa acquista il terreno ed esegue le opere, al figlio vengono chiesti i relativi pagamenti per l’avanzamento dei lavori; il padre di questo figlio, in accordo col figlio stesso, paga al posto del figlio tutte le somme che la cooperativa chiede. Si arriva al rogito e l’unità immobiliare viene assegnata definitivamente al figlio. In un caso come questo mi sembra si configuri una donazione indiretta di immobile, se il padre non chiede al figlio le somme pagate alla cooperativa in sua vece. Però, quando si perfeziona la donazione indiretta, al momento dei bonifici oppure al rogito? Se prima del rogito il padre cambiasse idea e decidesse di farsi ridare i danari dalla cooperativa, potrebbe? Il padre o la cooperativa dovrebbero avere l’assenso del figlio per procedere con la restituzione al padre delle somme versate dallo stesso alla cooperativa? In caso di annullamento dell’operazione con annessa restituzione di quanto versato, tali soldi andrebbero restituiti al padre o al figlio? Se il padre non cambiasse idea, ma purtroppo venisse meno prima del rogito, gli altri eredi del padre potrebbero chiedere alla cooperativa la restituzione delle somme versate dal padre? Il de cuius lascia testamento, scrivendo in esso: “questo figlio beneficia di tali somme per l’acquisto di quella casa”. Questa scrittura testamentaria fa subentrare il figlio nella titolarità delle somme versate dal padre alla cooperativa, nel caso tali somme non siano già divenute del figlio all’atto dei bonifici fatti dal padre alla cooperativa? Questa scrittura testamentaria può valere come tacita dispensa dalla collazione, visto che il figlio può ricevere effettivamente quell’importo solo se dispensato dalla collazione? Ovvero, è implicata l’intenzione di dispensare il figlio dalla collazione?”
Consulenza legale i 12/05/2022
Prima di affrontare il tema principale oggetto del quesito, ossia quello della donazione indiretta, si reputa necessario inquadrare correttamente l’aspetto relativo agli acquisti di alloggi da cooperativa edilizia.
Le cooperative edilizie possono essere di due tipologie, e precisamente:
a) cooperative c.d. “a società divisa”, il cui scopo è quello di costruire degli edifici ad uso abitazione. Terminata la costruzione degli stessi, la società assegna l’immobile ai soci, che lo acquistano in proprietà con conseguente scioglimento della società.
b) cooperative c.d. “a società indivisa”, la quale costruisce gli immobili, per poi assegnarli non in proprietà ma solo in godimento ai soci, per un determinato numero di anni, trascorsi i quali vengono ritrasferiti alla cooperativa, che rimane attiva.

Si dà per presupposto che il caso di specie debba farsi rientrare nel primo tipo di cooperativa, considerato che si fa espresso riferimento all’intenzione di acquistare l’alloggio.
Ora, nel momento in cui il socio, futuro acquirente, entra a far parte della cooperativa, si impegna contestualmente a versare alla stessa delle somme di denaro quale corrispettivo per il successivo trasferimento di una determinata abitazione, mediante una sorta di prenotazione.
Ciò fa seguito ad una domanda di assegnazione che, se accettata dalla cooperativa, comporta la conclusione di un vero e proprio contratto di vendita di bene futuro, analogo in tutto alla compravendita o al preliminare di compravendita di bene da costruire.
Tale vendita produce immediatamente effetti soltanto obbligatori, e precisamente l’obbligo per la cooperativa di trasferire il bene nel momento in cui verrà ad esistenza e contestualmente l’obbligo per il socio di versare le somme contrattualmente determinate.
Soltanto quando l’immobile viene ad esistenza avviene il vero e proprio trasferimento della proprietà (effetti reali del contratto), mediante un atto di assegnazione che sarà stipulato in forma pubblica dinanzi al notaio.

Quanto fin qui detto si ritiene di fondamentale importanza per chiarire le conseguenze del pagamento da parte del padre delle somme dovute dal figlio alla cooperativa, sia nell’ipotesi in cui il trasferimento dell’immobile si realizzi sia nella diversa ipotesi in cui non dovesse giungersi a detto trasferimento.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui si configura come donazione indiretta qualunque atto giuridico, anche specificamente disciplinato, che, posto in essere con spirito di liberalità, produce lo stesso effetto perseguito dalla donazione diretta, vale a dire l’arricchimento economico del donatario con il correlativo depauperamento del donante.
In particolare, la stessa Suprema Corte ha precisato che “nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario e, quindi, integra donazione indiretta del bene stesso, non del denaro, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’art. 737 c.c., il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile, non il denaro impiegato per il suo acquisto” (Cass. 29 maggio 1998; Cass. 22 settembre 2000, n. 12563; Cass. 6 novembre 2008, n. 26746; Cass. 12 maggio 2010, n. 11496; Cass. civ., sez. II, sentenza 20 maggio 2014, n. 11035).

Nel caso di specie l’atto giuridico che viene utilizzato per arricchire indirettamente il patrimonio del figlio socio della cooperativa è l’adempimento del terzo (ove terzo è il padre, debitore il figlio e creditore la cooperativa edilizia), il quale seppure, come si è accennato prima, specificamente disciplinato dal codice civile all’art. 1180, integra un negozio mezzo per porre in essere, in concreto, una donazione indiretta.
Deve a questo punto precisarsi, però, che a tale conclusione potrà giungersi soltanto dopo aver verificato l’assetto di interessi che le parti del rapporto interno di provvista (padre e figlio) hanno voluto porre in essere.
Infatti, non va trascurato che colui il quale adempie in nome altrui conserva pur sempre il diritto di ripetere quanto da lui versato in forza del generale principio dell’indebito arricchimento; solo se ed in quanto egli dovesse rinunciare a tale diritto di regresso, il rapporto di provvista potrebbe assumere il carattere della gratuità, mentre in caso contrario non potrà che presumersi oneroso.

Precisati i termini generali della vicenda in esame, si cercherà adesso di rispondere alle singole domande che vengono poste, tenendo conto degli istituti giuridici che si ritengono interessati.
Dovendosi inquadrare l’acquisto da cooperativa nella fattispecie della vendita di cosa futura, gli effetti reali si produrranno soltanto nel momento in cui il bene viene ad esistenza.
Realizzatosi tale evento, non può non farsi applicazione del principio espresso dalla Suprema Corte ed a cui prima si è fatto riferimento, ossia quello secondo cui, in casi come questo, oggetto della donazione indiretta (e di conseguente collazione) non può considerarsi il denaro, bensì l’immobile (è di questo che in definitiva si viene ad incrementare il patrimonio del figlio).

Poiché l’atto giuridico posto in essere dal padre deve qualificarsi come adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., lo stesso non può vantare alcun diritto alla restituzione delle somme corrisposte alla cooperativa qualora prima del trasferimento definitivo dell’immobile decidesse di cambiare idea.
Tale ripensamento potrà essere gestito soltanto nei rapporti tra padre (terzo) e figlio (debitore), c.d. rapporto di provvista, essendo concesso al padre di esercitare il c.d. diritto di regresso.
In tal caso sembra evidente che quell’adempimento viene a perdere il carattere della gratuità per assumere natura onerosa.

Non sarebbe neppure sufficiente l’assenso del figlio per legittimare la cooperativa alla restituzione al padre delle somme riscosse, in quanto si tratta di soggetto estraneo al rapporto contrattuale intercorrente tra la cooperativa stessa ed figlio socio; ciò significa che, in caso di eventuale scioglimento del vincolo contrattuale, la cooperativa potrà liberarsi da ogni obbligo di restituzione delle somme a quel punto indebitamente riscosse, solo facendone restituzione al legittimo creditore, ossia il socio.
Quanto fin qui detto vale anche per gli eredi del padre, per l’ipotesi in cui dovesse verificarsi la morte di quest’ultimo prima del trasferimento definitivo dell’immobile.
Altra ipotesi che si chiede di prendere in considerazione è quella relativa all’eventuale inserimento nel testamento del padre della clausola “questo figlio beneficia di tali somme per l’acquisto di quella casa”.
Tale espressione non può in alcun modo valere quale dispensa da collazione delle somme di denaro di cui il figlio ha beneficiato, mentre varrà quale conferma del c.d. spirito di liberalità che ha animato il padre nell’adempiere come terzo al debito che il figlio ha assunto nei confronti della cooperativa.
Ciò comporterà l’obbligo per il figlio beneficiario di conferire in collazione ex art. 737 c.c. l’immobile acquistato per effetto della donazione di quelle somme di denaro, secondo il valore che lo stesso avrà al momento dell’apertura della successione (così art. 747 c.c.).


S. C. chiede
mercoledì 07/02/2018 - Sardegna
“Buongiorno,
Faccio una premessa: attualmente mi trovo in una forte situazione debitoria con lo stato, ovvero ex Equitalia, che ha intentato più volte un azione di recupero ma essendo nullatenente a nulla è valsa.

10 anni fa ho acceso un leasing immobiliare aziendale che continuo a pagare regolarmente, ebbene ho due problemi e quindi due domande. Tra tre anni dovrò esercitare il riscatto con maxirata, ovviamente per le premesse non potrei farlo io, se dovesse riscattare un terzo l'immobile è attaccabile o l"atto potrebbe essere invalidato?
Oggi potrei cessare l'attività è continuare a pagare le rate fino al riscatto?

Vi ringrazio”
Consulenza legale i 14/02/2018
La definizione di leasing finanziario, o locazione finanziaria, è ora contenuta all’art. 1, comma 136 della legge 124/2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), ai sensi del quale “per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l'intermediario finanziario [...], si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l'utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l'obbligo di restituirlo”.
Ad avviso di chi scrive, il semplice fatto del pagamento dell’ultima rata da parte di un terzo non comporterebbe, di per sé, l’acquisto della proprietà del bene da parte di quest’ultimo, ma configurerebbe semmai un’ipotesi di adempimento del terzo, previsto dall’art. 1180 del c.c., secondo il quale l’obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione, e salva la facoltà del creditore di rifiutare l'adempimento offertogli dal terzo se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione.
Ipotesi diversa sarebbe quella della cessione del contratto di leasing prima della scadenza: in questo caso il terzo non si limiterebbe a pagare la rata finale ma subentrerebbe nel complesso delle situazioni giuridiche attive e passive facenti capo al ceduto, ossia all’impresa utilizzatrice.
La cessione del contratto è disciplinata in generale dagli artt. 1406 ss. c.c., e richiede (a differenza dell’adempimento del terzo) il consenso del contraente ceduto (nel caso in esame, la società di leasing).
In mancanza di diversa previsione (a tal fine sarebbe opportuno esaminare il testo del contratto sottoscritto con la società di leasing), nulla vieta che il contratto di leasing sia mantenuto in essere in caso di cessazione dell’attività d’impresa dell’utilizzatore, considerato che detta tipologia di contratto può ora essere stipulata anche da privati e trattandosi oltretutto di ditta individuale.
Per entrambi i quesiti occorrerebbe tuttavia valutare i profili strettamente contabili e fiscali.

R. T. chiede
domenica 08/10/2023
“Buonasera, vorrei sapere se siete d'accordo con quanto riportato nell'allegato studio in cui si afferma che il pagamento di un debito con propri fondi da parte dell'erede con beneficio d'inventario non viene considerato motivo di decadenza dal beneficio d'inventario.

Pag 28 Non decade invece dal beneficio di inventario l' erede che bensì paghi i creditori, ma effettui tali pagamenti con denaro proprio (e quindi non prelevato dal patrimonio ereditario). Anche in questo caso infatti non si ledono i diritti che vantano sull'eredità gli altri creditori.

Dall'inventario informale dei debiti dell'eredità che intendo accettare con beneficio di inventario risultano debiti per un paio di migliaia di euro, che preferirei pagare subito (in particolare le spese condominiali) in modo da velocizzare la procedura. La vendita dell'immobile potrebbe infatti comportare tempi molto lunghi e vorrei evitare di risultare moroso e pagare sanzioni.

Peraltro, stando al tenore letterale dell'articolo 494, l'inventario infedele è solo quello in cui non sono state inserite attività oppure sono state inserite false passività, mentre non sono considerate le passività già pagate (o l'inserimento di attività non esistenti), presumo perché questi due casi sono a tutto vantaggio dei creditori che si trovano rispettivamente minore "concorrenza" o maggior capitale su cui rivalersi.”
Consulenza legale i 12/10/2023
Si è del tutto concordi con quanto riportato nello studio dottrinario segnalato, nella parte in cui viene detto che il pagamento di un debito ereditario da parte dell’erede accettante con beneficio di inventario non può integrare una causa di decadenza dal suddetto beneficio, allorchè a tale pagamento si provveda con denaro personale.
Infatti, a parte ciò che viene asserito in detto studio, ovvero la circostanza che in tal caso non verrebbero ad essere lesi i diritti che gli altri creditori possono vantare sull’eredità (anzi, questi ne vengono a ricevere un innegabile vantaggio), possono addursi a favore di tale soluzione anche le seguenti ulteriori considerazioni.

Esaminando la casistica giurisprudenziale formatasi in tema di accettazione tacita di eredità (art. 476 del c.c.), la giurisprudenza (si vedano in particolare Cass. civ. Sez. II, ordinanza n. 20878 del 30.09.2020; Cass. civ. Sez. VI, ordinanza n. 5995 del 04.03.2020) afferma che il pagamento di un debito del de cuius, posto in essere da un chiamato all’eredità, non postula necessariamente la volontà di accettare l’eredità, potendo essere compiuto anche per altre ragioni, giacchè la legge ammette l’adempimento di un debito altrui (art. 1180 del c.c.).
Diverso, invece, è il caso del pagamento transattivo di un debito del de cuius ad opera sempre del chiamato, in quanto questo, a differenza del mero adempimento dallo stesso eseguito con denaro proprio, configura un’accettazione tacita di eredità, non potendosi transigere un debito ereditario se non da colui che agisce quale erede (cfr. Cass. civ. Sez. II sentenza n. 14666 del 27.08.2012).

Ebbene, le considerazioni sopra esposte, se valgono per colui che si trova semplicemente nella posizione di chiamato all’eredità (al quale non viene successivamente precluso di avvalersi dell’accettazione beneficiata), si ritiene che debbano per forza di cose valere nel caso dell’erede accettante con beneficio di inventario, in quanto l’adempimento spontaneo di quei debiti facendo utilizzo di denaro personale non fa venir meno la natura giuridica che al medesimo la giurisprudenza ha voluto attribuire, ossia quella di adempimento del terzo ex art. 1180 c.c., tenuto conto che a seguito dell’accettazione con beneficio di inventario il patrimonio dell’erede va tenuto del tutto distinto da quello del de cuius, con la conseguenza che anche in questo caso il pagamento deve considerarsi come proveniente da un terzo.

Si suggerisce, invece, di usare particolare cautela allorchè si abbia intenzione di transigere relativamente a quel debito, in quanto se tale atto dovesse essere compiuto prima di aver manifestato la volontà di accettare con beneficio di inventario, si verrebbe a configurare, come detto sopra, una accettazione tacita di eredità, rimanendo preclusa la possibilità di avvalersi del beneficio di inventario.
Qualora, invece, si abbia intenzione di transigere e pagare con denaro personale dopo aver accettato con beneficio di inventario, non si corre alcun rischio di decadere da quel beneficio per aver transatto senza autorizzazione giudiziaria, come richiesto dall’art. 493 del c.c., in quanto tale norma fa riferimento specifico al caso in cui la transazione abbia ad oggetto beni ereditari (tale non è il denaro personale che l’erede ha intenzione di utilizzare per soddisfare il debito condominiale).

Infine, e per concludere, si concorda su quanto pure osservato nel quesito, ovvero sulla considerazione che il pagamento di quel debito con denaro proprio non può in alcun modo farsi ricadere nella previsione di cui all’art. 494 c.c., norma che ricollega la decadenza dal beneficio di inventario alla presenza di eventuali omissioni o infedeltà nell’inventario.
In questo caso, infatti, a parte la considerazione che non si omette l’indicazione di beni né che vengono denunziate passività inesistenti, il debito nei confronti del condominio risulta realmente esistente e, come tale, dovrà essere correttamente indicato in inventario, anche se successivamente si provvederà alla sua estinzione con denaro non ereditario, ma personale dell’erede.

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