Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi [14 Cost., artt. 45 e 46 c.c.].
La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale [144].
Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi [14 Cost., artt. 45 e 46 c.c.].
La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale [144].
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
Cass. civ. n. 3841/2021
La residenza della persona ex art. 43 c.c. è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, caratterizzata dalla permanenza per un periodo apprezzabile e dall'intenzione di abitarvi in modo stabile, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari ed affettive. La verifica di tali requisiti, ai sensi dell'art. 19 d.P.R. n. 223 del 1989, deve avvenire da parte degli organi preposti con modalità che si concilino con l'esigenza di ogni cittadino di poter attendere alle proprie occupazioni, in virtù del principio di leale collaborazione, con l'onere a carico del richiedente di indicare, fornendone adeguata motivazione, i periodi in cui sarà certa la sua assenza dall'abitazione, sì da consentire al comune di concentrare e programmare i propri controlli in quelli restanti. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TORINO, 15/04/2015)Cass. civ. n. 9389/2013
In tema di amministrazione di sostegno, la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore; né opera, in tal caso, il principio della "perpetuatio iurisdictionis", trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, onde rileva la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze.Cass. civ. n. 6880/2012
In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 404 cod. civ., la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata abbia stabile residenza o domicilio; pertanto, in caso di collocamento del beneficiario in una casa di riposo, qualora venga meno il carattere trasitorio della sua permanenza, sull'istanza di sostituzione dell'amministratore è competente il giudice nel cui territorio si trovi detta struttura di assistenza. (Regola competenza)Cass. civ. n. 403/2012
Ai fini della competenza territoriale per le controversie di lavoro parasubordinato, la disposizione dell'art. 413, quarto comma, cod. proc. civ. fa riferimento al domicilio ex art. 43 cod. civ., quale sede principale degli affari ed interessi, che si presume coincidente con la residenza, non potendosi ritenere, di norma, che il domicilio si trovi nel luogo cui la persona si rapporta nei limiti della prestazione lavorativa, anche se resa con funzioni di massima responsabilità. (Nella specie, concernente l'impugnativa della revoca dell'incarico di direttore generale presso una ASL, la S.C., in base all'affermato principio, ha dichiarato la competenza del giudice del luogo in cui il prestatore d'opera aveva conservato la residenza anagrafica e mantenuto la famiglia, tornandovi anche nel corso della settimana lavorativa e limitandosi a dimorare nel luogo della sede di lavoro con discontinui pernottamenti d'albergo). (Regola competenza)Cass. civ. n. 25726/2011
La residenza di una persona, secondo la previsione dell'art. 43 c.c., è determinata dall'abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato l'insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo per qualificare stabile ed abituale la permanenza nella dimora, desunti dal giudice di merito dalla mancanza di somministrazione dell'energia elettrica e dalla ripetuta assenza del ricorrente in occasione degli accessi dei vigili urbani).Cass. civ. n. 19544/2003
In tema di sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, il procedimento monitorio previsto dalla Convenzione de L'Aja, ratificata con la legge n. 64 del 1994, per il ritorno del minorenne presso l'affidatario al quale è stato sottratto, la nozione di «residenza abituale» posta dalla succitata Convenzione non coincide con quella di «domicilio» (art. 43, primo comma, c.c.), nè con quella, di carattere formale, di residenza scelta d'accordo tra coniugi (art. 144, c.c.), in quanto corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione, il cui accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato.Cass. civ. n. 8554/1996
La presunzione di corrispondenza delle risultanze anagrafiche alla realtà effettiva riguardo alla residenza di una persona fisica (luogo in cui essa ha la dimora abituale), basandosi sul particolare meccanismo approntato dal legislatore al fine di garantire che il dato reale continui a corrispondere a quello formale (artt. 43, 44 c.c. e 31 disp. att.; artt. 2 e 11 L. 24 dicembre 1954, n. 1228; artt. 5, 11 e 13 D.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136; D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223), benché non abbia valore assoluto (iuris et de iure), deve considerarsi munita di una particolare resistenza, nel senso che, nel caso in cui ai fini del suo superamento non si adducano prove tipiche, di tenore univocamente concludente, ma elementi a loro volta presuntivi, i requisiti di gravità, precisione e concordanza di questi ultimi vanno apprezzati dal giudice del merito con particolare rigore. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che, ai fini della verifica del rispetto delle regole di cui all'art. 139 c.p.c., aveva disatteso le risultanze anagrafiche sulla base di elementi indiziari non univocamente concludenti — quali la positiva esecuzione di talune notifiche in un certo luogo, in realtà compatibile con l'ipotesi della occasionale dimora nello stesso — trascurando la valutazione di elementi di segno contrario, potenzialmente decisivi, e l'ammissione di specifica prova orale).Cass. civ. n. 6078/1987
La dichiarazione di residenza anagrafica in una certa abitazione, nello stesso od in un diverso comune, fa piena prova, ai fini della effettività della residenza, contro il dichiarante, sicché il giudice non può non tenerne conto, salvo che il dichiarante stesso non fornisca la prova della non rispondenza al vero della dichiarazione da lui fatta al funzionario comunale.Cass. civ. n. 1738/1986
La residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del comune di residenza, sempre che conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.Cass. civ. n. 8205/1974
Allorquando un soggetto, contratto matrimonio, va ad abitare in un luogo diverso da quello in cui si trovava con la famiglia di origine, pur se omette di segnalare all'ufficio anagrafico il cambiamento di abitazione, è nel luogo prescelto che stabilisce il proprio domicilio reale.
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Si ripete, quindi, che da un punto di vista giuridico la soluzione che non richiede il passaggio "dal notaio" appare pienamente fondata e incontrovertibile in base alla normativa attualmente in vigore.
La residenza è una situazione di fatto che implica l'effettiva e abituale presenza del soggetto in un dato luogo. La residenza può essere scelta e mutata liberamente, ma il trasferimento deve essere denunciato nei modi prescritti dalla legge. A differenza della residenza, il domicilio, secondo il disposto dell'art. 43 del c.c. è il luogo ove il soggetto stabilisce la sede principale dei propri affari ed interessi. Esso implica una valutazione che non riguarda la sfera fisica della persona, ma quella "economico sociale". La caratteristica particolare del domicilio, inoltre, è quella di poter essere eletto presso terze persone preposte a ricevere comunicazioni in nome e per conto del domiciliante. Il nostro ordinamento non prevede un obbligo di residenza, tuttavia, data l'imminente separazione dell'utente con la moglie, sarebbe consigliabile che venisse ufficializzato il fatto che i coniugi non vivono più sotto lo stesso tetto, alla luce del venir meno dell'affectio coniugalis, elemento necessario per il mantenimento del vincolo coniugale.
L'ordinamento giuridico prende in considerazione il luogo dove la persona vive e svolge la propria attività.
L'art. 43 del c.c. disciplina il domicilio e la residenza di una persona fisica, definendo il primo come il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, mentre la residenza viene intesa quale luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale.
Il domicilio normalmente coincide con la residenza, tuttavia può anche non coincidere: ad esempio è possibile che due coniugi abbiano la stessa residenza nel luogo in cui è situata l'abitazione familiare, mentre domicili diversi nei luoghi in cui svolgono rispettivamente la loro attività professionale.
Pertanto, una persona può liberamente scegliere di fissare il domicilio e la residenza in due luoghi distinti in base alle sue esigenze lavorative e di vita, dovendo attenersi alle sole prescrizioni legislative previste per eleggere il domicilio o stabilire la propria residenza.
In relazione alla problematica da Lei sottopostaci, appare opportuno sottolineare che, per beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per l'acquisto della "prima casa" (con riferimento all'imposta di registro, imposte ipotecaria e catastale, Iva), la nota II-bis) dell'art. 1 della Tariffa, Parte Prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 dispone, tra l'altro, che l'immobile deve essere situato nel Comune in cui l'acquirente abbia o stabilisca, entro diciotto mesi dall'acquisto, la propria residenza; aspetto questo che dal tenore del quesito sembrerebbe sussistere.
La decadenza dai benefici fiscali viene comminata nelle seguenti ipotesi:
- in caso di mancata sussistenza, all'atto dell'acquisto, dei requisiti richiesti dalla legge, con conseguente falsità della dichiarazione resa;
- se l'acquirente trasferisce, entro cinque anni dalla data dell'acquisto, a qualsiasi titolo, per atto inter vivos, il bene acquistato (a meno che non acquisti entro un anno un'altra casa di abitazione non di lusso in presenza delle condizioni "agevolative");
- se l'acquirente non trasferisce la propria residenza nel Comune in cui è situato l'immobile, entro diciotto mesi dall'acquisto.
In tutti questi casi, la decadenza dall'agevolazione comporta il recupero della differenza dell'imposta non versata e degli interessi, oltre all'applicazione di una sanzione pari al 30% dell'imposta stessa.
Non è, invece, chiarito se e quanto debba essere mantenuta la residenza nel Comune del luogo in cui è sito l'immobile. Non è, dunque, prevista espressamente alcuna decadenza dall'agevolazione in caso di trasferimento in un altro comune, con cambio di residenza.
Alcuni autori, anche a seguito della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 1392 del 26 gennaio 2010, ritengono che, nell'ipotesi suindicata, il contribuente non decada dalle agevolazioni fiscali. Tale assunto trova implicita conferma nelle seguenti considerazioni: per l'acquisto della prima casa, infatti, tra le condizioni richieste per poter fruire dell'aliquota agevolata, è previsto che il contribuente dichiari di non essere titolare di altra abitazione su tutto il territorio nazionale, acquistata dallo stesso soggetto con le agevolazioni recate per la prima casa dalla normativa passata e vigente.
La norma, in definitiva, intenderebbe evitare il cumulo di agevolazioni fiscali assumendo, evidentemente, come presupposto il fatto che il trasferimento di residenza di cui trattasi non comporta la decadenza dal beneficio.
Sono senz'altro da considerarsi come ricompresi nei benefici fiscali anche gli interessi sull'eventuale mutuo prima casa.
All'opposto, se fosse prevista la decadenza dal beneficio in caso di cambio di residenza, la previsione legislativa da ultimo citata risulterebbe priva di ratio.
A nostro parere tale orientamento può essere ritenuto un valido elemento di difesa in sede di ipotetico accertamento, da parte del fisco, delle cause di decadenza delle agevolazioni prima casa.
Per ciò che concerne la "famiglia di fatto", nel linguaggio giuridico sociologico contemporaneo la famiglia di fatto (o famiglia naturale) è quella costituita da persone di sesso diverso, che convivono more uxorio pur non avendo contratto il vincolo matrimoniale. Secondo la costante giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, affinché sussista la c.d. "famiglia di fatto" non è sufficiente la semplice coabitazione, dovendosi fare riferimento ad una situazione interpersonale di natura affettiva, con carattere di tendenziale stabilità e con un minimo di durata temporale che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale. Detto questo, quindi, quando due persone abitano insieme, pur avendo residenze anagrafiche diverse, sicuramente coabitano, ma, per essere considerati "famiglia di fatto" occorre qualcosa in più: occorre che i due partner si comportino come marito e moglie. Ad ogni modo, la residenza anagrafica non ha niente a che fare con il concetto di convivenza o famiglia di fatto.
La residenza è determinata dall'abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione, giuridicamente rilevante, sia il fatto oggettivo della permanenza in quel luogo, sia l'elemento soggettivo della volontà di rimanervi.
La signora anziana, dunque, qualora sussistessero tali presupposti, potrà trasferire la residenza presso la casa di riposo ove ormai dimora abitualmente.
Il conduttore deve a norma dell’art. 1587 del c.c.:
- prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze;
- dare il corrispettivo nei termini convenuti.
Il conduttore, quindi, è responsabile della conduzione dell’immobile nei confronti del locatore per danni arrecati alla proprietà e nei confronti di terzi per comportamenti colposamente commessi; egli, in particolare, è tenuto ad usare con particolare prudenza, perizia, diligenza l’immobile in conformità all’impiego convenuto e secondo le caratteristiche dell’ambiente in cui vive, nonché ad adempiere tutte le obbligazioni assunte con il locatore.
Mentre, il proprietario conserva la custodia dei muri e degli impianti e risponde direttamente dei danni dipendenti da queste strutture "fisse" ex art. 2051 del c.c.- art. 2053 del c.c., l'uso concreto dell’immobile sfugge alla sua sfera di controllo, che è strettamente connessa all'attività del conduttore (per es.: se produce rumori molesti, immissioni di fumo e odori negli altri appartamenti, ecc.).
Se è presente un regolamento di condominio contrattuale è a questo che bisogna fare riferimento nel caso in cui le statuizioni siano state violate dal conduttore. E’ il condomino ad esser obbligato a rispettare e far rispettare il regolamento. Ciò, però implica il dovere del locatore di agire nei confronti del proprio conduttore non solo attraverso mere diffide, ma impegnandolo ad azioni dirette alla eliminazione della turbativa e, nel caso, anche ad agire giudizialmente per la risoluzione del contratto di locazione.
Il cambio di destinazione da uso commerciale a uso abitativo di unità immobiliare deve, dal punto di vista amministrativo, deve essere richiesta al Comune in accordo con le norme in materia di edilizia ed urbanistica.
L'art. 80 della legge 392 del 1978 stabilisce che se il conduttore adibisce l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto conoscenza e comunque entro un anno dal mutamento di destinazione.
Qui, però, deve intendersi come destinazione reale, effettiva. Il conduttore vive stabilmente dentro ai locali e li utilizza come sua abitazione principale, in modo stabile e duraturo.
La diversa destinazione dell'immobile è quella che si realizza in concreto con l’effettivo diverso uso della cosa locata, sicché è solo da tale momento che inizia a decorrere il termine perentorio per chiedere la risoluzione del contratto, non essendo rilevante la semplice conoscenza della sola intenzione del conduttore e neppure la mera fissazione della residenza anagrafica presso i locali condotti in locazione.
La residenza è il luogo in cui si ha la dimora abituale, cioè il luogo in cui di solito è fissata la propria abitazione; il domicilio è il “luogo in cui una persona stabilisce la sede principale dei suoi affari e interessi” (art. 43 del c.c.). Possono non coincidere e come accade di frequente è possibile avere la residenza in un Comune e abitare in un Comune diverso: tipico è il caso dello studente universitario che mantiene la residenza nella casa dei genitori, ma vive tutta la settimana in una città diversa.
Altra cosa è il domicilio fiscale, cioè il posto in cui si è scelto di pagare le tasse: si può avere un domicilio fiscale in un Comune diverso da quello dove si ha il domicilio o la residenza.
La famiglia anagrafica è l’insieme delle persone che vivono stabilmente nella medesima abitazione ed è quindi una cosa diversa dalla “famiglia” come la si intende nel linguaggio comune. Per lo Stato italiano la “famiglia anagrafica” è un gruppo di persone legate da vincoli di matrimonio, di parentela, di adozione o di tutela, ma anche, semplicemente, un insieme di persone legate da vincoli di affinità o di affetto, che coabitino o abbiano dimora abituale (cioè residenza) nello stesso Comune. Una famiglia anagrafica può essere costituita anche da più nuclei famigliari. Il nucleo famigliare, invece, è la famiglia così come comunemente la si intende, e cioè quell’insieme di persone costituito da genitori e figli.
L’I.S.E.E. (Indicatore della situazione economica equivalente), è uno strumento che permette di misurare la condizione economica delle famiglie nella Repubblica Italiana, in quanto indicatore che tiene conto di reddito, patrimonio (mobiliare ed immobiliare) e delle caratteristiche di un nucleo familiare (per numerosità e tipologia). Il termine, usato indifferentemente, sembra quindi indicare un'unità sociologica che vive nello stesso alloggio, oltre che una famiglia tradizionale o una persona fisica che vive sola.
“Ho acquistato un'immobile come prima casa, ho cercato di avere la residenza: nessun problema per il comune dove risiede l'immobile, mentre mi è stata negato il trasferimento dal comune dove tutt'ora risiedo e lavoro. E' un comportamento lecito?
Posso avere una residenza dove ho acquistato casa ed avere un domicilio nel comune dove lavoro,se pur distanti fra loro? Tanto più che l'abitazione dove attualmente vivo è all'interno dell'azienda per cui lavoro.
Grazie.”
Quanto alla prima questione, il rigetto della richiesta di trasferimento di residenza può derivare presumibilmente dal fatto che l'agente di polizia locale, incaricato di accertare l'effettiva presenza nell'immobile indicato come nuova residenza, non vi abbia trovato il soggetto istante, in occasione di più sopralluoghi, e neppure sia riuscito a dedurre la situazione dichiarata da altre circostanze (i vicini dichiarano di non conoscerlo, non ci sono nomi sul campanello, ...). Ai sensi dell'art. 10 bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, l'amministrazione che ritenga di non poter accogliere un'istanza, è tenuta ad informare gli interessati, prima della formale conclusione del procedimento con l'adozione del provvedimento negativo. La comunicazione viene effettuata per consentire agli interessati di presentare eventuali osservazioni e documenti dei quali l'amministrazione dovrà tenere conto ai fini della decisione finale: laddove l'amministrazione confermasse definitivamente il rigetto dell'istanza, dovrà dar conto delle motivazioni per cui non ha ritenuto di accogliere le ulteriori osservazioni della controparte.
Ricevuta la predetta comunicazione dal Comune, quindi, si avrà modo di dar prova della reale residenza, contestando le presunzioni dell'agente di polizia.
La seconda questione impone una breve descrizione degli istituti della residenza e del domicilio.
La residenza risulta dal fatto che la persona ha abituale dimora in un dato luogo, con stabilità duratura (non necessariamente perpetua), con volontà di fissarvi la propria abitazione (art. 43 del c.c.). Il domicilio non è un quid facti, come la residenza, bensì un quid iuris: è il luogo in cui una persona ha stabilito ("eletto") la sede principale dei propri affari o interessi.
Nel domicilio non è necessaria la presenza, quindi si potrà stabilire la propria residenza in un luogo diverso.
Dal mero fatto di trasferire la residenza presso un immobile che è proprietà di una terza persona non nasce alcun diritto particolare.