Cass. civ. n. 8803/2017
La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane sino al momento del suo scioglimento, di cui all’art. 191 c.c., allorquando i beni cadono in comunione ordinaria e ciascun coniuge, che abbia conservato il potere di disporre della propria quota, può liberamente e separatamente alienarla, essendo venuta meno l’esigenza di tutela del coniuge a non entrare in rapporto di comunione con estranei.
Cass. civ. n. 3808/2014
Il passaggio in giudicato della sentenza di separazione è il fatto costitutivo del diritto del coniuge allo scioglimento della comunione familiare, anche se i beni da dividere siano solo genericamente indicati (nella specie, mobili presenti nell'appartamento comune), in quanto la loro specifica individuazione appartiene alla fase attuativa della divisione.
Cass. civ. n. 5972/2012
In tema di regime patrimoniale della famiglia, lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica "ex nunc" con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, il quale non è impedito dalla proposizione dell'appello con esclusivo riferimento all'addebito, all'affidamento dei figli ed all'assegno di mantenimento, importando esso acquiescenza alla parte autonoma della sentenza sulla separazione. Tale indirizzo interpretativo non vale soltanto per il futuro, in quanto dal mutamento di esegesi sulla scindibilità della pronuncia sulla separazione dal capo riferito all'addebito, non derivano preclusioni o decadenze per la parte, il cui diritto di azione e difesa non è compromesso, onde non è applicabile il principio in tema di "overruling", secondo cui il mutamento della precedente interpretazione della Corte di cassazione su di una norma processuale non opera nei confronti della parte, che in detta interpretazione abbia incolpevolmente confidato.
Cass. civ. n. 324/2012
Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, con effetto "ex nunc", dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione degli accordi di separazione consensuale, non spiegando, per converso, alcun effetto, al riguardo, il provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 del codice di rito autorizzativo dell'interruzione della convivenza tra i coniugi, attesone il contenuto del tutto limitato e la funzione meramente provvisoria.
Cass. civ. n. 18619/2003
In materia di comunione legale tra i coniugi, la separazione personale costituisce causa di scioglimento della comunione, che è rimossa dalla riconciliazione dei coniugi, dalla quale deriva il ripristino del regime di comunione originariamente adottato; tuttavia, in applicazione dei principi costituzionali di tutela della buona fede dei contraenti e della concorrenza del traffico giuridico (artt. 2 e 41 Cost.), occorre distinguere tra effetti interni ed esterni del ripristino della comunione legale e, conseguentemente, in mancanza di un regime di pubblicità della riconciliazione, la ricostituzione della comunione legale derivante dalla riconciliazione non può essere opposta al terzo in buona fede che abbia acquistato a titolo oneroso un immobile dal coniuge che risultava unico ed esclusivo del medesimo, benché lo avesse acquistato successivamente alla riconciliazione. (Fattispecie alla quale
ratione temporis non era applicabile l'art. 69, D.P.R. n. 396 del 2000, che ha previsto l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio delle dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione).
Cass. civ. n. 15231/2001
Le agevolazioni di cui all'art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, come interpretato e modificato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 154 del 1999, operano — quanto agli atti ed accordi finalizzati allo scioglimento della comunione tra i coniugi conseguente alla separazione — limitatamente all'effetto naturale della separazione, costituito dallo scioglimento automatico della comunione legale, e non competono con riferimento ad atti — solo occasionalmente generati dalla separazione — di scioglimento della comunione ordinaria tra gli stessi coniugi, che ben potrebbe persistere nonostante la separazione.
Cass. civ. n. 266/2000
La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all'art. 40 c.p.c. (nel testo modificato dalla legge n. 353 del 1990), soltanto laddove tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.; conseguentemente non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, soggetta al rito della camera di consiglio, e di quella di scioglimento della comunione su un bene comune dei coniugi, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione ma in tutto autonome e distinte. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia di improponibilità in sede di divorzio della domanda di divisione perché incompatibile col rito camerale).
Cass. civ. n. 12098/1998
Ai fini dell'opponibilità ai terzi degli effetti dello scioglimento della comunione derivante dalla separazione personale dei coniugi, con riferimento ai negozi di acquisto di beni immobili (o mobili registrati) contenenti la dichiarazione del coniuge acquirente del proprio
status di separato, deve ritenersi necessaria la sola trascrizione della relativa nota nei registri immobiliari, e non anche l'annotazione del provvedimento di separazione a margine dell'atto di matrimonio (richiesto, invece,
ex art. 193 c.c., con riferimento tassativo alle ipotesi di scioglimento della comunione di cui al precedente art. 191).
Cass. civ. n. 11418/1998
Posto che, ai sensi dell'art. 191 c.c., la separazione personale dei coniugi costituisce causa di scioglimento della comunione dei beni, una volta rimossa con la riconciliazione tale causa si ripristina automaticamente tra le parti il regime di comunione originariamente adottato, con esclusione di quegli acquisti effettuati durante il periodo della separazione.
Cass. civ. n. 6234/1998
Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica
ex nunc soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, non spiegando effetti — al riguardo — il precedente provvedimento presidenziale (provvisorio e funzionalmente limitato) con cui i coniugi siano stati autorizzati ad interrompere la convivenza. Da ciò consegue, fra l'altro: 1) che, se in pendenza del procedimento di separazione personale il diritto allo scioglimento della comunione legale dei beni dei coniugi non è ancora sorto (per non essersi compiutamente realizzata la correlativa vicenda costitutiva), neppure — evidentemente — esiste un interesse, attuale e concreto del coniuge a reclamarne la tutela giudiziale; 2) che la declaratoria di scioglimento della comunione non possa essere quindi richiesta antecedentemente alla formazione del giudicato sulla separazione dei coniugi, e la domanda in tale senso eventualmente formulata prima di tale data va dichiarata — come tale — improponibile, non potendosi d'altronde — neppure — farsi ricorso al provvedimento di sospensione del relativo procedimento, in quanto un provvedimento di tal fatta si porrebbe estraneo al paradigma normativo di cui all'art. 295 c.p.c., il quale rende ricollegabile l'istituto della sospensione solo ad un rapporto «sincronico» di interdipendenza logica tra due coevi giudizi, suscettibili di proseguire altrimenti in modo autonomo, e giammai ad un rapporto «diacronico» di succedaneità logico — giuridica tra due giudizi il secondo dei quali (quello — in tesi — pregiudicato), proprio perché subordinato, nella sua promuovibilità, ad un determinato esito dell'altro, non possa — per definizione — entrare con quello in contraddizione.
Cass. civ. n. 11031/1997
La sentenza del giudice di merito che, in relazione ad una domanda di scioglimento di una comunione coniugale (e di conseguente divisione), ne sancisca l'inammissibilità per mancato passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione personale e, nel contempo, la rigetti nel merito, consta, in realtà, del tutto legittimamente, di due distinte pronunce, poste, tra loro, in rapporto di alternatività condizionata, poiché la prima contiene una statuizione pregiudiziale di inammissibilità, mentre la seconda si fonda sulla (implicita) condizione negativa della ipotetica non correttezza giuridica della precedente pronuncia pregiudiziale.