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Articolo 44 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Trasferimento della residenza e del domicilio

Dispositivo dell'art. 44 Codice Civile

Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge [31].

Quando una persona ha nel medesimo luogo il domicilio e la residenza e trasferisce questa altrove, di fronte ai terzi di buona fede si considera trasferito pure il domicilio, se non si è fatta una diversa dichiarazione nell'atto in cui è stato denunciato il trasferimento della residenza.


Brocardi

Domicilium re et facto transfertur, non nuda contestatione

Spiegazione dell'art. 44 Codice Civile

Per rendere conoscibile ai terzi il trasferimento della residenza si rende necessaria una denuncia redatta mediante doppia dichiarazione fatta al Comune che si abbandona e a quello dove si fissa la dimora abituale (è questa la forma di pubblicità completa che l'interessato dovrà esperire, al fine di tutela dei terzi di buona fede). Per una completa disamina della normativa in oggetto, si cfr. D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente) e L. 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), in particolare l'art. 6 co. 12.

Il domicilio "viaggia" con la residenza: qualora questa venga trasferita, e non sia compiuta diversa dichiarazione di elezione di domicilio altrove, vige il generale valore presuntivo delle risultanze anagrafiche. Detta presunzione non opera quando il trasferimento avvenga senza alcuna delle formalità previste dall'art. 31 disp. att. c.c., o con il trasferimento all'estero.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

66 L'art. 44 riguarda il trasferimento della residenza e del domicilio. Va osservato che in astratto il problema del trasferimento della residenza e del domicilio non presenterebbe gravi difficoltà, perché tale trasferimento dipende non già da una manifestazione di volontà del soggetto, bensì dall'obbiettivo verificarsi di un determinato stato di fatto. Ma in pratica è necessario tener presente che il problema della prova del trasferimento del domicilio e della residenza ha per i terzi notevole importanza, perché la loro buona fede potrebbe essere sorpresa da trasferimenti che facilmente resterebbero occulti, in difetto di un adeguato sistema di pubblicità. Dal punto di vista legislativo è dunque opportuno un regolamento di questa materia allo scopo di raggiungere questa limitata finalità: rendere inopponibile ai terzi di buona fede un trasferimento di residenza o di domicilio, se esso non è accompagnato da una dichiarazione del soggetto resa pubblica. In questi termini il problema è risolto per la residenza dal primo comma dell'art. 44, disponendosi che il trasferimento della residenza, ai fini dell'opponibilità ai terzi di buona fede, deve essere denunciato nei modi prescritti dalla legge (la norma è integrata dalle disposizioni di attuazione del codice, dove si prescrive il sistema della doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e al comune nel quale s'intende fissare la nuova dimora abituale). Per il trasferimento del domicilio non poteva seguirsi il medesimo sistema, dato che manca legislativamente il mezzo tecnico per predisporre un sistema di pubblicità. Si è creduto perciò di provvedere all'ipotesi che è praticamente più frequente, in cui una persona abbia nel medesimo luogo il domicilio e la residenza, disponendo che, ove quest'ultima venga trasferita in guisa che il trasferimento sia opponibile ai terzi, si intende, sempre nei confronti dei terzi di buona fede, trasferito pure il domicilio. Questa presunzione legale, per vero corrispondente alla maggior parte dei casi, può essere distrutta solo se la persona, quando denuncia il trasferimento della residenza, espressamente dichiara di conservare il domicilio precedente. Non v'è dubbio che tale disposizione non è una logica conseguenza del concetto di domicilio, ma non bisogna d'altra parte dimenticare che essa ha una funzione meramente probatoria e non sostanziale e tende solo ad agevolare la condizione dei terzi di buona fede.

Massime relative all'art. 44 Codice Civile

Cass. civ. n. 32992/2018

Ai fini dell'individuazione della residenza fiscale del contribuente deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento.

Cass. civ. n. 21922/2017

Ai fini della nullità della notifica non è sufficiente che il destinatario, il quale sostenga di aver trasferito la residenza all'estero, deduca di aver curato gli adempimenti previsti dall'art. 6 l. n. 470 del 1988 per l'iscrizione all'Anagrafe Italiani Residenti all'Estero (AIRE) in data precedente a quella della notifica, atteso che tali adempimenti non sono sostitutivi di quelli, distinti ed ulteriori, previsti dagli artt. 44, comma 1, c.c. e 31 disp. att. stesso codice, secondo i quali il trasferimento della residenza, per poter essere opposto ai terzi in buona fede, deve essere provato con la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona ed a quello di nuova residenza e, nella dichiarazione fatta al comune che si abbandona, deve risultare il luogo in cui è fissata la nuova residenza.

Cass. civ. n. 19714/2017

Ai fini della nullità della notifica il destinatario, che sostenga di aver trasferito la residenza in altro comune, non solo deve produrre una certificazione del comune di nuova residenza, dalla quale risulti l'iscrizione nei registri anagrafici di quel comune in data precedente a quella della notifica, ma deve anche provare la tempestiva dichiarazione fatta al comune che ha abbandonato con la stessa decorrenza.

Cass. civ. n. 10183/2014

Ai sensi dell'art. 44 cod. civ. la residenza originaria si considera immutata sino alla regolare denunzia del trasferimento, sicché non può essere rimesso in termini ex art. 294 cod. proc. civ. il contumace che lamenti di non aver avuto notizia dell'atto di citazione, notificatogli presso la residenza originaria, essendosene allontanato senza dare disposizioni per essere prontamente informato di quanto a lui indirizzato.

Cass. civ. n. 8875/2013

Il giudice competente per l'apertura della tutela in caso di interdizione legale va individuato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 662 cod. proc. pen. e 343 cod. civ., con riferimento al domicilio del condannato, da presumersi, ai sensi dell'art. 44 cod. civ., coincidente con la sua residenza anagrafica, senza che assuma rilievo il fatto che, a seguito della sopravvenuta irreperibilità dell'interdetto, sia pendente la procedura di cancellazione dai registri anagrafici, posto che l'interdizione legale non è caducata dalla latitanza ovvero dall'irreperibilità del condannato. (Regola competenza)

Cass. civ. n. 21370/2011

Il domicilio individua il luogo ove la persona ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi, sicché riguarda la generalità dei rapporti del soggetto, non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari. Affinché possa ritenersi verificato un trasferimento di domicilio, pertanto, debbono risultare inequivocabilmente accertati sia il concreto spostamento da un luogo all'altro del centro di riferimento del complesso dei rapporti della persona, sia l'effettiva volontà d'operarlo, a prescindere dalla dimora o dall'effettiva presenza in quel determinato luogo. Ne consegue che il ricovero in una casa di cura o di riposo non implica, necessariamente, anche il trasferimento del domicilio in detto luogo, in quanto il ricovero può avere carattere temporaneo e/o comunque non continuativo, ben potendo la persona, per più o meno brevi periodi, riportarsi nel luogo lasciato e, soprattutto, voler ivi comunque conservare, per intuibili motivi morali e materiali, il centro principale dei propri rapporti.

Cass. civ. n. 21916/2006

In base al combinato disposto degli artt. 31 disp. att. c.c. e 44 c.c., ai fini dell'opponibilità ai terzi di buona fede del trasferimento di residenza di una persona fisica è necessaria la denuncia di quest'ultima sia al comune di provenienza che a quello di arrivo, ma non è prescritto che tale doppia dichiarazione debba essere effettuata con distinti atti, poiché, al contrario, gli artt. 13, comma 2, e 18, comma 1, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (recante approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente) — con i quali le predette norme codicistiche devono essere coordinate — stabiliscono che siffatte dichiarazioni, da redigersi utilizzando un «modello conforme all'apposito esemplare predisposto dall'Istituto centrale di statistica» devono essere trasmesse, entro venti giorni, dall'ufficiale di anagrafe che le ha ricevute «al comune di precedente iscrizione anagrafica per la corrispondente cancellazione» restando così previsto che la doppia dichiarazione di trasferimento di residenza sia effettuata mediante un unico documento destinato sia al comune che si abbandona che a quello di nuova residenza, il quale è specificamente incaricato di trasmettere il documento stesso anche al comune della precedente residenza. (Nella fattispecie la S.C. ha quindi ritenuto, ai fini della competenza territoriale in causa di separazione tra coniugi, opponibile all'attore il cambio di residenza del convenuto eseguito in base a rituale dichiarazione consegnata al solo comune di nuova residenza).

Cass. civ. n. 662/2000

Il comune di residenza della persona è presuntivamente determinabile, anche ai fini della validità di una notificazione eseguita a norma degli artt. 139 ss. c.p.c., e fino a prova contraria, sulla scorta delle risultanze anagrafiche, nel senso che la persona che adduca una diversa situazione abitativa rispetto a quella risultante dal certificato anagrafico deve necessariamente provare l'anteriorità del trasferimento della residenza rispetto alla data di notificazione mediante produzione della doppia dichiarazione resa presso il comune della vecchia residenza e presso quello ove sia stata fissata la nuova dimora abituale. Quando, peraltro, manchi una certificazione anagrafica che consenta di identificare il comune in cui è stata eseguita la notificazione con quello della residenza del destinatario al momento dell'atto, e risultino altresì versate in atti attestazioni di tale comune e di altro comune entrambe convergenti nell'evidenziare lo spostamento di residenza dal primo al secondo in epoca anteriore alla data della notifica, difetta il presupposto per presumere la collocazione della dimora abituale del soggetto nel luogo di esecuzione della notificazione, e non può, conseguentemente, ritenersi gravante su quest'ultimo l'onere di provare anche l'effettuazione delle due sopra menzionate dichiarazioni prima del giorno della notificazione. (Principio affermato dalla S.C. in relazione alla notifica della convocazione ex art. 15 della legge fallimentare avvenuta in epoca successiva al trasferimento della residenza dell'imprenditore, senza che in atti risultasse versato alcuna certificazione anagrafica che identificasse il comune di residenza di questi al tempo dell'atto con quello della notificazione).

Cass. civ. n. 8681/1998

La conoscenza, da parte del notificante, del luogo di residenza (o dimora) effettiva del destinatario dell'atto ne comporta l'obbligo d'eseguire la notifica in tale luogo (non potendo operare, nei suoi confronti, la più rigorosa disciplina di cui all'art. 44 c.c. in tema d'opponibilità del trasferimento della residenza), attesa l'efficacia meramente presuntiva delle risultanze anagrafiche, superabile con ogni mezzo di prova idoneo a dimostrare la volontaria dimora di un soggetto in luogo diverso.

Cass. civ. n. 1648/1996

Ai fini della nullità della notifica non basta che il destinatario, il quale sostenga di aver trasferito la residenza in altro comune, produca una certificazione del comune di nuova residenza, dalla quale risulti l'iscrizione nei registri anagrafici di quel comune in data precedente a quella della notifica, atteso che, ai sensi degli artt. 44, comma 1, c.c. e 31 disp. att. stesso codice, il trasferimento della residenza, per poter essere opposto ai terzi in buona fede, deve essere provato con la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona ed a quello di nuova residenza e che, in base alle norme regolamentari sull'anagrafe della popolazione (art. 16 D.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136 e, successivamente, art. 18 D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223), la cancellazione dall'anagrafe del comune di precedente iscrizione e l'iscrizione nell'anagrafe del comune di nuova residenza devono avere sempre la stessa decorrenza, che è quella della data della dichiarazione di trasferimento resa dall'interessato nel comune di nuova residenza, sicché la suddetta certificazione anagrafica non fornisce la prova dell'avvenuta tempestiva dichiarazione al comune abbandonato (nella specie, trattavasi di una notifica ex art. 140 c.p.c. e non erano stati dedotti in giudizio elementi da cui desumersi che il notificante conoscesse, o avrebbe potuto conoscere, con l'ordinaria diligenza, il trasferimento di residenza del destinatario della notifica).

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Consulenze legali
relative all'articolo 44 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Luigi G. chiede
lunedì 15/07/2019 - Campania
“Buongiorno,
Per motivi economici, all'inizio del 2019 mi sono trasferito a casa di mia figlia in un altro comune e poiché sto cercando un appartamento adatto alla mia situazione economica non ho fatto il cambio di residenza. Nel frattempo ho disdetto il contratto di locazione e tutte le utenze incluso l'acqua. Ora in comune in cui abitavo più mi ha chiesto il pagamento della TARI 2019. Ho cercato di spiegare loro che non abito nel comune dall'inizio dell'anno e mi hanno detto, che solo per il fatto che io sia residente, sono obbligato a pagarla. La domanda è: Devo pagare la TARI solo perché sulla carta risulto residente anche se fisicamente non vi abito e non ho contratti di locazione o altro in quel comune? La TARI non si paga per la produzione di rifiuti o inquinamento? Come faccio a produrli in quel comune se fisicamente sono altrove?”
Consulenza legale i 21/07/2019
Non essendo precisato il Comune di residenza, non è possibile fornire una risposta che tenga conto delle specifiche disposizioni contenute nel Regolamento comunale e, pertanto, si farà riferimento alla disciplina generale del tributo di cui si discute.
La TARI è stata introdotta, a decorrere dal 2014, dalla legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), quale tributo facente parte, insieme all’IMU e alla TASI, della IUC.
Si tratta di un tributo locale che ha sostituito la TARES, in vigore per il solo 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2).

L’imposta può non essere applicata da tutti quei comuni che utilizzano un sistema di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti in discarica, dal momento che detti Comuni hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, una tariffa avente natura di corrispettivo.
Così come espressamente disposto dal comma 642 dell’art. 1 della citata legge n. 147/2013, il presupposto del tributo è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte operative suscettibili di produrre rifiuti urbani.
La TARI è, quindi, dovuta da chiunque possieda o detenga il locale o l’area e, quindi, dal soggetto utilizzatore dell’immobile.
In caso di detenzione breve dell’immobile, di durata non superiore a sei mesi, invece, la tassa non è dovuta dall’utilizzatore ma resta esclusivamente in capo al possessore (proprietario o titolare di usufrutto, uso, abitazione o superficie).
Da quanto detto si evince, dunque, che il presupposto del tributo non è la residenza e ne è prova il fatto che lo stesso si rende dovuto anche da coloro che, pur non essendo residenti, possiedono o detengono a qualsiasi titolo locali o aree suscettibili di produrre rifiuti.

Probabilmente il Comune ha presunto il possesso o la detenzione di un immobile in considerazione dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente.
Il nostro ordinamento, però, disciplina il collegamento tra la persona fisica e il luogo in cui la stessa vive e lavora non solo attraverso il concetto di residenza ma anche attraverso quello di domicilio.
Mentre la residenza è determinata, così come disposto dal comma 2 dell’art. 43 del c.c., in funzione del luogo in cui un soggetto ha la dimora abituale, il domicilio, in base al comma 1 della medesima disposizione, si identifica con il luogo in cui lo stesso ha stabilito la sede principale dei propri affari e interessi.
Il successivo art. 44 c.c. dispone che il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge. Conseguentemente, se non è stata effettuata alcuna denuncia di variazione della residenza, è legittimo che il Comune presuma la permanenza della dimora all’interno del proprio territorio.

Ciò non legittima, tuttavia, l’applicazione del tributo dal momento che, per tutto quanto prima detto, manca il presupposto principale per l’applicazione dello stesso, ossia il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di un immobile.
Tenuto conto di ciò, si suggerisce di presentare un’istanza di annullamento in autotutela della richiesta del tributo, allegando alla stessa la disdetta del contratto di locazione dell’immobile e delle relative utenze ed evidenziando che, pur non avendo denunciato la variazione della residenza, la propria dimora ed il proprio domicilio sono stati trasferiti in altro Comune, ossia quello di residenza della figlia, unico Comune, pertanto, legittimato a chiedere la corresponsione del tributo.

Poiché, tuttavia, la presentazione dell’istanza di autotutela non sospende i termini per l’impugnazione, in caso di mancata risposta, così come in caso di risposta negativa, è opportuno presentare ricorso alla competente Commissione tributaria provinciale, eccependo la mancanza di possesso o detenzione di un immobile all’interno del Comune.


Gianpaolo G. chiede
martedì 04/07/2017 - Emilia-Romagna
“Buongiorno Egregi Avvocati, il mio quesito è il seguente:
Sono separato consensualmente da mia moglie dal 1997, se le circostanze dei vari problemi a venire lo dovessero richiedere siamo già d' accordo che potremmo Divorziare. ( ma solo se necessario, anche perché sono sempre costi e spese, che vorremmo risparmiarci.)
Mia moglie mi chiede di venire ad abitare nella mia casa (io vivo solo), che comunque è grande, vorrebbe anche chiedere la residenza, ma ha dei problemi con vecchie cartelle non pagate, quindi possibile visita degli Ufficiali Giudiziari, inoltre è in attesa di fare domanda per il nuovo "reddito di inclusione" mia moglie ha un reddito molto basso circa 6.000 euro annui.
L' esigenza di entrambi è di avere gli Stati di Famiglia separati, per non cumulare i redditi.
C'è una legge ad ok per potere avere dal Comune, la stessa residenza, ma con stati di famiglia separati? (motivando la nostra separazione Legale)
Se il Comune si dovesse opporre, a tale richiesta, cosa mi consigliate, di farmi assistere da uno Studio Legale, per tutelare i nostri diritti.?
Grazie”
Consulenza legale i 10/07/2017
L'articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n.223 evidenzia che, “agli effetti anagrafici, per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune (unico nucleo familiare); una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona”.
Dunque i soggetti che richiedano l’iscrizione anagrafica nel medesimo stato di famiglia devono attestare la sussistenza di 2 requisiti: 1) la coabitazione; 2) un vincolo affettivo o di parentela.

Il DPCM 7 maggio 1999, n. 221, in materia di criteri unificati di valutazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate e di individuazione del nucleo familiare per casi particolari, ha poi chiarito che “non fanno parte della medesima famiglia anagrafica i coniugi che sono separati” (art. 1)

Se dunque
allora è ben possibile coabitare nella medesima casa pur costituendo due nuclei familiari separati.
Nessuna norma vieta a due ex coniugi legalmente separati di coabitare nella medesima abitazione mantenendo due stati di famiglia separati, anzi la Cassazione da diverso tempo ammette che i due coniugi continuino ad abitare nella medesima casa pur essendo venuta meno l’affectio coniugalis (ex pluribus Cass. 3323/2000).

Di più, dalla lettura di queste norme se ne evince a contrariis che qualora tra due persone non vi siano vincoli di parentela o relazione, ma mera coabitazione, allora non potranno essere inseriti nel medesimo stato di famiglia.

La sua ex moglie, al momento della compilazione della richiesta di spostamento della residenza, dovrà far presente che costituirà un nucleo familiare a sé, distinto e separato rispetto alle persone che già risiedono nel medesimo luogo.
Si avverte che si sono registrate prassi differenti nei Comuni e quindi è ben possibile sentirsi negare questo diritto in sede di variazione anagrafica, tuttavia avverso il provvedimento di diniego è possibile proporre ricorso con la necessaria assistenza di un avvocato.

Da ultimo bisogna poi avvertire che l’art 5 del dpr 223/89 “agli effetti anagrafici per convivenza s'intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune”.
E sulla base di questa norma l’Agenzia dell’entrate potrà sempre riqualificare e presumere un rapporto di assistenza tale da giustificare lo stato di famiglia unitario tra gli ex coniugi e richiedere indietro le agevolazioni e le prestazioni concesse in forza della dichiarazione assunta come non veritiera (ad esempio richiedere indietro il reddito di inclusione appunto).
Ed in effetti è una motivazione di assistenza economica che la spinge ad ospitare la sua ex moglie.

Dunque cautelativamente sarebbe più opportuno mantenere la residenza in due luoghi distinti, ciò nonostante la coabitazione e la dimora della sua ex moglie presso di lei.

Anna L. chiede
domenica 28/09/2014 - Lombardia
“Buona sera avendo comprato casa nel luglio del 2012 e portato residenza solo per 3/4 mesi dovendola spostare per motivi di lavoro perdo le agevolazioni come prima casa? e se la voglio affittare, nel frattempo che non risiedo ci sono sanzioni ?”
Consulenza legale i 01/10/2014
Per beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per l'acquisto della cosiddetta "prima casa", che incidono sull'imposta di registro, sulle imposte ipotecaria e catastale, e sull'Iva, l'immobile oggetto di compera deve essere situato nel comune in cui l'acquirente già risieda o stabilisca la propria residenza entro il termine di 18 mesi dall'acquisto (nota II-bis) dell'art. 1 della Tariffa, Parte Prima, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131).
La decadenza dai benefici fiscali è prevista solo in questi casi:
- all'atto dell'acquisto non sussistevano i requisiti richiesti dalla legge, con conseguente falsità della dichiarazione resa;
- l'acquirente abbia trasferito entro cinque anni dalla data dell'acquisto - a qualsiasi titolo, per atto inter vivos - il bene acquistato: tranne, però, nel caso in cui sia seguito entro un anno un nuovo acquisto avente ad oggetto un'altra casa di abitazione non di lusso in presenza delle condizioni agevolative;
- l'acquirente non trasferisce la propria residenza nel Comune in cui è situato l'immobile entro 18 mesi dall'acquisto.
Si ritiene che sarebbe irrilevante il trasferimento della residenza avvenuto in un momento successivo alla compravendita, appunto perché la normativa non sanziona espressamente il trasferimento di residenza con la decadenza dai benefici "prima casa".
Inoltre, risulta pacifico che per fruire delle agevolazioni "prima casa" non sia necessario che l'immobile acquistato venga destinato ad abitazione propria e/o dei familiari: può essere acquistata con le agevolazioni fiscali anche un immobile da affittare dopo l'acquisto (circolari n. 38 del 12.8.2005, n. 19/E del 1.3.2001 e n. 1/E del 2.3.1994).
L'interpretazione attualmente dominante (anche se l'Agenzia delle Entrate non ha ancora assunto una esplicita presa di posizione in punto di durata necessaria della residenza anagrafica presso la "prima casa" per un determinato periodo di tempo) è nel senso che risulti rilevante esclusivamente il fatto che chi ha acquistato in agevolazione avesse la propria residenza nel comune ove è situato l'immobile al momento della compravendita oppure ve l'abbia trasferita entro 18 mesi; al contrario, sarebbe irrilevante che l'abbia trasferita dopo il rogito notarile.

Nel caso di specie, quindi, le agevolazioni fiscali prima casa non cadrebbero per lo spostamento della residenza, essendo essa stata portata nell'immobile entro 18 mesi dall'acquisto.

Quanto detto, però, non vale per l'agevolazione sugli interessi passivi del mutuo: in questo caso locare l'immobile comporta la perdita del vantaggio, perché la normativa sancisce espressamente che l'acquirente deve adibire l'immobile per il quale ha richiesto il mutuo a propria abitazione principale entro 12 mesi dall'acquisto, e poi per tutto il periodo in cui usufruirà del beneficio.
Anche a fini IMU, non mantenere la residenza nell'unico immobile di proprietà esclude che si applichi l'esonero del pagamento dell'imposta sulla prima casa.

fabio chiede
giovedì 15/07/2010
“si può avere la residenza in un abitazione con destinazione d'uso diversa da quella abitativa? e che normativa si riferisce? grazie”
Consulenza legale i 02/09/2010
Nell'ordinamento italiano la disciplina della residenza é contenuta, nella Carta Costituzionale (artt. 2, 3, 14), nel codice civile (artt. 43 ss.), nella legge n. 1128 del 24 dicembre 1954, nel D. Lgs. n. 286 del 25 luglio 1998 (art. 29), nel D.P.R. 30/05/1989 n. 223.

Ai fini dell'ottenimento della residenza, l'ufficiale amministrativo verifica solo l'effettiva presenza della persona nel luogo dichiarato. Il rispetto dei requisiti di abitabilità o delle condizioni igienico-sanitarie costituiscono oggetto di un altro tipo di accertamento, magari contestuale, ma che non può precludere l'ottenimento della residenza. A tale proposito, la L. 94/2009 (cosiddetto "Pacchetto Sicurezza") ha innovato l'art.1 della L. 1228/1954 specificando che l'iscrizione e la richiesta possono dar luogo a tale accertamento contestuale delle condizioni igienico-sanitarie.

In linea teorica, pertanto, un soggetto potrebbe fissare la propria residenza anche in un locale non classificato catastalmente come "abitazione" . A suo rischio e pericolo.

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