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E’ possibile pretendere dall’ex coniuge il mantenimento per il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente?

Famiglia - -
E’ possibile pretendere dall’ex coniuge il mantenimento per il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente?
La Corte di Cassazione esclude l’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne non autosufficiente che abbia dimostrato attitudine lavorativa
La sesta sezione della Corte di Cassazione, all’interno dell’ordinanza n. 2344 del 25 gennaio 2023, si è pronunciata in merito al mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente, convivente con uno dei due genitori. La questione, in particolare, ineriva l’obbligo del coniuge obbligato all’assegno di mantenimento a favore dell’ex moglie, di corrispondere anche un quantitativo a favore del figlio maggiorenne, ma non ancora economicamente autosufficiente.

In generale, in materia di scioglimento del vincolo coniugale, il coniuge a cui è addebitata la separazione, ovvero quello economicamente più facoltoso, ha il dovere di corrispondere un assegno di mantenimento a favore dell’ex coniuge, nonché della prole.
Quanto all’assegno diretto all’ex coniuge, si è riscontrata all’interno della giurisprudenza di legittimità, nel corso degli anni, una netta evoluzione, indice della metamorfosi dei rapporti familiari, nonché del ruolo della donna nel contesto matrimoniale. Dapprima, difatti, l’assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente debole (nella maggior parte dei casi, la donna), era commisurato in relazione al tenore di vita da questa tenuto in costanza di matrimonio, ovvero al mantenimento dello status economico sociale tenuto da coniugata. Successivamente, la giurisprudenza ha iniziato a qualificare diversamente il suddetto assegno, intravedendo in esso una ratio di stampo compensativo, più che assistenziale: in altri termini, funzione principale dell’assegno di mantenimento è divenuta quella di compensare il coniuge economicamente debole dagli eventuali sacrifici economici e professionali effettuati per la continuità della vita familiare, nonché per la eventuale progressione in carriera dell’altro coniuge. Può affiancarsi, a questa, anche una funzione meramente assistenziale, qualora i redditi dei due coniugi siano eccessivamente diversi, ovvero nel caso in cui il coniuge economicamente più debole trovi difficoltoso l’inserimento nel mondo del lavoro.

In relazione all’assegno di mantenimento a favore della prole, si afferma che questo è dovuto ex lege, al fine di educare e mantenere i figli generati in costanza di matrimonio o al di fuori (art. 2 Cost.). Alla luce dell’ art. 316 del c.c., difatti, ambo i genitori mantengono la responsabilità genitoriale, e pertanto il dovere reciproco di provvedere all’educazione, alla crescita ed al mantenimento del figlio: in particolare, ambo i genitori hanno il diritto di apportare il loro contributo all’educazione ed alla crescita del fanciullo secondo le loro sostanze, ossia in via proporzionale al tenore di vita (art. 316 bis del c.c.). Pertanto, in caso di scioglimento del vincolo matrimoniale, è sul coniuge economicamente più forte che cade l’onere di provvedere al mantenimento della prole, attraverso la corresponsione di un assegno di mantenimento, capace di coprire le spese ordinarie e straordinarie dei figli. Nella maggior parte dei casi, l’assegno ha natura periodica, precisamente mensile: il suo ammontare è determinato, in via definitiva, dal giudice.
L’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento a favore del figlio, ex lege, sussiste fino al raggiungimento della sua maggiore età. Così che, è sorto in giurisprudenza l’interrogativo circa il mantenimento dell’assegno in esame anche dopo il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio; in particolare, nel caso di mancato raggiungimento dell’indipendenza economica da parte di quest’ultimo all’età dei diciotto anni.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si era già pronunziata in passato (in particolare, Cass. 7195/1997), affermando che il riconoscimento dell’assegno a favore del figlio maggiorenne non autosufficiente era da valutarsi in concreto, in considerazione della capacità lavorativa del ragazzo, da valutarsi in concreto, e non in astratto. In altri termini, non occorre accertare l’astratta capacità del fanciullo all’esecuzione di prestazioni lavorative, bensì la sua concreta idoneità e capacità pratica al proprio mantenimento. I principi in esame sono stati riconosciuti anche da giurisprudenza recentissima della Corte di Cassazione (Cass. 19696/2019), la quale ha riconosciuto la permanenza dell’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne che, sebbene abbia dimostrato una astratta attitudine lavorativa, non si mostrava al contempo capace a produrre reddito sufficiente al mantenimento personale.
All’interno della pronunzia in esame la Corte di Cassazione, discostandosi dai precedenti giurisprudenziali in materia, ha disconosciuto l’obbligo del genitore di continuare a mantenere il figlio maggiorenne, qualora quest’ultimo, dopo aver raggiunto la propria indipendenza economica, si dimetta dall’esercizio dell’attività lavorativa. Ciò in quanto, secondo il Supremo Consesso, vale il principio di autoresponsabilità del figlio maggiorenne, il quale, al momento delle dimissioni, ben era conscio delle conseguenze a cui incorreva (ossia, mancata devoluzione dello stipendio): così che, la scelta del figlio maggiorenne non merita di pesare sul genitore, il quale così perde l’obbligo al mantenimento. Attraverso l’esercizio dell’attività lavorativa passata, il figlio dimostrava concreta capacità di mantenimento, e pertanto la non necessità del continuo sostegno.
Resto ferma, tuttavia, l’obbligo alla prestazione alimentare a carico del genitore, qualora il figlio maggiorenne non riesca a garantirsi il minimo indispensabile per un’esistenza libera e dignitosa (art. 433 del c.c.).


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