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Il figlio maggiorenne lavora? No al mantenimento

Famiglia - -
Il figlio maggiorenne lavora? No al mantenimento
E’ del 9 maggio 2016 una nuova ordinanza con cui la Corte di Cassazione è tornata sull’argomento del diritto all’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni (Cass. civ., ordinanza n. 9365 del 9 maggio 2016).

Come noto, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli non cessa semplicemente con il raggiungimento da parte degli stessi della maggiore età, essendo necessario che gli stessi abbiano raggiunto l’indipendenza economica e possano dirsi economicamente autosufficienti.

Di conseguenza, in sede di separazione e divorzio, il giudice potrebbe porre a carico di uno dei coniugi, il pagamento di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento dei figli che abbiano già raggiunto la maggiore età ma che non possano dirsi economicamente autosufficienti, per cause che non dipendono dalla loro volontà.

Ebbene, la Cassazione, con l’ordinanza sopra citata, si è trovata ad affrontare un caso in cui il Tribunale, al momento della pronuncia del divorzio, aveva posto a carico di uno dei coniugi il pagamento di un assegno divorzile a titolo di contributo nel mantenimento del figlio maggiorenne, in quanto il medesimo non poteva considerarsi economicamente autosufficiente.

Il coniuge obbligato proponeva, quindi, appello, ritenendo la decisione del giudice di primo grado ingiusta, in quanto il figlio lavorava già da alcuni anni in modo stabile.
La Corte d’Appello accoglieva le considerazioni svolte dal coniuge e riduceva, dunque, l’assegno di mantenimento a suo carico.

Giunti al terzo grado di giudizio, la Corte riteneva corretta la riduzione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio.
Osserva la Cassazione, infatti, come la “persistenza dell'obbligo di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne”, “non si giustifica in ragione del pluriennale inserimento dello stesso nel mondo del lavoro attestato dalla Corte di appello che ha però smentito l'acquisizione di una condizione di autosufficienza senza una motivazione, se non di carattere meramente assertivo, sul punto”.

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ritiene del tutto ingiustificato porre a carico del genitore il pagamento di un assegno mensile a titolo di contributo nel mantenimento del figlio maggiorenne, dal momento che lo stesso, già da molti anni, aveva una stabile occupazione, con la conseguenza che egli percepiva un reddito che gli consentiva di mantenersi del tutto autonomamente.

Occorre, dunque, ribadire, che se è vero che l’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti di figli non cessa a seguito del solo raggiungimento della maggiore età da parte degli stessi, è vero anche che nel momento in cui il figlio trovi una stabile occupazione, che gli garantisce il percepimento di un reddito adeguato, tale obbligo genitoriale viene meno.

Pertanto, dal momento che i provvedimenti assunti in sede di separazione e divorzio non sono immodificabili, ben sarebbe possibile per il coniuge separato o divorziato, che era stato obbligato al mantenimento, chiedere la modifica delle condizioni di separazione o divorzio, domandando la revoca o, quantomeno, la riduzione dell’assegno di mantenimento a suo tempo disposto, in ragione della sopravvenuta indipendenza economica del figlio.

Va osservato, peraltro, che, oltre alla concreta occupazione lavorativa, rileva anche la capacità lavorativa del figlio, con la conseguenza che se lo stesso si trova in una condizione in cui avrebbe la possibilità di lavorare ma non lo fa, per poca voglia o per altri motivi, l’assegno di mantenimento andrebbe in ogni caso revocato.


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