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Donazione indiretta fatta in vita dal "de cuius": quali le tutele?

Eredità - -
Donazione indiretta fatta in vita dal "de cuius": quali le tutele?
Se in vita il defunto ha fatto una donazione a danno di un erede necessario, quali sono gli strumenti giuridici per ottenere giustizia?
Subito una premessa di ordine teorico, con immediato riflesso sugli aspetti pratici: la successione ereditaria si compone di tre fasi:
  • la prima coincide con l’apertura della successione, che è il primo momento immediatamente successivo alla morte del de cuius. L’art. 456 del c.c., sul punto, stabilisce che “la successione si apre al momento della morte”, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto.
  • La seconda fase è costituita dalla cosiddetta delazione dell’eredità, che costituisce l’offerta concreta della possibilità di accettare, rivolta all’istituito.
  • L’accettazione dell’eredità contraddistingue la terza fase, quando il chiamato a succedere manifesta la volontà di accettare il lascito a lui destinato.
    Esistono due tipologie principali di accettazione: la prima è l’accettazione pura e semplice, di cui l’effetto principale è quello della confusione tra patrimoni (quello del defunto e quello dell’erede), che diventano uno solo. L’erede cioè subentra sia nell’attivo che nel passivo, ed è dunque tenuto a pagare, se sussistono, tutti i debiti del defunto.
    La seconda è l’accettazione con beneficio di inventario- in cui non si produce confusione - e quindi l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni a lui pervenuti.
La successione si definisce
  • legittima, se la regola la legge secondo quote prestabilite
  • oppure testamentaria, se la regola un testamento, espressione della volontà del defunto.
    Attraverso il testamento è possibile disporre della propria eredità liberamente, con l’unico limite di rispettare le quote dei cosiddetti “legittimari”. I legittimari sono quei soggetti a cui la legge riserva, in ogni caso, una quota dell’eredità.
L’asse ereditario, sul quale vengono calcolate le quote che spettano ai legittimari, è formato dal patrimonio mobiliare e immobiliare di cui disponeva il de cuius in vita. Esso è composto dalla somma
  • del “quod relictum”, ossia di tutto ciò che il defunto possedeva al momento della morte,
  • e del “quod donatum”, cioè di tutto quello che è stato donato in vita dal defunto,
  • al quale vengono sottratti i debiti ereditari.
Dell’asse ereditario possono fare parte tutte le case, fabbricati, terreni (beni immobili) che il de cuius possedeva, ma anche le aziende, le società a lui intestate e le liquidità contenute in conti correnti, libretti di risparmio, titoli di borsa, gioielli, quadri, mobili, auto, ecc.

Innanzitutto, per calcolare a quanto ammonta la quota legittima riservata ai legittimari in presenza di un testamento, occorre procedere alla cosiddetta "riunione fittizia”, calcolando
  • il valore dei beni che appartenevano al defunto al tempo della morte (relictum),
  • detraendo i debiti e
  • aggiungendo il valore dei beni donati in vita (donatum).
Il risultato di tale operazione (relictum - debiti + donatum) fornisce l’entità del patrimonio sul quale si può calcolare la quota cui hanno diritto i legittimari, chiamata appunto quota di legittima.

Se, per fare un esempio, il testatore lascia il coniuge e più di un figlio, il coniuge avrà diritto ad ¼ del patrimonio e i figli i 2/4, da dividere in parti uguali tra gli stessi; in questo caso la quota disponibile, cioè la parte della quale il testatore può liberamente disporre, sarà il residuo ¼.
Nel caso in cui, in seguito all’operazione aritmetica della riunione fittizia sul patrimonio del defunto (relictum - debiti + donatum) venga accertata una lesione della quota di legittima, sarà possibile esperire giudizialmente l’azione di riduzione, disciplinata dagli articoli 554 e seguenti del Codice Civile, e dall’articolo 564 c.c.
Tale operazione di riunione fittizia si rivela fondamentale, al fine di comprendere se si possa effettivamente parlare, con un buon grado di probabilità, di lesione della quota di legittima.
L’azione di riduzione costituisce la forma di tutela riconosciuta ai legittimari per ottenere giudizialmente la quota di legittima. Si tratta di un’azione che ha natura di accertamento costitutivo attraverso la quale il legittimario leso potrà agire "in riduzione" contro le disposizioni testamentarie lesive dei propri diritti di legittima, chiedendo al giudice che ne venga dichiarata l'inefficacia nei suoi confronti.
Nel caso in cui l’azione di riduzione, avente ad oggetto le disposizioni testamentarie lesive, non sia sufficiente ad integrare i diritti dei legittimari, gli stessi potranno agire in riduzione contro le donazioni fatte in vita dal de cuius. L’articolo 559 c.c. stabilisce - in particolare - come le donazioni si riducano a partire dalla più recente fino alle più remote.
L’azione di riduzione delle donazioni è, dunque, subordinata all’incapienza del patrimonio ereditario.
L’articolo 564 c.c. individua i presupposti per l’azione di riduzione:
  • In primo luogo il legittimario deve accettare l’eredità con beneficio d’inventario, fatto salvo il caso in cui donazioni e legati da ridurre siano stati disposti a favore di suoi coeredi.
  • In secondo luogo il legittimario, deve “imputare ex se“ le donazioni ed i legati ricevuti dal defunto. È sempre possibile che il testatore dispensi il legittimario da detta imputazione e che quindi tali lasciti vadano considerati oltre la quota di legittima e non entro la stessa (naturalmente, dovendo rispettare i diritti degli altri legittimari, la dispensa fatta a favore di uno o alcuni di essi vale solo nei limiti della disponibile).
Il termine prescrizionale dell’azione di riduzione è quello ordinario di dieci anni. Nel caso le disposizioni da ridurre siano donazioni, detto termine prescrizionale inizia a decorrere dalla data di apertura della successione del donante che, come abbiamo detto, coincide con la data della morte.
Una volta esperita tale azione, se il Tribunale accerterà l’avvenuta lesione della quota di legittima, verrà dichiarata l’inefficacia parziale o totale delle disposizioni testamentarie o donative lesive, e ordinata la reintegrazione del legittimario nei diritti spettanti per legge.
Va precisato, infatti, che una volta dichiarata l’inefficacia, anche parziale, delle disposizioni lesive, il legittimario non otterrà un riconoscimento patrimoniale pecuniario in senso stretto, ma vedrà "riempirsi" la propria quota di legittima in seguito alla riduzione della disposizione lesiva dichiarata tale dal giudice.
Il legittimario leso, in altre e diverse parole, una volta accolta la propria domanda, vedrà riconosciuta la propria quota “incrementata” sulla massa ereditaria e, così reintegrato nella propria posizione, avrà facoltà di domandare la divisione ereditaria sulla quota definita dalla sentenza.
Dopo aver affrontato l’analisi dell'azione di riduzione e dei suoi presupposti, è bene precisare che esiste un altro istituto, volto a “ricalcolare” correttamente le quote riservate ai figli e al coniuge, chiamato collazione. Tale istituto opera in presenza di una coeredità, costituita da una massa da dividere tra i chiamati. La presenza di più coeredi che hanno accettato l’eredità, infatti, origina la comunione ereditaria, caratterizzata dalla contitolarità dei partecipanti estesa ad ogni rapporto e diritto compreso nell’asse ereditario.
In presenza di una coeredità, i coeredi sono tenuti a conferire alla massa da dividere tutto ciò che hanno ricevuto dal de cuius in vita come donazione diretta o indiretta, quindi anche attraverso qualunque mezzo scelto dal defunto per arricchire volutamente il beneficiario (nel caso che occupa, la figlia Caia) attraverso un’attribuzione di carattere patrimoniale.
La collazione serve a rimuovere la disparità di trattamento che le donazioni operate in vita hanno creato ed a ristabilire la situazione di uguaglianza e di proporzionalità delle quote in cui i coeredi sono chiamati a succedere.
Come noto, il conferimento può essere fatto per imputazione, cioè senza restituire il bene donato, ma calcolandone semplicemente il valore al momento dell’apertura della successione, oppure in natura, immettendo effettivamente il bene nella massa ereditaria. Ricordiamo, per precisione, che non sono, in ogni caso, soggette a collazione
  • le donazioni di modico valore fatte al coniuge,
  • le spese di mantenimento e istruzione dei figli,
  • né quelle ordinarie di istruzione artistica o professionale,
  • né le donazioni d’uso (ma sono soggette a collazione le donazioni obnuziali e le spese per l’avviamento di un’attività produttiva o di una professione).
È necessario precisare, come anticipato, che la collazione opera solamente in presenza di una comunione ereditaria. Tale comunione non si crea allorquando il testatore, tramite il testamento, abbia disposto di tutto il suo patrimonio tramite una “divisione del testatore” (cfr. art. 734 c.c.) impedendo, di fatto, il sorgere di una comunione ereditaria.
In altre parole, allorquando il testatore abbia attribuito beni determinati ai singoli eredi, in modo da soddisfare le quote che spettano a ciascuno e scegliendo i beni che vanno a formare le porzione, si attua la cosiddetta "divisione del testatore". Tale divisione impedisce il sorgere di una comunione ereditaria, producendo un effetto reale. Conseguenze analoghe produce la cosiddetta “istituzione ex re certa”. In questi casi, non sorgendo una comunione, non sarà nemmeno applicabile l’istituto della collazione, che presuppone, come detto, una coeredità.
Comprendere se tramite il testamento il testatore abbia inteso fare - o meno - una vera e propria divisione del testatore, è delicata questione di interpretazione della volontà testamentaria.
Per quanto attiene al possibile concorso della collazione e della riduzione, giurisprudenza recente ritiene che, pur potendo la collazione comportare di fatto l'eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, “la contestuale proposizione della domanda di riduzione non può ritenersi priva di ogni utilità: solo l'accoglimento di tale domanda, infatti, può valere ad assicurare al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l'assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per la imputazione del relativo valore” (Cass. 22097/2015).
Inoltre, la recente sentenza del 10 dicembre 2020, n. 28196, ha stabilito che: “Quando una donazione soggetta a collazione sia contemporaneamente lesiva della legittima, la tutela offerta dall'azione di riduzione, vittoriosamente esperita contro il coerede donatario, non assorbe gli effetti della collazione, che opererà in questo caso consentendo al legittimario di concorrere pro quota sul valore della donazione ridotta che eventualmente sopravanzi l'ammontare della porzione indisponibile della massa”.
Infatti, la collazione permette a coloro che vi abbiano diritto di percepire una quota di tutti i beni donati, anche per la parte di essi gravante sulla disponibile (salva l’eventuale espressa dispensa dalla collazione operata in vita dal de cuius), e in ciò sta la differenza con l’azione di riduzione. Pertanto, si può strategicamente valutare di chiedere, oltre alla riduzione delle donazioni lesive, anche in subordine, un ordine per operare la collazione, proprio al fine di redistribuire l’eventuale eccedenza del patrimonio nella disponibile. Sarà, quindi, astrattamente possibile promuovere sia l’azione di riduzione sia, eventualmente, inserire nell'atto di citazione la richiesta dell’ordine di collazione, per il caso in cui vi sia un residuo nella quota disponibile, e ammesso che si possa in concreto parlare di comunione ereditaria tra gli eredi.
Sono oggetto di azione di riduzione non solo le disposizioni testamentarie lesive, ma anche quelle donative, sia che si tratti di donazione diretta che indiretta. Con l’espressione "donazione indiretta" si intendono tutte quelle modalità con le quali si finisce per arricchire un altro soggetto, pur senza osservare le formalità proprie del contratto di donazione (art. 769 c.c.). Ad esempio, una remissione di debito a titolo gratuito può integrare senza dubbio una donazione indiretta, come anche l’intestazione di beni in nome altrui.
Nel caso in cui il de cuius abbia donato in vita degli immobili ad uno degli eredi, magari ad un prezzo irrisorio o comunque fuori mercato, la dottrina suole parlare di “negotium mixtum cum donatione”, qualificando tale operazione come donazione indiretta, proprio a cagione della differenza tra il maggior valore economico della cosa, oggetto di contratto di compravendita, ed il prezzo pattuito per la cessione.
Comprendere se l’operazione di vendita oggetto del caso di specie costituisca o meno donazione indiretta è di fondamentale importanza. Come anticipato, le donazioni indirette, infatti, al pari di quelle dirette, sono soggette agli istituti della collazione e della riduzione.
La questione si complica - perlomeno a livello teorico - se si considera che è anche possibile che il de cuius abbia fornito ad uno degli eredi il denaro necessario per l'acquisto dell'immobile. A tal proposito, la dottrina ha a lungo discusso in merito alla qualificazione di tale donazione indiretta come donazione - diretta o indiretta - di denaro o come donazione indiretta dell’immobile.
In questi casi si pone il problema di verificare quale sia l'oggetto della donazione, e ciò al duplice scopo di individuare
  • la forma richiesta per il contratto e
  • l’oggetto delle azioni di collazione e riduzione.
Sulla base di un'interpretazione “sostanzialistica” della fattispecie, la giurisprudenza è giunta ad affermare che l’oggetto dell’attribuzione consista non tanto in ciò che fuoriesce dal patrimonio del disponente, ma in ciò di cui quest’ultimo abbia voluto arricchire il beneficiario e che questi ha conseguito e, dunque, nell’immobile. In particolare, nel caso di elargizione del denaro da parte del de cuius come mezzo per l’acquisto dell’immobile, l’atto del disponente costituirebbe tecnicamente un adempimento del terzo, configurando una vera e propria donazione indiretta dell’immobile. Pertanto, al momento dell’apertura della successione del de cuius, il bene immobile dovrà essere oggetto di riunione fittizia, di collazione, di imputazione ex se.
Altra giurisprudenza (Cass. Civ. 17604/2015), con ancora maggior precisione, afferma che: “l’acquisto di un immobile da parte di una persona con denaro di altra persona integra gli estremi di una donazione indiretta se il denaro, quale corrispettivo della vendita, viene corrisposto, nella sua interezza, dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene oppure mediante il versamento diretto dell’importo al venditore. Con la specificazione che non è qualificabile come donazione indiretta la consegna al donatario, da parte del donante, di somme di denaro, perché in questo caso, anche se il denaro sia stato utilizzato per l’acquisto di un bene, non si versa in un’ipotesi di donazione indiretta, ma di donazione diretta di denaro".
Distinguere se trattasi di donazione diretta o indiretta del denaro o indiretta dell’immobile espone a conseguenze assai rilevanti sul piano pratico.
Infatti, laddove la donazione, diretta o indiretta, avesse ad oggetto il denaro, la collazione, ai sensi dell’art. 751 c.c., si concretizzerebbe in un obbligo di valuta, regolato dal principio nominalistico (avuto 100 all'epoca, 100 va calcolato in successione). Diversamente, se si ritiene che oggetto della donazione sia il bene immobile, il donatario sarà tenuto a collazionare il cespite immobiliare (collazione in natura ex art. 746 c.c.) o una somma corrispondente al suo valore di mercato al momento dell’apertura della successione (collazione per imputazione ex artt. 746 c.c. e 747 c.c.), che potrebbe essere, in ipotesi, molto maggiore rispetto alla somma di denaro impiegata per acquistarlo (inflazione, aumento dei prezzi del comparto immobiliare).


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