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Diligenza dell’avvocato: obblighi informativi

Diligenza dell’avvocato: obblighi informativi
L’avvocato è tenuto a informare i clienti sull’esito probabilmente sfavorevole della lite e a dissuaderli.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 34993 del 17 novembre 2021, ha chiarito che l’obbligo di diligenza che grava sull’Avvocato ai sensi degli articoli 1176 co.2 c.c. e 2236 c.c. impone a quest’ultimo di informare dettagliatamente il cliente, al momento del conferimento dell’incarico, del fatto che la lite che intende intraprendere non avrà, con elevata probabilità, buon esito nonché di dissuaderlo per tale ragione a procedere.
Parimenti, nel corso dello svolgimento del rapporto, l’Avvocato ha il dovere di mettere il proprio assistito al corrente del fatto che la lite iniziata in precedenza ha assunto una prospettiva meno favorevole del previsto sicchè sarebbe opportuno non insistere nelle proprie istanze e non proseguire giudizialmente.
A tal fine, l’Avvocato diligente – precisa la Suprema Corte – deve esporre al cliente tutte le ragioni in fatto e in diritto ostative al raggiungimento del risultato oppure produttive del rischio di effetti dannosi.

La Cassazione ha altresì affermato che, in caso di domanda risarcitoria avanzata dal cliente per inadempimento di tale obbligo, l’onere di provare la condotta diligente incombe sull’avvocato. A tal fine, precisano gli Ermellini, deve ritenersi insufficiente il rilascio della procura da parte del cliente: tale atto, infatti, non è oggettivamente idoneo a dimostrare che l’assistito è stato informato adeguatamente di tutte le circostanze del caso e messo nelle condizioni di rilevare consapevolmente l’eventuale non opportunità del giudizio.

La vicenda giunta all’attenzione della Cassazione, in particolare, aveva tratto origine dal rapporto professionale instauratosi tra alcuni soggetti e un avvocato. Nello specifico, i primi si erano fatti assistere dal secondo nell’instaurazione di una causa civile avente ad oggetto il risarcimento del danno subito in conseguenza della morte di un congiunto, causa intentata contro la società produttrice della stufa dalla quale era stato sprigionato l’ossido di carbonio che aveva causato il decesso.
All’esito della conclusione sfavorevole di tale giudizio, l’avvocato aveva notificato agli ex assistiti un decreto ingiuntivo al fine del recupero del credito professionale.
Avverso tale decreto, l’ingiunto aveva tuttavia proposto opposizione, nell’ambito della quale aveva altresì presentato domanda di risarcimento avente ad oggetto i danni patrimoniali subiti a causa della pronuncia di condanna alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio civile in cui, assistito dall’avvocato, era risultato soccombente.
Il Tribunale aveva rigettato tale domanda ma la sentenza di prime cure era stata poi riformata dalla Corte d’appello, che aveva accolto la domanda risarcitoria degli ex clienti e condannato l’avvocato, ritenendo sussistente la responsabilità contrattuale per inadempimento.
Segnatamente, la Corte distrettuale aveva rilevato che il difensore si era dimostrato inadempiente rispetto agli obblighi di diligenza e informazione che avrebbe dovuto rispettare nei confronti dei clienti: nonostante sul decesso del loro congiunto si fosse già svolta una consulenza tecnica nel corso delle indagini penali la quale aveva rilevato che il defunto aveva inserito una moneta nel dispositivo di sicurezza della stufa per evitarne il blocco e che solo questa era stata la causa del tragico evento, l’avvocato non aveva informato i propri assistiti circa le scarse probabilità di successo dell’instauranda causa civile.
Il professionista aveva allora proposto ricorso, deducendo di aver adeguatamente informato i clienti circa l’avvenuta archiviazione in sede penale. La Cassazione, tuttavia, sulla scorta delle argomentazioni innanzi riportate ha ritenuto l’impugnazione inammissibile.


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