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Articolo 409 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Controversie individuali di lavoro

Dispositivo dell'art. 409 Codice di procedura civile

Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:

  1. 1) rapporti (1) di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa (2);
  2. 2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie(3);
  3. 3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa(4);
  4. 4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica;
  5. 5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice (5)(6).

Note

(1) La prima categoria di controversie si riferisce ai rapporti di lavoro subordinato privato di cui all'art. 2094 del c.c., in base al quale il prestatore di lavoro si obbliga a mediante retribuzione a collaborare nell'impresa prestando la propria attività manuale o intellettuale. Caratteri peculiari del rapporto sono quindi la personalità, continuitività, eterodeterminazione ed esclusività della prestazione lavorativa, subordinazione, vincolo di orario e retribuzione fissa.
(2) Con la riforma del 1973 è stato superato il concetto di «rapporto introaziendale», con la conseguenza di poter ricomprendere nell'accezione di rapporto di lavoro subordinato privato qualsiasi tipologia tipo di lavoro subordinato, anche se non inquadrato in un'organizzazione imprenditoriale come il lavoro domestico o il lavoro a domicilio.
(3) La disposizione di cui al num. 2 fa salva la competenza preesistente delle sezioni specializzate agrarie, restringendo in maniera rilevante la competenza del giudice ordinario, il quale resta competente a conoscere le controversie relative ai rapporti di mezzadria, di colonia parziaria e di compartecipazione, alle sole controversie non derivanti da proroga, nonché ai rapporti di soccida ed alle controversie relative alla affrancazione dei fondi concessi in enfiteusi disciplinate dalla l. 22-7-1966, n. 607 e rapporti assimilati (si confronti la legge 14 febbraio 1990, n. 29). Restano invece di competenza esclusiva delle sezioni specializzate agrarie le controversie relative ai rapporti di affitto a coltivatore diretto.
(4) Il num. 3 della presente norma rinvia ai rapporti di lavoro parasubordinato, ovvero quei rapporti di lavoro caratterizzati dalla continuità e stabilità della prestazione, coordinazione e personalità, ed è stato da ultimo modificato dalla L. 22 maggio 2017, n. 81.
(5) Si definisce rapporto di pubblico impiego quel rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dagli elementi della collaborazione in posizione di dipendenza, da una relativa continuità e, in genere, da un corrispettivo predeterminato o almeno predeterminabile, nel quale il datore di lavoro è la Pubblica Amministrazione. Si tratta quindi di rapporti di lavoro instaurati con gli enti pubblici economici, ovvero enti che pur perseguendo finalità di ordine generale, agiscono con una struttura imprenditoriale e con criteri di gestione di tipo economico.
(6) Con il d.l.vo 3 febbraio del 1993, n. 29 sono state devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, il d.l.vo 31 marzo 1998, n. 80 ha ulteriormente allargato la competenza del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, attribuendogli anche il potere di decidere le controversie relative alla selezione ed accesso al lavoro, al conferimento del TFR, al comportamento antisindacale ed alla contrattazione collettiva. Restano invece di competenza esclusiva del giudice del lavoro le controversie di cui agli artt. 33 e 34 del d.lgs. 80/1998 relative al mercato mobiliare, servizio farmaceutico, materia urbanistica ed edilizia.

Ratio Legis

La norma in analisi assoggetta alla disciplina processuale lavoristica cinque diverse categorie di controversie caratterizzate dal fatto che la domanda trova il suo titolo giuridico in uno dei rapporti elencati. In questo elenco si riscontrano fattispecie caratterizzate dalla subordinazione economica del prestatore, o ancora dalla natura personale della prestazione. Pertanto, elemento sufficiente a far sì che la controversia sia assoggettata al rito del lavoro è proprio l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Spiegazione dell'art. 409 Codice di procedura civile

La norma in esame individua le controversie che devono essere decise secondo il rito speciale del lavoro a cognizione piena, anziché secondo il rito ordinario ovvero secondo altro rito speciale.
Essa non detta soltanto la disciplina del procedimento da seguire, ma vale anche ad individuare il giudice competente (il tribunale) nonché a determinare la giurisdizione, contribuendo alla ripartizione delle controversie di lavoro tra giudice ordinario e giudici speciali.
Per le controversie previste dalla presente norma, così come per quelle di cui all’art. 442 del c.p.c., si esclude la sospensione feriale dei termini ex art. 3, L. 7.10.1969, n. 742.
Il rito speciale del lavoro si considera applicabile anche alle controversie di natura collettiva, ossia quelle in cui è parte, anziché il titolare del rapporto, una delle associazioni sindacali.

Sempre sotto il profilo dei limiti soggettivi di questa norma, non sussistono dubbi sul fatto che essa non si riferisca soltanto ai giudizi relativi a pretese del prestatore, ma anche a quelli relativi a domande del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e che trovi applicazione anche alle controversie fra soggetti diversi dalle parti del rapporto di lavoro, che abbiano il loro presupposto diretto nel rapporto stesso (ad esempio, si considera competente il giudice del lavoro, per la domanda proposta per i crediti del lavoratore, nei confronti del fideiussore del datore di lavoro).

Ai fini della scelta del rito è irrilevante che il rapporto di lavoro sia in corso, con la conseguenza che si considerano incluse nell'ambito dell'art. 409 anche le controversie relative a rapporti estinti o non ancora costituiti.
Il rito del lavoro, inoltre, è applicabile alle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento di mansioni e qualifiche, nonché la tutela della libertà, della dignità e della sicurezza nel luogo di lavoro.

Il n. 1 fa riferimento ai rapporti di lavoro subordinato, individuando, quindi, la caratteristica della subordinazione, nell'esplicazione dell'attività lavorativa, quale criterio distintivo del rapporto stesso perché le relative controversie debbano seguire il rito speciale del lavoro

Tale caratteristica si evince dalla svolgimento della prestazione lavorativa secondo le direttive del datore di lavoro, il quale esplica anche poteri organizzativi e disciplinari nonché secondo un vincolo di orario e con una retribuzione fissa, oltre che in modo personale, continuativo ed esclusivo

Per espressa disposizione della norma in esame, la prestazione può essere esplicata anche a favore di soggetti non imprenditori, quali, ad es., le associazioni non riconosciute, i comitati, le fondazioni, i partiti.

Rientrano fra le controversie del lavoro anche quelle relative a rapporti che non sono assoggettati, ex art. 2068 del c.c., alla contrattazione collettiva; quindi anche il lavoro domestico, che è riconducibile al n. 1 se subordinato o, eventualmente, al n. 3, se autonomo.

Inoltre, non rileva il luogo in cui la prestazione lavorativa viene svolta, potendo trattarsi della sede dell'impresa, di una sua dipendenza ovvero di un luogo diverso (pertanto, si include nell'ambito dell'art. 409 anche il lavoro a domicilio).

A seguito delle numerose pronunzie interpretative di rigetto della Corte costituzionale, si ritiene che il rito del lavoro e la relativa competenza siano applicabili anche alle controversie di lavoro marittimo e portuale, demandate dall'art. 603 c. nav. alla competenza del comandante di porto

Il n. 2 fa riferimento, con previsione non tassativa, ai rapporti agrari c.d. associativi, nei quali non sussiste un regime di subordinazione.
Resta ferma la competenza del giudice ordinario per le azioni possessorie e le controversie relative all'enfiteusi.

Anche le controversie relative a rapporti di lavoro autonomo, quali quelli di rappresentanza e agenzia (espressamente, ma non tassativamente, individuati dalla norma), sono soggette alla competenza ed al rito del lavoro, purché la prestazione lavorativa sia caratterizzata dalla continuità, dalla coordinazione e dalla prevalente personalità (in altre parole, se si rientra nell'ambito della c.d. parasubordinazione).
L’attività è continuativa se non meramente occasionale e purché abbia una certa durata, anche non particolarmente lunga.

La prestazione di lavoro autonomo è coordinata quando l'attività, pur rimanendo autonoma perché non sottoposta al potere gerarchico, si svolge secondo le direttive del suo destinatario.

La devoluzione al giudice ordinario del lavoro della quasi totalità delle controversie di pubblico impiego, compiuta ad opera del D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, ha pressoché svuotato di utilità il n. 4 della norma in esame, dal momento che, essendosi uniformate la giurisdizione e la competenza in materia di pubblico impiego, in capo al tribunale ordinario civile monocratico in funzione di giudice del lavoro, secondo il rito speciale del lavoro, perde rilievo la distinzione tra enti pubblici economici ed esclusivamente pubblicistici che tanto aveva affannato, per la distribuzione delle controversie tra giudice ordinario e amministrativo, la dottrina e la giurisprudenza.

L' art. 63 del T.U.P.I. ha recepito nell'ambito delle norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (c.d. testo unico sul pubblico impiego), l'art. 68, D.Lgs. 3.2.1993, n. 29 (come sostituito prima dall'art. 33, D.Lgs. 23.12.1993, n. 546 e poi dall'art. 29, D.Lgs. 31.3.1998, n. 80 ed infine modificato dall'art. 18, D.Lgs. 29.10.1998, n. 387).
La norma ha radicalmente allargato il contenuto di cui al n. 5 dell'art. 409, devolvendo al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, che prima di essa rientravano, di regola e salva attribuzione legislativa al giudice ordinario, nell'ambito della giurisdizione amministrativa.

Rientrano, tuttavia, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie, anche se attinenti ai diritti patrimoniali connessi, relative ai rapporti di lavoro che si svolgono in regime di diritto pubblico.

Peraltro, la giurisdizione del giudice ordinario non viene meno nel caso in cui vengano in rilievo atti amministrativi presupposti, perché se gli stessi sono rilevanti ai fini della decisione, il giudice del lavoro, che ne accerta l'illegittimità, li può direttamente disapplicare.

Oltre ai limiti, per così dire, soggettivi, che il citato art. 63 D.lgs. 165/2001 pone alla giurisdizione ordinaria, vengono attribuite al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Massime relative all'art. 409 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 36430/2021

Le controversie sulla determinazione del compenso dell'amministratore di condominio rientrano nella competenza del giudice ordinario e non in quella del giudice del lavoro, giacché il rapporto tra quello ed il condominio non solo è qualificabile in termini di mandato (le cui disposizioni sono applicabili ex art. 1129, comma 15, c.c., per quanto non disciplinato in modo specifico da detta norma), ma è, altresì, privo del requisito della coordinazione ed ingerenza caratterizzante la parasubordinazione ex art. 409, comma 1, n. 3., c.p.c., stante la particolare natura del condominio (soggetto sostanzialmente privo di organizzazione ed avente come unico fine la gestione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva), la quale esclude sia qualsiasi inserimento dell'amministratore in una qualche organizzazione esterna, che un potere continuo e diffuso di intervento ed intromissione del preponente, tanto più considerato che la l. n. 220 del 2012 ha ulteriormente delineato l'attività dell'amministratore in termini di professionalità e autonomia. (Rigetta, TRIBUNALE PESCARA, 28/01/2016).

Cass. civ. n. 12308/2019

Il giudice del lavoro è competente funzionalmente a decidere in merito alla domanda di riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o d'opera, presentata dall'amministratore unico di una società, che abbia ad oggetto l'accertamento e l'esecuzione di un rapporto di lavoro che si sostanzia in attività estranee alle funzioni inerenti il rapporto organico.

Cass. civ. n. 285/2019

Il rapporto intercorrente tra la società di capitali ed il suo amministratore è di immedesimazione organica e ad esso non si applicano né l'art. 36 Cost. né l'art. 409, comma 1, n. 3) c.p.c.. Ne consegue che è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni.

Cass. civ. n. 410/2018

L’azione di risarcimento proposta dal datore di lavoro nei confronti del terzo, in conseguenza delle lesioni personali subite da un proprio dipendente, per il danno derivante dalla mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative dello stesso, non rientra nella competenza del giudice del lavoro, in quanto il rapporto di lavoro tra l’attore ed il danneggiato non è l'oggetto della relativa controversia.

Cass. civ. n. 12460/2017

In tema di controversie tra socio e cooperativa l’art. 5, comma 2, della l. n. 142 del 2001, come sostituito dall’art. 9 della l. n. 30 del 2003, contempla la competenza del tribunale in composizione ordinaria limitatamente alle “controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica”, senza che detto assetto normativo sia stato mutato dalla l. n. 27 del 2012, posto che il principio della forza di attrazione del rito del lavoro, di cui all’art. 40, comma 3, c.p.c., costituisce regola cui deve riconoscersi carattere generale e preminente, per gli interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire. (Nella specie, la S.C. ha affermato la competenza del giudice del lavoro in una controversia ove il “petitum” era costituito dalla richiesta di condanna della società committente, reale datrice di lavoro, al pagamento dei corrispettivi in favore dei soci–lavoratori, anche se in solido con alcune società interposte, ritenendo irrilevante l’ulteriore domanda diretta all’accertamento della simulazione del rapporto di lavoro mediante lo schema cooperativistico).

Cass. civ. n. 16626/2016

Il singolo lavoratore non è titolare di un interesse ad agire in prevenzione rispetto a provvedimenti organizzativi datoriali solo potenzialmente lesivi della sua posizione giuridica, in quanto il datore di lavoro, nell'esplicazione della libera iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost., non è vincolato nei confronti della generalità dei dipendenti, né dagli obblighi generali di correttezza e buona fede derivano obbligazioni autonome nei suoi confronti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello ed escluso l'interesse ad agire di singoli lavoratori avverso un provvedimento datoriale che negava l'autorizzazione per cambio turno, ed ad altri fini, per i dipendenti già assenti per malattia in periodi di massima concentrazione delle ferie o assenti al controllo fiscale o in altre condizioni specificamente elencate, nessuna delle quali in concreto sussistente in capo ad essi).

Cass. civ. n. 18110/2015

La domanda di risarcimento per danno da "mobbing", avanzata dal socio di una società cooperativa nei confronti della compagine sociale in relazione a prestazioni lavorative ricomprese nell'oggetto sociale, rientra nella competenza funzionale del giudice del lavoro anche quando i rapporti di lavoro instaurati siano temporanei, permanendo la distinzione con il rapporto sociale, sicché, in forza dell'art. 806 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40 del 2006, "ratione temporis" applicabile), la clausola compromissoria, contenuta nello statuto della cooperativa e non prevista da accordi o contratti collettivi, non è idonea a impedire la valida adizione dell'autorità giudiziaria.

Cass. civ. n. 15619/2015

Qualora la responsabilità del direttore generale di una società per azioni sia stata dedotta sotto il profilo delle inadempienze poste in essere nello svolgimento delle sue mansioni, ossia nell'ambito del rapporto di lavoro (nella specie, in relazione alle scelte operative adottate, asseritamente in violazione degli obblighi di diligenza, fedeltà e lealtà, che avevano comportato l'errato investimento di titoli della società), l'azione non va proposta alla sezione specializzata di cui al d.lgs. n. 168 del 2003 ma al giudice del lavoro, attesa l'espressa salvezza stabilita dall'art. 2396 c.c.

Cass. civ. n. 7007/2015

In tema d'impresa familiare, la cognizione del giudice del lavoro, ex art. 409 cod. proc. civ., non è circoscritta all'accertamento del diritto alla remunerazione dei soggetti indicati dall'art. 230 bis cod. civ., ma comprende la domanda con la quale un coniuge, previo accertamento della partecipazione all'impresa familiare con l'altro coniuge, chieda, ai sensi della disposizione citata, l'attribuzione di beni o di quote di beni, che assuma acquistati con i proventi dell'impresa stessa, posto che tali pretese trovano titolo nel rapporto di collaborazione personale, continuativa e coordinata, riconducibile nella previsione dell'art. 409 n. 3 cod. proc. civ., il quale non diversifica le controversie in ragione del fatto che sia stata proposta una domanda di accertamento ovvero di condanna.

Cass. civ. n. 3029/2015

In materia di rapporti di agenzia, ove l'agente abbia organizzato la propria attività di collaborazione in forma societaria, anche di persone, o comunque si avvalga di una autonoma struttura imprenditoriale, non è ravvisabile un rapporto di lavoro coordinato e continuativo ai sensi dell'art. 409, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sicché non può essere riconosciuta in via automatica la rivalutazione monetaria sulle somme liquidate in favore dell'agente.

Cass. civ. n. 17869/2014

In materia di lavoro dei detenuti, trattandosi di rapporto di lavoro con il Ministero della Giustizia, opera il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi poiché non ricorre la medesima "ratio" di cui alla pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000 - che ha escluso il divieto per i crediti dei lavoratori privati - ma sussistono ragioni di contenimento della spesa pubblica, che giustificano la differenziazione della disciplina.

Cass. civ. n. 14373/2014

Il rapporto di lavoro degli addetti ad una ferrovia in concessione, in seguito alla revoca della concessione ed al suo affidamento ad una gestione governativa, integra un rapporto di pubblico impiego, in quanto di nuovo riferibile allo Stato e non ad un'impresa distinta dalla sua organizzazione pubblicistica, atteso che l'azienda in gestione commissariale sopravvive all'affidamento della gestione del servizio alle Ferrovie dello Stato s.p.a. e la titolarità dei rapporti di lavoro continua ad intercorrere tra la gestione governativa ed i suoi dipendenti.

Cass. civ. n. 2397/2014

Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e costituisce controversia individuale di lavoro, ex art. 409 cod. proc. civ., la domanda proposta da un dipendente pubblico - il cui rapporto risulti, "ratione temporis", contrattualizzato - diretta a far valere, nei confronti del proprio datore di lavoro, il diritto di accedere a taluni documenti del proprio fascicolo personale, poiché mira a tutelare una situazione soggettiva che trova la sua fonte nel rapporto di lavoro e non la pretesa, spettante a qualsiasi interessato, di conseguire l'accesso a documenti amministrativi che lo riguardino, con la conseguenza che la stessa resta sottratta all'operatività sia dell'art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (che devolve al giudice amministrativo la cognizione delle controversie relative alla tutela del diritto di accesso da parte di chiunque vi abbia interesse), sia dell'art. 152, comma 13, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, secondo cui le controversie in materia di trattamento di dati personali sono definite dall'autorità giudiziaria ordinaria con sentenza ricorribile solo per cassazione.

Cass. civ. n. 20358/2013

Le controversie fra enti locali e loro dipendenti relative a trattamenti supplementari di fine servizio, dovuti da tali enti in virtù di un'obbligazione autonomamente assunta (nell'ambito di una previdenza interna di carattere aziendale) e fatti salvi - per il personale in servizio alla data del 1 marzo 1966 - dall'art. 17 della legge 8 marzo 1968, n. 152, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo a prestazioni, di contenuto genericamente previdenziale, che ineriscono strettamente al rapporto di pubblico impiego e che non hanno la medesima natura del trattamento di fine servizio corrisposto dall'I.N.A.D.E.L., tenuto anche conto che la riduzione dei predetti trattamenti supplementari prevista dallo stesso art. 17 della citata legge (in misura pari all'ammontare dell'aumento da questa apportato al trattamento corrisposto dall'I.N.A.D.E.L.) deriva dal carattere integrativo proprio di tali trattamenti. (Fattispecie relativa a rapporti di lavoro cessati anteriormente al 30 giugno 1998).

Cass. civ. n. 12188/2013

La controversia relativa al compenso da corrispondere per un rapporto di lavoro nella quale non vi sia accordo tra le parti in merito alla natura autonoma o subordinata, alla sua esatta qualificazione come rapporto di agenzia o di procacciamento di affari e, quindi, all'individuazione del giudice competente, deve essere attribuita alla competenza del giudice del lavoro, in quanto le suddette questioni relative alla qualificazione del rapporto, così come le questioni attinenti alla mancata iscrizione del lavoratore nell'albo degli agenti, riguardando il merito della controversia, non rilevano ai fini processuali.

Cass. civ. n. 9415/2012

Qualora il lavoratore, danneggiato da un sinistro stradale occorso mentre si trovava a bordo di un'autovettura di servizio, agisca per il risarcimento nei confronti del datore di lavoro, proprietario del mezzo, senza far riferimento al rapporto di lavoro, ma a titolo di responsabilità extracontrattuale da circolazione di veicoli, la competenza non appartiene al giudice del lavoro, ma al giudice ordinario.

Cass. civ. n. 15535/2011

La società in accomandita semplice, quale che ne sia il numero di soci, costituisce comunque un centro autonomo d'imputazione di rapporti giuridici rispetto ai soci stessi; pertanto, concluso un contratto di agenzia tra l'impresa preponente ed una società in accomandita semplice, la controversia sulla risoluzione di tale contratto esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro, a nulla rilevando che uno dei soci abbia materialmente svolto attività personale di agente, in quanto tale attività viene necessariamente mediata dalla società, perdendo il carattere della personalità nei confronti del preponente.

Cass. civ. n. 12907/2011

In tema di rapporto di lavoro, sorto ed eseguito all'estero, assume rilevanza, quale criterio generale di radicamento della competenza giurisdizionale del giudice italiano, il dato oggettivo del domicilio o della residenza in Italia del convenuto, a prescindere dalla nazionalità.

Cass. civ. n. 1877/2011

La domanda dell'ex pubblico dipendente che agisca in giudizio per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni patiti per effetto dell'errore, da quest'ultima commesso, nel calcolo della sua posizione contributiva, trova fondamento nel rapporto di lavoro e va devoluta al giudice ordinario od a quello amministrativo sulla base della regola fissata dall'art. 69, comma 7, del d.l.vo 30 marzo 2001, n. 165, e, nel caso di dipendente cessato dal servizio anteriormente al 30 giugno 1998 (privatizzazione del pubblico impiego), va sempre dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.

Cass. civ. n. 24692/2010

In tema di lavoro del socio di cooperativa, nel regime successivo all'entrata in vigore della legge 14 febbraio 2003, n. 30, la controversia sul licenziamento intimato in dipendenza o contestualmente all'esclusione del socio non spetta alla competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro, ma compete al tribunale ordinario (nella specie, con il rito societario di cui al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 5, "ratione temporis" applicabile), avendo la legge richiamata valorizzato la dipendenza del rapporto di lavoro da quello societario, l'accertamento della cui legittima cessazione è pregiudiziale a quello della legittimità del licenziamento.

Cass. civ. n. 10974/2010

La prestazione di volontariato, per sua natura gratuita e spontanea, non è soggetta alla disciplina sul volontariato, ma alla disciplina giuslavoristica del rapporto di lavoro, se, indipendentemente dal "nomen juris", il volontario sia assunto e retribuito con un compenso che superi il mero rimborso spese. (Nella specie, relativa a prestazioni di assistenza svolte da un lavoratore a favore del SUNIA, la S.C. nel rigettare il ricorso, ha ritenuto correttamente motivata la sentenza di merito attesa la piena autonomia delle modalità della prestazione offerta dal prestatore, i cui comportamenti si erano sviluppati anche in termini configgenti con la linea dell'organizzazione sindacale fino a determinare la cessazione del rapporto, in alcuna misura imputabile a violazioni di obblighi di lavoro; anche con riguardo agli indici cosiddetti sussidiari, inoltre, la corte di merito aveva sottolineato il carattere non fisso e meramente eventuale del compenso in quanto costituito dagli importi, provenienti dal tesseramento, residuati dalla quota attribuita al sindacato e da quella al medesimo trattenuta per rimborso spese).

Cass. civ. n. 8214/2009

In materia di rapporti di agenzia e di procacciamento d'affari si applicano le disposizioni relative alle controversie individuali di lavoro, ai sensi dell'art. 409, comma primo, n. 3, c.p.c., ove il rapporto presenti le caratteristiche del coordinamento, della continuità e della prevalente personalità della prestazione. Ne consegue che, dovendo la determinazione della competenza essere effettuata in base al contenuto della domanda giudiziale, va esclusa la competenza del giudice del lavoro allorché si prospetti che l'attività viene realizzata attraverso una struttura organizzativa piramidale. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto la correttezza della decisione del giudice di pace, il quale, alla stregua delle indicazioni contenute nell'atto di citazione, che delineavano una organizzazione con diversi livelli di operatività e la presenza di collaboratori in posizione subalterna al ricorrente, aveva disatteso l'eccezione di incompetenza).

Cass. civ. n. 3192/2009

In materia di pubblico impiego privatizzato, la sottoposizione delle controversie di lavoro dei pubblici dipendenti al giudice del lavoro determina l'applicazione delle relative norme processuali. Ne consegue che, dovendo l'impugnazione di un provvedimento giurisdizionale essere proposta, in applicazione del principio cosiddetto dell'apparenza, nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge rispetto alla domanda così come qualificata dal giudice, le cui determinazioni sul rito adottato assumono, indipendentemente dall'esattezza della relativa valutazione, funzione enunciativa della natura della vertenza così da assicurare il massimo grado di certezza al regime dei termini di impugnazione, alla relativa controversia non si applica la sospensione feriale dei termini ai sensi dell'art. 3 della legge n. 742 del 1969. (Fattispecie in tema di ricorso contro un provvedimento disciplinare inflitto dal Ministero delle Finanze, deciso in primo grado dal giudice del lavoro e impugnato innanzi alla Corte d'appello, sezione lavoro, oltre il termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ.; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha dichiarato inammissibile il ricorso)

Cass. civ. n. 3052/2009

In tema di riparto di giurisdizione nelle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico privatizzato, spettano alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie nelle quali, pur chiedendosi la rimozione del provvedimento di conferimento di un incarico dirigenziale (e del relativo contratto di lavoro), previa disapplicazione degli atti presupposti, la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi. Non può infatti operare in tal caso il potere di disapplicazione previsto dall'art. 63, comma 1, del D.lgs. n. 165 del 2001, il quale presuppone che sia dedotto in causa un diritto soggettivo, su cui incide il provvedimento amministrativo, e non (come nella specie) una situazione giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all'esito della rimozione del provvedimento. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto devoluta al giudice amministrativo la controversia nella quale alcuni funzionari comunali - deducendo la lesione delle aspettative di avanzamento nella carriera e il relativo danno - chiedevano la rimozione del provvedimento sindacale di conferimento di incarico dirigenziale a persona esterna, adottato sulla base di un atto organizzativo della Giunta che, modificando il regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e servizi, aveva consentito l'attribuzione di incarichi dirigenziali fuori dalla dotazione organica, invece che la scelta nell'ambito dei dipendenti).

Cass. civ. n. 24361/2008

Perché sia configurabile un rapporto di cosiddetta parasubordinazione ai sensi dell'art. 409 n. 3 cod. proc. civ., devoluto alla competenza del giudice del lavoro, è necessario che la prestazione d'opera del collaboratore autonomo con l'ente preponente sia continuativa e personale, o prevalentemente personale, e che l'attività si svolga in connessione o collegamento con il preponente stesso, per contribuire al conseguimento delle finalità cui esso mira. Ne consegue che, ove la prestazione (avente ad oggetto l'accertamento e la descrizione dei nuovi beni aziendali) sia quella di un ingegnere, assume rilievo il momento della continuità collaborativa e del coordinamento con la struttura dell'ente, che prevale sulla specificità e professionalità dei singoli incarichi. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha confermato la sentenza di merito che aveva qualificato il rapporto in termini di parasubordinazione attesa la durata, decennale, della collaborazione, la cadenza mensile degli incarichi, la natura del compenso percepito, rapportata al valore di stima del bene e con un "minimo garantito", nonché per il persistente e continuativo collegamento con i capi progetto, i capi servizio e gli impiegati della società, a cui il prestatore, nell'espletamento della sua attività, doveva rapportarsi, ritenendo quindi ininfluente accertare che il medesimo effettuasse anche perizie sommarie di stima dei beni ).

Cass. civ. n. 18618/2008

Qualora sia configurabile un rapporto di funzionario (come, nella specie il rapporto che lega il Commissario straordinario del Consorzio di Bonifica della Valle Telesina all'ente) per le relative controversie la giurisdizione va determinata in applicazione dei criteri generali, tenendo conto delle situazioni giuridiche sostanziali di diritto soggettivo o di interesse legittimo fatte valere in giudizio ed individuabili alla stregua del "petitum" sostanziale. Ne consegue che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda proposta (dall'anzidetto Commissario) per la corresponsione di compensi legati all'esercizio di tale funzione, giacché il trattamento economico del funzionario onorario, in mancanza di specifiche previsioni di legge, ha natura indennitaria e non retributiva, con esclusione di qualsiasi nesso di sinallagmaticità, restando affidato, quindi, alle libere e discrezionali determinazioni dell'autorità che procede all'investitura, di fronte alle quali il funzionario ha un mero interesse legittimo.

Cass. civ. n. 18709/2007

Nell'ambito di controversia relativa a rapporto di lavoro pubblico privatizzato, la pregiudiziale amministrativa (da ritenersi configurabile anche in presenza del nuovo testo dell'art. 295 c.p.c. che pure non ne reca più l'esplicita menzione) può astrattamente sussistere solo nel caso che il giudice amministrativo sia chiamato a definire questioni di diritto soggettivo nell'ambito di attribuzioni giurisdizionali esclusive, ma mai nel caso di controversia avente ad oggetto l'impugnazione di provvedimenti a tutela interessi legittimi, avendo conferito la legge al giudice ordinario il potere di disapplicazione dei provvedimenti a tutela dei diritti soggettivi influenzati dagli effetti dei detti provvedimenti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva disatteso l'istanza di sospensione del giudizio relativo all'assunzione di un vincitore di concorso sulla base delle risultanze della graduatoria, benché questa fosse stato oggetto di impugnativa innanzi al giudice amministrativo).

Cass. civ. n. 12348/2007

La disposizione del quarto comma dell'art. 63 del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, che attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione di pubblici dipendenti si riferisce solo al reclutamento basato su prove di concorso, caratterizzato da una fase di individuazione degli aspiranti forniti dei titoli generici di ammissione e da una successiva fase di svolgimento delle prove e di confronto delle capacità, diretta ad operare la selezione in modo obiettivo e dominata da una discrezionalità (non solo tecnica, ma anche) amministrativa nella valutazione dei candidati; detta disposizione non riguarda, pertanto, le controversie nelle quali si intenda far valere il diritto al lavoro, in relazione al quale la P.A. è dotata unicamente di un potere di accertamento e di valutazione tecnica. Ne consegue che la controversia con la quale si chieda il risarcimento dei danni, per non avere la P.A. – ai fini della formazione della graduatoria definitiva relativa ad una procedura concorsuale – valutato il titolo di riserva spettante agli invalidi civili ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482 (ora legge 12 marzo 1999, n. 68), è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che la relativa disciplina non lascia alla P.A. alcun criterio di discrezionalità in relazione alla posizione soggettiva dell'invalido, che si configura come diritto al posto riservato quale appartenente a categoria protetta.

Cass. civ. n. 27576/2006

Le controversie inerenti ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sono soggette al rito del lavoro soltanto qualora l'attività del collaboratore sia caratterizzata da prestazioni di natura prevalentemente personale; tale requisito manca, con conseguente insussistenza della competenza del giudice del lavoro, nel caso in cui la controversia riguardi un siffatto rapporto di collaborazione nel quale, però, l'attività del collaboratore sia esercitata da una società, anche se di persone o irregolare ovvero di fatto, poiché, in tal caso, l'attività medesima non è riferibile a persone fisiche e, quindi, non riveste – così come richiesto dall'art. 409 n. 3 c.p.c. – carattere prevalentemente personale. (Nella specie, la S.C., alla luce dell'enunciato principio, ha affermato, in sede di regolamento, la competenza del tribunale ordinario, anziché quella del giudice del lavoro come ravvisata nella sentenza impugnata, con riferimento alla cognizione di una controversia proposta da una società di capitali nei confronti di una Srl per il pagamento di somme relative a credito derivante da differenze tariffarie per trasporti effettuati dalla prima nell'interesse della seconda).

Cass. civ. n. 21028/2006

L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e di per se non decisiva; sicché qualora vi sia una situazione oggettiva di incertezza probatoria, il giudice deve ritenere che l'onere della prova a carico dell'attore non sia stato assolto e non già propendere per la natura subordinata del rapporto. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio, per contraddittorietà della motivazione, la sentenza di merito che, in un giudizio di opposizione avverso un'ordinanza-ingiunzione emessa dall'I.N.P.S. per il pagamento di oneri contributivi omessi in relazione a rapporti di lavoro non regolarizzati con riguardo ad alcune operatrici telefoniche dell'associazione «S.O.S. Infanzia. Il Telefono Azzurro» aveva valorizzato, onde ritenere la natura subordinata dei rapporti di lavoro, meri elementi di contorno, di per se non decisivi, quali la misura dell'orario, la modalità di determinazione del compenso, i limiti dell'autonomia delle collaboratrici e la circostanza che il presidente dell'associazione impartisse delle direttive e desse delle regole, senza tener conto dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e della volontà di costituire rapporti di lavoro autonomo espressa dalle parti negli accordi negoziali).

Cass. civ. n. 7039/2006

In materia di rapporti di pubblico impiego, il giudice ordinario che dichiari il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo non può disporre la rimessione delle parti davanti a detto giudice, con gli effetti ricollegabili alla translatio iudicii.

Cass. civ. n. 15790/2005

In tema di controversie attinenti a rapporti di agenzia, l'esistenza di un'organizzazione in forma sociale dell'agenzia implica una mera presunzione di insussistenza del carattere prevalentemente personale dell'attività svolta e, quindi, di insussistenza della parasubordinazione, in ordine alla quale rimane possibile per qualunque soggetto interessato fornire la prova contraria. (Nella fattispecie, in cui la S.C. era stata investita con regolamento di competenza indirizzato a far dichiarare la competenza del tribunale ordinario – e non di quello del lavoro – in cui era ubicata la sede della parte convenuta sul presupposto dell'unicità oggettiva e soggettiva dell'azione proposta dall'attore che aveva operato anche quale legale rappresentante di una società donde l'esclusione di un rapporto di parasubordinazione con la convenuta, la S.C. ha accolto il ricorso enunciando il suddetto principio, ritenendo che l'autonoma struttura imprenditoriale di cui l'agente si era in concreto avvalso aveva avuto caratteristiche tali da escludere, per l'appunto, la sussistenza della parasubordinazione, senza che fosse stata offerta alcuna prova contraria in merito).

Cass. civ. n. 9155/2005

La competenza per le cause aventi ad oggetto il trattamento economico indennitario spettante ai funzionari onorari non legati all'ente pubblico da un rapporto professionale di servizio va determinata (nel caso in cui, in relazione alla posizione giuridica fatta valere, sussista la giurisdizione del giudice ordinario) in base al valore della causa, non sussistendo gli elementi per una competenza funzionale del giudice del lavoro, poiché il rapporto non è inquadrabile nella figura giuridica della parasubordinazione, delineata dall'art. 409, n. 3, c.p.c. (Fattispecie relativa alla rivendicazione dell'indennità cosiddetta giudiziaria da parte dei giudici di pace).

Cass. civ. n. 23897/2004

Per la sussistenza della cosiddetta parasubordinazione non è necessario che la continuità delle prestazioni sia stata convenzionalmente stabilita, ben potendo tale requisito essere accertato a posteriori, in base alla reiterazione di fatto delle prestazioni. (In particolare la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ravvisato gli elementi della parasubordinazione – ai fini della applicazione del contributo di cui all'art. 2, comma ventiseiesimo, della legge n. 335 del 1995 – nella attività di numerosi «strilloni» incaricati della distribuzione per strada di un quotidiano, per conto di società il cui oggetto sociale era costituito da tale distribuzione, sulla base di varie circostanze emerse ed in specie: la programmazione settimanale delle postazioni e delle relative coperture – seppure con ampia elasticità e con libertà per gli «strilloni» di determinare il numero dei giorni e la cadenza dell'impegno settimanale, o anche di assentarsi e di effettuare cambi di postazione – ; la cadenza di presenza settimanale notevole dei singoli incaricati; sulla circostanza della acquisizione delle postazioni migliori per priorità acquisite nel tempo e conservate di fatto e l'interesse degli stessi «strilloni» alla detta conservazione; l'affidamento da parte committente nella reiterazione delle prestazioni e da parte degli «strilloni» nella possibilità di esplicare nel tempo la loro attività).

Cass. civ. n. 17569/2004

Con riferimento a prestazioni di carattere intellettuale, che non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale nè postulano un'assunzione di rischio a carico del lavoratore, il criterio fondamentale per l'accertamento della natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è costituito dall'esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione professionale della prestazione di lavoro, abbia un'ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre, in maniera piena, della stessa nell'ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva; in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto nell'uno o nell'altro schema contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, con motivazione insufficiente, aveva ritenuto la natura subordinata di un rapporto di lavoro, stipulato come autonomo, avente ad oggetto la prestazione, presso la RAI, di attività di traduttore-annunciatore per la realizzazione in varie lingue di programmi radiofonici con trasmissione di notiziari in diretta quattro volte la settimana, attribuendo rilievo ad elementi non univoci, quali la continuità e la predeterminazione della prestazione, e omettendo invece di esaminarne altri – quali la volontà delle parti nel momento iniziale del rapporto, le modalità comportamentali in caso di assenza, la struttura di controllo della prestazione, l'obbligo o la mera richiesta di sostituzione di lavoratori dipendenti – rilevanti ai fini della indagine in concreto sulla natura del rapporto).

Cass. civ. n. 8598/2004

In tema di rapporti di cosiddetta parasubordinazione, devoluti, ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c., alla competenza del giudice del lavoro, il requisito del coordinamento fra la prestazione d'opera continuativa e personale, o prevalentemente personale, del collaboratore e il preponente postula che la medesima attività si svolga in connessione o collegamento con il preponente stesso, per contribuire alle finalità cui esso mira. Ne consegue che, nel caso in cui la prestazione continuativa e personale sia quella di un avvocato, il coordinamento va ravvisato qualora l'attività del legale si inserisca nell'organizzazione aziendale del preponente, risulti collegata con gli scopi di essa, e, pur in limiti compatibili con l'autonomia professionale, sia assoggettata ad ingerenze e direttive. (Il Giudice di Pace si era dichiarato incompetente in ordine alla domanda di pagamento del compenso per le prestazioni professionali – giudiziali e stragiudiziali svolte da un avvocato in favore di un condominio, ritenendola devoluta al giudice del lavoro ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c. Nel cassare la decisione impugnata, la Corte, dopo avere innanzitutto escluso che per le attività giudiziali potesse ricorrere la competenza del giudice del lavoro, ha ritenuto – relativamente a quelle stragiudiziali – che, in considerazione della stessa natura del soggetto preponente – ente di gestione delle cose comuni e perciò sostanzialmente privo di alcuna organizzazione – non potesse qualificarsi come parasubordinata l'attività di consulenza prestata dal legale – senza alcuna possibilità d'ingerenza da parte del preponente nell'ambito della gestione condominiale, evidenziando altresì l'assoluta irrilevanza, delle modalità di determinazione del compenso, che per l'attività di consulenza era stato previsto in misura forfettaria).

Cass. civ. n. 1572/2004

I giudizi in materia di contratti agrari sono devoluti alle sezioni specializzate agrarie e si svolgono con l'osservanza del rito del lavoro, di cui agli artt. 409 e seguenti c.p.c.; ne consegue che non è ad essi applicabile l'art. 183 c.p.c., che regola l'udienza di trattazione nel rito ordinario. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito nella quale il giudice aveva rilevato ex officio l'improcedibilità di alcuni capi della domanda per la prima volta in sede decisoria, senza aver previamente indicato alle parti la questione come questione rilevabile d'ufficio della quale riteneva opportuna la trattazione, e senza quindi consentire alle parti di prendere posizione in merito).

Cass. civ. n. 5534/2003

Ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, elementi rilevanti sono l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo (da esplicarsi con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generale), organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale, da valutarsi con riferimento alla specificità dell'incarico conferitogli e alle modalità della sua attuazione. Lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro è invece compatibile con ambedue le forme di rapporti, sicché assume rilievo ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato solo quando per oggetto e per modalità i controlli siano finalizzati all'esercizio del potere direttivo e, eventualmente, di quello disciplinare; altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti al momento della stipulazione del contratto può essere rilevante, ma certamente non è determinante. L'apprezzamento in concreto circa la riconducibilità di determinate prestazioni all'uno o all'altro tipo di rapporto costituisce un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivato in riferimento ad un esatto parametro normativo. (Nella specie, relativa ad attività inerenti la segreteria in uno studio professionale, la S.C. ha cassato con rinvio per vizio di motivazione la sentenza di merito che aveva ritenuto la natura subordinata del rapporto in contestazione omettendo la valutazione circa l'assoggettamento a poteri direttivi e di controllo del datore di lavoro).

Cass. civ. n. 7814/2001

Il principio secondo cui sussiste la competenza del giudice del lavoro per le cause relative all'inadempimento di un patto di non concorrenza stipulato da un agente con l'impresa mandante, anche quando il patto, pur stipulato dopo la cessazione del rapporto di agenzia, sia funzionalmente collegato con tale rapporto, non è applicabile con riferimento al patto concluso da soggetto cumulante le posizioni di titolare di una rilevante quota azionaria e di collaborazione del gruppo di maggioranza, di componente del consiglio di amministrazione e di agente della società stessa, in coincidenza temporale con la cessazione di ognuna di dette relazioni con la società, qualora dal tenore letterale e dalla portata oggettiva del patto si evinca che esso si riferisce alla posizione complessivamente rivestita dal soggetto rispetto alla società e alla globale attività della medesima, mentre la rilevanza del pregresso rapporto di agenzia sia esclusa anche dalla stipulazione, quando al medesimo, di una transazione generale novativa, determinante la radicale sostituzione dell'originario rapporto con quello derivante dal contratto di transazione (artt. 1230 e 1976 c.c.). Ed è sicuramente esclusa, al fine di radicare la competenza del giudice del lavoro, la pregressa posizione di componente del consiglio di amministrazione, qualora non sussista la prova della effettiva configurabilità, in relazione alla stessa, di un rapporto di collaborazione rilevante ai sensi dell'art. 409 c.p.c., in base all'effettivo svolgimento di un'attività retribuita e continuativa di gestione o amministrazione della società. (Nella specie, nelle premesse del patto di non concorrenza era fatto riferimento alle dimissioni da consigliere di amministrazione e alla cessione della quota azionaria, e il promettente si era impegnato ad astenersi dallo svolgimento di attività concorrenziale non solo dal punto di vista commerciale, ma con riferimento a qualsiasi attività, autonoma o subordinata, nei settori della produzione, assemblamento e commercializzazione dei macchinari oggetto dell'attività di impresa, e aveva assunto obblighi di riservatezza riguardanti anche il rispetto della proprietà industriale e la non rivelazione di segreti e notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa).

Cass. civ. n. 5901/2001

Rientra nella competenza per materia del giudice del lavoro, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., la controversia instaurata dal preponente contro l'agente persona fisica per violazione della clausola pattizia di non concorrenza per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di agenzia, atteso che è configurabile una responsabilità contrattuale, essendo tale clausola espressamente inserita nel contratto e collegata al pregresso rapporto e alla regolamentazione di interessi derivante dalla cessazione di esso.

Cass. civ. n. 2450/2001

Per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell'art. 409 n. 1 c.p.c., devono intendersi non solo quelle relative ad obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie, in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente a detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e come presupposto necessario e non meramente occasionale della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, come nel caso di domanda di risarcimento del danno derivante da infortunio sul lavoro.

Cass. civ. n. 15001/2000

Gli elementi che differenziano, alla stregua del parametro normativo, il lavoro subordinato da quello autonomo sono l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale; al riguardo è rilevante l'esistenza in tal senso di un diritto del datore di lavoro e, rispettivamente, di un obbligo del lavoratore, derivanti dal contratto, fermo restando che la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà. Invece, elementi quali l'assenza del rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un'orario e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, fermo restando che l'apprezzamento in concreto circa la riconducibilità di determinate prestazioni ad un rapporto di lavoro subordinato o autonomo si risolve in un accertamento di fatto che, ove adeguatamente e correttamente motivato in rapporto ad un esatto parametro normativo, è incensurabile in cassazione. (Nella specie, con la sentenza impugnata era stata esclusa la natura subordinata del rapporto di soggetto asseritamente preposto alla direzione vendite e distribuzione di un'importante casa editrice; la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha rilevato che il giudice di merito aveva fatto riferimento ai principi sopra enunciati, correttamente ritenendo necessaria, ai fini della subordinazione, l'emanazione di ordini specifici e un'assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione della prestazione, e, riguardo alla doglianza di omessa considerazione di elementi decisivi, ha osservato che nella logica del parametro applicato e degli accertamenti eseguiti non erano rilevanti né l'affidamento al ricorrente della responsabilità di una direzione aziendale con il riconoscimento della relativa qualifica, né la formulazione da parte dello stesso di proposte relative al rapporto di lavoro dei collaboratori – di cui aveva la responsabilità solo funzionale —, né la presenza in azienda – con inserimento nell'elenco telefonico degli addetti alla sede – e gli orari seguiti, né l'uniforme entità dei compensi).

Cass. civ. n. 14454/2000

Rientra nella competenza del giudice ordinario la controversia relativa alla domanda di risarcimento danni proposta dall'impresa preponente nei confronti di un soggetto legato da rapporto parasubordinato di collaborazione per atti di concorrenza sleale commessi dopo la cessazione del rapporto contrattuale; mentre rientra nella competenza del giudice del lavoro la domanda fondata sull'art. 2958 c.c. per fatti commessi durante la pendenza del rapporto di lavoro.

Cass. civ. n. 13373/2000

La qualità di socio di una cooperativa non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra la cooperativa e il socio, a condizione che la prestazione lavorativa non sia conferita alla società per patto contrattuale e che a tale conferimento non sia connessa una pattuizione di partecipazione agli utili. Ai fini del relativo accertamento – riservato al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo se non sorretto da congrua motivazione ed affetto da vizi logici – assumono valore decisivo l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'impresa in modo continuativo e sistematico e l'esercizio di una costante vigilanza del datore di lavoro sull'operato del lavoratore, atteso che tali elementi rappresentano i connotati esclusivi e peculiari della subordinazione.

Cass. civ. n. 7736/2000

Qualora la parte convenuta in giudizio contesti la competenza del giudice adito secondo le regole ordinarie (nella specie: giudice di pace) ed affermi quella per materia del giudice del lavoro, perché il giudice possa escludere ictu oculi l'esistenza di un rapporto ex art. 409 c.p.c. – e negare la competenza del giudice del lavoro – occorre che l'inesistenza di rapporti siffatti si desuma dalle stesse asserzioni delle parti, nel corso e nei limiti dell'esame delibativo del reale oggetto della controversia che il giudice deve compiere ai fini della verifica della propria competenza, senza la necessità di procedere ad ulteriori indagini e senza che rilevino questioni riguardanti il merito della controversia. Ne consegue che la controversia relativa al compenso da corrispondere per un rapporto di lavoro nella quale non vi sia accordo tra le parti in merito alla natura autonoma o subordinata del rapporto, alla sua esatta qualificazione come rapporto di agenzia o di procacciamento di affari e, quindi, al giudice competente, deve essere attribuita alla competenza del giudice del lavoro in quanto le suddette questioni relative alla qualificazione del rapporto, così come le questioni attinenti alla mancata iscrizione del lavoratore nell'albo degli agenti, riguardando il merito della controversia, non rilevano ai fini processuali.

Cass. civ. n. 14722/1999

Ai fini del rapporto di parasubordinazione – che l'art. 409 n. 3 c.p.c. assoggetta al rito del lavoro – si richiedono la continuità della prestazione e la coordinazione della stessa con l'attività concorrente del destinatario; la prima – la quale è ravvisabile anche quando si tratti di prestazione unica, ma richiedente una attività prolungata – implica, in caso di unicità dell'opus, una interazione fra le parti dopo la conclusione del contratto non limitata ai momenti dell'accettazione dell'opera e del versamento del corrispettivo; mentre la seconda consiste nella connessione funzionale tra l'attività del prestatore d'opera e quella del destinatario della prestazione (sia questi imprenditore o meno), sicché l'opus realizzato rappresenti il risultato della loro collaborazione. (Nel caso di specie è stata esclusa la configurabilità di un rapporto di parasubordinazione tra le convenute dell'attuale giudizio – che avevano conferito rituale mandato a vendere il loro pacchetto azionario, relativo alla Rigamonti Spa, ad una società a responsabilità limitata, con la quale avevano esclusivamente intrattenuto rapporti giuridici – e uno degli ausiliari di tale ultima società, della cui opera essa si era avvalsa per l'espletamento della necessaria attività di ricerca finalizzata al conseguimento del risultato voluto, ancorché il suddetto ausiliario, in tale qualità, avesse relazionato saltuariamente alle venditrici sugli sviluppi della sua attività volta a piazzare il pacchetto azionario in vendita, peraltro mai direttamente ma sempre tramite un consulente delle titolari).

Cass. civ. n. 12777/1999

I soci di una cooperativa di produzione e di lavoro non possono considerarsi dipendenti della medesima per le prestazioni rivolte a consentire ad essa il conseguimento dei suoi fini istituzionali ed in particolare non rileva, ai fini della riconducibilità dell'attività del socio ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, la circostanza che i soci siano tenuti all'osservanza di orari predeterminati, percepiscano compensi commisurati alle giornate di lavoro e debbano osservare direttive, né che nei loro confronti sia applicata, quanto all'esercizio del potere disciplinare o ad altri aspetti, una normativa collettiva; rimane salva, tuttavia, l'ipotesi in cui, in considerazione dell'effettiva volontà delle parti o delle circostanze in cui il rapporto si è in concreto sviluppato, sia accertata l'utilizzazione simulata o fraudolenta dello schema cooperativistico.

Cass. civ. n. 4521/1999

Fra i rapporti di c.d. parasubordinazione, le cui controversie sono attribuite dall'art. 409 n. 3 c.p.c. alla competenza del giudice del lavoro, sono inclusi i rapporti aventi ad oggetto prestazioni riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo, ancorché rientranti in figure contrattuali tipiche, non ostandovi il fatto che il prestatore d'opera svolga la sua attività in autonomia e con responsabilità e rischi propri, purché caratterizzati dalla continuità, dal loro collegamento funzionale con gli scopi perseguiti dal committente e dall'esecuzione prevalentemente personale, senza che rilevi la comparazione meramente quantitativa del capitale impiegato (consistente nel valore dei beni utilizzati per l'esecuzione della prestazione) rispetto all'apporto lavorativo in questione, dovendo quest'ultimo essere apprezzato anche in termini qualitativi di esclusività e di continuatività dell'attività prestata in maniera stabile e senza ausilio di collaboratori ed in stretta dipendenza funzionale con le esigenze del committente. (Nella specie è stata affermata la competenza del Pretore in funzione di giudice del lavoro per la controversia relativa alle prestazioni di un soggetto impegnato con mezzi propri al trasporto ed alla consegna di prodotti di una impresa secondo termini e modalità dalla medesima di volta in volta indicati).

Cass. civ. n. 413/1999

Chi chiede il compenso di prestazioni eseguite nell'ambito di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione (art. 409 n. 3 c.p.c.) non può limitarsi a provare l'esistenza di questo, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi, senza che tuttavia sia indispensabile qualificare esattamente il rapporto dedotto in giudizio, essendo sufficiente accertare l'espletamento di una serie di incarichi (integranti o meno gli estremi del mandato ad negotia) riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo, ancorché rientranti in una pluralità di figure contrattuali tipiche le cui modalità di esplicazione possono essere caratterizzate dall'impiego prevalente di attività personale non subordinata, ricadente nell'ambito di una collaborazione continuativa e coordinata. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che, essendo state contestate le prestazioni di un consigliere di amministrazione di una Srl con riferimento alle quali si chiedeva il compenso pattuito, per l'accoglimento della domanda non fosse sufficiente – come ritenuto nella sentenza impugnata – escludere specifici obblighi di presenza dell'attore essendo invece necessario che egli fornisse la prova delle prestazioni stesse).

Cass. civ. n. 10906/1998

La controversia fra il socio e la cooperativa di produzione e lavoro, attinente a prestazioni lavorative comprese fra quelle che il patto sociale pone a carico dei soci per il conseguimento dei fini istituzionali, rientra nella competenza del giudice del lavoro, in quanto il rapporto da cui trae origine, pur da qualificare come associativo invece che di lavoro subordinato, è comunque equiparabile – al pari di quelli relativi all'impresa familiare – ai vari rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c. in considerazione della progressiva estensione operata dal legislatore di istituti e discipline propri dei lavoratori subordinati (da ultimo ai fini della procedura dell'intervento straordinario di integrazione salariale e di quella di mobilità ex art. 8 D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in L. 19 luglio 1993, n. 236), dovendo alla graduale applicazione al socio cooperatore della tutela sostanziale propria del lavoratore subordinato corrispondere un'analoga estensione della tutela processuale.

Cass. civ. n. 7799/1998

Le controversie relative al cosiddetto «procacciamento d'affari» – contratto atipico che si concreta in un'attività di collaborazione consistente nel raccogliere proposte di contratto ovvero ordinazioni presso terzi e nel trasmetterle al preponente – sono soggette al rito e alla competenza del giudice del lavoro qualora il relativo rapporto, a norma dell'art. 409 n. 3 c.p.c., presenti le caratteristiche del coordinamento, della continuità e della prevalente personalità della prestazione; il carattere della continuità va però tenuto distinto da quello della stabilità (che si verifica quando la prestazione si ripete periodicamente nel tempo, non soltanto di fatto, ma anche in osservanza di un impegno contrattuale, come nel caso del rapporto di agenzia, prevedente l'obbligo di svolgere un'attività di promozione dei contratti), con la conseguenza che l'attività del procacciatore d'affari, pur non corrispondendo ad una «necessità» giuridica, ma dipendendo esclusivamente dall'iniziativa del procacciatore e non potendo perciò, in tal senso, qualificarsi come «stabile», può tuttavia di fatto svolgersi periodicamente nel tempo e presentare perciò il carattere della continuità richiesto dal citato art. 409 n. 3 ai fini della individuazione del giudice competente e del rito applicabile alle relative controversie.

Cass. civ. n. 4173/1998

La domanda con cui il preponente, deducendo l'infedele comportamento dell'agente in costanza del rapporto di agenzia, chiede il risarcimento del danno subito a causa dello sviamento della clientela provocato dal comportamento dell'agente riguarda la violazione da parte di quest'ultimo del dovere di fedeltà, e cioè di un obbligo derivante dal rapporto di agenzia. Detta domanda, di natura contrattuale, appartiene alla competenza per materia del giudice del lavoro e non subisce spostamento per ragioni di valore.

Cass. civ. n. 2845/1998

L'art. 9 della legge 14 febbraio 1990, n. 29 ha ricondotto tutte le controversie in materia di contratti agrari, sia sotto il profilo della genesi che del funzionamento o della cessazione, alla competenza della sezione specializzata agraria, con la conseguenza che è venuta meno al riguardo la competenza del pretore ex art. 409, n. 2 c.p.c. per il giudizio di cognizione a favore del detto giudice specializzato (principio affermato con riferimento a domanda riconvenzionale volta ad ottenere il pagamento delle indennità per le migliorie apportate al fondo in costanza di un rapporto di colonia parziaria).

Cass. civ. n. 11110/1997

Per effetto dell'art. 5 del c.p.c., nella formulazione introdotta con l'art. 2 della legge n. 353 del 1990, secondo cui i mutamenti non solo dello stato di fatto ma anche normativi non incidono sulla competenza, così come determinata dallo stato di fatto e dalla legge relativi al momento della proposizione della domanda, nonché della norma transitoria, di cui all'art. 90 della stessa legge, come sostituito da ultimo con l'art. 1 del D.L. n. 432 del 1995, convertito con legge n. 534 del 1995, per cui detta regola si applica anche ai giudizi proposti anteriormente alla data della sua entrata in vigore (1 gennaio 1993), ma alla stessa ancora pendenti, la controversia in materia di mezzadria di competenza del pretore, giudice del lavoro, per effetto della competenza «residuale» di cui all'art. 409, n. 2, c.p.c., rimane attribuita alla competenza del medesimo benché l'art. 9 della legge n. 29 del 1990 abbia attribuito tutte le controversie in materia di contratti agrari alle sezioni specializzate agrarie presso i tribunali e le corti d'appello.

Cass. civ. n. 7785/1997

Per ritenere l'esistenza dei cosiddetti rapporti di collaborazione contemplati dall'art. 409 n. 3 c.p.c. devono sussistere i seguenti tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo e che importa un impegno costante del prestatore a favore del committente; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall'ingerenza di quest'ultimo nell'attività del prestatore; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura di natura materiale. Pertanto, sulla base degli elementi di fatto prospettati nell'atto di citazione – fatta salva la valutazione di tali fatti e delle contrarie deduzioni delle altre parti, che dovrà essere effettuata ai fini della decisione di merito – la tenuta della contabilità aziendale svolta in modo coordinato con l'attività esercitata dall'imprenditore, nell'ambito di un rapporto che è proseguito per un congruo periodo di tempo, dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell'art. 409 n. 3 c.p.c., con conseguente competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro, restando irrilevante che il prestatore di lavoro svolgesse anche l'attività di agente di una società di assicurazione.

Cass. civ. n. 2740/1996

Quando l'attore lamenta la violazione di un suo diritto previa allegazione di uno specifico fatto relativo ad un determinato rapporto giuridico, competente a decidere la controversia è il giudice indicato dalla legge in relazione a tale rapporto, anche se il convenuto, contestando l'esistenza di quel determinato fatto, eccepisce che al rapporto intercorso fra le parti deve essere assegnata natura diversa. Ne deriva che nell'ipotesi in cui il socio di una cooperativa di lavoro abbia formulato domande contro la società facendo valere come propria del rapporto la natura effettiva di lavoro subordinato, previa declaratoria di nullità del rapporto societario, la relativa controversia — salvo il caso di allegazione artificiosa, manifestamente preordinata a sottrarre la causa al giudice precostituito per legge — rientra nella competenza del pretore-giudice del lavoro. Il quale peraltro, pur trattandosi di questione estranea alla sua competenza ed attribuita a quella del tribunale, non deve perciò solo rimettere a quest'ultimo la causa relativa alla dedotta nullità del patto societario (la cui decisione con efficacia di giudicato non è imposta dalla legge) e può conoscerne in via incidentale, mentre è tenuto a tale rimessione quando ne venga esplicitamente richiesto dalle parti, con specifica domanda, che pur potendo esser formulata in modo atipico anche mediante l'eccezione di incompetenza del giudice adito, deve tuttavia risultare inequivocabilmente dalle deduzioni e dalle conclusioni della parte interessata e non è ravvisabile pertanto nella suddetta eccezione quando essa miri soltanto a denunziare il carattere artificioso e strumentale della deduzione della controparte circa la nullità del rapporto societario.

Cass. civ. n. 2710/1996

La controversia relativa ad un rapporto di agenzia appartiene, ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c., alla competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro, solo quando detto rapporto si concreti in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, con esclusione, pertanto, delle ipotesi in cui agente sia una società o il medesimo si avvalga di una autonoma struttura imprenditoriale. In tali casi, la presunzione del carattere prevalentemente personale dell'attività dell'agente opera non come criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma come regola di giudizio cui far ricorso quando le risultanze processuali non consentano di pervenire alla qualificazione del rapporto, essendo il giudice tenuto nell'indagine sulla competenza a ricercare negli atti tutti gli elementi necessari ed idonei per tale qualificazione, indipendentemente dallo svolgimento o meno da parte del convenuto di attività probatoria, volta ad escludere la prevalenza del detto elemento personale.

Cass. civ. n. 2462/1996

La circostanza che il prestatore d'opera continuativa e coordinata si avvalga dell'apporto di due lavoratori subordinati non consente di per sé l'esclusione del carattere prevalentemente personale (dell'opera anzidetta) richiesto per la configurabilità di un rapporto di para-subordinazione ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c. (con conseguente devoluzione della relativa controversia alla competenza del giudice del lavoro), ove non risultino elementi atti a superare la presunzione, connessa all'esiguità del loro numero, della marginalità dell'opera dei dipendenti rispetto all'opera personale del datore di lavoro dei medesimi.

Cass. civ. n. 1495/1996

La determinazione della competenza per materia va compiuta con riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai fatti posti a suo fondamento, che il giudice può liberamente qualificare sotto l'aspetto giuridico. Pertanto, il giudice del lavoro, fermi gli elementi di fatto dedotti dall'attore come indicativi di un rapporto di collaborazione concretantesi in una prestazione continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato (art. 409 n. 3 c.p.c.), ben può escludere la configurabilità del dedotto rapporto di parasubordinazione (e, quindi, la propria competenza) ove dalla stessa esposizione dell'attore risulti il difetto del requisito della continuità della prestazione; che non è ravvisabile nel caso di affidamento di un opus unico, sia pure ad esecuzione non istantanea ed ancorché articolato in una serie di atti esecutivi dell'unico incarico.

Cass. civ. n. 12009/1995

Il principio per cui, con riguardo alle prestazioni di un socio di società cooperativa di produzione e lavoro rese conformemente alle previsioni del patto sociale ed in correlazione con le finalità istituzionali della società, non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, né un rapporto di collaborazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 409 c.p.c., non esclude che debbano attribuirsi al giudice del lavoro le controversie nelle quali il socio lavoratore abbia formulato la sua domanda facendo valere (non pretestuosamente) la natura effettiva di lavoro subordinato del rapporto, con il presupporre, quindi, esplicitamente o anche solo implicitamente, la concorrenza in capo allo stesso soggetto di due rapporti – quello sociale e quello di lavoro dipendente – fra loro distinti, o, in alternativa, con il presupporre la simulazione del rapporto sociale e la dissimulazione dell'altro rapporto.

Cass. civ. n. 11581/1995

Rientrano nell'ambito della cosiddetta parasubordinazione, con conseguente assoggettamento delle relative controversie al rito del lavoro, tutti quei rapporti che, a condizione che abbiano per oggetto una prestazione coordinata e continuativa a carattere prevalentemente personale, riguardino prestazioni di facere riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo, ancorché rientranti in figure contrattuali tipiche, non ostandovi il fatto che il prestatore d'opera svolga la propria attività in autonomia e con responsabilità e rischi propri. Il suddetto requisito della personalità della prestazione – il quale postula la preminenza dell'attività lavorativa rispetto al capitale investito – sussiste anche se il prestatore utilizza, in forma meramente secondaria, il lavoro svolto da altri soggetti, siano questi lavoratori dipendenti o familiari.

Cass. civ. n. 10216/1995

L'art. 9 della L. 14 febbraio 1990, n. 29 – che ha previsto la competenza della sezione specializzata agraria presso il tribunale per tutte le controversie in materia di contratti agrari (ad eccezione di quelle relative al diritto di enfiteusi ed alle prestazioni fondiarie perpetue), innovando rispetto alla precedente situazione normativa, in base alla quale vi era una ripartizione di competenze tra tale sezione e il pretore giudice del lavoro – è di immediata applicazione anche in caso di pregressa cessazione del rapporto dedotto in giudizio, in quanto l'art. 10 della medesima legge, che limita l'applicabilità delle nuove disposizioni ai contratti agrari associativi in corso, fa esclusivo riferimento alle disposizioni aventi natura sostanziale e non deroga al principio secondo cui ai fini della competenza rileva l'oggetto del contendere, a prescindere dalla vigenza o meno del relativo rapporto.

Cass. civ. n. 9550/1995

Ai fini della sussistenza di un rapporto di collaborazione ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c. (cosiddetta parasubordinazione) con conseguente devoluzione della relativa controversia alla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro, occorre che ricorrano congiuntamente i requisiti della continuità, intesa quale non occasionalità della prestazione, della coordinazione, e cioè della connessione funzionale fra le attività esercitate dalle due parti, e della personalità, ossia della prevalenza del lavoro personale del preposto rispetto all'opera svolta dei collaboratori e all'utilizzazione di una struttura di natura materiale. Ne deriva che in ipotesi di prestazione d'opera professionale (nella specie, di commercialista) nei confronti di una società, perché si abbia parasubordinazione è necessario che l'attività esercitata dal professionista risulti assoggettata alle direttive del cliente e che il rapporto di collaborazione, senza esaurirsi in episodiche prestazioni professionali, nasca da una serie di incarichi collegati con le finalità perseguite dal committente, con conseguente ingerenza di questo nelle attività del prestatore d'opera.

Cass. civ. n. 8412/1995

Un'attività di consulenza in favore di un'azienda, ove prestata (pur se continuativa e coordinata all'attività dell'azienda stessa) non già da un singolo professionista ma indistintamente dai professionisti associati nell'ambito di uno studio, difetta in radice – per la stessa identità collettiva del soggetto che la svolge – di quel profilo personale, o almeno prevalentemente personale, della parasubordinazione che costituisce indispensabile connotato del requisito della parasubordinazione ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c.

Cass. civ. n. 693/1995

La controversia relativa ad un rapporto di agenzia nel quale la qualità di agente è rivestita da una società, di capitali o di persone ed ancorché irregolare o di fatto, esula, per il difetto del carattere prevalentemente personale della prestazione, dalla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro, atteso che qualsiasi società, per quanto semplice sia la sua struttura, importa l'esercizio di un'impresa e, postulando un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, non si può concretare (con la conseguente inconfigurabilità della cosiddetta parasubordinazione ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c.) in una prestazione d'opera personale.

Cass. civ. n. 7410/1994

Nel regime anteriore alla novellazione dell'art. 5 c.p.c., disposta con la L. n. 353 del 1990 – che, ai fini della perpetuatio iurisdictionis, esclude la rilevanza anche delle modificazioni della disciplina della competenza disposte posteriormente al momento della proposizione della domanda – trova applicazione nei giudizi pendenti all'atto della sua entrata in vigore l'art. 9, L. 14 febbraio 1990, n. 29, che devolvendo alla competenza delle Sezioni specializzate agrarie tutte le controversie in materia di contratti agrari – con la sola esclusione di quelle relative al diritto di enfiteusi ed alle prestazioni fondiarie perpetue – ha l'effetto di escludere anche la precedente competenza del pretore del lavoro, per le cause di rendiconto o di condanna al pagamento di somme dovute a seguito del rendiconto stesso ovvero a titolo di risarcimento del danno, ed impone la declaratoria di tale sopravvenuta ragione d'incompetenza.

Cass. civ. n. 4918/1994

L'attività svolta dal libero professionista in modo esclusivo, o comunque di gran lunga prevalente, a favore di un unico cliente, può rientrare nello schema del rapporto di collaborazione previsto dall'art. 409 n. 3 c.p.c.; tale fattispecie non è ravvisabile nell'ipotesi dell'opera svolta da un consulente del lavoro, con prestazioni omogenee e consone alla sua specializzazione, per conto di più clienti, senza che nei confronti dell'uno possa essere accertato un impegno più assiduo e costante che nei confronti degli altri.

Cass. civ. n. 2836/1994

Con riguardo ai rapporti previsti dall'art. 409, n. 3, c.p.c., il carattere prevalentemente personale dell'opera resa dal preposto allo svolgimento di una prestazione d'opera continuativa e coordinata deve considerarsi escluso quando il soggetto abbia organizzato la propria attività con criteri imprenditoriali tali che per indici rivelatori inequivoci (quali, nella specie, la messa a disposizione della controparte, per la commercializzazione dei prodotti della medesima e nell'ambito di un complesso rapporto di collaborazione, della propria struttura di vendita e del proprio marchio) possa concludersi che egli si limiti ad organizzare e dirigere i suoi collaboratori, non realizzando una collaborazione meramente ausiliaria dell'attività imprenditoriale altrui, ma gestendo un'impresa autonoma propria.

Cass. civ. n. 10079/1993

La titolarità, da parte di un geometra, della carica di direttore tecnico di una società, ove sia stata finalizzata solo a permettere l'iscrizione di quest'ultima nell'albo dei costruttori e non abbia implicato lo svolgimento, da parte del professionista, di prestazioni fisiche o intellettuali per conto della società medesima, non dà luogo ad un rapporto di parasubordinazione ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c., restando conseguentemente esclusa, in ordine alla relativa controversia, la competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro.

Cass. civ. n. 8230/1993

L'art. 9 della L. 14 febbraio 1990, n. 29, secondo cui tutte le controversie in materia di contratti agrari e conseguenti alla conversione di contratti agrari in affitto (e, quindi, anche quelle che ai sensi dell'art. 409 lett. b e 413 c.p.c., come modificati dalla L. n. 533 del 1973, erano in precedenza di competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro) sono di competenza della sezione specializzata agraria, si applica anche ai giudizi pendenti, giusto il disposto dell'art. 5 c.p.c., che, nel testo previgente alle modificazioni introdotte dalla L. n. 353 del 1990 (destinate ad avere effetto solo dopo il primo gennaio 1994, ai sensi della L. n. 477 del 1992), limita l'operatività del principio della perpetuatio iurisdictionis alla previsione di irrilevanza dei soli mutamenti di fatto successivi alla proposizione della domanda e non anche dei mutamenti normativi.

Cass. civ. n. 2620/1993

Una controversia non intercorrente fra datore di lavoro e lavoratore costituisce controversia di lavoro, come tale devoluta alla competenza del pretore ai sensi degli artt. 409 e 413 c.p.c. se abbia ad oggetto diritti sorti in dipendenza diretta — e non meramente occasionale — dal rapporto di lavoro, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi della pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale. Una tale relazione non è ravvisabile nel caso di controversia (perciò esclusa dalla competenza per materia del giudice del lavoro) fra una U.S.L. ed un'azienda municipalizzata di trasporti, che reclami dalla prima il rimborso (nell'importo delle somme corrisposte ai propri dipendenti) delle spese del servizio di autotrasporto svolto — nell'ambito di un rapporto distinto ed autonomo da quello di lavoro — in favore della U.S.L. medesima.

Cass. civ. n. 7408/1991

Rientra fra i rapporti previsti dall'art. 409, n. 3, c.p.c. il rapporto d'opera professionale tra un medico e una società, avente ad oggetto prestazioni radioterapiche rese dal professionista a favore di pazienti clienti della società stessa, coordinate con le finalità e le condizioni strutturali ed organizzative predisposte da quest'ultima.

Cass. civ. n. 5973/1991

Appartiene alla competenza per materia del pretore come giudice del lavoro, ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c., la domanda diretta a far valere i diritti patrimoniali riconosciuti ai familiari dall'art. 230 bis c.c. per la collaborazione nell'impresa familiare caratterizzata dai requisiti della continuità, coordinazione ed esplicazione prevalentemente personale, poiché in tal caso, determinando l'impresa familiare un rapporto associativo preordinato alla tutela del lavoro familiare, si verte nell'ipotesi prevista dall'art. 409, n. 3 citato, del rapporto di collaborazione con carattere di parasubordinazione; né vale a concretare gli estremi di un rapporto diverso il consenso dei partecipanti a differire la ripartizione degli utili al termine dell'impresa, che rientra nella disciplina tipica dell'istituto.

Cass. civ. n. 1097/1991

L'attività lavorativa del socio di una cooperativa di lavoro, svolta in conformità alle previsioni del patto sociale e diretta al perseguimento dei fini istituzionali della società (nella specie, svolgimento di mansioni di guardia giurata nell'ambito di una società esercente attività di vigilanza, custodia e scorta-valori), non è riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato – le cui controversie sono devolute alla competenza per materia del giudice del lavoro secondo le previsioni dei nn. 1 e 3 dell'art. 409 c.p.c. – non rilevando in contrario che, nei confronti dei soci-lavoratori, sia stata applicata, quanto all'esercizio del potere disciplinare e ad altri aspetti, la disciplina collettiva regolante i rapporti di lavoro subordinato del settore.

Cass. civ. n. 12226/1990

Con riguardo alla domanda volta a conseguire l'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e la condanna del datore di lavoro all'adempimento delle correlative obbligazioni economiche, la competenza del giudice del lavoro non è esclusa dalla deduzione del convenuto circa il carattere non subordinato del rapporto, discendendo dalla fondatezza di tale deduzione la pronuncia di rigetto della domanda nel merito e non la declinatoria d'incompetenza dell'adito giudice del lavoro.

Cass. civ. n. 10382/1990

Con riguardo all'attività professionale svolta da un legale in favore di una società, l'esistenza di un contratto di clientela costituisce un importante indizio dell'esistenza di un rapporto di parasubordinazione (art. 409 n. 3 c.p.c.) ma non anche una condizione essenziale per la configurabilità del medesimo rapporto, potendo questo desumersi alla stregua delle prospettazioni delle parti, anche dal concreto modo di svolgimento del rapporto in una valutazione ex post, dalla quale emerga che, pur in mancanza di un accordo preventivo, vi sia stata, in un arco temporale pluriennale, una reiterazione di incarichi professionali non volti solo a perseguire contingenti ed occasionali interessi della committente ma collegati con le finalità perseguite dalla sua organizzazione e riconducibili ad un più ampio rapporto di consulenza con la committente medesima.

Cass. civ. n. 9135/1990

L'attività di direzione di complessi lavori di potenziamento degli impianti di un acquedotto gestito da un consorzio di comuni, concretatasi in una prestazione professionale protratta nel tempo, è riconducibile ad un rapporto (parasubordinato) compreso nella previsione dell'art. 409 n. 3 c.p.c., non essendo il requisito della continuatività di tale attività escluso dalla unicità dell'incarico e non venendo meno il carattere prevalentemente personale della stessa, per la circostanza che il professionista si sia avvalso dell'opera di alcuni collaboratori, mentre il requisito della coordinazione discende dall'inerenza della detta attività alla realizzazione di lavori strumentali ai fini dell'ente.

Cass. civ. n. 7374/1990

Ai fini della determinazione della competenza del giudice del lavoro ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c., assume rilievo, più che la figura contrattuale tipica cui le parti hanno fatto riferimento nell'esercizio della loro autonomia negoziale, la sussistenza, in ordine alle modalità della prestazione resa in adempimento dell'obbligazione caratterizzante il rapporto, dei requisiti stabiliti da tale norma (carattere continuativo, coordinato e prevalentemente personale dell'attività svolta). Rientra perciò nella competenza di detto giudice la controversia promossa per conseguire il compenso pattuito per lo svolgimento per un lungo periodo dell'attività di assistenza e consulenza professionale – in esclusiva e con l'organizzazione di un laboratorio di analisi – in favore di società cooperativa, ancorché la prestazione di detta opera sia stata considerata oggetto di un'obbligazione di risultato, non essendo tale qualificazione incompatibile con i rapporti di lavoro autonomo di cui all'art. 409 n. 3 sopra citato.

Cass. civ. n. 7185/1990

Per negare che le prestazioni lavorative svolte nell'ambito di un gruppo parentale diano luogo a un rapporto di lavoro subordinato o di parasubordinazione, occorre accertare l'esistenza di una partecipazione costante dei vari membri alla vita e agli interessi del gruppo, ossia uno stato di mutua solidarietà ed assistenza, dovendo in difetto di ciò, specie quando le prestazioni lavorative siano svolte nell'ambito di un'attività professionale esercitata al di fuori della comunità familiare, escludersi l'ipotesi del lavoro gratuito, la cui presunzione peraltro non opera quando i soggetti non sono conviventi sotto il medesimo tetto ma in unità abitative autonome e distinte.

Cass. civ. n. 6068/1990

L'espressione «controversie relative a» contenuta nell'art. 409 c.p.c. contempla og ni controversia in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi comunque a uno dei rapporti elencati nella detta norma, coinvolgendo interessi sorti in dipendenza del detto rapporto, della sua mancata costituzione (in adempimento di un preciso obbligo) o della sua estinzione, ancorché questa sia dipesa da risoluzione consensuale del rapporto (nella specie, di agenzia) e si controverta in ordine all'esecuzione delle obbligazioni nascenti da tale accordo risolutorio.

Cass. civ. n. 2679/1990

Il carattere sussidiario dell'azione generale di arricchimento senza causa rileva ai fini del giudizio sulla sua proponibilità, ma non incide sul regime della competenza, quale si determina alla stregua del contenuto della domanda giudiziale e, pertanto, ove questa sia stata correttamente proposta al giudice del lavoro, competente a conoscerne ratione materiae, per avere essa ad oggetto crediti asseritamente derivanti da rapporto di lavoro dipendente, la subordinata prospettazione dell'attore, intesa ad ottenere comunque un indennizzo ex art. 2041 c.c. da parte del beneficiario dell'attività da lui svolta, non sottrae la controversia alla competenza del giudice adito né vale a modificarne la natura originaria – sulla quale tale competenza si fondava – in caso di rigetto della domanda principale, conseguente alla denegata possibilità di ricondurre detta attività nell'ambito di un qualsiasi rapporto di lavoro.

Cass. civ. n. 1342/1990

La domanda volta al conseguimento di quanto dovuto per l'attività lavorativa svolta in favore del maso paterno fino all'espulsione dal medesimo, comportando la prospettazione a suo fondamento di un rapporto di collaborazione continuativa con l'impresa familiare, è devoluta, ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c., alla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro, attenendo non alla questione di competenza ma al merito della controversia le eccezioni del convenuto relative alla asserita gestione diretta e per proprio conto del maso da parte dell'attore ed all'inapplicabilità dell'art. 236 bis c.c.

Cass. civ. n. 1059/1990

Nell'ipotesi in cui la risoluzione della questione di competenza dipenda dalla qualificazione giuridica del rapporto controverso, la relativa decisione (non vincolante ai fini del successivo esame del merito) va adottata – salvo che la prospettazione dell'attore si riveli prima facie artificiosa e finalizzata ad una non consentita scelta del rito e del giudice – con riguardo al petitum della domanda ed alla stregua degli elementi di fatto posti a suo fondamento, senza necessità di alcuna ulteriore indagine. Pertanto, ove le pretese dell'attore concernano istituti tipici del lavoro subordinato, quali il lavoro straordinario o il trattamento di fine rapporto, la relativa controversia non può essere attribuita che alla competenza del giudice del lavoro, comportando l'eventuale qualificazione diversa del rapporto al termine dell'istruttoria il rigetto della domanda nel merito.

Cass. civ. n. 158/1990

In tema di impresa familiare, la cognizione del giudice del lavoro, ex art. 409 c.p.c., non è circoscritta all'accertamento del diritto alla remunerazione dei soggetti indicati dall'art. 230 bis c.c., ma comprende la domanda con la quale un coniuge, previo accertamento della partecipazione all'impresa familiare con l'altro coniuge, chieda, ai sensi della disposizione citata, l'attribuzione di beni o di quote di beni, che assuma acquistati con i proventi dell'impresa stessa, posto che tali pretese trovano titolo nel rapporto di collaborazione personale, continuativa e coordinata, riconducibile nella previsione dell'art. 409, n. 3, c.p.c., il quale non diversifica le controversie in ragione del fatto che sia stata proposta una domanda di accertamento ovvero di condanna.

Cass. civ. n. 5813/1989

Con riguardo alle prestazioni di un socio di società cooperativa di produzione e lavoro, in conformità delle previsioni del patto sociale ed in correlazione con le finalità istituzionali della società, non è configurabile non solo un rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, ma nemmeno un rapporto di collaborazione, ai sensi ed agli effetti dell'art. 409, n. 3, c.p.c., poiché le prestazioni medesime, integrando adempimento del contratto di società, per l'esercizio in comune dell'impresa societaria, non sono riconducibili a due distinti centri di interessi (requisito indispensabile per la sussistenza di tale collaborazione). Da tanto consegue che la controversia inerente a dette prestazioni esula dalla competenza del giudice del lavoro e spetta alla cognizione del giudice in sede ordinaria (senza che ciò possa implicare un contrasto con gli artt. 3, 24, 45 e 46 della Costituzione, difettando una situazione di analogia con le cause contemplate dall'art. 409 c.p.c. e non verificandosi alcuna compromissione del diritto di difesa o dei principi in tema di riconoscimento della funzione sociale delle cooperative e di partecipazione del lavoratore alla gestione dell'azienda).

Cass. civ. n. 3986/1989

Costituisce controversia individuale di lavoro (ai sensi dell'art. 409, n. 1, c.p.c.), come tale devoluta alla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro (ai sensi dell'art. 413 c.p.c.), non solo quella in cui si discuta dell'esistenza, del contenuto, del modo di essere e degli effetti di un rapporto di lavoro subordinato fra le stesse parti di tale rapporto, o loro aventi causa, ma anche quella intercorrente fra soggetti diversi in cui si chieda la tutela di diritti sorti in dipendenza diretta — e non meramente occasionale — da quello stesso rapporto (come, nella specie, la controversia concernente la restituzione, da parte dell'Ina, di somme ricevute come premi di contratto di assicurazione dei dipendenti stipulato dal datore di lavoro, ai sensi dell'art. 4 del R.D.L. 8 gennaio 1942, n. 5, al fine dell'esonero dagli obblighi degli accantonamenti — necessari per la corresponsione di tale indennità — al fondo per l'indennità agli impiegati costituito dallo stesso R.D.L. e gestito dall'istituto predetto).

Cass. civ. n. 2880/1989

La domanda rivolta a far valere diritti patrimoniali, per attività personale svolta da un affine in secondo grado, nell'ambito della impresa familiare (art. 230 bis c.c.), con caratteri di continuità e coordinamento, ancorché senza vincolo di subordinazione, spetta alla competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro, in considerazione della riconducibilità del rapporto nell'ambito della previsione dell'art. 409 c.p.c.

Cass. civ. n. 2698/1989

Qualora l'Inam, pur disponendo di un proprio ufficio legale interno, si avvalga in modo continuativo della collaborazione di avvocati e procuratori esterni, operanti in piena autonomia e senza vincolo di subordinazione, deve ravvisarsi un rapporto riconducibile fra quelli contemplati dall'art. 409, n. 3 c.p.c., e quindi devoluto alla cognizione del pretore in funzione di giudice del lavoro, ove risulti che l'attività di detti professionisti presenti caratteri, oltre che di continuità, anche di coordinazione, nel senso che, in relazione all'inserimento di essi nell'organizzazione dell'ente e collegamento con gli scopi dallo stesso perseguiti, siano assoggettati ad ingerenza e direttive dell'ente medesimo, compatibili con l'indicata autonomia professionale (cosiddetta parasubordinazione). In tale situazione, trova applicazione la disciplina dettata per le controversie individuali di lavoro, e, pertanto, anche il disposto dell'art. 429, terzo comma, c.p.c., circa la rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro, tenuto conto che tale norma riguarda, in difetto di espresse limitazioni, tutti i rapporti elencati nel precedente art. 409 c.p.c. e che inoltre la sua legittimità costituzionale ne postula la operatività sia nel lavoro subordinato che in quello autonomo, quando abbia i requisiti del citato art. 409.

Cass. civ. n. 1400/1989

La controversia promossa dal preponente contro l'agente per la mancata restituzione di merci affidate in deposito in occasione del rapporto di agenzia appartiene alla competenza per materia del pretore in funzione di giudice del lavoro, ancorché venga chiesto non la restituzione della merce ma il pagamento del relativo prezzo, trattandosi del mancato adempimento di un obbligo collaterale nascente dal suddetto rapporto di agenzia e come tale disciplinato dal combinato disposto degli artt. 409, n. 3 e 413, primo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 921/1989

La controversia avente ad oggetto lo scioglimento di una comunione tacita familiare in agricoltura ed il correlativo pagamento dei relativi utili rientra nella competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro preveduta dall'art. 409, n. 3, c.p.c., atteso che la riconducibilità della comunione tacita allo schema ed alla disciplina dell'impresa familiare (salva per questa parte l'applicabilità degli usi) non trova deroga con riguardo alla circostanza che il lavoro del componente della famiglia sia prestato in una comunione, cioè in un'impresa collettiva che persegue la finalità di realizzare il beneficio dei singoli componenti, non comportando l'esclusione della natura di impresa bensì, al tempo stesso, permettendo di individuare nella collaborazione personale fornita, in modo continuativo e coordinato, dai singoli appartenenti alla comunione familiare, quel rapporto associativo che costituisce il presupposto della indicata competenza del pretore.

Cass. civ. n. 814/1989

Con riguardo al rapporto di agenzia, la distinzione fra «prestazione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale» e prestazione dello stesso tipo svolta con una organizzazione imprenditoriale, che assuma preminenza rispetto al contributo personale dell'agente, ha rilievo solo ai fini processuali, applicandosi le particolari regole del rito del lavoro soltanto alle controversie relative ai rapporti di cosiddetta parasubordinazione ex art. 409, n. 3, c.p.c. (cui è riconducibile la prima di dette ipotesi), ma non incide in alcun modo sulla natura giuridica del contratto intercorso fra le parti, al quale, in quanto conforme allo schema delineato dagli artt. 1742 e seguenti, c.c., si applica in entrambi i casi la disciplina propria del rapporto di agenzia, compreso l'art. 5 della L. 2 febbraio 1973, n. 12 relativo all'obbligo d'iscrizione al Fondo di previdenza dell'Enasarco.

Cass. civ. n. 1061/1986

Rientra tra i rapporti di collaborazione di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c. l'attività di un avvocato svolta con lavoro personale dello stesso professionista e con carattere di continuità, ove risulti coordinata con le finalità dell'impresa, come si verifica allorché la prestazione del professionista forense sia estesa ad una serie di affari, contenziosi o non, in forza di una investitura generale o di procure singole, per un periodo determinato o senza fissazione di scadenza, purché il rapporto non sia occasionale, senza che rilevi in senso contrario la circostanza che il professionista si sia avvalso di personale ausiliario.

Cass. civ. n. 981/1986

Ai fini dell'individuazione del giudice competente ratione materiae, la determinazione della materia del contendere va compiuta alla stregua del contenuto della domanda, e cioè in base alla sostanza della pretesa ed ai fatti dedotti a fondamento di questa, fermo restando il potere-dovere del giudice di darne la qualificazione sotto l'aspetto giuridico, mentre le contestazioni del convenuto in punto di fatto e di diritto alla richiesta dell'attore non possono importare l'esclusione di tale competenza ove essa sia ravvisabile sulla base del petitum sostanziale oggetto della domanda stessa. Detto principio trova applicazione anche al fine dell'affermazione o meno della competenza funzionale del pretore quale giudice del lavoro, in relazione alla riconducibilità della causa tra le controversie individuali di lavoro ex artt. 409 e 413 c.p.c.

Cass. civ. n. 955/1986

L'accertamento della consistenza del patrimonio aziendale e, quindi, l'attribuzione dei diritti su di esso spettanti ai singoli membri dell'impresa familiare – per la loro collaborazione continua e coordinata – appartengono alla competenza del pretore, quale giudice del lavoro (art. 409 n. 3 c.p.c.), non essendo di ostacolo a detta competenza l'estraneità dell'attore all'impresa familiare, ove l'attore medesimo agisca in qualità di erede di un componente l'impresa, per far valere in tali limiti i suoi diritti su questa.

Cass. civ. n. 766/1986

In tema di competenza per materia del giudice del lavoro, l'art. 409 c.p.c. contempla ogni controversia nella quale la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi ad un rapporto di lavoro in atto, ovvero estinto, oppure anche soltanto da costituirsi. Pertanto, deve ritenersi controversia individuale di lavoro, assegnata alla competenza per materia del pretore, ai sensi degli artt. 409 e 413 c.p.c., anche quella nella quale il lavoratore fa valere il proprio diritto all'assunzione al lavoro oppure altri diritti patrimoniali (risarcimento dei danni) nascenti dalla mancata assunzione stessa, in violazione di precisi obblighi negoziali o legali. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto la competenza del giudice del lavoro in un'ipotesi in cui i lavoratori dipendenti di una società domandavano, nei confronti del socio di maggioranza, l'adempimento dell'obbligo sottoscritto personalmente da questo ultimo, di assumerli presso altra azienda da lui medesimo controllata).

Cass. civ. n. 1920/1985

È soggetta al rito del lavoro la controversia avente ad oggetto la corresponsione di compensi dovuti all'avvocato che – pur senza patto di esclusiva e pur autorizzato ad avvalersi dell'opera (marginale) di altri professionisti – abbia prestato la propria attività professionale in favore altrui, con i requisiti della continuità e del coordinamento, il quale ultimo si realizza allorché vi sia un collegamento funzionale di detta attività e di quella del destinatario della prestazione professionale, nel senso che l'una concorra alla realizzazione dei fini dell'altra in un sistema di distribuzione di funzioni attuato da quest'ultimo e di cui possono essere elementi rivelatori le direttive eventualmente impartite dal cosiddetto datore di lavoro all'avvocato circa le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa ovvero la circostanza che il professionista assicuri la propria disponibilità in maniera vincolante ed a discapito della propria autonomia con conseguente necessità di limitare la propria clientela.

Cass. civ. n. 5811/1984

Ai fini della riconducibilità del rapporto d'opera professionale nell'ambito dell'art. 409 n. 3 c.p.c., con la conseguente competenza del pretore come giudice del lavoro in ordine alle controversie relative, il requisito della continuità, previsto dalle citate norme, non va inteso in senso meramente cronologico, dato che singoli incarichi professionali, anche se importanti e prolungati nel tempo, non possono realizzare le condizioni stabilite da detta disposizione, ma va ravvisato soltanto allorché si sia in presenza di un rapporto di durata, come quello implicante, in virtù di una convenzione normativa, attività di collaborazione per un certo periodo di tempo e numero indeterminato di prestazioni professionali in base alle direttive di un soggetto che organizza e coordina, per finalità istituzionali di più ampia portata, le prestazioni di vari collaboratori autonomi, assumendo nei loro riguardi una posizione di preminenza economica, paragonabile a quella del datore di lavoro.

Cass. civ. n. 5694/1984

Appartiene alla competenza per materia del pretore quale giudice del lavoro, ai sensi dell'art. 409 n. 3 c.p.c., la domanda diretta a far valere il diritto di partecipazione agli utili dell'impresa familiare a norma dell'art. 230 bis c.c., senza che, ai fini della questione di competenza, abbia rilievo la contestazione del convenuto circa la mancanza di continuità delle prestazioni effettuate dall'attore, trattandosi di questione di merito attinente al fondamento in concreto della domanda stessa.

Cass. civ. n. 4038/1984

L'art. 409 n. 3 c.p.c. include nella sua previsione anche i rapporti in genere di lavoro autonomo professionale aventi i requisiti in esso indicati, compresi, in particolare, i rapporti di assistenza e patrocinio legale, la cui specifica disciplina non osta all'operatività di tale norma, non derivandone mancanza di autonomia e posizione di subordinazione. Pertanto, è soggetta alla disciplina delle controversie individuali di lavoro la pretesa attinente all'attività professionale di avvocato nell'interesse di una società caratterizzata da continuità, per durata pluriennale e con assiduità di impegni, nonché da collaborazione, per la preordinazione al fine di assicurare il regolamento dei suoi rapporti con i terzi.

Cass. civ. n. 3444/1984

A gli effetti dell'art. 409 n. 3 c.p.c., la natura professionale dell'attività che il libero professionista, preposto ad un laboratorio di analisi cliniche, svolge, in qualità di «convenzionato esterno», a beneficio degli assistiti da un ente pubblico non è di per sé sufficiente per ritenere che tale prestazione continuativa e coordinata abbia altresì natura prevalentemente personale, ove l'attività di analisi pur sempre riferibile all'analista che sottoscrive i vari referti, sia svolta in una struttura organizzativa di rilevanti dimensioni e con la stabile collaborazione di una pluralità di operatori (nella specie, altri tre analisti, un medico e quattro dipendenti con compiti tecnici ed amministrativi), e non di soli ausiliari con funzioni soltanto esecutive.

Cass. civ. n. 2888/1984

È soggetta al rito del lavoro la controversia relativa ai compensi spettanti all'avvocato che abbia, senza limiti di tempo e sulla base di un compenso unitario per ciascuna pratica, prestato la propria attività professionale, in veste di fiduciario del committente e secondo le direttive di massima di quest'ultimo, ricorrendo in tal caso, oltre il carattere essenzialmente personale dell'attività prestata, proprio dell'opera del professionista forense, anche gli estremi della continuità e del coordinamento e, quindi, tutti i requisiti della cosiddetta «parasubordinazione» di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c.

Cass. civ. n. 5258/1983

Proposta dall'attore una domanda in relazione a rapporti caratterizzati dalla cosiddetta parasubordinazione a termini dell'art. 409 n. 3 c.p.c., incombe al convenuto la prova che il rapporto dedotto in giudizio si sia invece svolto con l'organizzazione del lavoro prevalente altrui e quindi con l'esclusione di quel carattere prevalentemente personale ed autonomo ipotizzato dall'articolo suddetto.

Cass. civ. n. 3198/1983

Tra i rapporti cosiddetti parasubordinati, soggetti al rito del lavoro, rientra qualsiasi attività che si concretizzi in prestazioni d'opera aventi i requisiti di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c., cioè della natura personale, della continuazione (reiterazione nel tempo) e della coordinazione (programmazione delle prestazioni ab origine in funzione delle finalità del soggetto beneficiario di esse), non esclusa l'attività consistente nell'esercizio di una professione intellettuale, come quella effettuata da un legale in favore dell'Inam in base a convenzione stipulata a priori tra tale ente e professionista per il conferimento al secondo di un certo numero di incarichi professionali, a nulla rilevando l'eventuale incompatibilità di detta convenzione, quanto alle tariffe, con la normativa regolante la professione forense, poiché ciò attiene ad un accertamento di merito logicamente posteriore alla soluzione della questione di competenza.

Cass. civ. n. 2333/1983

A norma dell'art. 409 n. 3 c.p.c., la competenza del pretore come giudice del lavoro per le controversie nascenti dai rapporti di agenzia postula che questi si esplichino mediante prestazioni dell'agente a carattere prevalentemente personale, il quale non è escluso, di per sé, dall'uso di una ditta, da parte dell'agente, o dall'esistenza di una società di fatto tra costui e suoi collaboratori, ma, in tal caso, deve essere valutato in relazione all'opera dei collaboratori medesimi, che svolgono attività non meramente esecutiva e secondaria rispetto al titolare del rapporto, nonché in riferimento ai capitali impiegati, al fatturato e ad ogni altro elemento idoneo a determinare o negare il carattere stesso. (In applicazione del principio di cui alla massima, si è esclusa l'applicabilità dell'art. 409 n. 3 c.p.c. ad un rapporto di agenzia nel quale l'agente si era organizzato ad impresa autonoma, deputando al coniuge lo svolgimento preponderante dell'attività amministrativa e commerciale dell'azienda).

Cass. civ. n. 1064/1983

L'art. 409 n. 3 c.p.c., il quale assoggetta al rito del lavoro le controversie inerenti a prestazioni «di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale», trova applicazione pure con riguardo a prestazioni d'opera intellettuale (nella specie: prestazioni di legale esterno in favore dell'Inam) aventi le suindicate caratteristiche, a nulla rilevando la previsione negoziale di compensi inferiori ai minimi stabiliti inderogabilmente dalla tariffa professionale, in quanto la convenzione tra le parti, epurata di siffatto elemento negoziale, contrario a norma imperativa (nella specie: all'art. 24 della L. 13 giugno 1942, n. 794), mediante l'automatica inserzione della corrispondente regolamentazione legale, conserva la sua efficacia vincolante).

Cass. civ. n. 2906/1976

L'art. 409 c.p.c. contempla al n. 3, insieme con i rapporti di agenzia e con quelli di rappresentanza commerciale, altri rapporti, di lavoro autonomo indirizzati alla realizzazione di un risultato (l'opera), per mezzo di una fare (prestazione) caratterizzato dai seguenti requisiti: 1) reiterazione nel tempo (prestazione continuativa); 2) programmazione negoziale, anche degli interessi (prestazione coordinata); 3) preminenza, dal punto di vista sociale ed economico, del contributo di lavoro personale del contraente; dalla definizione discendono, fra altri, i seguenti corollari: a) la fattispecie di cui trattasi non è esclusa, ove concorra in ogni suo requisito, dalla eventuale istantaneità dell'opera, ossia del risultato del lavoro continuativo; b) la continuatività è un attributo di un elemento del rapporto (la prestazione lavorativa) nell'ipotesi fisiologica della normale sua esecuzione: la facoltà di recesso, attribuita ad una o entrambe le parti, non contrasta con quella caratteristica, perché oltre ad essere un elemento pressoché naturale nei rapporti di durata, è destinata ad operare, in via di possibile evenienza, non direttamente ed immediatamente sulla natura e sulle modalità del lavoro, ma sui presupposti negoziali della sua giuridicità, che può rescindere ex nunc; c) non rileva la circostanza che, in casi singoli, l'opus possa eziologicamente riferirsi al concorso di più persone, purché alla stregua delle valutazioni assunte in contratto, la prestazione personale del contraente abbia il cennato carattere di prevalenza nel coacervo delle cause produttive di quel risultato. (Nella vicenda di specie, si è ritenuto inquadrabile nella previsione della citata disposizione di legge il rapporto derivato dal contratto in base al quale un disegnatore si obbligava, verso corrispettivo, a consegnare ad un editore, committente, alcune «storie» da lui illustrate e per la cui realizzazione si avvaleva di collaboratori da lui coordinati e diretti).

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Consulenze legali
relative all'articolo 409 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Paola M. chiede
giovedì 21/05/2020 - Sicilia
“Salve, avrei bisogno di un parere terzo, perché vorrei saperne di più su questa intrigata vicenda, mio marito è stato preso dallo sconforto.
Le racconto i fatti: Mio marito era alle dipendenze, da anni, presso un ricco signore che non ha mai voluto regolarizzarlo. Negli ultimi anni della sua vecchiaia gli ha detto che avrebbe fatto in modo che fosse ricompensato, dati i buoni rapporti nel frattempo instauratesi. Ma nel 2016 è deceduto e si è scordato di mio marito.
Aveva la moglie e due figli, non sposati e senza figli, di cui uno con un handicap mentale.
Mio marito, anche dopo la morte del vecchio proprietario, ha continuare a lavorare nella loro proprietà, ma il figlio sano presto si è ammalato e nel 2018 è deceduto, senza curarsi neanche più di pagargli gli stipendi per un anno e poco prima di morire l’ha pure licenziato.
A questo punto ci siamo mossi per fare causa all’erede che era la madre (il fratello disabile e in precarie condizioni di salute non aveva avuto lasciato nessun bene immobile, ma soltanto una parte dell’usufrutto delle proprietà).
Il momento in cui viene presentata la citazione ai due unici componenti della famiglia (madre e figlio disabile) dalla loro memoria difensiva apprendiamo che pure la madre è deceduta, restando soltanto il figlio disabile e un lontano parente che è stato nominato erede universale.
Tra un decesso e l’altro hanno avuto lunghi periodi di malattia per cui mio marito non si è sentito di inveire, perdendo comunque del tempo prezioso.
- Capo famiglia, deceduto nel 2016
- Figlio sano deceduto nel 2018
- Moglie del capo famiglia, deceduta 2020
- Figlio disabile unico in vita
- Lontano parente: dichiarato erede universale, per testamento con l’obbligo di occuparsi del figlio disabile.

Domanda: come si può procedere?
1) Citare anche l’erede universale prima dell’inizio della causa?
2) Chiedere l’autorizzazione al giudice di inserirlo? E se il giudice rifiuta?
3) C’è qualche altra strada da seguire?
Ringrazio anticipatamente e invio cordiali saluti. Paola Maltese”
Consulenza legale i 26/05/2020
Pur non essendo stato possibile prendere visione dell’atto introduttivo del giudizio, da quanto riferito nel quesito emerge che la causa promossa contro gli eredi ha presumibilmente ad oggetto il riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, mai regolarizzato, intercorso con il defunto e, con ogni probabilità, il pagamento delle relative differenze retributive e contributive.
Il giudizio riguardante un rapporto di lavoro subordinato si inizia con ricorso, secondo quanto previsto dagli artt. 409 ss. c.p.c.
In particolare, rispetto alla chiamata in causa del terzo, l’art. 420 del c.p.c. stabilisce che, nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e 107 del c.p.c., il giudice fissa una nuova udienza e ordina la notifica al terzo del provvedimento nonché del ricorso introduttivo e dell'atto di costituzione del convenuto. Il terzo chiamato deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata.
Il che significa, per rispondere alle domande formulate, che alla prima udienza sarà necessario chiedere al giudice l’autorizzazione a chiamare in causa il terzo. Qualora il giudice rifiutasse, e la sentenza venisse appellata, il giudice di appello potrebbe rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 354 del c.p.c.
Tale ultima norma infatti stabilisce che il giudice d'appello rimette la causa al primo giudice quando riconosca che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio.
Nel nostro caso, infatti, si tratterebbe di litisconsorzio necessario: cioè il giudizio non potrebbe svolgersi senza la partecipazione dell’erede universale, in quanto la decisione del giudice dovrebbe inevitabilmente riguardare anche lui.
Questo per quanto riguardo gli aspetti processuali: come si noterà, infatti, fin qui abbiamo usato il condizionale, proprio perché non è certo che, nel nostro caso, il lontano parente nominato erede universale possa essere chiamato in causa per il solo fatto del testamento che lo riguarda.
In proposito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21436/2018, ha precisato che per l’acquisto della qualità di erede è necessaria l'accettazione da parte del chiamato, e che spetta a chi lo chiama in causa il compito di provare l'accettazione dell'eredità, espressa o tacita.
Nel nostro caso, pertanto, occorrerebbe verificare se il soggetto che risulta nominato nel testamento erede universale abbia o meno accettato l’eredità.

Giovanni F. chiede
sabato 01/02/2014 - Lazio
“Con ricorso ex art. 409 cpc ( n° x/03) è stato chiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo 95-98 espletato con orario solo al mattino dalle 9 alle 13. Parte convenuta ha depositato certificato di studio della ricorrente dimostrante l'impossibilità di osservare l'orario di lavoro antimeridiano.La parte ricorrente ha cercato, alla prima udienza, di cambiare l'orario da "mattino" a pomeriggio (ore 16-20). Il giudice ha dichiarato nullo il ricorso con sentenza per tentativo di emendatio libelli. La ricorrente ha proposto nuovo ricorso (n. y/06) con le stesse pretese del primo, variando solo l'orario da "mattino" a "pomeriggio", senza chiedere la riunione al primo ricorso e senza che il giudice l'abbia poi disposta d'ufficio. Come condizione di procedibilità della nuova domanda andava esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione? In caso affermativo occorrerebbe un riferimento giurisprudenziale, per poterlo dedurre in appello.”
Consulenza legale i 09/02/2014
L’obbligatorietà del tentativo di conciliazione nelle cause di lavoro venne introdotta nel nostro ordinamento con il d.lgs. del 31 marzo 1998, n. 80, che ha riformato gli artt. 410 e ss. c.p.c. Il tentativo di conciliazione era configurato come una condizione di procedibilità dell’eventuale domanda giudiziaria.
La richiesta di tentativo di conciliazione interrompeva i termini prescrizionali e sospendeva quelli decadenziali per la durata del tentativo e per i venti giorni successivi alla sua conclusione.

L’art. 31 della L. 183/2010 ha reso facoltativo l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di cui agli artt. 409 ss. c.p.c., prevedendo solo alcune eccezioni.
La legge n. 183 del 2010 non ha previsto un regime transitorio. Una nota ministeriale del 25.11.2010 ha stabilito che:
"- per le istanze presentate prima del 24/11/2010 alle DPL, si applicano le procedure previste dalla normativa previgente;
- per le istanze proposte prima del 24 novembre u.s., le commissioni, sia che abbiano convocato le parti prima del 24/11 o che siano ancora in fase di effettuare convocazione, dovranno informare le parti sulla facoltatività del tentativo, e sulla possibilità di esperire la conciliazione che avrà comunque efficacia ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c.".

Poiché, nel caso di specie, il secondo ricorso è stato depositato nel 2006, troverà applicazione la disciplina prevista dal d.lgs 80/1998, che prevedeva l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione.
In base ai dati di fatto esposti nel quesito, sembra di comprendere che il primo ricorso sia stato dichiarato nullo per "mutatio libelli" (proposizione di una domanda nuova, vietata: mentre per "emendatio libelli" si intende la modificazione della domanda, che nel rito del lavoro è ammissibile se autorizzata da giudice) e non è stato rigettato nel merito. Il giudice, cioè, non ha preso in esame la situazione di fatto e risolto la controversia, ma si è limitato a rilevare che la domanda è stata mutata in modo tale da non consentire la prosecuzione di quel giudizio. In tal caso, il secondo ricorso costituirebbe una legittima riproposizione della domanda, non soggetta alla riunione con la prima causa (che dovrebbe essere stata addirittura cancellata dal ruolo, cioè eliminata tra le cause pendenti di quel tribunale).

Ciò premesso, va ribadito che il mancato previo svolgimento del tentativo di conciliazione, rilevabile anche d’ufficio dal giudice, comporta la sospensione del giudizio e l’assegnazione di un termine alle parti per il relativo espletamento.
Tuttavia, l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio non può essere proposta in qualsiasi momento. Essa deve essere eccepita dalla parte convenuta ai sensi e per gli effetti dell’art. 416 del c.p.c. o anche rilevata d’ufficio, comunque non oltre la prima udienza di discussione di cui all’art. 420 del c.p.c..
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito con orientamento ormai consolidato che: "L'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione è previsto dall'art. 412 bis c.p.c. quale condizione di procedibilità della domanda nel processo del lavoro; la relativa mancanza deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c., e può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice, purché non oltre l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., con la conseguenza che ove l'improcedibilità dell'azione, ancorché segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il suddetto termine, la questione non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio" (Cass. civ., sez. Lavoro, 16 agosto 2004, n. 15956).
Si segnalano, inoltre: Cass. civ., sez. Lavoro, 14 ottobre 2009, n. 21797, "Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, da cui il Collegio non ritiene di doversi discostare, il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 412 bis c.p.c. quale condizione di procedibilità della domanda nel processo del lavoro, deve essere eccepito dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c. e può essere rilevato anche d'ufficio dal giudice, purché non oltre l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. con la conseguenza che ove l'improcedibilità dell'azione, ancorché segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il suddetto termine, la questione non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (cfr, ex pluribus, Cass., nn. 15956/2004; 13394/2004; 11629/2004)"; Cass. civ., sez. Lavoro, 4 maggio 2010 n. 10713, "Il motivo è infondato alla luce del condiviso orientamento di questa Corte secondo cui la mancanza dell'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 412 bis c.p.c., quale condizione di procedibilità della domanda nel processo del lavoro, deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c. e può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice, purchè non oltre l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., con la conseguenza che ove l'improcedibilità dell'azione, ancorchè segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il suddetto termine, la questione non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio".

Pertanto, non sembra possibile proporre in appello l'eccezione relativa al mancato esperimento del tentativo di conciliazione, atteso che essa, anche se fondata, poteva essere proposta solo nel primo grado di giudizio e con i limiti temporali sopra indicati.

Sandra D. chiede
giovedì 20/01/2011

“Quali sono i rapporti di questa normativa con il D.lgs. 28/2010 e il D.M. 180/2010, aventi come oggetto la normativa e il regolamento in merito alla mediazione civile?
Grazie”

Consulenza legale i 21/01/2011

L'art. 23 (rubricato "Abrogazioni") del decreto legislativo 28/2010 in materia di conciliazione delle controversie civili e commerciali, attuativo dell'art. 60 della legge 69/2009, recita: "Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile".


P. Z. chiede
sabato 03/09/2022 - Veneto
“In seguito a sentenza di primo grado, e non provvedendo il debitore al pagamento, mi sono trovato nella necessità di notificare il precetto tra gli altri) ad una Compagnia di Assicurazione. Si tratta infatti di un loro Agente titolare di Agenzia, con dipendenti e collaboratori. L'Agenzia viene gestita in forma di Sas. La persona di cui sto parlando è socio accomandatario. Quali somme devono essere tenute a disposizione del sottoscritto ? Provvigioni, trattamento di fine mandato, altro.
Ringraziando, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 03/10/2022
Nel quesito si fa riferimento ad un titolo (sentenza di primo grado) e ad un precetto già notificati, ma sembra evidente che qualunque tipo di vincolo di indisponibilità su beni o diritti del debitore non può che derivare dalla notifica del successivo atto di pignoramento, che nel caso di specie dovrà assumere le forme del c.d. pignoramento presso terzi di cui all’art. 543 c.p.c.
Nella particolare ipotesi che qui viene in esame, ossia di debitore agente di assicurazione, oggetto di pegno presso il terzo, la Compagnia di assicurazione, non possono che essere generalmente le provvigioni, ma è bene inserire nell’atto di pignoramento la dicitura che il pignoramento deve intendersi esteso a qualunque somma a qualsiasi titolo dovuta dal terzo al debitore in forza del rapporto di agenzia.
Infatti, il pignoramento presso terzi, secondo l’orientamento prevalente e preferibile, si qualifica come una fattispecie complessa a formazione progressiva, nella quale si distinguono i seguenti momenti:
a) con la notifica dell’atto di cui all’art. 543 c.p.c. nasce il vincolo del pignoramento e l’obbligo di custodia in capo al terzo, il quale da tale momento non può pagare le somme dovute al debitore esecutato senza apposito ordine del giudice (l’eventuale adempimento del terzo nelle mani del debitore esecutato non ha carattere liberatorio);
b) il pignoramento si perfeziona solo successivamente con la dichiarazione non contestata del terzo o con la sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo, con cui viene accertata l’esistenza del bene pignorato ed individuato esattamente il credito.

Secondo quanto risulta anche dal primo comma dell’art. 553 del c.p.c., possono essere oggetto di pignoramento anche crediti futuri, condizionati o illiquidi che sorgano o diventino esigibili, dopo la notifica dell’atto di pignoramento, al momento del perfezionamento del pignoramento.
Ciò significa che se le somme di cui il terzo è debitore al momento della notifica del pignoramento aumentano successivamente (es.: rimesse sul c/c, stipendi), il terzo non può disporre delle sopravvenienze e deve darne conto anche dopo la dichiarazione, fino all’udienza (ordinanza di assegnazione) o la pronuncia con cui il G.E. definisce il giudizio di accertamento (così Cass. n. 11642/2014).
Da tale momento, per pignorare ulteriori somme di cui il debitore è divenuto creditore nei confronti del terzo, occorrerà procedere alla notifica di un nuovo atto di pignoramento.

Per quanto concerne la misura delle provvigioni che la Casa mandante deve concretamente assoggettare a vincolo di indisponibilità, va detto che occorre distinguere a seconda che si tratti di agente individuale oppure di agente organizzato in forma di società (società di persone, s.a.s., s.n.c., o di capitali, s.r.l., S.p.a.).
Se si tratta di un agente individuale, con contratto a tempo indeterminato o determinato di durata pari a superiore a 12 mesi, le provvigioni possono essere pignorate in misura pari ad un quinto fino alla fine del contratto (pertanto, il pignoramento colpirà sia le provvigioni maturate che quelle future non ancora maturate).
In tal senso si argomenta da quanto disposto al comma 3 dell’art. 52 del D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, come modificato dalla Legge n. 80/2005 (di conversione del D.l. n. 35/2005), il quale prevede che anche ai titolari di rapporti di lavoro di cui al n. 3 dell’art. 409 del c.p.c., tra cui appunto gli agenti di commercio “persone fisiche”, possa essere pignorato il compenso spettantegli, al netto delle ritenute fiscali, nella misura massima di un quinto, ma per tutta la durata del rapporto (in tal senso si è tra l’altro espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 685 del 18.01.2012).

Diverso è il caso, come quello che qui viene in esame, dell’agente che operi sotto forma di società (sia essa di persone o d capitali), non potendosi tale rapporto ricondurre a quello di cui al n. 3 dell’art. 409 c.p.c.
In tale ipotesi, infatti, le provvigioni dovute alla società di assicurazione mandataria (di cui il debitore è socio accomandatario) potranno essere pignorate per intero, ma solo limitatamente a quelle già maturate fino al momento della notifica dell’atto di pignoramento ed eventualmente anche a quelle successive divenute esigibili prima del perfezionamento dello stesso pignoramento che, come è stato detto prima, si realizza con il provvedimento del giudice che lo chiude (assegnazione o sentenza di accertamento).
Ne restano escluse, dunque, le provvigioni future e qualunque altra somma che, in virtù di quel rapporto di mandato, la Casa mandante andrà a liquidare alla società di assicurazione mandataria, per le quali occorrerà notificare un nuovo atto di pignoramento.

A completamento di quanto fin qui detto, si ritiene opportuno, infine, fare un’ultima precisazione, scaturente dalla poche informazioni fornite nel testo del quesito.
Dalla lettura dello stesso, infatti, non si riesce a comprendere con chiarezza se debitore diretto sia l’agenzia mandataria ovvero il soggetto persona fisica che in quella agenzia, gestita in forma di società in accomandita semplice, riveste la posizione di socio accomandatario.
In questo secondo caso, infatti, non si avrebbe alcun titolo per procedere esecutivamente nei confronti della società accomandataria, trattandosi di soggetto giuridico distinto e separato dal soggetto persona fisica su cui grava il debito.
Se così fosse, dunque, il patrimonio da poter aggredire rimarrebbe soltanto quello del debitore persona fisica, nel quale vi rientrano le quote di cui il medesimo è titolare, quale socio accomandatario, nella s.a.s. e che possono costituire anch’esse oggetto di pignoramento.

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