Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 420 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Udienza di discussione della causa

Dispositivo dell'art. 420 Codice di procedura civile

Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti (1), tenta la conciliazione della lite e formula una proposta transattiva o conciliativa. La mancata comparizione personale delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio (2). Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice (3)(4).

Le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione.

Il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo (5).

Se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo (6).

Nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima (7), se ritiene che siano rilevanti, disponendo, con ordinanza resa nell'udienza, per la loro immediata assunzione.

Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza, non oltre dieci giorni dalla prima concedendo alle parti ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell'udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive.

Nel caso in cui vengano ammessi nuovi mezzi di prova, a norma del quinto comma, la controparte può dedurre i mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi, con assegnazione di un termine perentorio di cinque giorni. Nell'udienza fissata a norma del precedente comma il giudice ammette, se rilevanti, i nuovi mezzi di prova dedotti dalla controparte e provvede alla loro assunzione.

L'assunzione delle prove deve essere esaurita nella stessa udienza o, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi.

Nel caso di chiamata in causa a norma degli articoli 102, secondo comma, 106 e 107, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che, entro cinque giorni, siano notificati al terzo il provvedimento nonché il ricorso introduttivo e l'atto di costituzione del convenuto, osservati i termini di cui ai commi terzo, quinto e sesto dell'articolo 415(8). Il termine massimo entro il quale deve tenersi la nuova udienza decorre dalla pronuncia del provvedimento di fissazione.

Il terzo chiamato deve costituirsi non meno di dieci giorni prima dell'udienza fissata, depositando la propria memoria a norma dell'articolo 416.

A tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti provvede l'ufficio.

Le udienze di mero rinvio sono vietate.

Note

(1) Nel rito del lavoro l'interrogatorio libero non è diretto a provocare la confessione giudiziale, bensì a chiarire i contorni della controversia ed acquisire ulteriori elementi di valutazione, al fine di inquadrare meglio il tema decisionale e rendere possibile la conciliazione. Il giudice, infatti, assolve ad un ruolo fondamentale, proponendo lui stesso una concreta proposta transattiva. Le dichiarazioni rese dalle parti sono valutabili dal giudice ai sensi dell'art. 116 del c.p.c. e anche il rifiuto immotivato della proposta conciliativa da lui formulata, verrà valutata in sede di decisione sulle spese della lite.
(2) Si precisa che le dichiarazioni rese dalle parti non assumono valore confessorio, a meno che non risulti dal verbale che la dichiarazione della parte non sia stata provocata da una domanda del giudice ma resa autonomamente e il verbale rechi la sottoscrizione personale della parte necessaria ai fini della prova della consapevolezza della dichiarazione.
(3) La norma attribuisce alle parti la possibilità di modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate qualora sussistano gravi motivi e sempre previa autorizzazione del giudice. E' bene precisare che si tratta della c.d. emendatio libelli, ovvero della possibilità di effettuare una nuova interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto o un ampliamento o limitazione di questo al fine di renderlo più idoneo al soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio. Infatti, tale esigenza scaturisce più che altro dall'interrogatorio libero e dalle difese svolte dalla controparte. Diversamente, non è ammessa la mutatio libelli, ossia il mutamento radicale della domanda formulata, sia perché l'udienza è di norma unica, sia perché sarebbe contraria alle esigenze di immediatezza del rito del lavoro.
(4) Come nel rito ordinario, anche nel rito del lavoro vige il divieto di proporre domande nuove nel corso del giudizio di primo grado. Tuttavia, la giurisprudenza non esclude che la parte possa proporre domande ulteriori nei confronti del medesimo convenuto con un nuovo e separato ricorso, il quale deve ritenersi completo con l'indicazione di documenti già prodotti nel precedente giudizio di cui venga richiesta la riunione per ragioni di economia processuale.
(5) Si precisa che il verbale di conciliazione a cui la norma si riferisce è titolo esecutivo di per senza che sia necessaria alcuna pronuncia del giudice, diversamente da quello di cui all'art. 411.
(6) Nell'ipotesi in cui sorgano questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza, ovvero questioni processuali che possano impedire l'ulteriore corso del giudizio, il giudice deve decidere con sentenza, anche non definitiva. Lo stesso vale per le questioni preliminari attinenti al merito.
(7) Le parti hanno l'onere di indicare i mezzi di prova sin dagli atti introduttivi. Tuttavia, il quinto comma della norma in esame consente alle parti di proporre mezzi di prova anche durante l'udienza di discussione, purché si tratti di mezzi di prova che non abbiano potuto promuovere prima per causa di forza maggiore o per caso fortuito, o perché l'esigenza di tale richiesta sia scaturita dalle difese della controparte o dall'esito dell'interrogatorio libero.
(8) Nel processo del lavoro, il convenuto che voglia chiamare in causa un terzo deve effettuare la chiamata nella memoria difensiva a pena di decadenza, mentre l'attore può effettuare la chiamata direttamente in udienza, visto che tale esigenza scaturisce dalle difese del convenuto. La chiamata in causa del terzo può essere inoltre effettuata d'ufficio dal giudice in qualsiasi momento.
Il terzo deve essere messo nelle condizioni di conoscere tutti quegli atti di parte necessari al fine di far valere le proprie difese nei confronti delle parti originarie, pertanto risulta necessario notificargli il ricorso, la memoria difensiva e il provvedimento con cui il giudice fissa la nuova udienza.

Brocardi

Favor conciliationis

Spiegazione dell'art. 420 Codice di procedura civile

Con questa norma viene disciplinato lo svolgimento dell’udienza di discussione, la quale costituisce il fulcro di tutto il procedimento, in quanto permette di realizzare appieno i principi della oralità, concentrazione e immediatezza.
Viene disciplinata come udienza tendenzialmente unica (come nel caso del processo penale), e vi si svolgono tutta una serie di attività, che vanno dalla verifica in ordine alla regolarità della presenza e la costituzione delle parti, fino alla pronuncia della sentenza, attraverso l’interrogatorio libero, il tentativo di conciliazione, l’assunzione delle prove e la discussione.
Ovviamente, sotto un profilo prettamente pratico, è ben difficile che si arrivi a sentenza in unica udienza, tant’è che la stessa norma consente in determinati casi di fissare altre udienze.

A tale udienza il giudice procede innanzitutto all’interrogatorio libero delle parti presenti, il quale va tenuto distinto da quello formale perché non è diretto a provocare la confessione giudiziale, ma ad acquisire ulteriori elementi di valutazione, definendo meglio il tema decisionale (sebbene sia previsto come obbligatorio, dalla sua omissione non ne deriva nullità della sentenza).
La sua finalità sarebbe svilita se il giudice, di fatto, si limitasse a chiedere alle parti di confermare il contenuto del ricorso o della memoria di costituzione predisposti dai rispettivi difensori.
Circa il valore da attribuire, ai fini della decisione, alle risposte date in sede di interrogatorio libero, si preferisce la tesi che considera le stesse come argomenti di prova, che ai sensi del secondo comma dell’art. 116 del c.p.c., possono concorrere con le prove ai fini della decisione, ma non avere efficacia probatoria autonoma.

Dopo aver espletato l’interrogatorio libero ed aver cercato di inquadrare meglio il tema decisionale, lo stesso giudice tenta la conciliazione della lite, formulando una proposta transattiva o conciliativa, che le parti potranno accettare o meno (a differenza della conciliazione, la transazione si basa su reciproche concessione o l’eventuale rinuncia).
Così come quella stragiudiziale, anche la conciliazione giudiziale, in base all' art. 2113 del c.c., non è successivamente impugnabile.

Sia la mancata comparizione personale delle parti che il rifiuto della proposta conciliativa o transattiva, non fondato su alcun giustificato motivo, potranno costituire comportamenti delle parti che il giudice valuta ai fini del giudizio, e non soltanto ai fini della condanna alle spese.
Quando la norma parla di “mancata comparizione delle parti” si riferisce alle parti intese in senso personale, come tali onerate a rispondere all’interrogatorio libero, da non confondere con la mancata comparizione di cui agli artt. 181 e 309 c.p.c., nel qual caso ci si riferisce alle parti in senso tecnico, rappresentate dal procuratore ad litem.

Nel corso di tale udienza le parti, se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice, possono modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, dando luogo alla c.d. emendatio libelli, da distinguere dalla mutatio libelli, ossia dal mutamento dell’oggetto della domanda, la quale non è ammessa, neppure con il consenso della controparte.
L’autorizzazione del giudice può essere anche implicita, mentre le nuove eccezioni possono essere sollevate dal convenuto nella domanda riconvenzionale.

All’udienza di discussione le parti possono farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale o dallo stesso difensore, il quale è tenuto a conoscere i fatti di causa ed a dire la verità.
Nel caso in cui ci si avvalga di un procuratore, la procura deve rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e nel corpo della stessa deve essere specificamente attribuito al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia.
Qualora dovesse risultare, senza gravi ragioni, che il procuratore non è a conoscenza dei fatti di causa, di ciò ne terrà conto il giudice ai fini della decisione.

Se la conciliazione riesce, il relativo verbale assume ex se natura di titolo esecutivo (a differenza di quello di cui all’art. 411 del c.p.c.), senza che a tal fine occorra il decreto del giudice.

Se, al contrario, la conciliazione non riesce, ed il giudice ritiene che la causa sia comunque matura per la decisione, invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza, anche non definitiva, dando lettura in udienza del dispositivo.
La stessa cosa avviene se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza ovvero altre questioni pregiudiziali, dalla cui decisione ne può derivare la definizione del giudizio.
Secondo una recente tesi giurisprudenziale, malgrado l’assenza di una previsione espressa, vanno incluse nella norma in esame anche le pronunce su questioni preliminari di merito.

Sempre in tale udienza il giudice si occupa di:
  1. ammettere i mezzi di prova che le parti hanno già proposto nei loro atti difensivi;
  2. ammettere quei mezzi di prova che le parti non abbiano potuto proporre prima di tale momento o quelli che ritenga opportuno assumere ex officio, dopo averne valutato la loro rilevanza (è stata, ad esempio, ritenuta ammissibile la prova tardiva offerta a sostegno di circostanze che l’attore poteva presumere pacifiche).
Se vengono ammessi nuovi mezzi di prova, la controparte può a sua volta dedurre, entro il termine perentorio di cinque giorni, gli ulteriori mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi (per quelli richiesti nell’atto introduttivo del giudizio, il convenuto può controdedurre con la memoria ex art. 416 del c.p.c.);
  1. disporre con ordinanza la loro immediata assunzione.

Se l’immediata assunzione delle prove o di alcune di esse non è possibile (ad esempio se occorre ascoltare un testimone assente) e ricorrono giusti motivi, il giudice è tenuto a fissare un’altra udienza, che si dovrà svolgere entro un termine non superiore a dieci giorni dalla prima; in tal caso, alle parti verrà concessa la facoltà di depositare in cancelleria note difensive entro il termine di cinque giorni prima della nuova udienza.
In tale udienza il giudice ammette, se li ritiene rilevanti, i nuovi mezzi di prova dedotti dalla controparte e provvede alla loro assunzione.

Per quanto concerne l’assunzione delle prove, questa deve essere preferibilmente esaurita nel corso dell’udienza fissata per la discussione e, solo qualora se ne presenti la necessità, in un’udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi (di fatto il rinvio avviene a distanza di settimane o mesi).

Nei casi in cui si renda necessario chiamare in causa un terzo per l’integrazione necessaria del contraddittorio (ex art. 102 del c.p.c. comma 2) o a seguito di istanza di parte (art. 106 del c.p.c.) ovvero ancora per ordine del giudice (art. 107 del c.p.c.), il giudice dovrà fissare una nuova udienza, disponendo che entro il termine di cinque giorni si provveda a notificare al terzo:
  1. il provvedimento che fissa la nuova udienza;
  2. il ricorso introduttivo;
  3. l’atto di costituzione del convenuto.

Il termine fissato per la nuova udienza non deve superare i 60 giorni (80 gg. in caso di notifica all’estero) decorrenti dalla pronuncia del relativo provvedimento, mentre la notifica al terzo deve effettuarsi non oltre il termine di 30 giorni prima dell’udienza (45 gg. sempre in caso di notifica da effettuare all’estero).

Alla chiamata in causa del terzo il convenuto deve provvedere nella memoria difensiva, mentre l’attore può effettuare la chiamata in udienza, qualora tale esigenza si renda necessaria a seguito delle difese svolte dal convenuto; il giudice, invece, può emettere in qualunque momento d’ufficio l’ordine di chiamata del terzo.

Ricevuta la notifica, il terzo deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata, ed anche nel suo caso, come per il convenuto, la costituzione avviene depositando in cancelleria la memoria difensiva.

A tutte le notificazioni e comunicazioni che vanno effettuate per chiamare in causa il terzo vi provvede d’ufficio la cancelleria.

La disposizione contenuta all’ultimo comma, nella quale viene fatto espresso divieto di fissare udienze di mero rinvio, è stata interpretata dalla giurisprudenza in modo non rigoroso, con la conseguenza che anche la pendenza di trattative stragiudiziali di bonario componimento costituisce motivo che giustifica il rinvio non mero dell’udienza di discussione.

Massime relative all'art. 420 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 33393/2019

Nel rito del lavoro, la produzione di documenti successivamente al deposito degli atti introduttivi è ammissibile solo nel caso di documenti formati o giunti nella disponibilità della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi ovvero se la loro rilevanza emerga in ragione dell'esigenza di replicare a difese altrui; peraltro, l'acquisizione documentale può essere disposta d'ufficio, anche su sollecitazione di parte, se i documenti risultino indispensabili per la decisione, cioè necessari per integrare, in definizione di una pista probatoria concretamente emersa, la dimostrazione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui sussistenza o insussistenza, altrimenti,sarebbe destinata ad essere definita secondo la regola sull'onere della prova.

Cass. civ. n. 31293/2019

Nel rito del lavoro, per effetto del combinato disposto degli artt. 202, comma 1, 420, commi 5 e 6, e 250 c.p.c., vige il principio che il giudice provvede nella stessa udienza di ammissione della prova testimoniale alla audizione dei testi, comunque presenti, ma non può dichiarare decaduta la parte dalla prova per la loro mancata presentazione, essendone consentita la citazione solo a seguito del provvedimento di ammissione, con la conseguenza che il giudice dovrà fissare altra udienza per la prosecuzione della prova; tali considerazioni valgono anche per il rito cd. "Fornero", caratterizzato - nella fase sommaria - dal principio di libertà delle prove, in relazione al quale non è possibile ipotizzare decadenze, e - nella fase a cognizione piena - dalle disposizioni dettate per il processo del lavoro.

Cass. civ. n. 6728/2019

Nel rito del lavoro, ricorrendo gravi motivi e previa autorizzazione del giudice, le parti possono modificare ex art. 420 c.p.c. domande, eccezioni e conclusioni già formulate ma non anche proporre domande nuove per "causa petendi" o "petitum", neppure con il consenso della controparte (esplicito, mediante l'espressa accettazione del contraddittorio, ovvero implicito nella difesa nel merito); la valutazione circa la sussistenza dei gravi motivi comporta un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, il cui esito può risultare dall'istruttoria ed essere manifestato per implicito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto incensurabile l'implicita valutazione circa l'insussistenza dei gravi motivi in fattispecie nella quale la ricorrente, che nel costituirsi in appello aveva depositato essa stessa il contratto di locazione ricevuto del legale della controparte, aveva chiesto di essere autorizzata a modificare la domanda in ragione del contegno omissivo dei conduttori, i quali da un lato si erano rifiutati di inviarle il suddetto contratto, se non all'atto della costituzione in primo grado, e dall'altro avevano comunicato di averlo registrato soltanto in occasione di un'udienza, di oltre un anno posteriore all'espletamento della formalità).

Cass. civ. n. 25472/2017

La conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, caratterizzandosi, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e per le formalità previste dall'art. 88 disp. att. c.p.c. e, funzionalmente, da un lato per l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dall'altro per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore; la transazione, invece, negozio anch'esso idoneo alla risoluzione delle controversie di lavoro qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili, non richiede formalità "ad substantiam", essendo la forma scritta prevista dall'art. 1967 c.c. ai soli fini di prova. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di accertamento della transazione intervenuta tra le parti nel corso di una udienza, per carenza di forma scritta e della relativa sottoscrizione, senza tener conto che il verbale di causa costituiva atto scritto idoneo ai fini probatori).

Cass. civ. n. 4717/2014

Nelle controversie soggette al rito del lavoro, la parte, la cui prova non sia stata ammessa nel giudizio di primo grado, deve dolersi di tale mancata ammissione attraverso un apposito motivo di gravame, senza che possa attribuirsi significato di rinuncia o di acquiescenza al fatto di non avere ripetuto l'istanza di ammissione nelle conclusioni di primo grado, in quanto non essendo previste, in detto rito, udienze di mero rinvio o di precisazione delle conclusioni, ogni udienza è destinata alla decisione e, pertanto, qualora le parti abbiano tempestivamente articolati mezzi di prova nei rispettivi atti introduttivi, il giudice non può desumere l'abbandono delle istanze istruttorie dalla mancanza di un'ulteriore richiesta di ammissione nelle udienze successive alla prima.

Cass. civ. n. 7751/2012

Nel rito del lavoro, la rilevabilità d'ufficio della nullità non può incidere sulle preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. ove, attraverso l'"exceptio nullitatis", si introducano tardivamente in giudizio questioni di fatto ed accertamenti nuovi e diversi, ponendosi, una diversa soluzione, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost..

Cass. civ. n. 17272/2011

Nel giudizio tra datore di lavoro ed istituti previdenziali o assistenziali aventi ad oggetto l'omesso pagamento di contributi, non costituisce motivo di nullità la circostanza che il giudice, nel corso dell'assunzione della prova, abbia liberamente interrogato i testi indicati dalle parti (nella specie il lavoratore, i cui contributi erano stati omessi), chiedendo chiarimenti in ordine ai fatti esposti dalle stesse od anche - salvo espressa opposizione delle parti motivate da una concreta violazione del loro diritto di difesa - estendendo la prova a nuove circostanze ritenute rilevanti trattandosi di facoltà spettanti al giudice, fermo restando ch le eventuali nullità relative alla deduzione, tempestività, ammissione e assunzione della prova testimoniale debbono essere tempestivamente eccepite, rimanendo sanate ove l'atto istruttorio sia stato compiuto senza opposizione della parte che vi ha assistito.

Cass. civ. n. 16470/2011

In tema di licenziamento collettivo, qualora il lavoratore che lo impugni limiti nel ricorso introduttivo la deduzione della violazione dei criteri di scelta con riferimento precipuo ad un determinato dipendente rispetto al quale, invocando la relativa comparazione, fondi il diritto azionato, il successivo e tardivo riferimento alla comparazione con altri e diversi dipendenti, in relazione ai quali prospetti il fondamento del diritto azionato, si traduce in un tardivo e, come tale, inammissibile ampliamento del tema d'indagine e quindi dell'oggetto del giudizio.

Cass. civ. n. 2775/2010

Nel rito del lavoro, in caso di chiamata in causa autorizzata dal giudice, la questione di competenza territoriale relativa alla domanda proposta nei confronti del terzo deve essere esaminata dal giudice, in base all'oggetto della domanda ed all'esposizione dei fatti posti a fondamento della stessa (a meno che non risulti evidente un'artificiosa allegazione diretta allo scopo di sottrarre la causa al giudice precostituito per legge) nel momento in cui si instaura il contraddittorio tra le parti del rapporto di garanzia, ovverosia all'atto della costituzione del terzo per contrastare la domanda di garanzia, e, restando quindi irrilevante, ai fini della competenza, una diversa qualificazione specificamente attribuita alla domanda da una delle parti in un momento successivo, una volta decisa non è riproponibile nel corso del giudizio.

Cass. civ. n. 26360/2009

Anche nel rito del lavoro, un provvedimento di rinvio dell'udienza di discussione pronunciato fuori udienza è efficace e vincolante nei confronti delle parti solo in quanto la cancelleria provveda a comunicarlo a tutte. Ne consegue che, finché anche una sola parte non sia stata notiziata del rinvio, la comunicazione è inefficace e il provvedimento non può dirsi idoneo a modificare la data di discussione inizialmente fissata.

Cass. civ. n. 8066/2009

Nel rito del lavoro, le risposte rese dalle parti in sede di interrogatorio libero ex art. 420 c.p.c. sono liberamente utilizzabili dal giudice come elemento di convincimento, soprattutto se riguardino fatti che possono essere conosciuti solo dalle parti medesime, o non siano contraddette da elementi probatori contrari, e possono arrivare a costituire anche l'unica fonte di convincimento.

Cass. civ. n. 7353/2009

Nei procedimenti di locazione, che a norma dell'articolo 46 della legge 27 luglio 1978, n. 392 e poi dell'articolo 447-bis cod. proc. civ., debbono essere trattati con il rito del lavoro, poiché il giudice può in ogni udienza ritenere conclusa l'attività istruttoria e decidere la causa, la comunicazione dei provvedimenti di rinvio dell'udienza mediante bandi o avvisi non personalizzati ai singoli difensori - nella specie tramite affissione sulla porta della sala di udienza -, non può dirsi rispettosa dell'esigenza della presenza delle parti e della conoscenza tempestiva dei rinvii da parte delle stesse. La lesione del contraddittorio e delle possibilità di difesa in tal modo realizzate comporta la nullità della sentenza di primo grado, rilevabile dal giudice di appello con apposita pronuncia.

Cass. civ. n. 5643/2009

La disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialità del rito, nè i principi cui esso si ispira. Ne consegue che la mancata comparizione delle parti all'udienza di discussione non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di una nuova udienza, nella quale il ripetersi dell'indicato difetto di comparizione comporta la cancellazione della causa dal ruolo.

Cass. civ. n. 4667/2009

Le ammissioni fatte dalla parte in sede di interrogatorio libero ex art. 420 cod. proc. civ. hanno valore meramente indiziario e non integrano una prova piena. Ne consegue che la mancata considerazione delle stesse in favore dell'altra parte ad opera del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 1895/2009

Nel rito del lavoro, il libero interrogatorio della parte è diretto a chiarire i termini della controversia in relazione alle circostanze di fatto ritualmente introdotte nel giudizio con il ricorso introduttivo e la memoria di costituzione, ma non ad introdurne di nuove che il giudice sia obbligato ad esaminare. (Nella specie, relativa ad una domanda di un lavoratore di trasferimento con precedenza in funzione della costituzione di una situazione di assistenza ad un portatore di handicap, la S.C., nell'affermare il principio di cui alla massima, ha ritenuto inammissibile la doglianza relativa all'omessa considerazione delle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio dal procuratore speciale della società datrice di lavoro, secondo il quale il posto vacante era riservato alla mobilità provinciale alla stregua dell'accordo sindacale del 17 aprile 2002, in quanto riferite ad un atto mai sottoposto al vaglio del giudice d'appello).

Cass. civ. n. 21587/2008

Nel rito del lavoro, qualora il convenuto non si costituisca ed il giudice si trovi nell'impossibilità di verificare la regolarità dell'instaurazione del contraddittorio, per la mancata produzione del ricorso notificato da parte dell'attore - che non alleghi e comprovi una situazione di legittimo impedimento all'assoluzione del relativo onere anteriormente all'udienza di discussione o nel corso di essa e non sia, per tale ragione, legittimato alla sollecitazione dell'assegnazione, per provvedere all'incombente, di un termine compatibile con detta situazione - il procedimento è legittimamente definito con una pronunzia di mero rito, ricognitiva dell'inidoneità della proposta domanda giudiziale a determinare l'ulteriore corso del processo.

Cass. civ. n. 9136/2008

Nel processo del lavoro, ove il procuratore del ricorrente (o, comunque, della parte interessata ) rimasto assente all'udienza fissata ai sensi dell'art. 415 c.p.c. si sia limitato, nella successiva udienza fissata per l'audizione dei testi sulla prova chiesta dalla controparte, a chiedere il rinvio della causa «per prosieguo prova » senza chiedere espressamente l'esame dei testi non intimati da espletare in una successiva udienza, il giudice, anche in mancanza di un formale provvedimento di ammissione, deve dichiarare, in assenza di istanza della controparte perché si proceda all'esame e su preventiva eccezione di controparte, la decadenza dalla prova, derivando l'onere dell'intimazione dei testimoni a prescindere da un formale provvedimento di ammissione della prova direttamente dall'art. 420, quinto comma, c.p.c., che attribuisce al giudice il potere di ammettere la prova ed assumerla nella stessa udienza di discussione. Tale meccanismo risponde ai principi di ordine pubblico, immediatezza e concentrazione del processo del lavoro, di cui costituiscono espressione le disposizioni sulla immediata assunzione dei mezzi di prova e sul divieto delle udienze di mero rinvio.

Cass. civ. n. 5026/2008

Nel rito del lavoro – in cui non sono previste udienze di mero rinvio né l'udienza di precisazione delle conclusioni – ogni udienza, a partire dalla prima, è destinata, oltre che all'assunzione di eventuali prove, alla discussione e, quindi, all'immediata pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo sulle conclusioni che, salvo modifiche autorizzate dal giudice per gravi motivi, sono per l'attore quelle di cui al ricorso e per il convenuto quelle di cui alla memoria di costituzione. Peraltro, ai sensi dell'art. 420, quinto comma, c.p.c., è onere delle parti dedurre a pena di decadenza, nel corso della prima udienza, i mezzi di prova che non abbiano potuto proporre prima e giustificati dalle difese di controparte, tenuto conto, altresì, che le note difensive di cui al sesto comma dell'articolo citato, proprio perché meramente difensive, non possono contenere né nuove domande di merito né nuove istanze istruttorie.

Cass. civ. n. 21017/2007

Nel rito del lavoro, mentre è consentita – sia pure previa autorizzazione del giudice – la modificazione della domanda (emendatio libelli), non è ammissibile la proposizione di una domanda nuova per mutamento della causa petendi o del petitum, neppure con il consenso della controparte manifestato espressamente con l'esplicita accettazione del contraddittorio od implicitamente con la difesa nel merito. La mutatio libelli non consentita dall'art. 420 c.p.c. è solo quella che si traduce in una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un tema di indagine completamente nuovo, in modo da determinare una spostamento dei termini della contestazione, con la conseguenza di disorientare la difesa predisposta dalla controparte, e, quindi, di alterare il regolare svolgimento del processo, sussistendo, invece, soltanto una emendatio quando la modifica della domanda iniziale incide sulla causa petendi unicamente nel senso di una diversa interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto e sul petitum nel solo senso di un ampliamento o di una limitazione di questo, al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che, nel giudizio introdotto per ottenere la condanna alla riliquidazione del trattamento di fine rapporto, costituisse una non consentita mutatio libelli la formulazione all'udienza della domanda di pagamento degli accessori da ritardo sul trattamento di fine rapporto ricevuto, essendo tali domande fondate su presupposti del tutto differenti benché compatibili).

Cass. civ. n. 9247/2006

Le modificazioni della domanda consentite nel processo del lavoro dal primo comma dell'art. 420 c.p.c., previa autorizzazione del giudice e giustificate da gravi motivi, sono quelle che integrano non una mutatio ma soltanto una mera emendatio libelli, né il rapporto di lavoro può giustificare di per sé la proposizione di ulteriori domande rispetto a quelle già contenute nel ricorso originario, quando la nuova pretesa implichi nuovi presupposti e nuovi accertamenti di fatto, i quali alterano l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia introducendo un diverso tema di indagine, dovendo nel contempo ritenersi ricorrente una consentita emendatio allorché cambi solo la qualificazione giuridica della pretesa, rimanendo inalterato il thema decidendum. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato l'impugnata sentenza che aveva ritenuto come nuova la domanda di un dipendente intesa ad ottenere il riconoscimento di un profilo superiore avanzata per la prima volta in sede di discussione nell'ambito del giudizio di primo grado siccome fondata su una diversa causa petendi riferibile ad un'ulteriore normativa collettiva e basata su presupposti di fatto differenti che esorbitavano dal ricorso introduttivo e che alteravano il thema decidendum).

Cass. civ. n. 270/2005

Nel rito del lavoro, a prescindere dalla fattispecie della riproposizione della stessa causa che dà luogo alla litispendenza o alla riunione delle cause o alla sospensione del giudizio successivamente proposto, la preclusione che discende dall'operatività dell'art. 420, primo comma, c.p.c., per cui non è possibile, senza autorizzazione del giudice e ricorrendone giustificati motivi, proporre una domanda subordinata connessa, è interna al singolo giudizio e non si comunica ad altro ( e successivo) giudizio avente ad oggetto tale domanda subordinata, neppure nell'ipotesi in cui le due cause siano poi riunite, ferma restando la possibilità per il giudice adito di valutare, al fine del regolamento delle spese processuali, il comportamento processuale della parte attrice che abbia proposto due cause con due ricorsi, anziché un solo ricorso contenente il thema decidendum di entrambe le cause in forma di domanda principale e domanda subordinata (Nella specie, la Corte Cass. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto ammissibile un secondo ricorso della lavoratrice avente ad oggetto un thema decidendum – l'interdizione della facoltà di recesso da parte del datore di lavoro nell'anno successivo al matrimonio diverso da quello del primo ricorso concernente il rispetto delle garanzie procedimentali del licenziamento collettivo).

Cass. civ. n. 17554/2004

Nel rito del lavoro, l'assenza di una previsione analoga a quella di cui all'art. 269 c.p.c., che impone alla parte che chiama in causa il terzo di depositare la citazione notificata entro il termine previsto per la costituzione dell'attore, non esonera il chiamante dall'onere di dimostrare di aver effettuato la vocatio del terzo, nei cui confronti egli intenda, in via di estensione o meno, formulare la domanda già proposta contro il convenuto. Ne consegue che, in mancanza di tale prova, non può adottarsi alcuna pronuncia nei confronti del soggetto di cui il giudice abbia autorizzato la chiamata in causa a norma dell'art. 420 c.p.c.

Cass. civ. n. 16262/2004

La mutatio libelli consiste in una pretesa nuova, diversa da quella originaria, nel senso che di quest'ultima innovi l'oggetto ed introduca nel processo nuovi temi di indagine. Pertanto, l'attore che in un suo atto difensivo, limitandosi a meglio definire giuridicamente la domanda contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, senza alterarne l'oggetto originario, si proponga almeno un parziale soddisfacimento con una richiesta subordinata, attua una mera riduzione del petitum originario, che non richiede alcuna autorizzazione del giudice. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato in parte qua la decisione di merito che aveva escluso la configurabilità di una mutatio libelli nella richiesta di un dipendente delle Poste Italiane Spa di mera declaratoria del proprio diritto a partecipare allo scrutinio preordinato all'attribuzione del beneficio economico denominato P.E.D., dopo che lo stesso aveva inizialmente chiesto l'accertamento del diritto all'attribuzione del beneficio di cui si tratta.)

Cass. civ. n. 7866/2004

Nel rito del lavoro nessuna norma impone al giudice di rinviare la decisione della causa in assenza del difensore di una delle parti, ove tale difensore risulti aver avuto legale conoscenza della data dell'udienza e non abbia addotto alcun legittimo impedimento, essendo, anzi, ai sensi dell'art. 420 c.p.c., vietate le udienze di mero rinvio, onde è da ritenersi che la mancata partecipazione all'udienza di discussione si risolva nell'inosservanza di un onere processuale le cui conseguenze gravano sulla parte stessa.

Cass. civ. n. 4180/2003

Nel rito del lavoro e, in particolare nella materia della previdenza ed assistenza, dove, per la particolare natura dei rapporti controversi il principio dispositivo va contemperato con quello di ricerca della verità materiale, la norma di cui all'art. 244 c.p.c., secondo la quale la prova testimoniale deve essere dedotta con indicazione specifica dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna persona deve essere interrogata, va interpretata alla luce del disposto dell'art. 421 c.p.c., sui poteri officiosi del giudice del lavoro, e dell'art. 420 c.p.c. sulla funzione integrativa del libero interrogatorio, sicché, quando i fatti materiali siano compiutamente enunciati nel ricorso introduttivo del giudizio, il giudice non può rigettare la richiesta di prova testimoniale sol perché i fatti non sono capitolati a norma dell'art. 244 c.p.c.

Cass. civ. n. 88/2003

In materia di controversie aventi ad oggetto la denuncia di nullità o illegittimità del licenziamento, costituisce domanda nuova quella con la quale si prospetti, in sostituzione o in aggiunta, una causa di illegittimità del provvedimento impugnato diversa da quelle originariamente dedotte e che comporti la necessità di un nuovo e diverso tema di indagine rispetto a quello delineato con l'atto introduttivo del giudizio. Qualora la consapevolezza delle modalità asseritamente illecite di accertamento dei fatti che hanno portato al licenziamento sia derivata dal contenuto della memoria difensiva ex art. 416 c.p.c., la proposizione di un nuovo motivo di impugnazione del licenziamento, in base al disposto dell'art. 420 c.p.c., è bensì ammissibile, ma deve essere effettuata previa richiesta al giudice di autorizzazione, da avanzare nelle prima udienza successiva al deposito della memoria.

Cass. civ. n. 14110/2002

Nelle controversie soggette al rito del lavoro, la possibilità per la parte di produrre tardivamente, nel giudizio di primo grado, prove documentali, presuppone, ex art. 420, quinto comma, c.p.c., che si tratti di documenti sopravvenuti nella disponibilità della parte stessa, ed in ogni caso che si tratti, in coerenza con la perentorietà della regola dettata dall'art. 416 n. 3 c.p.c., di documenti a sostegno di eccezioni o posizioni difensive tempestivamente dedotte. Ne consegue la inammissibilità della produzione documentale da parte del convenuto a sostegno di eccezioni proposte a seguito di costituzione tardiva.

Cass. civ. n. 13189/2001

Nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, qualora all'udienza di discussione sia rilevata la violazione dei criteri di ripartizione degli affari tra sedi distaccate con conseguente trasmissione della causa a quella cui compete la trattazione, il maturarsi delle preclusioni deve essere accertato con riferimento all'udienza originariamente fissata e non a quella successivamente tenuta davanti al giudice della sede distaccata designata.

Cass. civ. n. 6932/2000

La produzione dei contratti collettivi post-corporativi dei quali il lavoratore chieda l'applicazione può avvenire non solo con l'atto introduttivo del giudizio da questi promosso ma – trattandosi di documenti e quindi di prove precostituite – anche all'udienza di discussione, finché non sia iniziata la discussione stessa; d'altra parte, la totale omissione della suddetta produzione non può, di per sé, giustificare il rigetto della domanda ove la controparte ne abbia contestato non l'esistenza o il contenuto, ma l'applicabilità al rapporto dedotto in lite.

Cass. civ. n. 10456/2000

Nel rito del lavoro, l'inosservanza dell'art. 420, nono e undicesimo comma, c.p.c., che prescrive al cancelliere o alla parte più diligente di notificare al terzo chiamato in causa il ricorso introduttivo, la costituzione del convenuto e l'ordine giudiziale di chiamata, non comporta alcuna nullità, ma solo l'obbligo del giudice di fissare un nuovo termine per io compimento degli atti omessi.

Cass. civ. n. 7083/1998

Nelle controversie individuali di lavoro l'eccezione di incompetenza per territorio per essere idonea ad impedire che la causa rimanga radicata presso il giudice adito secondo il criterio del Foro non contestato, deve avere non solo il carattere della tempestività – dovendo essere sollevata dal convenuto nella memoria di costituzione, salvo il rilievo d'ufficio da parte del giudice non oltre l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. – ma anche quello della completezza, posto che la contestazione deve riguardare tutti i Fori speciali alternativamente previsti dall'art. 413 c.p.c., di cui l'attore aveva inteso avvalersi.

Cass. civ. n. 1735/1998

In ipotesi di chiamata del terzo nel rito del lavoro, non è necessario che al terzo siano notificati tutti gli atti di parte, essendo sufficiente che, attraverso gli atti dei quali ha avuto legale conoscenza, il terzo sia messo in condizione di far valere compiutamente tutte le sue difese nei confronti delle parti originarie. (Nella specie, vi era stata la riunione di due ricorsi che presentavano identiche questioni ed all'Inps, terzo chiamato, era stato notificato solo uno dei ricorsi, nonché la prima facciata dell'altro con l'elenco dei ricorrenti completo delle date di nascita e di collocamento in quiescenza; la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva ritenuto che, nonostante la mancata notifica di entrambi i ricorsi, il terzo fosse stato in ogni caso posto in condizione di prendere conoscenza delle posizioni di tutti i ricorrenti e di formulare specifiche difese nei confronti di ciascuno di essi).

Cass. civ. n. 12917/1997

La chiamata in causa ai sensi dell'art. 106 c.p.c., consentita, ai sensi dell'art. 420 comma nono c.p.c., anche nelle controversie di lavoro, concerne sia l'ipotesi di garanzia propria che l'ipotesi di garanzia impropria, tuttavia nell'ipotesi di garanzia impropria, non essendo derogabili i criteri normali di competenza per valore e per territorio, il simultaneus processus dinanzi al giudice del lavoro è attuabile solo ove il giudice competente a conoscere della causa principale sia competente a conoscere anche dell'altra.

Cass. civ. n. 9612/1997

Nel rito del lavoro il principio per cui il thema decidendum della lite va individuato sulla base degli atti introduttivi non esclude che rispetto alle difese ivi indicate le parti possano in sede di interrogatorio libero prospettarne altre e diverse, con conseguente legittimità di una attività istruttoria disposta dal giudice per effetto degli elementi nuovi emersi dall'interrogatorio stesso. Peraltro, una volta espletata tale istruttoria, il giudice non può decidere la causa accordando senz'altro preferenza alla diversa prospettazione emersa in sede di interrogatorio libero senza rigorosamente dar conto delle ragioni di tale opzione, e senza indicare in particolare che cosa consenta il discostamento da quella originaria. (Nella specie in un'impugnativa di licenziamento, la sentenza di merito – annullata dalla S.C. – aveva affermato di poter prescindere dalle risultanze della memoria di costituzione del datore di lavoro, nella quale si assentiva sull'esistenza del licenziamento, dichiarando di attribuire maggior rilevanza alle dichiarazioni dello stesso datore di lavoro in sede di interrogatorio libero circa l'avvenuta risoluzione consensuale del rapporto, e alle risultanze dell'istruttoria che le avevano confermate).

Cass. civ. n. 3275/1997

Nel rito del lavoro, per effetto del combinato disposto dell'art. 202, primo comma, c.p.c. (che prevede che il G.I. fissi una udienza di assunzione delle prove che non abbia potuto assumere contestualmente alla loro ammissione), dell'art. 420, quinto e sesto comma, c.p.c. (che prevede nel processo del lavoro la concentrazione in una sola udienza dell'ammissione e dell'assunzione delle prove, ma consente in caso di necessità di fissare altra udienza) e dell'art. 250 dello stesso codice (che consente alle parti di citare i testimoni a mezzo di ufficiale giudiziario, solo in forza del provvedimento del G.I. di ammissione della prova testimoniale e di fissazione all'udienza di assunzione), vige il principio che il giudice provvederà nella stessa udienza di ammissione della prova testimoniale alla audizione dei testi, comunque presenti, ma non potrà dichiarare decaduta la parte dalla prova per la mancata presentazione di essi, essendogli consentito di poterli citare solo in forza del provvedimento di ammissione, con la conseguenza che il giudice dovrà fissare altra udienza per la prosecuzione della prova.

Cass. civ. n. 1434/1997

Non è precluso alla parte che abbia già proposto, con un primo ricorso, determinate domande, di proporne altro, nei confronti del medesimo convenuto, con un nuovo e separato ricorso – che ben può essere riunito al primo per ragioni di economia processuale, o, comunque, trattato unitamente ad esso – sempre che il secondo ricorso (a prescindere dalla qualificazione attribuitagli dall'attore) possieda i requisiti di forma richiesti dall'art. 414 c.p.c. ed abbia seguito l'iter prescritto dall'art. 415 c.p.c., non configurandosi in tal caso una mutatio libelli, che può verificarsi solo in relazione allo stesso procedimento cui la domanda che si assume modificata ha dato luogo. (In applicazione del suesposto principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile perché domanda nuova vietata ex art. 420 c.p.c. – la richiesta di ulteriori interessi avanzata dal ricorrente con «atto integrativo» del ricorso, atto contenente tutti i requisiti di cui all'art. 414 c.p.c., depositato in cancelleria e tempestivamente notificato).

Cass. civ. n. 2258/1996

Nel rito del lavoro, stante il divieto delle udienze di mero rinvio, ogni udienza, compresa la prima è destinata oltreché all'assunzione delle prove, alla discussione e quindi all'immediata pronunzia della sentenza mediante lettura del dispositivo, mentre non è prevista un'udienza di precisazione delle conclusioni, le quali, salvo modifiche autorizzate dal giudice per gravi motivi, restano per l'attore quelle di cui al ricorso e per il convenuto quelle di cui alla memoria di costituzione. Ne consegue che se in tali atti siano stati articolati mezzi di prova, l'omessa riformulazione nel corso del giudizio dell'istanza di ammissione degli stessi, non potendo valere quale presunzione di rinunzia da parte dell'interessato, impedisce al giudice di considerare non assolto da questi l'onere probatorio su di lui incombente.

Cass. civ. n. 5590/1995

Le dichiarazioni rese dalla parte in sede di libero interrogatorio ai sensi dell'art. 420 c.p.c. possono essere poste a base della decisione, pur non avendo un valore confessorio, ma non consentono al giudice, in relazione al loro contenuto, di omettere l'esame o l'ingresso nel giudizio di altre prove quando queste vertano su fatti che, in quanto non direttamente percepiti o percepibili dalla parte che chiede di provarli, non possono neppure essere dalla stessa utilmente riferiti in sede di libero interrogatorio, il quale ha ad oggetto i «fatti della causa» (art. 117 c.p.c.) nel senso di fatti percepiti dalla parte chiamata a renderlo.

Cass. civ. n. 4562/1995

Nel rito del lavoro, l'interrogatorio non formale, reso a norma dell'art. 420, comma 1, c.p.c., non essendo preordinato a provocare la confessione della parte, ma, essendo diretto a chiarire i termini della controversia, non costituisce mezzo di prova e le dichiarazioni in esso contenute devono considerarsi elementi chiarificatori e sussidiari di convincimento. Ne consegue che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta relativa alla concreta utilizzazione di tale strumento processuale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, e che la mancata considerazione delle sue risultanze, da parte del giudice, non integra il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Cass. civ. n. 2713/1993

La causa di garanzia, anche impropria, purché riconducibile a quelle contemplate dagli artt. 409 e 442 c.p.c., può inserirsi nella causa principale mediante la chiamata in giudizio di un terzo ai sensi dell'art. 420, nono comma, c.p.c., consentita per tutte le ipotesi contemplate dall'art. 106 c.p.c., ed è attratta nella competenza funzionale del giudice del lavoro.

Cass. civ. n. 2490/1993

La parte che ha richiesto il tentativo di conciliazione, ai sensi dell'art. 46 della L. 3 maggio 1982, n. 203 può parteciparvi anche per mezzo di un procuratore legale incaricato verbalmente (salva restando la facoltà dell'altra parte di richiedere a questo di giustificare i suoi poteri, ai sensi dell'art. 1393 c.c.) perché, vertendosi in tema di tentativo di conciliazione amministrativo e non giudiziale, non è applicabile la norma dettata dall'art. 420 c.p.c. per le conciliazioni in materia di lavoro, che richiede una procura conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Cass. civ. n. 728/1993

Nel rito del lavoro sia l'attore che il convenuto sono tenuti – a pena di decadenza – a specificare nei rispettivi atti introduttivi della controversia i mezzi di prova dei quali intendono avvalersi ed in particolare, quando si tratta di prova testimoniale, ad indicare i testimoni di cui si chiede l'audizione, ai sensi dell'art. 244 c.p.c.; il principio posto da tale norma trova applicazione anche per l'ipotesi di ammissione di nuovi mezzi di prova all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 420, quinto comma, c.p.c., e sulla decadenza già verificatasi non può influire l'eventuale successiva fissazione di nuova udienza, disposta dal giudice senza la concessione del termine per il deposito di note difensive ai sensi del sesto comma dello stesso art. 420.

Cass. civ. n. 363/1992

L'art. 420 ultimo comma c.p.c., il quale, nel rito del lavoro, pone il divieto di udienze di mero rinvio, ha funzione soltanto sollecitatoria, senza implicare, in caso d'inosservanza, sanzioni, né, in particolare, decadenza dalle facoltà in relazione al cui esercizio sia stato chiesto ed ottenuto detto rinvio (nella specie, per la produzione di documentazione inerente alla capacità di stare in giudizio di un ente territoriale).

Cass. civ. n. 5648/1990

Nel rito del lavoro, il carattere di oralità dell'udienza di discussione della causa (art. 420 c.p.c.) coniugato al principio di relativa libertà delle forme degli atti processuali (art. 131 stesso codice), fa sì che non possa annettersi alcun effetto invalidante alla circostanza che l'audizione dei testi non sia stata preceduta da una formale ordinanza di ammissione della prova, atteso che l'assunzione della prova testimoniale nel contesto dell'udienza predetta – con la presenza di tutti i soggetti legittimati a parteciparvi – presuppone l'ammissione della prova stessa.

Cass. civ. n. 936/1990

Nel rito del lavoro, in caso di mancata audizione di tutti i testi da parte del giudice di primo grado con conseguente implicito provvedimento di chiusura dell'assunzione della prova, non è ipotizzabile una rinuncia tacita delle parti all'audizione degli ulteriori testi, ammessi ma non escussi, per acquiescenza al suddetto provvedimento implicito e quindi, in grado di appello il giudice dell'impugnazione è tenuto a pronunciarsi sull'eventuale richiesta di una parte di ultimazione della prova.

Cass. civ. n. 5203/1989

Il provvedimento con cui il giudice ammette la prova testimoniale non è soggetto ad alcuna forma solenne particolare e può quindi ritenersi implicitamente emesso qualora, pur mancando per una mera omissione materiale l'indicazione di esso nel verbale, i testi risultino immediatamente assunti ovvero il giudice fissi una successiva udienza per l'espletamento della prova testimoniale.

Cass. civ. n. 2182/1989

In tema di controversie di lavoro, la disposizione del nono comma dell'art. 420 c.p.c. – relativa ai provvedimenti del giudice, nell'udienza di discussione di primo grado, in ipotesi di chiamata in causa a norma degli artt. 102, 106 e 107 c.p.c. – non implica un automatico obbligo di adozione dei provvedimenti predetti, in quanto il pretore, investito della domanda di chiamata in giudizio di un terzo ai sensi delle norme citate, non è sempre tenuto a fissare una nuova udienza e a disporre le relative notifiche, conservando, secondo i principi generali, il potere di valutare – con i margini di discrezionalità attribuitigli dagli artt. 106, 107, 269, secondo comma, e 270 c.p.c. – la comunanza della causa e le ragioni d'intervento del terzo, restando configurabile un vizio del processo, tale da comportare il rinvio della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 383 c.p.c., solo quando il giudice, investito della domanda predetta, si sia sottratto al dovere di esaminarla o abbia comunque omesso di rivelare il difetto del contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario.

Cass. civ. n. 1498/1987

Nel nuovo rito del lavoro, la disposizione dell'undicesimo comma dell'art. 420 c.p.c. – secondo cui «a tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti provvede l'ufficio» – si riferisce soltanto alle notificazioni e comunicazioni necessarie per la instaurazione del contraddittorio nelle ipotesi (contemplate dai commi ottavo e nono dello stesso articolo) di chiamata in causa a norma degli artt. 102, secondo comma, 106 e 107 c.p.c. e, pertanto, non è applicabile in ordine alla citazione dei testimoni, la quale è disciplinata dalla regola generale dell'art. 250 c.p.c., secondo cui l'intimazione di comparire è rivolta ai testi dall'ufficiale giudiziario su richiesta della parte interessata, con la conseguenza, in caso di ingiustificata inerzia della medesima, della sua decadenza dalla prova ai sensi dell'art. 104 delle disposizioni di attuazione dello stesso codice.

Cass. civ. n. 828/1987

Nel nuovo rito del lavoro, la chiamata in causa di un terzo, effettuata – anche fuori dell'ipotesi di litisconsorzio necessario – dal convenuto, comporta, a norma del nono comma dell'art. 420 c.p.c., l'obbligo del giudice (cui, a differenza di quanto previsto dall'art. 269, secondo comma, c.p.c., non è concessa alcuna discrezionalità) di fissare una nuova udienza di discussione e di disporre la notifica al terzo (nel termine di cinque giorni) di tale provvedimento di fissazione nonché del ricorso introduttivo e dell'atto di costituzione (contenente detta chiamata) del convenuto. All'omissione di tali adempimenti, rilevata in sede di legittimità, consegue la cassazione sia della sentenza di appello che di quella del giudice di primo grado, al quale la causa dev'essere rinviata ai sensi dell'art. 383, terzo comma, c.p.c. (Nella specie, l'Inps, convenuto dal lavoratore per il pagamento di assegni familiari, aveva proposto istanza di chiamata in causa della ditta datrice di lavoro, quale unica obbligata al pagamento stante il già effettuato «conguaglio»).

Cass. civ. n. 3996/1986

L'autorizzazione del giudice alla modifica delle domande, prevista dal primo comma dell'art. 420 c.p.c., può essere data anche implicitamente, in corrispondenza alla mancata opposizione della controparte, con il consenso alla formulazione nelle conclusioni della domanda come modificata, il suo concreto esame e la statuizione su di essa.

Cass. civ. n. 2858/1986

Nelle cause di lavoro, il verbale di conciliazione giudiziale, ai sensi ed agli effetti dell'art. 420 c.p.c., non può essere validamente sottoscritto da rappresentanti sindacali delle parti, in difetto di procura speciale.

Cass. civ. n. 2307/1986

Nel rito del lavoro il libero interrogatorio delle parti – diretto (oltre che a rendere possibile il tentativo di conciliazione) al chiarimento della posizione delle parti stesse e all'acquisizione di elementi di convincimento (che però non costituiscono prova) – non è coercibile né è sanzionabile in danno della parte che vi si sottragga. Consegue che la mancata comparizione della parte non può costituire motivo di nullità processuale, non solo quando essa sia dovuta a determinazione spontanea della parte stessa, ma anche quando sia stato lo stesso giudice ad omettere di disporne l'interrogatorio, pur avendo fissato apposita udienza per l'espletamento (anche) di tale attività istruttoria.

Cass. civ. n. 2134/1986

Nella controversia avente ad oggetto la legittimità, o meno, del licenziamento del lavoratore dipendente, non costituisce alcuna illegittima immutazione del titolo del recesso la deduzione — svolta nel giudizio — che la circostanza di fatto dell'assenza del lavoratore oltre il termine di comporto per malattia, anche in ipotesi di plurime assenze discontinue e frazionate per diverse infermità, debba essere considerata come ipotesi di recesso del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2110 c.c., anziché come ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966.

Cass. civ. n. 98/1986

Ove il processo sia rimasto di fatto sospeso, a seguito della mancata nuova fissazione di un'udienza non tenutasi o della quale manchi comunque il relativo verbale, la parte che faccia istanza per la fissazione di una nuova udienza, deve – anche nel rito del lavoro – provvedere alla notificazione alla controparte del provvedimento del giudice istruttore di fissazione dell'udienza, non essendo sufficiente la comunicazione alle parti con biglietto di cancelleria.

Cass. civ. n. 375/1986

In tema di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (legge n. 1369 del 1960), ove il lavoratore convenga in giudizio l'appaltante sostenendo che il rapporto di lavoro, formalmente instaurato con l'appaltatore, sia da ritenere sussistente – in virtù dell'art. 1 della legge citata – direttamente con l'appaltatore medesimo, non c'è necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell'appaltatore, presunto fornitore di mere prestazioni di lavoro, atteso che il giudice adito può conoscere incidenter tantum del rapporto tra quest'ultimo ed il lavoratore.

Cass. civ. n. 320/1986

Ove il lavoratore ricorrente rivendichi in giudizio determinati emolumenti retributivi dal preteso datore di lavoro sostenendo la sussistenza (negata da quest'ultimo) di un rapporto di lavoro subordinato in concreto svoltosi tra le parti benché dissimulato da un contratto di appalto con l'interposizione fittizia di un altro soggetto, non ricorre nei confronti di quest'ultimo un'ipotesi di litisconsorzio necessario atteso che l'accertamento della simulazione, non essendo destinato a formare cosa giudicata, costituisce soltanto un accertamento incidentale e pertanto non è necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto fittiziamente interposto. (Nella specie il lavoratore assumeva di aver lavorato come portiere alle dipendenze di un condominio, che invece eccepiva di aver appaltato il servizio alla moglie del primo; la S.C. ha cassato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto necessario — per l'accertamento della simulazione dell'appalto — l'integrazione del contraddittorio nei confronti della moglie del lavoratore).

Cass. civ. n. 55/1986

Nel rito del lavoro, in cui sono vietate le udienze di mero rinvio (art. 420, ultimo comma, c.p.c.) con la conseguente inapplicabilità degli artt. 181 e 309 c.p.c., l'eventuale fissazione di una nuova udienza di discussione a seguito dell'assenza di tutte le parti contendenti, determina una mera irregolarità processuale, ma non la nullità dei successivi atti processuali posti in essere senza violazione della garanzia del contraddittorio e del correlato principio dell'art. 101 c.p.c.

Cass. civ. n. 5546/1985

A differenza delle preclusioni stabilite dagli artt. 183 e 184 c.p.c., le quali sono poste soltanto a tutela dell'interesse privato delle parti, onde la tardività di una domanda nuova, proposta nel corso del giudizio di primo grado, è sanata dalla mancata opposizione o dall'accettazione, anche implicita, del contraddittorio ad opera della controparte, il divieto di mutamento del tema del dibattito, sancito, per le controversie di lavoro, dal primo comma dell'art. 420 c.p.c., non viene meno per il fatto della mancata opposizione della controparte alla tardiva formulazione della domanda nuova, essendo attribuito solo al giudice di autorizzare le parti a «modificare» le domande «se ricorrono gravi motivi».

Cass. civ. n. 4870/1985

Nel rito del lavoro, se da una parte, al fine di accelerare e concentrare il processo, il thema decidendum deve risultare fissato già alla stregua dell'atto introduttivo del giudizio e della prima difesa del convenuto costituito, di tal che non è consentito proporre nel corso del giudizio domande nuove o sollevare eccezioni non proposte al momento della costituzione del convenuto, d'altra parte però quest'ultimo può formulare in qualsiasi momento del processo deduzioni difensive dirette a contestare l'esistenza o la portata dei fatti costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio dall'attore ricorrente, come anche è possibile che il giudice, all'udienza di discussione, autorizzi per gravi motivi (art. 420 c.p.c.) l'ampliamento della materia del contendere.

Cass. civ. n. 4301/1985

Ai sensi del primo comma dell'art. 420 c.p.c., la mancata comparizione personale della parte (senza giustificato motivo) nell'udienza in cui deve aver luogo l'interrogatorio libero ad opera del giudice del lavoro costituisce comportamento valutabile dallo stesso giudice ai fini della decisione. Analogamente, in sostanza, a quanto previsto, nel rito ordinario, dall'art. 232 c.p.c. per l'ipotesi di mancata comparizione della parte alla udienza fissata per l'interrogatorio formale.

Cass. civ. n. 2567/1985

L'interpretazione della conciliazione giudiziale è compito istituzionalmente demandato al giudice del merito il cui convincimento è sindacabile soltanto sotto il profilo della insufficienza o della contraddittorietà della motivazione. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice del merito che, esaminando una conciliazione giudiziale intervenuta tra un lavoratore – il quale aveva rinunciato alla impugnativa del licenziamento, oggetto del giudizio in corso – ed il datore di lavoro – il quale aveva attribuito al primo una determinata somma a titolo di integrazione dell'indennità di anzianità – aveva escluso che il lavoratore avesse anche rinunciato a far valere ulteriori pretese in ordine all'esatta liquidazione dell'indennità d'anzianità).

Cass. civ. n. 1583/1985

Nelle controversie soggette al rito del lavoro (nella specie, causa inerente ad un rapporto agrario), qualora il mancato esaurimento in primo grado della prova testimoniale, con la escussione di tutti i testi ammessi, sia ascrivibile ad inerzia della parte istante, deve escludersi che la parte medesima possa successivamente dolersi dell'incompletezza di detta prova, ovvero chiedere in secondo grado la sua integrazione. Tenuto conto, oltre che dei principi generali in materia di rinunciabilità, anche implicita, delle richieste istruttorie, e di infrazionabilità della prova testimoniale, delle peculiarità del suddetto rito, nel quale è onere dell'interessato di citare i testimoni da escutere sui capitoli ammessi indipendentemente dalla fissazione di apposita udienza (salvi restando il potere discrezionale del giudice di disporre d'ufficio l'assunzione delle prove che ritenga indispensabili).

Cass. civ. n. 1183/1985

L'oggetto del negozio transattivo va identificato non in relazione alle espressioni letterali usate dalle parti, non essendo necessaria una puntuale specificazione delle contrapposte pretese, bensì in relazione all'oggettiva situazione di contrasto che le parti stesse hanno inteso comporre attraverso reciproche concessioni, giacché la transazione – quale strumento negoziale di prevenzione di una lite – è destinata, analogamente alla sentenza, a coprire il dedotto ed il deducibile. Pertanto, ove il lavoratore in sede di conciliazione giudiziale abbia manifestato il proprio consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro, l'efficacia transattiva dell'accordo raggiunto non può che essere riferita, in mancanza di specifiche limitazioni, a tutti i diritti scaturenti dal rapporto che risultino obiettivamente determinabili (quale, nel caso di specie, la rivendicazione di una qualifica superiore).

Cass. civ. n. 1099/1985

Il tentativo di conciliazione, previsto dall'art. 420 (nuovo testo) c.p.c., pur essendo obbligatorio, non è previsto a pena di nullità ed è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito, al quale compete il dovere funzionale di valutare, in relazione anche agli assunti delle parti ed al loro comportamento processuale, se sussista o meno una possibilità, anche remota, di esito favorevole. La sua omissione, pertanto, non incide sulla validità dello svolgimento del rapporto processuale.

Cass. civ. n. 1008/1985

Il divieto di scindere il giudizio sull'an da quello sul quantum, qualora la domanda non abbia avuto fin dall'origine ad oggetto la sola condanna generica, non opera ove il convenuto non si sia in primo grado opposto alla richiesta attrice di limitare la pronuncia all'an debeatur, in quanto tale mancata opposizione configura una adesione implicita alla modificazione della domanda e preclude di dedurne l'irritualità nelle successive fasi del processo. Tale principio è applicabile anche nel nuovo rito del lavoro, atteso che le esigenze caratterizzanti tale rito – le quali non escludono la ammissibilità di sentenze non definitive su questioni sia processuali che di merito – non sono incompatibili, in via di massima, con la norma del rito ordinario che consente separati giudizi sull'an e sul quantum.

Cass. civ. n. 5123/1984

Nel rito del lavoro, al convenuto, che, ritualmente evocato in giudizio, sia rimasto contumace, non deve essere notificato o comunicato il provvedimento che rinvii ad altra data l'udienza di discussione, tenuto conto che anche in tale rito, in difetto di contraria precisione, trovano applicazione le normali regole del procedimento contumaciale, le quali non contemplano i suddetti adempimenti per il caso di rinvio all'udienza. Né, in particolare, la notificazione del rinvio può ritenersi imposta dall'espletamento in detta nuova udienza del libero interrogatorio delle parti, trattandosi di atto direttamente prescritto dalla legge e non equiparabile all'interrogatorio formale, per il quale soltanto l'art. 292 c.p.c. impone la notificazione al contumace dell'ordinanza ammissiva.

Cass. civ. n. 2308/1984

Nel nuovo rito del lavoro, la proposizione, all'udienza di discussione, di richieste preliminari o istanze istruttorie ad opera delle parti non comporta per il giudice l'obbligo di emettere uno specifico provvedimento istruttorio e non esonera le parti medesime dal dovere di formulare le conclusioni definitive e di svolgere le relative difese.

Cass. civ. n. 1731/1984

Nel rito del lavoro, la fissazione di nuova udienza per la discussione e la pronuncia della sentenza, secondo la previsione dell'art. 429, secondo comma c.p.c., non determina ancora l'apertura della fase di deliberazione della decisione, e, pertanto, non osta all'esperibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell'art. 41 c.p.c.

Cass. civ. n. 1279/1984

Anche nel rito processuale del lavoro sono ammissibili sentenze non definitive per risolvere questioni pregiudiziali di merito, atteso che la decisione parziale, oltre a non pregiudicare i diritti delle parti e a non comportare alcuna nullità, non è necessariamente in contrasto con le caratteristiche di rapidità e snellezza proprie del processo del lavoro e trova fondamento nel quarto comma dell'art. 420 c.p.c., in cui la previsione di emissione di sentenze non definitive in ipotesi di «altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio» non può essere intesa in senso limitato alle questioni processuali. Né la sentenza non definitiva sull'an (condanna generica) può ritenersi esclusa dal disposto dell'art. 423 dello stesso codice, giacché il primo comma di tale norma riguarda le somme non contestate e non l'accertamento del diritto, mentre il secondo comma pone una deroga al secondo comma dell'art. 278 c.p.c., consentendo la concessione di una provvisionale, oltre che con la sentenza non definitiva, anche prima o dopo la pronuncia di questa.

Cass. civ. n. 847/1984

Nel rito del lavoro è ammissibile la pronuncia di sentenze non definitive anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dall'art. 420 comma quarto c.p.c. senza che, analogamente a quanto si verifica nel rito ordinario, sia prescritto che i giudici componenti il collegio che ha provveduto alla relativa deliberazione debbono essere i medesimi che pronunziano ulteriori sentenze nella stessa causa in momenti successivi o che ne abbiano già anteriormente pronunciato, dovendo, nell'un rito come nell'altro, la composizione del collegio obbedire esclusivamente, per la sua regolarità, alla condizione che ad esso partecipino soltanto i giudici che hanno assistito alla relativa discussione.

Cass. civ. n. 8/1984

Nel rito del lavoro è ammissibile la pronuncia di sentenze non definitive anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dall'art. 420 comma quarto c.p.c. senza che, analogamente a quanto si verifica nel rito ordinario, sia prescritto che i giudici componenti il collegio che ha provveduto alla relativa deliberazione debbono essere i medesimi che pronunziano ulteriori sentenze nella stessa causa in momenti successivi o che ne abbiano già anteriormente pronunciato, dovendo, nell'un rito come nell'altro, la composizione del collegio obbedire esclusivamente, per la sua regolarità, alla condizione che ad esso partecipino soltanto i giudici che hanno assistito alla relativa discussione.

Cass. civ. n. 721/1984

Nel nuovo rito del lavoro, la mancata comparizione della parte all'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. non costituisce prova a carico della stessa, ma solo un comportamento discrezionalmente valutabile dal giudice del merito, come indizio ai fini della decisione, in concorso con altri argomenti di prova.

Cass. civ. n. 552/1984

Nelle controversie soggette al rito del lavoro – e, quindi, anche in quelle in materia di locazione di immobili ai sensi dell'art. 46 della legge n. 392 del 1978 – la questione di competenza del giudice adito deve trovare, a norma dell'art. 420 c.p.c. definizione senza alcuna dilazione con la conseguenza che il provvedimento con il quale il giudice, invece di pronunciare sulla questione di competenza sollevata dispone per il mero prosieguo del giudizio, comporta l'implicito riconoscimento della propria competenza a decidere e, di conseguenza, è impugnabile con l'istanza di regolamento di competenza.

Cass. civ. n. 3664/1983

Nel nuovo rito del lavoro, il giudice di appello, investito della questione concernente l'ammissibilità o meno della modifica, all'udienza di discussione del giudizio di primo grado, della domanda dal ricorrente proposta con l'atto introduttivo, non può, ove sia mancata un'autorizzazione espressa del primo giudice, ritenere l'intervenuta autorizzazione tacita di tale modifica basandosi sulla semplice considerazione del silenzio dalla controparte serbato in quella udienza, ma deve rigorosamente accertare la sussistenza dei gravi motivi atti a giustificare, ai sensi dell'ultima parte del primo comma dell'art. 420 c.p.c., la detta modifica e la conseguente autorizzazione implicita della stessa ad opera del giudice di prima istanza.

Cass. civ. n. 2795/1983

Nel nuovo rito del lavoro, la disposizione del quarto comma dell'art. 420 c.p.c. (secondo cui, se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo) ha lo stesso significato della norma di carattere generale di cui al comma terzo (in relazione al comma secondo) dell'art. 187 dello stesso codice, che facoltizza il giudice istruttore a disporre la decisione separata, oppure unitamente al merito, di dette questioni. La scelta tra l'una e l'altra soluzione resta, perciò, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del lavoro, senza che questi sia obbligato a risolvere immediatamente le questioni pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio.

Cass. civ. n. 2096/1983

La procura a rispondere all'interrogatorio, di cui all'art. 420, secondo comma c.p.c., può essere rilasciata dalle parti anche al proprio difensore, ma non può ritenersi compresa nella procura alle liti, ancorché estesa al potere di transigere o conciliare.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 420 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anna chiede
lunedì 29/03/2021 - Lombardia
“Buongiorno,
il mio avvocato ha sbagliato a depositare una istanza per una causa di lavoro, invece del tribunale di competenza ha messo quello dove ha sede il luogo dove lavoro che però non coincide con il tribunale competente.
Il giudice designato ha comunque cercato una conciliazione visto che ormai le parti erano presenti, ma la controparte ha respinto qualsiasi tentativo di mediazione chiedendo che il tutto si svolga nella sede preposta.
Il giudice allora ha chiesto agli avvocati di cercare comunque di accordarsi per evitare di ricominciare tutto in altra sede dando 20 giorni di tempo alle parti per sentirsi in privato e trovare una soluzione.
Il mio avvocato mi ha consigliato di accontentarmi e ridurre tutte le richieste economiche, mentre la controparte ha semplicemente risposto che non intendono pagare nulla.
Ora, mi sono stupita che il giudice non abbia proposto una cifra che accontentasse tutti e l'avvocato mi ha risposto che non era un suo obbligo; ma io ho pensato un'altra cosa, è possibile che il giudice non potesse fare proposte visto che non era lui il giudice che doveva decidere su questa causa?
Non sono contenta dell'operato dell'avvocato, credo che se non avesse fatto il grossolano errore di sbagliare la sede di competenza il giudice avrebbe probabilmente fissato una cifra e tutti ci saremmo tolti un grosso pensiero.
Anche fissando la prossima udienza che rimane sempre con lo stesso giudice non di competenza, la controparte non modificherà il suo pensiero e io non vorrei accettare le briciole, visto che il danno c'è stato e che la parcella del mio avvocato non è leggera, dato che mi aveva garantito che la causa verteva su un punto solo ma che era a nostro favore.
Potete consigliarmi cosa posso fare a questo punto?
Sono esasperata.....”
Consulenza legale i 06/04/2021
Secondo l’art. 420 c.p.c. il giudice, nel corso del tentativo di conciliazione, formula alle parti una proposta transattiva.

Il tenore letterale della norma depone per l’obbligatorietà dell’iniziativa del giudice anche se alla sua eventuale omissione non viene ricollegata nessuna conseguenza.

Secondo risalente giurisprudenza, nel rito del lavoro l’espletamento del libero interrogatorio delle parti e del tentativo di conciliazione, pur essendo obbligatorio, non è previsto a pena di nullità, restando affidato al potere discrezionale del giudice di merito di valutare, anche in relazione agli assunti delle parti, se tale espletamento si configuri di qualche potenziale utilità, o sotto il profilo del buon esito del tentativo o al fine di acquisire elementi di convincimento per la decisione; ne consegue che l’omissione di uno di tali adempimenti da parte del giudice non incide sulla validità dello svolgimento del rapporto processuale, restando ininfluente - e di conseguenza non denunciabile in sede di legittimità - la mancata considerazione dell’omissione stessa, ove lamentata in sede d’appello, da parte del giudice del gravame (Cass. lav., 18 agosto 2004, n. 16141; conforme Cass. lav., 7 giugno 2002, n. 8310).

È altresì da rilevare che l’esperimento del tentativo di conciliazione è preliminare rispetto alla pronuncia in merito alla competenza.

Non è rilevante, pertanto, ai fini della conciliazione, il fatto che il giudice non sia competente.

Certamente, il fatto di non collaborare alla conciliazione e/o non accettare la proposta di conciliazione del giudice (che, tuttavia, nel caso di specie non è stata fatta) può essere valutata dal giudice ai fini della decisione e, in particolare nel caso di specie, per le spese di lite.

Dal momento che, comunque, secondo quanto riferito, anche la controparte non è assolutamente interessata ad addivenire ad una conciliazione, il fatto di non accettare una proposta non dovrebbe avere alcun peso nella controversia in parola.

In merito alle iniziative da intraprendere circa l’errore commesso dal difensore e il rapporto con quest’ultimo, si potrebbe, innanzitutto, chiedere una riduzione della parcella. In secondo luogo, se la fiducia nei confronti del difensore è venuta meno, si potrebbe anche revocare l’incarico e affidare lo stesso ad un altro professionista. Infine, è possibile esperire un’azione di responsabilità professionale nel caso in cui l’operato del legale abbia causato dei danni.