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Articolo 410 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Tentativo di conciliazione

Dispositivo dell'art. 410 Codice di procedura civile

Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413(1)(2).

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza(3).

Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validita' della riunione e' necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.

La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.

La richiesta deve precisare:

  1. 1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
  2. 2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
  3. 3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
  4. 4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave.

Note

(1) Si precisa che il tentativo di conciliazione è applicabile alle controversie di lavoro previste dall'art. 409 del c.p.c., fatta eccezione per quelle previdenziali. Tale procedura può essere avviata sia dal lavoratore che dal datore di lavoro. Con la recente riforma apportata dalla l.n. 183/2010 il tentativo di conciliazione è passato da obbligatorio a facoltativo, così che le parti possono liberamente decidere se promuovere la procedura conciliativa o rivolgersi direttamente all'autorità giudiziaria.
(2) Dal punto di vista procedurale, si precisa che gli artt. 410 c.p.c. e ss non sono applicabili alla domanda riconvenzionale.
(3) La richiesta di conciliazione deve essere debitamente compilata, sottoscritta in originale dalla parte richiedente e consegnata a mano o spedita con raccomandata A/R o inviata a mezzo e-mail certificata alla DPL. Una copia della richiesta deve essere consegnata tramite una delle predette modalità alla controparte. Si precisa che la richiesta di conciliazione interrompe il decorso della prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza per l'intero svolgimento del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione.
Inoltre, la richiesta deve contenere a pena di improcedibilità le generalità di entrambe le parti, l'indicazione del luogo della conciliazione e di quello dove devono essere effettuate le relative comunicazioni, l'esposizione dei fatti e delle ragioni che li sostengono. La mancanza di uno di tali elementi essenziali rende improcedibile la richiesta a meno che la controparte non si costituisca ugualmente. In tal caso, il ricorrente dovrà procedere ad integrare la richiesta.

Ratio Legis

La ratio della norma in analisi si riscontra nell'intento di favorire la composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro. La l. n.183/2010 ha completamente ridisegnato tale istituto trasformando il tentativo da obbligatorio a facoltativo e prevedendo l'estensione della procedura in esame anche alle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze della P.A.

Spiegazione dell'art. 410 Codice di procedura civile

Il D.Lgs. 31.3.1998, n. 80 (come modificato dal D.Lgs. 29.10.1998, n. 387), aveva reso obbligatorio il tentativo di conciliazione stragiudiziale nell’intento di imporre un filtro alle controversie di lavoro, con funzioni deflattive.
Gli artt. 410, 410 bis, 412 bis, prevedevano, infatti, una forma di giurisdizione condizionata, considerata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale, in quanto non limitava il diritto di azione.
Con il D.Lgs. 4.3.2010, n. 28, invece, si prevede il carattere meramente facoltativo del tentativo di conciliazione.

Nel caso di rapporti di lavoro privato, perché la domanda giudiziale diventi procedibile, è possibile desumere dalla norma in esame una alternativa tra il tentativo di conciliazione dinanzi alla commissione amministrativa (dalla norma stessa individuata) e le procedure conciliative eventualmente previste da contratti o accordi collettivi.
Non è possibile ricondurre ad unità le relative discipline, in quanto ciascun contratto può prevedere un diverso procedimento; tuttavia, in mancanza di previsione delle stesse, le regole sono determinate dalle parti e da coloro che le assistono.
Nel caso in cui la conciliazione riesca, la fase finale del procedimento è specificamente disciplinata dal terzo comma dell’art. 411 del c.p.c..

Nell'individuazione delle controversie che devono essere necessariamente precedute dal preventivo tentativo di conciliazione, si fa espresso riferimento alle domande relative ai rapporti di cui all'art. 409 del c.p.c..
Da ciò ne consegue che la condizione di procedibilità non vale per tutti i giudizi che devono seguire il rito speciale del lavoro, ma solo per quelli che hanno ad oggetto un rapporto di lavoro riconducibile a tale norma.
Sono così escluse le controversie previdenziali, per le quali l’art. 443 del c.p.c. prevede la diversa condizione di procedibilità dell'esaurimento del procedimento amministrativo.
Per le controversie di pubblico impiego devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, pur rientrando nell'ambito dell'art. 409, l'art. 65 del T.U.P.I. dispone che il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla norma in esame si svolga secondo le procedure previste dai contratti collettivi, ovvero secondo la disciplina speciale prevista dallo stesso art. 65 e dal successivo art. 66 del T.U.P.I..

Come si è prima detto, il tentativo di conciliazione, oltre che in sede sindacale, può essere esperito dinanzi ad una commissione amministrativa, la cui istituzione e composizione è espressamente prevista dal quarto comma.
Tale commissione è costituita in ogni provincia (presso la Direzione provinciale del lavoro) ed è composta dal direttore dell'ufficio o da un suo delegato o un magistrato collocato a riposo, che la presiede, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale territoriale.
Le commissioni possono delegare le proprie funzioni a delle sottocommissioni, presiedute dal direttore o dal suo delegato, le quali devono rispecchiare la composizione della commissione.
La competenza territoriale della commissione va individuata sulla base dei criteri dettati dall’art. 413 del c.p.c..
Nel caso di istanza proposta ad una commissione incompetente, se la commissione non rileva il vizio e procede e se la conciliazione riesce, la stessa è perfettamente valida; qualora non riesca, si verifica la condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
In materia di pubblico impiego il primo comma dell'art. 66 del T.U.P.I. dispone che, in alternativa alle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal precedente art. 65, si può svolgere dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la direzione provinciale del lavoro, nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto (anche se promosso dalla pubblica amministrazione).

Per quanto concerne la forma ed il contenuto dell’istanza di conciliazione, la norma in esame disciplina espressamente il contenuto di essa.
Riprendendo quanto prevedono i commi 2 e 3 dell’art. 66 del T.U.P.I. per le controversie in materia di pubblico impiego, i commi 6 e 7 di questa norma prevedono che:
  • la richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, deve essere consegnata alla Direzione presso la quale è istituito il collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento;
  • copia della richiesta deve essere consegnata o spedita a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione di appartenenza;
  • nell'istanza si devono indicare:
  1. l'amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore è addetto;
  2. il luogo dove devono essere fatte all'istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
  3. l'esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;
  4. la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un'organizzazione sindacale.

Con riferimento alla forma dell'istanza, sussiste un contrasto tra coloro che ritengono necessaria la forma scritta e coloro che ritengono ammissibile la richiesta orale, salva verbalizzazione da parte della Commissione oppure ammettono la proponibilità in forma orale, ma ritengono consigliabile la forma scritta a soli fini probatori.

Nel caso in cui la commissione adita si ritenga incompetente per territorio o per materia, ovvero se considera l'istanza carente dei requisiti richiesti, può dichiarare l'inammissibilità dell'istanza.
Il provvedimento che dichiara l’inammissibilità può essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo; in alternativa, la parte istante, decorso il termine di cui all'art. 410 bis del c.p.c., può proporre la domanda giurisdizionale ed il giudice del lavoro, se ritiene l'istanza effettivamente inammissibile, stima improcedibile la domanda e dispone la sospensione del giudizio ex art. 412 bis del c.p.c. (in assenza di ciò, il giudizio è immediatamente procedibile).

Il 2° comma dispone che la comunicazione della richiesta di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende ogni termine di decadenza per tutta la durata del tentativo e per i venti giorni successivi alla sua chiusura (nulla, però, viene precisato in ordine alle modalità della comunicazione ed al suo destinatario).

In considerazione di quanto disposto, in materia di pubblico impiego, dal secondo comma dell’art. 66 del T.U.P.I., nella parte in cui prevede che l'istanza, oltre che consegnata ovvero spedita con raccomandata con avviso di ricevimento alla direzione presso la quale è istituito il collegio di conciliazione, debba essere consegnata o spedita, a cura del lavoratore richiedente, anche all'amministrazione di appartenenza dello stesso e considerato, soprattutto, che l'invio della richiesta determina l'effetto interruttivo della prescrizione, si riteneva che l'istanza prevista dalla norma in esame, perché determinasse l’effetto interruttivo della prescrizione, dovesse essere inviata a cura della parte interessata anche alla controparte, con raccomandata con avviso di ricevimento, anche al fine di conseguire la prova della ricezione.

Secondo altra tesi, invece, la comunicazione doveva essere effettuata alla controparte a cura della commissione, che nell'inviare la convocazione può ma non deve allegare anche la domanda di conciliazione (tesi, tuttavia, contrastata da chi poneva in evidenza che in tal modo il determinarsi degli effetti sostanziali sarebbe dipeso dalla diligenza della commissione).

Sotto il profilo degli effetti processuali prodotti dalla presentazione dell'istanza di conciliazione alla commissione, va osservato che l'art. 410 bis del c.p.c. prevede che, decorso il termine di sessanta giorni da tale momento, il tentativo, anche se non avvenuto, si considera comunque espletato ai fini della procedibilità della domanda ex art. 412 bis del c.p.c..

La giurisprudenza sembra ormai consolidata nel senso che il termine di sessanta giorni per la procedibilità della domanda decorre dalla mera presentazione o inoltro della domanda di conciliazione, a prescindere dall'avvenuta comunicazione alla controparte, mentre da tale comunicazione dipendono e decorrono gli effetti sostanziali dell'interruzione della prescrizione e della sospensione delle decadenze.

Per quanto concerne le forme della procedura, la norma in esame si limita a stabilire che la commissione, ricevuta la richiesta, convoca le parti per una riunione da tenersi entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta stessa, fissando un termine, il quale però non ha natura di termine perentorio; nella riunione stessa le parti possono farsi assistere da consulenti legali e sindacalisti.

Viene tuttavia precisato che, per la validità della riunione, debbono partecipare alla stessa il presidente della commissione ed almeno un rappresentante dei datori di lavoro ed uno dei lavoratori e che, in caso di mancata presenza di uno dei componenti necessari, il direttore dell'ufficio certifica l'impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.

Massime relative all'art. 410 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 29419/2019

La convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all'esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943, comma 4, c.c., ai fini dell'interruzione della prescrizione, contenendo l'esplicitazione della pretesa e manifestando l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo. L'accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici.

Cass. civ. n. 27948/2018

In tema di impugnativa del licenziamento individuale ex art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32, comma 1, della l. n. 183 del 2010, ove alla richiesta, effettuata dal lavoratore, di tentativo di conciliazione o arbitrato consegua un esplicito rifiuto datoriale - che si perfeziona senza necessità di una sua comunicazione alla DTL -, il lavoratore medesimo è tenuto a depositare, ai sensi dell'ultima parte del comma 2 del citato art. 6, il ricorso al giudice entro il termine di decadenza, decorrente dal rifiuto in questione, di 60 giorni, il quale assume, per la specifica regola che lo prevede, un evidente connotato di specialità che lo rende insensibile alla disciplina generale della sospensione dei termini di decadenza di cui all'art. 410, comma 2, c.p.c.; ne consegue che al predetto termine di sessanta giorni non possono sommarsi i venti giorni previsti in tale ultima disposizione.

Cass. civ. n. 21617/2018

L'art. 2113 c.c. è applicabile anche nell'ipotesi in cui il lavoratore abbia già intrapreso un'azione giudiziaria, in quanto la sua posizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro non viene meno per il fatto che egli abbia azionato un diritto o sia assistito da un legale; ne consegue che, ai sensi del citato articolo, restano impugnabili nel termine di sei mesi tutte le rinunce e transazioni che non siano intervenute nella forma della conciliazione giudiziale o sindacale, a nulla rilevando che le suddette intervengano dopo che il lavoratore abbia già azionato il diritto in giudizio.

Cass. civ. n. 17253/2016

In tema di impugnativa di licenziamento individuale, il termine decadenziale previsto dall'art. 6, comma 2, della l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32, comma 1, della l. n. 183 del 2010, decorre anche qualora la comunicazione della richiesta stragiudiziale di tentativo di conciliazione o arbitrato sia inoltrata via fax, perché, non prescrivendo la norma specifiche modalità di comunicazione a pena di validità ed efficacia, la ricezione a mezzo fax è del tutto equipollente alle modalità di "consegna", previste dall'art. 410, comma 5, c.p.c.

Cass. civ. n. 14352/2015

L'art. 7, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel prescrivere al datore, che abbia inflitto al prestatore di lavoro una sanzione disciplinare, di nominare un proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione ed arbitrato entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, impone al medesimo datore, che intenda declinare la competenza arbitrale e ricorrere al giudice ordinario, di promuovere, entro lo stesso termine di dieci giorni, il tentativo obbligatorio di conciliazione, di cui all'art. 410 cod. proc. civ., comminando una decadenza che viene impedita con la tempestiva consegna della lettera all'ufficio postale, restando irrilevante la data di ricezione della medesima.

Cass. civ. n. 19604/2014

La prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore è interrotta dalla comunicazione della sua richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, ai sensi dell'art. 410, secondo comma, cod. proc. civ., spettando al datore di lavoro, che contesti l'efficacia interruttiva della richiesta, provarne le eventuali lacune o ambiguità.

Cass. civ. n. 12890/2014

Alla luce di una lettura costituzionalmente orientata (Corte cost. n. 276 del 2000 e n. 477 del 2002) delle norme applicabili in materia di decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, non è necessario che l'atto di impugnazione del licenziamento giunga a conoscenza del destinatario - ovvero, in particolare, che esso pervenga all'indirizzo del datore di lavoro - nel termine di sessanta giorni previsto dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410, secondo comma, cod. proc. civ. (così come modificato dall'art. 36 del d.lgs. del 31 marzo 1998, n. 80 e nella formulazione "ratione temporis" applicabile), il predetto termine (processuale con riflessi di natura sostanziale) si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la commissione di conciliazione, divenendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione.

Cass. civ. n. 15806/2010

In materia di diritti dei lavoratori, la transazione intervenuta innanzi al giudice straniero può essere qualificata transazione giudiziale, per gli effetti di cui all'art. 410 c.p.c., ove siano assicurate dinanzi all'autorità giudiziaria straniera le garanzie difensive sottese alla richiamata norma, secondo la valutazione - incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata - operata dal giudice di merito, cui compete anche l'interpretazione di tale transazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito italiana che aveva definito la controversia attribuendo rilevanza ad una transazione tra lavoratore e datore di lavoro intervenuta in un giudizio tedesco, assicurando questo una tutela dei diritti delle parti analoga a quella garantita dall'ordinamento italiano).

Cass. civ. n. 6336/2009

La convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all'esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate (nella specie, l'accertamento dell'interposizione vietata e della sussistenza di un rapporto di lavoro con le Ferrovie dello Stato, oltre alle conseguenti differenze retributive) costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943, comma quarto c.c., ai fini dell'interruzione della prescrizione, contenendo l'esplicitazione della pretesa e manifestando l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo. L'accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici.

Cass. civ. n. 14087/2006

Alla luce di una lettura costituzionalmente orientata (v. Corte cost. n. 276 del 2000 e n. 477 del 2002) delle norme applicabili in materia di decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, non è necessario che l'atto di impugnazione del licenziamento giunga a conoscenza del destinatario nel predetto termine, ovvero, in particolare, che esso pervenga all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410 c.p.c., secondo comma (così come modificato dall'art. 36 del D.L.vo n. 80 del 1998), il predetto termine (processuale con riflessi di natura sostanziale) si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione e divenendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione.

Cass. civ. n. 13046/2006

Il disposto del secondo comma dell'art. 410 c.p.c. distingue, in base al suo inequivoco tenore letterale, tra gli effetti che il tentativo obbligatorio di conciliazione preventivo previsto per le controversie di lavoro esplica ai fini dell'interruzione della prescrizione dalle conseguenze da esso scaturenti con riferimento alla sospensione dei termini decadenziali, con la conseguenza — anche in virtù del carattere tassativo riconducibile alle ipotesi di sospensione della prescrizione risultanti dagli artt. 2941 e 2942 c.c. — che la comunicazione della richiesta di espletamento di tale tentativo non comporta anche la sospensione del termine di prescrizione del diritto azionato sino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della procedura conciliativa.

Cass. civ. n. 11116/2006

L'atto di impugnazione del licenziamento ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio, ex art. 1335 c.c., e come tale deve giungere a conoscenza del destinatario per produrre i suoi effetti; in particolare, deve pervenire all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare; ne consegue che il deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione, non è sufficiente ad impedire la decadenza, ma è necessario a tal fine che la comunicazione della convocazione pervenga al datore di lavoro prima del termine di sessanta giorni previsto dalla legge, ovvero che il lavoratore provveda autonomamente a notificargli tale richiesta, senza attendere la comunicazione dell'ufficio, onde evitare il rischio del maturarsi della decadenza.

Cass. civ. n. 11025/2006

Il principio per cui l'atto di riassunzione del processo può contenere una nuova domanda in aggiunta a quella originaria, valendo in tal caso l'atto di riassunzione come atto di introduzione di un giudizio ex novo, non si applica alla sospensione del processo del lavoro per mancato previo esperimento del tentativo di conciliazione, il quale deve proseguire negli stessi termini della domanda di cui al ricorso introduttivo del giudizio e del tentativo di conciliazione.

Cass. civ. n. 5311/2006

Il tentativo obbligatorio di conciliazione, introdotto dall'art. 410 c.p.c., novellato dall'art. 36 del D.L.vo n. 80 del 1998, riguarda solo le controversie di cui all'art. 409 e non può essere esteso alle controversie previdenziali per effetto del disposto di cui all'art. 442 dello stesso codice; del resto, per le controversie previdenziali (anche se solo per quelle che riguardano le domande proposte dall'assicurato per conseguire prestazioni previdenziali o assistenziali), opera lo specifico istituto dell'improcedibilità di cui all'art. 443 c.p.c., improcedibilità rilevabile d'ufficio, peraltro, solo nella prima udienza di discussione.

Cass. civ. n. 20153/2005

Il quarto comma dell'art. 7 della legge n. 604 del 1966 - che disponeva la sospensione del termine di sessanta giorni, di cui all'art. 6, dal giorno della richiesta del tentativo di conciliazione all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino (fra l'altro) alla data del verbale di fallimento del detto tentativo - è stato sicuramente abrogato a seguito della nuova formulazione dell'art. 410 c.p.c., come operata con i decreti legislativi n. 80 del 1998 (art. 36) e n. 387 del 1998 (art. 19). In particolare, il secondo comma dell'attuale art. 410 dispone che la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. Attesa, inoltre, la natura ricettizia degli atti interruttivi della prescrizione e considerato che il legislatore parla di interruzione e non di sospensione della prescrizione, deve ritenersi che la comunicazione che interrompe la prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza è quella fatta al datore di lavoro.

Cass. civ. n. 6326/2004

Nel rito del lavoro, dal mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 410 c.p.c., nel termine fissato dal giudice, discende non l'estinzione del giudizio — difetto di una espressa previsione di legge in tal senso — bensì l'improcedibilità della domanda, da dichiararsi con sentenza.

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Giuseppe S. chiede
mercoledì 17/09/2014 - Lombardia
“Dipendente Pubblico. In data 02.09.2014 mi è stata notificata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio di sei con relativa decurtazione della retribuzione.Volevo sapere se ed entro quale data posso ricorrere al collegio di conciliazione ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c., stante l'abrogazione dell'art.56 D.Lgs. n. 165/2001.”
Consulenza legale i 22/09/2014
Come noto, in materia disciplinare relativa ai pubblici dipendenti, l'art. 69 del d.lgs. n. 150 del 2009 ha introdotto nel corpo del d.lgs. n. 165 del 2001 i nuovi artt. da 55 bis a 55 sexies, mentre l'art. 72 ha abrogato l'art. 56 (il quale recitava: "Se i contratti collettivi nazionali non hanno istituito apposite procedure di conciliazione e arbitrato, le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal lavoratore davanti al collegio di conciliazione di' cui all'articolo 66, con le modalita' e con gli effetti di cui all'articolo 7, commi sesto e settimo, della legge 20 maggio 1970, n. 300").
In ordine alla disciplina delle impugnazioni, il vigente art. 55, comma 3, stabilisce che "La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari"; inoltre, l'art. 73 ha stabilito che "Dalla data di entrata in vigore del presente decreto non è ammessa, a pena di nullità, l'impugnazione di sanzioni disciplinari dinanzi ai collegi arbitrali di disciplina".
Quindi, sulle controversie in materia di sanzioni e procedimento disciplinare, è competente il giudice ordinario.

Il Ministero del lavoro, con interpello nr. 11/2012, ha fornito chiarimenti sull’impugnazione delle sanzioni disciplinari nel pubblico impiego, in particolare sul termine entro il quale la sanzione di un pubblico dipendente può essere impugnata davanti l’ufficio provinciale del lavoro, stante l’inapplicabilità dell’art. 7 della L. n. 300/1970.
E' stato precisato che le procedure di conciliazione ed arbitrato di cui agli artt. 410 e 412 c.p.c. risultano esperibili altresì da parte dei dipendenti del settore pubblico in relazione alle controversie di lavoro.
Difatti, il tentativo di conciliazione previsto dal codice di procedura civile ha una disciplina di fonte legale e non subisce, quindi, la preclusione di cui all’art. 55, comma 3.
Il Ministero ha quindi concluso, affermando che le sanzioni disciplinari irrogate nei confronti dei pubblici dipendenti possono essere impugnate sia attraverso l’esperimento del tentativo facoltativo di conciliazione di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c., nonché mediante le procedure arbitrali ex artt. 412 e 412 quater, ferma restando comunque l’esperibilità dell’azione giudiziaria negli ordinari termini prescrizionali.

Gli articoli 410 e 411, dopo la riforma introdotta con L. n. 183 del 2010, delineano una procedura conciliativa facoltativa, svolta in sede amministrativa, davanti ad un’apposita Commissione istituita presso la D.T.L.
Non è previsto un termine entro il quale promuovere il tentativo di conciliazione, proprio in virtù del fatto che si tratta di una procedura meramente facoltativa: l'art. 410 c.p.c dispone solamente che la richiesta, sottoscritta dall'istante, debba essere consegnata o spedita mediante raccomandata a.r. o email certificata alla Direzione Territoriale del Lavoro e alla controparte: quest'ultima, se intende accettare la procedura di conciliazione, deposita nei venti giorni successivi una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e diritto, nonché eventuali domande in via riconvenzionale.
Il procedimento è poi cadenzato in maniera abbastanza stretta (si rinvia alla lettura dell'art. 410 c.p.c.), per consentire una rapida soluzione della controversia.

Quindi, nel caso di specie, il lavoratore può attivare il tentativo di conciliazione di cui agli artt. 410-411 c.p.c., senza un termine particolare, se non quello ordinario per l'esercizio dell'azione in sede giudiziale.