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Articolo 151 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Separazione giudiziale

Dispositivo dell'art. 151 Codice Civile

La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.

Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio(1).

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 33 della L. 19 maggio 1975, n. 151.

Spiegazione dell'art. 151 Codice Civile

I due presupposti delineati dalla norma in esame sono fatti obiettivi, che rendano intollerabile il prosieguo della convivenza o pregiudichino gravemente l'educazione dei figli, ma la giurisprudenza amplia le ipotesi a tutti i casi in cui emergano litigi o si manifestino disaffezione e distacco spirituale di una parte, tali da comportare una incompatibilità della convivenza con la realtà coniugale.
Le due fasi del procedimento per la separazione giudiziale si sviluppano: inizialmente innanzi al Presidente del tribunale, per il tentativo di conciliazione obbligatorio tra i coniugi presenti (anche assistiti da procuratore speciale); in assenza di un coniuge o nel caso di fallimento del tentativo (come perlopiù accade nella prassi) il Presidente adotterà provvedimenti temporanei ed urgenti, inerenti i figli, la coabitazione ed alcuni aspetti economici non dilazionabili).
Il Presidente del tribunale rimetterà poi le parti al tribunale, che istruirà la causa secondo le norme del processo di cognizione, e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero (ex art. 50 bis del c.p.c.), sfociando poi in un provvedimento collegiale che avrà forma di sentenza.
Il secondo comma delinea la possibilità di dichiarare, su richiesta, l'addebito della separazione al coniuge che, con i suoi comportamenti, abbia violato i doveri matrimoniali, rendendo perciò intollerabile la convivenza o recando grave pregiudizio all'educazione della prole. I comportamenti riferibili ad un coniuge variano dall'aver adoperato maltrattamenti, all'omissione dell'assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge richiedente l'addebito, alla classica ipotesi dell'infedeltà coniugale cui dovrà però accompagnarsi una modalità particolarmente offensiva (ad es. la divulgazione pubblica tra i consociati comportante discredito se non umiliazione).
Le conseguenze della pronuncia saranno il diritto al mantenimento in favore di chi non abbia causato i motivi di addebito, e la perdita dei diritti successori (art. 548 del c.c.) in capo a chi invece abbia dato luogo a tali condotte.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 151 Codice Civile

Cass. civ. n. 32837/2022

La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; quindi, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito.

Cass. civ. n. 31351/2022

Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale. Il loro accertamento esonera altresì il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.

Cass. civ. n. 27955/2022

In tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

Cass. civ. n. 27952/2022

Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.

Cass. civ. n. 27766/2022

L'allontanamento dalla casa familiare, costituendo violazione del dovere di coabitazione, è di per sè sufficiente a giustificare l'addebito della separazione, a meno che il destinatario della relativa domanda non dimostri l'esistenza di una giusta causa, che non sussiste per il solo fatto che abbia confessato al consorte di nutrire un sentimento affettivo nei confronti di un'altra persona, essendo necessaria la prova che l'allontanamento sia stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile.

Cass. civ. n. 11794/2021

In tema di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito costituisce una domanda autonoma, che amplia il tema d'indagine e determina una statuizione aggiuntiva dotata di propri effetti anche di natura patrimoniale, sicché, in pendenza del giudizio d'impugnazione riguardante la sola pronuncia sull'addebito, può essere proposta domanda di divorzio, in virtù del passaggio in giudicato della distinta decisione sulla separazione. (Nella specie, la S.C. ha respinto l'impugnazione contro la sentenza che, sebbene fosse stata impugnata la pronuncia sull'addebito della separazione, aveva statuito, in sede di divorzio, sulla richiesta di assegno ex art. 5 della l. n. 898 del 1970, senza sospendere il giudizio nell'attesa della definizione di quello sull'addebito).

Cass. civ. n. 4591/2021

La morte di uno dei coniugi, sopravvenuta in pendenza del giudizio di separazione personale, anche nella fase di legittimità, comporta la cessazione della materia del contendere, travolgendo tutte le precedenti pronunce, emesse ma non ancora passate in giudicato, relative alle reciproche domande di separazione ed alle istanze accessorie volte ad ottenere la regolamentazione dei rapporti economici conseguenti alla cessazione della convivenza.

Cass. civ. n. 22266/2020

La richiesta di addebito non può fondarsi sulla mera violazione degli obblighi coniugali, essendo necessario accertare il nesso eziologico tra la condotta violativa e l'intollerabilità della convivenza.

Cass. civ. n. 16698/2020

In tema di separazione personale dei coniugi, la condizione di intollerabilità della convivenza deve essere intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, che sia verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze negative del tentativo di conciliazione, dovendosi ritenere venuto meno, al ricorrere di tali evenienze, quel principio del consenso che caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale.

Cass. civ. n. 16740/2020

L'addebito della separazione personale dei coniugi, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, con la conseguenza che la risarcibilità di danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all'addebito integrano gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma indicata.

Cass. civ. n. 7464/2019

Il coniuge superstite al quale sia stata addebitata la separazione, come già il coniuge separato per colpa nella previgente disciplina della separazione coniugale, ha diritto alla pensione di reversibilità, indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno e senza che rilevi l'attribuzione di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare.

Cass. civ. n. 3925/2018

Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.

Cass. civ. n. 25966/2016

L’allontanamento di uno dei coniugi dalla casa familiare costituisce, in difetto di giusta causa, violazione dell’obbligo di convivenza e la parte che, conseguentemente, richieda la pronuncia di addebito della separazione ha l'onere di provare il rapporto di causalità tra la violazione e l'intollerabilità della convivenza, gravando, invece, sulla controparte la prova della giusta causa.

Cass. civ. n. 14728/2016

In tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa, e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 Cost., non può di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l'adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147 c.c., in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l'interesse della prole. (Nella specie, la S.C. ha escluso l'addebitabilità della separazione al marito in ragione della adesione di quest'ultimo alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, non potendo attribuirsi rilievo all'impegno assunto in sede di celebrazione del matrimonio religioso di conformare l'indirizzo della vita familiare ed educare i figli secondo i dettami della religione cattolica, estraneo alla disciplina civilistica del vincolo).

Cass. civ. n. 19328/2015

In tema di separazione personale dei coniugi, l'allontanamento dal domicilio coniugale, in quanto violazione dell'obbligo coniugale di convivenza, può costituire causa di addebito della separazione, a meno che sia avvenuto per giusta causa, che può essere rappresentata dalla stessa proposizione della domanda di separazione, di per sé indicativa di pregresse tensioni tra i coniugi e, quindi, dell'intollerabilità della convivenza, sicché, in caso di allontanamento e di richiesta di addebito, spetta al richiedente, e non all'altro coniuge, provare non solo l'allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

Cass. civ. n. 16909/2015

La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti - ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata (nella specie vendita della casa familiare e attribuzione del ricavato a ciascun coniuge in proporzione al denaro investito nel bene stesso). Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso "ad hoc" ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c.

Cass. civ. n. 16859/2015

In tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

Cass. civ. n. 8713/2015

Ai sensi dell'art. 151 c.c. la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno della vita dei coniugi, purché oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile; a tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere da una condizione di disaffezione al matrimonio di una sola delle parti, che renda incompatibile la convivenza e che sia verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso ogni addebito alla moglie, dando conto dello stato di depressione in cui ella era piombata, sfociato in un tentativo di suicidio, così ampiamente motivando sull'intollerabilità della convivenza coniugale).

Cass. civ. n. 18074/2014

In tema di separazione personale, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posta dall'art. 143 cod. civ. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall'essere intervenuta quando era già maturata ed in conseguenza di una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L'apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua e logica.

Cass. civ. n. 12182/2014

In tema di separazione giudiziale, non può costituire motivo di addebito della separazione la commissione, dopo il deposito del ricorso per separazione personale e nelle more dell'udienza presidenziale, di un grave reato in danno del coniuge (nella specie, tentato sequestro a scopo di estorsione) ove il fatto sia avvenuto in un contesto di oggettiva e perdurante assenza tra le parti del "consortium vitae" e nell'ambito di rapporti interpersonali non più connotati dall'"affectio coniugalis", per la risalente e stabilizzata cessazione della convivenza delle parti.

Cass. civ. n. 7998/2014

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, ed al fine della addebitabilità della separazione, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell'art. 2730 cod. civ., ma possono essere utilizzate - unitamente ad altri elementi probatori - quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili, sempre che esprimano non opinioni o giudizi o stati d'animo personali, ma fatti obiettivi, suscettibili, in quanto tali, di essere valutati giuridicamente come indice della violazione di specifici doveri coniugali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, estrapolando acriticamente alcune frasi da una lettera inviata dal marito alla moglie nella quale il primo riconosceva di non essere stato un buon marito, vi ravvisava una sostanziale confessione della violazione dei doveri coniugali, con conseguente venir meno, ai fini della pronuncia di addebito, della rilevanza causale della violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie).

Cass. civ. n. 1164/2014

In tema di separazione tra coniugi, la situazione di intollerabilità della convivenza va intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, (e, in particolare alle negative risultanze del tentativo di conciliazione), dovendosi ritenere, in tali evenienze, venuto meno quel principio del consenso che, con la riforma attuata attraverso la legge 19 maggio 1975, n. 151, caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale.

Cass. civ. n. 25843/2013

La dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio, cui sia ricollegabile l'irreversibile crisi del rapporto fra coniugi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto, da un lato, che la condotta, consistente in furti di danaro ai familiari ed ai terzi ed in acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili, configurasse violazione dei doveri matrimoniali, e, dall'altro lato, che il disturbo della personalità del coniuge, caratterizzato da un impulso compulsivo all'acquisto, non escludesse la capacità di intendere e di volere e l'imputabilità di detti comportamenti).

Cass. civ. n. 17199/2013

Non può costituire motivo di addebito della separazione la circostanza che uno dei coniugi, pur non avendone la necessità, per essere l'altro disposto ad assicurargli con le proprie risorse il mantenimento di un tenore di vita adeguato al livello economico-sociale del nucleo familiare, abbia voluto dedicarsi ad una attività lavorativa retribuita o ad un'altra occupazione più o meno remunerativa ed impegnativa, al fine di affermare la propria personalità anche al di fuori dell'ambito strettamente domestico, purché tale decisione non comporti una violazione dell'ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi, in quanto contrastante con l'indirizzo della vita familiare da essi concordato prima o dopo il matrimonio, e non pregiudichi l'unità della famiglia, in quanto incompatibile con l'adempimento dei fondamentali doveri coniugali e familiari.

Cass. civ. n. 16270/2013

In tema di separazione personale con richiesta di addebito, proposta da uno dei coniugi e basata sulla infedeltà dell'altro, la successiva generica manifestazione di una volontà riconciliativa da parte del coniuge non infedele, poiché di per sé non elide la gravità del "vulnus" subito ed, in ogni caso, costituisce un "posterius" rispetto alla proposizione della domanda di separazione con richiesta di addebito, in tanto può assumere valore ai fini della esclusione di una efficienza causale dell'infedeltà in ordine alla crisi dell'unione familiare in quanto ad essa corrisponda un positivo riscontro da parte del coniuge infedele.

Cass. civ. n. 15486/2013

In tema di separazione giudiziale, l'addebitabilità della colpa del fallimento del matrimonio deve essere riferita anche al periodo di convivenza pre-matrimoniale, allorché questo si collochi rispetto al matrimonio come un periodo di convivenza continuativo, che consente, quindi, di valutare complessivamente la vita della coppia e le reciproche responsabilità dei coniugi.

Cass. civ. n. 10719/2013

Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l'onere incombe su chi ha posto in essere l'abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto; tale prova è più rigorosa nell'ipotesi in cui l'allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d'intollerabilità.

Cass. civ. n. 8929/2013

La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell'art. 151 cod. civ quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge.

Cass. civ. n. 2274/2012

Ai fini della separazione giudiziale, l'esistenza di una nuova famiglia, composta dal coniuge, dalla nuova convivente e dal loro figlio minore costituisce sicuro indice della intollerabilità della convivenza matrimoniale.

Cass. civ. n. 2059/2012

Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.

Cass. civ. n. 9074/2011

In tema di separazione tra coniugi, la reiterata inosservanza da parte di entrambi dell'obbligo di reciproca fedeltà non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione in capo all'uno o all'altro o ad entrambi, quando sia sopravvenuta in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da "affectio coniugalis".

Cass. civ. n. 8548/2011

In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner - essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.

Cass. civ. n. 4540/2011

L'allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell'altro coniuge, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed conseguentemente causa di addebitamento della separazione; non concreta, invece, tale violazione il coniuge se risulti legittimato da una "giusta causa", vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare. (Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che, addebitando la separazione alla moglie, non aveva ravvisato la giusta causa del suo allontanamento nei frequenti litigi domestici con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi).

Cass. civ. n. 817/2011

In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall'altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona.

Cass. civ. n. 24574/2008

Nel giudizio di separazione personale, ove venga dedotto come causa di addebitabilità della separazione il mancato accordo sulla fissazione della residenza familiare, il giudice di merito, al fine di valutare i motivi del disaccordo, deve tenere presente che l'art. 144 c.c. rimette la scelta relativa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che questa non deve soddisfare solo le esigenze economiche e professionali del marito, ma deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito, che aveva tenuto conto unicamente delle esigenze economiche e lavorative prospettate dal marito, omettendo di valutare quelle, offerte dalla moglie, inerenti al suo stato di gravidanza ed all'imminente maternità).

Cass. civ. n. 15557/2008

La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell'art. 151 c.c. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge.

Cass. civ. n. 7450/2008

In tema di separazione personale tra i coniugi, non è ammissibile, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, così come all'omologazione della separazione consensuale, chiedere il mutamento del titolo della separazione stessa, da consensuale a giudiziale con addebito, né per fatti sopravvenuti né per fatti anteriori alla separazione ma emersi successivamente, stante il disposto dell'art. 151, secondo comma, c.c. che attribuisce espressamente al giudice della separazione la competenza ad emettere la eventuale ed accessoria pronuncia di addebito.

Cass. civ. n. 19450/2007

In materia di separazione tra i coniugi, ai fini dell'accertamento dell'addebito, è rilevante il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio posto in essere da un coniuge, benché tollerato negli anni dall'altro; tuttavia, seppure la tolleranza non sia una «esimente oggettiva» può essere espressione di una sostanziale cessazione dell'affectio coniugalis e quindi della conversione del matrimonio in una protratta convivenza meramente formale, con la conseguenza dell'esclusione della rilevanza del comportamento in violazione, ai fini della valutazione di cui all'art. 151, secondo comma, c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la decisione impugnata che non aveva censurato, ai fini dell'addebitabilità della separazione, le ventennali angherie della moglie poiché tollerate dal marito).

La dichiarazione di addebito della separazione implica la sussistenza di comportamenti «oggettivamente» contrari ai valori sui quali la Costituzione italiana fonda il matrimonio, benché nella «soggettiva» opinione del coniuge agente siano conformi alla «propria» personale etica o visione sociale o religiosa od ai propri costumi o siano espressivi di una spontanea reattività a stili di vita non condivisi. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto non censurabili, ai fini dell'addebito della separazione, le condotte della moglie vessatorie e violente nei confronti del marito, in quanto scaturite da uno stato di disagio profondo e cagionate dalla peculiare cultura e storia personale della donna).

Cass. civ. n. 17056/2007

In tema di separazione personale dei coniugi, l'abbandono della casa familiare, di per sè costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi — e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono — che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.

Cass. civ. n. 3356/2007

Ai sensi del novellato art. 151 c.c. la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile; a tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale di una sola delle parti, verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ravvisato i fatti dimostrativi della intollerabilità della convivenza in contrasti di vario genere e gravi litigi, evidenziati, tra l'altro, da una relazione del servizio sociale, nonché dal comportamento processuale del marito in relazione ad una lettera della moglie che denunciava una condizione di forte insoddisfazione, delusione e sofferenza per il fallimento del matrimonio, e, in generale, alla dimostrazione della incapacità dell'uomo di comprendere e dare significato alle emozioni ed alle aspirazioni della moglie).

Cass. civ. n. 8512/2006

In tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Pertanto, la riferita infedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell'addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell'unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito.

Cass. civ. n. 18000/2005

Nell'accertamento relativo all'eventuale addebito della separazione personale dei coniugi, il giudice di merito può legittimamente utilizzare le risultanze delle indagini espletate dal consulente tecnico dí ufficio, nominato ad altri fini (nella specie per la determinazione delle modalità di affidamento dei figli minori), con l'audizione delle parti e dei loro figli.

Cass. civ. n. 17710/2005

Ai sensi dell'art. 144 c.c., prevedente l'obbligo per i coniugi di concordare tra di loro l'indirizzo della vita familiare, le scelte educative e gli interventi diretti a risolvere i problemi dei figli devono essere adottati d'intesa tra i coniugi. Un atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ed alle richieste dell'altro coniuge, a tratti violento ed eccessivamente rigido, può tradursi, oltre che in una violazione degli obblighi del genitore nei confronti dei figli, anche nella violazione dell'obbligo, nei confronti dell'altro coniuge, di concordare l'indirizzo della vita familiare e, in quanto fonte di angoscia e dolore per il medesimo, nella violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall'art. 143 c.c.. Ove tale condotta si protragga e persista nel tempo, aprendo una frattura tra un coniuge e i figli ed obbligando l'altro coniuge a schierarsi a difesa di costoro, essa può divenire fonte di intollerabilità della convivenza e rappresentare, in quanto contraria ai doveri che derivano dal matrimonio sia nei confronti del coniuge che dei figli in quanto tali, causa di addebito della separazione ai sensi dell'art. 151, secondo comma, c.c.

Il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, sebbene privo, in sé, di efficacia autonoma nel determinare l'intollerabilità della convivenza stessa, può nondimeno rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa.

Cass. civ. n. 7321/2005

Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse, e da esonerare il giudice del merito, che abbia accertato siffatti comportamenti, dal dovere di comparare con essi, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento dei coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.

Cass. civ. n. 6625/2005

La dichiarazione di addebito della separazione personale dei coniugi può essere richiesta e adottata solo nell'ambito del giudizio di separazione, dovendosi escludere l'esperibilità, in tema di addebito, di domande successive a tale giudizio, poiché il capoverso dell'art. 151 c.c. espressamente attribuisce la cognizione della relativa domanda alla competenza esclusiva del giudice della separazione. Ne consegue che, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, come alla omologazione di separazione consensuale, le parti non possono chiedere, né per fatti sopravvenuti, né per fatti anteriori alla separazione, una pronuncia di addebito, a nulla rilevando, nel caso di separazione consensuale, nemmeno il carattere negoziale della stessa, e la conseguente applicabilità ad essa delle norme generali relative alla disciplina dei vizi della volontà - nei limiti in cui siano compatibili con la specificità di tale negozio di diritto familiare - implicando tale regime solo la possibilità di promuovere il relativo giudizio di annullamento.

Cass. civ. n. 22786/2004

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, ed al fine dell'addebitabilità della separazione stessa, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell'art. 2730 c.c., ma possono essere utilizzate dal giudice del merito quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili.

Cass. civ. n. 15241/2004

In tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa — e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto —, connettendosi all'esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 della Costituzione, non può, di per sé solo, considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che non vengano superati i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli artt. 143, 147 c.c., determinandosi, per l'effetto, una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio della prole. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha ritenuto, nel caso di specie, che la scelta di appartenenza ad una confessione religiosa
tale da determinare l'allontanamento dalla casa coniugale e la rinuncia alla convivenza non potesse rientrare nell'ambito dell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito onde escludere l'addebitabilità della separazione).

Cass. civ. n. 6970/2003

Ai sensi dell'art. 151, c.c., la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, che non può essere implicita nella volontà di un coniuge di separarsi; peraltro, la situazione di intollerabilità della convivenza neppure può essere esclusa per il solo fatto che uno dei coniugi assuma un atteggiamento di accettazione e disponibilità, in quanto un tale atteggiamento può trovare spiegazione in motivi di ordine pratico o materiale, ovvero nella prevalenza di concezioni di carattere etico, oppure in irreali prospettive di recupero del rapporto che possono rendere il predetto eccezionalmente tollerante rispetto ad una situazione pur obiettivamente priva di contenuti minimi di reciproca affectio che devono assistere una comunione non meramente materiale, e comunque non coercibile, quale quella coniugale.

Cass. civ. n. 15279/2001

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una causa petendi (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un petitum (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita al diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione.

Cass. civ. n. 12130/2001

In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito.

Cass. civ. n. 10682/2000

In tema di separazione personale dei coniugi, l'abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.

Cass. civ. n. 7859/2000

La reiterata violazione, in assenza di una consolidata separazione di fatto, dell'obbligo della fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave dell'obbligo della fedeltà coniugale, che, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi di regola causa della separazione personale dei coniugi e quindi circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Né ad escludere la rilevanza della infedeltà è ammissibile la qualificazione della stessa quale reazione a comportamenti dell'altro coniuge, non essendo possibile una compensazione delle responsabilità nei rapporti familiari, e potendo invece essere addebitata la separazione a entrambi i coniugi, ove sussistano le relative domande. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza annullata con rinvio dalla S.C., pur in presenza dell'ammissione da parte del marito della relazione adulterina intrattenuta, aveva affermato che nel fallimento dell'unione coniugale aveva avuto un'incidenza decisiva la condotta della moglie, caratterizzata dall'impiego di espressioni spiccatamente volgari e oscene nei confronti del coniuge — con coinvolgimento anche dei figli — omettendo l'esame dei fatti rilevanti nel loro complesso, nel rispetto dei criteri suindicati, oltre che inadeguatamente accertando le stesse circostanze di fatto concretamente valorizzate).

Cass. civ. n. 279/2000

Ai fini dell'addebitabilità della separazione, il giudice deve accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione. Il giudice, inoltre, nel valutare il comportamento riprovevole del coniuge, non potrà prescindere dall'esaminare anche la condotta dell'altro e procedere dunque ad una valutazione comparativa, al fine di individuare se il comportamento censurato non sia solo l'effetto di una frattura coniugale già verificatasi e possa, pertanto, considerarsi relativamente giustificato. Eventuali violazioni dei doveri coniugali dovranno, in tal caso, essere giudicate irrilevanti ai fini dell'addebitabilità, sempre che si configurino come una reazione immediata e proporzionata ad un torto ricevuto e non si traducano in una violazione nell'ambito familiare di regole di condotta imperative ed inderogabili o di norme morali di particolare rilevanza. Altrimenti, una trasgressione grave dei doveri coniugali, pur se determinata dal comportamento dell'altro coniuge, dovrà dal giudice essere valutata come autonoma violazione dei doveri e causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, con conseguente dichiarazione di addebito (se richiesto) a carico di entrambi (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva rigettato le reciproche richieste di dichiarazione d'addebito per l'impossibilità di stabilire con certezza quali delle due condotte coniugali si fosse posta come antecedente causale dell'altra).

Cass. civ. n. 2444/1999

Le contrapposte richieste dei coniugi di addebitabilità della separazione all'altro coniuge formano oggetto di domande autonome aventi ciascuna un proprio petitum ed una autonoma causa petendi, ma al tempo stesso non sono alternative, ben potendo essere accolte entrambe, con conseguente addebito della separazione ad ognuno dei coniugi; ne consegue che, vigente l'art. 345, secondo comma c.p.c. nel testo antecedente alle modifiche introdotte con l'art. 52 della legge n. 353 del 1990, deve ritenersi «nuova», e perciò ammissibile in appello, la domanda di prova testimoniale avente ad oggetto una relazione extraconiugale del marito rispetto alla prova testimoniale assunta in primo grado e tendente a dimostrare l'inosservanza degli obblighi di assistenza familiare da parte della moglie, giacché trattasi di circostanze diverse e distinte, senza tuttavia essere neppure indirettamente contrapposte, atteso che la prova delle violazioni dei doveri coniugali addebitata alla moglie non è idonea a contrastare le violazioni addebitate al marito.

Cass. civ. n. 10742/1998

In tema di separazione personale tra coniugi, il giudice non può fondare la pronuncia d'addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'art. 143 c.c., dovendo, per converso, verificare l'effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione d'intollerabilità della convivenza. In particolare, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell'addebito della separazione sol quando risulti accertato che, a tale violazione, sia, in fatto, riconducibile la crisi dell'unione, mentre il comportamento infedele, se successivo al verificarsi di una situazione d'intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia d'addebito della separazione quando non sia qualificabile come causa concorrente della rottura del rapporto.

Cass. civ. n. 7945/1998

In base al testo dell'art. 151 c.c., non sono configurabili due modelli di separazione, uno con addebito e l'altro senza addebito, bensì un'unica figura, in quanto l'eventuale richiesta di addebito all'altro coniuge non sposta l'indagine del giudice, basata pur sempre sull'intollerabilità della prosecuzione della convivenza o sul grave pregiudizio all'educazione dei figli, da valutarsi, in caso di richiesta di addebito, anche sotto il profilo della responsabilità di uno o di entrambi i coniugi. Ne consegue che non è ipotizzabile un preventivo accertamento degli elementi su cui si fonda la separazione (con immediata pronunzia della stessa) ed un successivo esame dell'eventuale addebito in sede di prosieguo, poiché una volta pronunziata la separazione è già intervenuta la decisione avente per contenuto lo stesso oggetto dalla cui valutazione dipende anche il giudizio sull'addebito.

Cass. civ. n. 9287/1997

La violazione del dovere di fedeltà di cui all'art. 143 c.c. (inteso non solo come impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale fra i coniugi, ma anche come impegno di non tradire la fiducia reciproca) può essere causa anche esclusiva dell'addebito della separazione, quando si accerti, in fatto, che a quella violazione risale la crisi dell'unione. A tal riguardo, un tal dovere di fedeltà può permanere anche dopo l'insorgere dello stato di separazione, quando — però — si accerti la conservazione, tra i coniugi (ancorché separati), di un minimum di solidarietà tale da giustificare la permanenza di un simile dovere, che non ha più ragione d'essere quando tra i coniugi sia irreversibilmente venuta a cessare ogni intesa.

Cass. civ. n. 7630/1997

Ai fini dell'addebitabilità della separazione, deve esistere un nesso di causalità tra i comportamenti addebitabili al coniuge e il determinarsi dell'intolleranza alla convivenza, restando irrilevanti i comportamenti successivi al determinarsi di tale situazione. Gli atti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio (nella specie intrattenimento di una relazione extraconiugale), compiuti prima dell'instaurarsi del procedimento di separazione personale - e ancor più se compiuti prima dell'instaurarsi di una stabile situazione di separazione di fatto - in base all'id quod plerumque accidit debbono presumersi cause efficienti del formarsi o del consolidarsi di una situazione di definitiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza, che ciascun coniuge, sino alla separazione legale, è tenuto ad evitare, pur se sussista una crisi coniugale in atto, la quale di per sé non provoca un allentamento dei doveri nascenti dal matrimonio ex art. 143 c.c.

Cass. civ. n. 6566/1997

L'obbligo di fedeltà fra i coniugi sancito dall'art. 143 c.c., risulta strettamente connesso alla convivenza e non è compatibile con il regime di separazione, come già affermato dalla Corte costituzionale con sentenza 18 aprile 1974, n. 99, resa ancora nel vigore della normativa precedente alla riforma del 1975. Tale ultima riforma, poi, ha abrogato il testo dell'art. 156 c.c., ove era previsto, al primo comma, che il coniuge incolpevole «conserva i diritti inerenti alla sua qualità di coniuge che non sono incompatibili con lo stato di separazione», e vi ha sostituito una norma intitolata «effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi». Una tale abrogazione, inserita in una riforma radicale del sistema in cui era collocata, non può essere interpretata se non nel senso della totale abolizione delle disposizioni in essa contenute, e della persistenza, in regime di separazione, dei soli diritti-doveri di carattere patrimoniale, con esclusione, in particolare, dell'obbligo reciproco di fedeltà.

Cass. civ. n. 5762/1997

Nell'ipotesi cui si sia verificata, durante la convivenza matrimoniale e prima della domanda di separazione, la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, il giudice, per ritenerla ininfluente in relazione all'addebitabilità della separazione, deve accertare in modo rigoroso e puntuale il carattere meramente formale della convivenza. A tal fine è, peraltro, irrilevante l'eventuale tolleranza di un coniuge rispetto alla violazione di tali doveri da parte dell'altro, vertendosi in materia in cui diritti e doveri sono indisponibili (nella specie, la sentenza del merito aveva escluso che le percosse inflitte dal marito alla moglie potessero costituire ragione di addebito all'uomo, in quanto già da molti anni prima il matrimonio s'era ridotto ad un «simulacro», rispetto al quale tutte le violazioni dei doveri coniugali da lui commesse non avrebbero avuto alcuna efficacia causale nel determinare l'intollerabilità della convivenza; la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza, per avere omesso di dimostrare, con concreti elementi asseverativi, il preesistente carattere meramente formale della convivenza all'epoca dei fatti).

Cass. civ. n. 13021/1995

In tema di separazione personale, il grave stato di infermità di uno dei coniugi, perdurante nel tempo e non reversibile, può costituire, per le modalità in cui si manifesti e per le implicazioni nella vita degli altri componenti il nucleo familiare, specialmente se investa la sfera psichica della persona precludendo ogni possibilità di comunicazione o di intesa, un elemento di così grave alterazione dell'equilibrio coniugale, da determinare di per sé stesso un'oggettiva impossibilità di prosecuzione della convivenza. In siffatta ipotesi, ove l'altro coniuge non adempia ai doveri di assistenza morale e materiale, ai fini della eventuale pronuncia di addebito, la violazione di tale dovere non può essere riguardata di per sé stessa, ma occorre invece accertare in concreto — con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto ed alla successione temporale degli avvenimenti — se la condotta del coniuge rifletta un atteggiamento di mero rifiuto dell'impegno solidaristico assunto con il matrimonio, o non costituisca piuttosto una presa d'atto di una non superabile e già maturata situazione di impossibilità della convivenza.

Cass. civ. n. 3098/1995

A seguito della riforma del 1975, la separazione personale dei coniugi non è più determinata dalla cosciente violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, bensì dal dato oggettivo dell'intollerabilità della convivenza o dal grave pregiudizio per i figli, non necessariamente dipendente dalla condotta volontaria di uno o di entrambi i coniugi, e la dichiarazione di addebito, prevista dall'art. 151, secondo comma, c.c. si pone come una mera variante dell'accertamento della improseguibilità della convivenza, ossia come una modalità accessoria ed eventuale, accertabile solo se espressamente richiesta da una parte e ove ne ricorrano le circostanze. Ne consegue che la responsabilità della cessazione dell'unità familiare può essere accertata solo contestualmente alla pronuncia di separazione e che i comportamenti dei coniugi successivi a tale pronuncia potranno eventualmente rilevare solo ai fini del mutamento delle condizioni della separazione o per la richiesta di inibitoria dell'uso del cognome ai sensi dell'art. 156 bis c.c. (o in sede penale), ma non potranno costituire il fondamento di una sentenza di addebito successiva alla separazione, trattandosi di comportamenti ormai intrinsecamente privi di ogni influenza in ordine ad una già accertata impossibilità di prosecuzione alla convivenza.

Cass. civ. n. 4837/1993

L'applicazione della sanzione sostitutiva di cui all'art. 77 della L. 24 novembre 1981, n. 689 non può costituire, di per sé, motivo di addebito della separazione al coniuge cui detta sanzione è stata irrogata, quando manchi la prova che il fatto che ha dato luogo all'applicazione della sanzione sostitutiva (nella specie, abbandono del tetto coniugale) abbia determinato la situazione di intollerabilità della convivenza.

Cass. civ. n. 26/1991

Ai fini dell'addebitabilità della separazione, assume rilievo il comportamento complessivo dei coniugi anche successivo alla introduzione del giudizio di separazione, in quanto durante tale giudizio permane a carico dei medesimi il dovere del reciproco rispetto.

Pur dopo la scomparsa della separazione per colpa, a seguito della riforma del diritto di famiglia, il concetto di addebitabilità della separazione, di cui al comma secondo dell'art. 151 c.c., come novellato dall'art. 33 della L. 19 maggio 1975, n. 151, non può avere altro significato che quello di imputabilità ovvero di riferibilità di un atto o comportamento cosciente e volontario ad una persona capace d'intendere e di volere.

Cass. civ. n. 11523/1990

La riconciliazione fra i coniugi — intesa quale situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali che, caratterizzando il vincolo del matrimonio ed essendo alla base del consorzio familiare, appaiono oggettivamente idonei a dimostrare una seria e comune volontà di conservazione del rapporto, a prescindere da irrilevantí riserve mentali — è fonte non soltanto di effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostanziali, consistenti nel determinare l'inidoneità dei fatti ad essa anteriori — posti in essere durante la convivenza o la separazione di fatto — ad assumere autonomo valore giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all'evento riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell'addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti successivi all'evento medesimo, mentre quelli anteriori possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato l'apprezzamento in ordine all'intollerabilità della convivenza.

Cass. civ. n. 8013/1990

Al fine dell'addebitabilità della separazione, il comportamento di un coniuge, rivolto ad imporre i propri particolari principi o la propria particolare mentalità, può assumere rilevanza solo se si traduca in violazione dei doveri discendenti dal matrimonio, o comunque sia inconciliabile con i doveri medesimi, atteso che, in caso contrario, e per quanto detti principi o mentalità siano criticabili, si resta nell'ambito delle peculiarità caratteriali, le quali valgono a spiegare le difficoltà del rapporto, ed eventualmente l'errore originariamente commesso nella reciproca scelta (o nell'affidamento sulla superabilità o conciliabilità di divergenti impostazioni della vita familiare), ma non integrano situazioni d'imputabilità della crisi, nel senso previsto dall'art. 151 secondo comma c.c.

Cass. civ. n. 4920/1990

La separazione personale dei coniugi deve essere pronunciata, ai sensi dell'art. 151 c.c., ogni volta che sia accertata la sussistenza di fatti obiettivi che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza o che siano di pregiudizio per la prole, anche quando non risulti che i coniugi abbiano avuto un comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. Pertanto, può essere considerato idoneo a determinare, in concreto, una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per la prole anche il comportamento del coniuge, ispirato a motivi ideologici, che si ricolleghi all'esercizio di diritti garantiti dall'art. 19 Cost. e che rientri, inoltre, nell'ambito dei poteri-doveri inerenti alla potestà genitoriale,
quando il detto comportamento si traduca in atti oppressivi di intolleranza ed aggressività. (Nella specie, la S.C. in base all'enunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano dichiarato la separazione con riguardo ad un contrasto tra i coniugi sul modo di professare la religione e di educare i figli dal punto di vista religioso).

Cass. civ. n. 4620/1990

In materia di separazione personale tra i coniugi, al fine dell'accertamento dell'intollerabilità della convivenza possono essere presi in considerazione anche episodi risalenti ad epoca anteriore ad una riconciliazione intervenuta in passato tra i coniugi, ove detti episodi si siano ripetuti in epoca successiva, dando conferma dei comportamenti che, con il protrarsi nel tempo, hanno reso non sopportabile la convivenza tra i coniugi.

Cass. civ. n. 4252/1989

Ai fini dell'addebitabilità della separazione personale fra coniugi, non può essere aprioristicamente esclusa la rilevanza delle violazioni dei doveri matrimoniali verificatesi dopo che i coniugi sono stati autorizzati a vivere separatamente (art. 708 c.p.c.), atteso che tali doveri — e, in particolare, quello di fedeltà — vanno osservati anche nelle more del giudizio di separazione.

Cass. civ. n. 2648/1989

In tema di separazione personale dei coniugi, l'indagine sull'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e sulla sua addebitabilità non può basarsi sull'esame di singoli episodi di frattura o contrasto, ivi incluso l'eventuale allontanamento dalla residenza familiare, occorrendo valutare il complessivo comportamento dei coniugi medesimi, nella continuità dei reciproci rapporti.

Cass. civ. n. 145/1988

Al fine del mutamento del titolo della separazione, da consensuale in giudiziale, con addebito ad uno dei coniugi, non è, rilevante. la sopravvenuta procreazione di un figlio naturale, ove ricollegabile ad una relazione adulterina già in atto e conosciuta dall'altro coniuge all'epoca della separazione consensuale, trattandosi di fatto che integra normale sviluppo di detto pregresso comportamento e non può assurgere a causa successiva ed autonoma della frattura coniugale.

Cass. civ. n. 5813/1987

L'accertamento del verificarsi di una situazione d'intollerabilità della convivenza, a causa d'incompatibilità di carattere fra coniugi, non rende di per sé irrilevante, al fine della pronuncia di addebitabilità della separazione, ogni successiva violazione da parte di uno dei coniugi dei doveri derivanti dal matrimonio, occorrendo in proposito riscontrare se tale posteriore comportamento costituisca o meno causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, e quindi della pronuncia di, separazione, in presenza di questo requisito. Pertanto, l'addebito della separazione a carico di un coniuge può conseguire anche dall'abbandono dell'altro coniuge e della prole commesso dopo l'instaurarsi della suddetta situazione di rottura per incompatibilità di caratteri, tenendo conto che la violazione del dovere di collaborazione ed assistenza materiale e morale (non consentita dalla mera proposizione della domanda di separazione, né dall'autorizzazione presidenziale a vivere temporaneamente separati) può ritenersi giustificata solo quando configuri proporzionata reazione a gravi fatti posti in essere dall'altro coniuge, e sempreché non superi quella soglia minima di solidarietà necessaria a non mettere l'altro coniuge ed i figli in situazione di pericolo per le loro essenziali esigenze di vita.

Cass. civ. n. 4390/1987

Al fine della statuizione sull'addebitabilità della separazione personale fra coniugi, possono essere presi in considerazione anche comportamenti successivi all'inizio della causa di separazione o al provvedimento presidenziale di esonero dall'obbligo della convivenza, purché siano idonei a fornire elementi per una migliore valutazione degli atteggiamenti morali e materiali dei coniugi o costituiscano di per sé una condotta contraria ai doveri del perdurante vincolo matrimoniale. Tuttavia il giudice del merito ben può escludere l'incidenza, ai fini suddetti, della relazione adulterina di uno dei coniugi qualora sia stata contratta in epoca largamente successiva alla separazione personale e non sia stata causa di manifestazioni pubbliche intollerabili per l'altro coniuge.

Cass. civ. n. 3168/1986

Il comportamento di un coniuge, consistente nel sistematico rifiuto di fissare o comunque concordare con l'altro coniuge la residenza familiare; ove sia privo di apprezzabili giustificazioni (quali quelle derivanti da esigenze di lavoro), e resti ricollegabile a meri atteggiamenti sregolati di vita, può determinare non solo la separazione giudiziale, quando renda intollerabile la prosecuzione della convivenza, ma anche l'addebito della separazione medesima, a norma dell'art. 151, secondo comma, c.c., poiché si traduce in una violazione dei doveri scaturenti dal matrimonio (art. 144 c.c.). Tale principio non può trovare deroga in relazione alla circostanza che la suddetta condotta di vita sussisteva anche prima del matrimonio ed era conosciuta dall'altro sposo, poiché gli indicati doveri, incluso quello della fissazione della residenza della famiglia, non possono essere esclusi o limitati, né espressamente, né implicitamente, tramite l'accettazione di comportamenti incompatibili con la loro osservanza.

Cass. civ. n. 67/1986

L'art. 151 c.c. — nel testo risultante dalla modifica apportata alla norma con l'art. 33 della L. 19 maggio 1975, n. 151 — pur svincolando la pronuncia della separazione giudiziale dalle situazioni tipiche previste nel precedente testo dell'art. 151, non ha inteso configurarla come una automatica conseguenza di qualsiasi ragione di contrasto nell'ambito del rapporto di coniugio, in quanto, anche nel nuovo sistema, l'istituto conserva, sia pure in una sfera di situazioni e di valutazioni più ampia rispetto a quella consentita nel regime anteriore, il carattere di rimedio ad uno stato di fatto di particolare gravità, nel senso di rendere intollerabile la convivenza, da qualunque causa dipendente. Di modo che non è sufficiente, ai fini della detta pronuncia, un mero atteggiamento soggettivo di rifiuto della convivenza, occorrendo anche che esso si rifletta in circostanze che rendano oggettivamente apprezzabile (e quindi giudizialmente controllabile) la situazione di intollerabilità nella sua essenza e nella sua dinamica causale.

Cass. civ. n. 2882/1985

L'attività lavorativa, che venga espletata da uno dei coniugi (nella specie, la moglie) senza il gradimento dell'altro, non può di per sé costituire motivo di addebito della separazione, quando oggettivamente non contrasti con i fondamentali obblighi coniugali e familiari. Ma può essere valutata al fine della suddetta addebitabilità solo ove sia stata intrapresa con il rifiuto di sottostare al metodo dell'accordo, fissato dall'art. 144 c.c. in tema d'indirizzo della vita familiare, in relazione cioè alla violazione dell'ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi.

Cass. civ. n. 7156/1983

L'infedeltà apparente, fra coniugi separati, integra l'ipotesi dell'ingiuria grave e costituisce causa di addebito qualora: a) la condotta del coniuge infedele sia tale da ingenerare nell'altro coniuge e nei terzi il fondato sospetto del tradimento; b) il comportamento sia animato dalla consapevolezza e dalla volontà di commettere un fatto lesivo dell'altrui onore e dignità; c) dalla condotta dell'infedele sia derivato un pregiudizio per la dignità personale dell'altro coniuge, attesa la sensibilità del tradito e dell'ambiente in cui vive.

Cass. civ. n. 3323/1982

I fatti antecedenti alla separazione consensuale possono essere invocati da un coniuge, al fine di conseguire un mutamento del titolo della separazione con pronuncia di addebitabilità a carico dell'altro coniuge, solo quando deduca e dimostri di averli conosciuti dopo detta separazione consensuale.

Cass. civ. n. 2494/1982

In base alle nuove disposizioni dettate dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, in tema di separazione personale dei coniugi, la violazione del reciproco dovere di fedeltà, ancorché questo sia stato ribadito come regola di condotta dei coniugi (art. 143 c.c.), non legittima di per sé, automaticamente, la pronunzia di separazione con addebito al coniuge adultero, ma solo se abbia reso intollerabile la prosecuzione della convivenza o recato grave pregiudizio all'educazione della prole; pertanto, il giudice deve controllare l'oggettivo verificarsi di tali conseguenze, valutando, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, in qual misura la violazione di quel dovere abbia inciso sulla vita familiare, tenuto conto delle modalità e frequenze dei fatti, del tipo di ambiente in cui si sono verificati e della sensibilità morale dei soggetti interessati.

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Consulenze legali
relative all'articolo 151 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
martedì 19/12/2023
“Divorzio. In assenza di qualunque rapporto ed empatia dimostrata e prolungata e durata alcuni lustri, esattamente 18 anni, il presunto tradimento occasionale di uno dei partner può considerarsi utile ai fini dell'addebito?
La causa è relativa ad un divorzio giudiziale avviato dal marito.
Le motivazioni del marito sono le seguenti.
La moglie non ha mai assistito il coniuge, non si è mai preoccupata delle esigenze del marito, lo ha sempre caricato di incombenze e impegni anche economici senza darvene riconoscimenti e soprattutto depredando la solidità economica della famiglia.
Tra il marito e la moglie non vi sono più rapporti umani di alcun genere, il marito lavoro e fa fronte ai debiti contratti dalla moglie la moglie non contribuisce per nulla.
La moglie pur avendo molto tempo libero, non si cura della casa ne di nessuna faccenda.
Il marito è costretto a provvedere a se stesso compreso: lavare stirare far da mangiare e anche pulire i propri spazi.
I due coniugi non dormono più nello stesso letto.
La moglie invece sostiene che il marito l’ha tradita nel 2009 e che di recente ha ripetuto detta azione.
Ciò nonostante la moglie non avvia causa.
Il quesito è: davanti ad un evidente rapporto coniugale praticamente inesistente il presunto, tradimento, non dimostrato, può essere motivo di cessazione del rapporto?
Si precisa che la causa di divorzio l’ha avviata il Marito ormai esasperato.”
Consulenza legale i 29/12/2023
Va premesso che l’addebito della separazione, ai sensi dell'art. 151, comma 2 c.c., può essere pronunciato dal giudice solo in sede di separazione giudiziale (e non, ovviamente, nella separazione consensuale).
In sostanza, con l’addebito si stabilisce che la crisi del rapporto coniugale è stata causata dal comportamento di uno dei coniugi, il quale ha violato uno o più dei doveri che nascono dal matrimonio.
Tra questi c’è sicuramente il dovere di fedeltà: ma anche il dovere di assistenza morale e materiale e quello di collaborazione nell’interesse della famiglia, ex art. 143 c.c., che sembrerebbero essere stati violati dalla moglie in questo caso, per cui anche il marito potrebbe, a sua volta, chiedere l’addebito della separazione alla moglie.
Ad ogni modo, nel quesito si pone una domanda specifica: se il tradimento da parte di uno dei coniugi, avvenuto nell’ambito di un rapporto coniugale definito “inesistente”, perché privo di affetto, di reciproca solidarietà, di cooperazione, possa comunque causare l’addebito della separazione al coniuge infedele.

Innanzitutto, occorre ribadire che, per ottenere una pronuncia di addebito, è necessario dimostrare non solo la violazione di specifici doveri matrimoniali da parte dell’altro coniuge, ma anche quello che viene definito nesso di causalità tra la violazione stessa e la crisi coniugale.
Occorre, infatti, che l’intollerabilità della convivenza matrimoniale sia stata appunto causata dalla violazione di quei doveri; in mancanza della prova del nesso di causalità non può esservi addebito: si veda in proposito Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 20/12/2021, n. 40795 (“La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito”).

A questa regola non sfugge neppure la violazione del dovere di fedeltà: non può esservi addebito della separazione al coniuge traditore se viene dimostrato che, nel momento in cui l’infedeltà si è verificata, il matrimonio era già in crisi.
In proposito la Cassazione (Sez. VI - 1 Civ., ordinanza 19/02/2018, n. 3923) ha chiarito quanto segue:
  1. il coniuge che richiede l'addebito della separazione per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà è tenuto a provare sia il comportamento infedele dell’altro coniuge, sia che questo comportamento abbia causato l’intollerabilità della convivenza;
  2. invece, chi sostiene che la crisi matrimoniale fosse già esistente al momento del tradimento è tenuto a dimostrare la sua affermazione.

Onofrio C. chiede
sabato 01/05/2021 - Puglia
“Buongiorno.
Sono in causa di separazione giudiziale dopo aver scoperto l’illegittimità di mio figlio tramite il gruppo sanguigno.
Io sono A+, mia moglie 0+ e mio figlio B-.
I tre gruppi sono incompatibili, così come confermato dalla relazione di una biologa, da me richiesta.
Ho letto che in giudizio è sufficiente questa incompatibilità per stabilire l’‘illegittimità del figlio, senza ricorrere al test del DNA, e quindi l’‘addebito della separazione.

C'è qualche sentenza o qualche riferimento in merito, da poter utilizzare in giudizio?

Spero di aver esposto chiaramente la mia domanda.
Distinti saluti!”
Consulenza legale i 07/05/2021
Va premesso che non è stato possibile esaminare il testo della relazione menzionata nel quesito; ciò ha rilevanza non per entrare nel merito di valutazioni tecnico - scientifiche (che, chiaramente, non compete a questa Redazione effettuare), quanto per comprendere in maniera precisa che tipo di accertamenti sia stato effettuato, e con quali modalità (a titolo di esempio, spesso si è posto in giurisprudenza il problema della legittimità di accertamenti effettuati senza il consenso dell’interessato: si veda Cass. 21014/2013, sia pure in materia di test genetici).
In secondo luogo, va chiarito che nel quesito, così come formulato, esiste un evidente errore di impostazione, laddove si chiede se sia sufficiente l’incompatibilità dei gruppi sanguigni “per stabilire l'illegittimità del figlio, senza ricorrere al test del DNA, e quindi l'addebito della separazione”.
In realtà, come abbiamo ribadito spesso su queste pagine, quand’anche l’adulterio venga dimostrato in giudizio, ciò non determinerà automaticamente l’addebito della separazione al coniuge fedifrago, neppure quando dalla relazione extraconiugale sia nato un figlio. Ai fini dell’addebito della separazione, infatti, occorre provare che la violazione dei doveri coniugali abbia causato quella intollerabilità della convivenza che, a sua volta, conduce alla separazione.
In proposito Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 18074/2014: “in tema di separazione personale, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posta dall'art. 143 cod. civ. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall'essere intervenuta quando era già maturata ed in conseguenza di una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale”.
Con specifico riferimento al dovere di fedeltà, Cass. Civ., Sez. VI - 1, ordinanza 23/06/2017, n. 15811 ha affermato che “ai fini dell'addebito della separazione, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Facendo corretta applicazione dei principi dell'onere probatorio in materia, grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge, l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà”.
Inoltre, nel nostro caso l’oggetto del giudizio non è il disconoscimento di paternità (la relativa azione, come abbiamo visto in una precedente consulenza, non risulta più proponibile per il decorso dei termini di legge), ma la pronuncia della separazione tra i coniugi con contestuale addebito alla moglie. Pertanto, ciò che rileva non è tanto la dimostrazione del fatto che il figlio è in realtà nato da una relazione adulterina della madre, quanto la circostanza che proprio la conoscenza (acquisita dopo molti anni) di tale presunta situazione abbia causato l’irreparabile rottura dell’affectio coniugalis.
Ora, pur non avendo rinvenuto precedenti specifici sull’argomento (soprattutto in materia di addebito della separazione), possiamo utilmente ricordare che, in tema di disconoscimento della paternità, l’art. 243 bis c.c. stabilisce che “chi esercita l'azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre”, senza vincolare la prova a particolari accertamenti.
La pur risalente Cass. Civ., 12/01/1984, n. 247, sempre in tema di disconoscimento, ha precisato che “il giudice, nel disporre tali accertamenti, non è tenuto ad ammettere tutte le indagini indicate come possibili dalla scienza, fino al raggiungimento della certezza assoluta, potendo essere coperto un certo margine di incertezza da elementi tratti legittimamente aliunde, tra i quali, tuttavia, non rientra la mera disponibilità dell'interessato a sottoporsi alle predette prove tecniche”.
D’altra parte, secondo Tribunale Bari, Sez. I, 02/12/2009, “nel procedimento per il disconoscimento della paternità, gli esiti dell'analisi molecolare costituiscono prova certa dell'esistenza o dell'inesistenza, a seconda del risultato, di un rapporto di filiazione”.

Oriana R. chiede
venerdì 19/03/2021 - Piemonte
“Buongiorno
ho quesiti su separazione giudiziale in corso dal 2016. Concordo se occorre pagare di più per una consulenza completa alle mie domande - previo preventivo - grazie.
Nel 2020 ho avuto finalmente la sent. di separ. SENZA ADDEBITO per lui da me richiesta ma con assegno di mant. per me e per i figli. La casa purtroppo è in alternanza 15 gg per ciascuno e questo già dai provvedimenti provvisori. HO due figli ora maggiorenni (con provv. provvisorio uno dei due era minorenne). La casa è il nodo fondamentale. Villa indipendente con 2 particelle catastali (1 da 250 mq int a mio ex marito e 1 da 50 mq + garage int. a me - regime separaz. beni). L'intestazione allora era "fittizia" solo per beneficio fiscale visto che io ero in attesa di vendere la mia casa, ma chiaramente lui adesso rivendica piena proprietà. HO fatto causa e ho perso anche in appello nonostante io abbia dimostrato tutti i miei apporti economici. Adesso lui ha chiesto appello alla separazione (udienza a maggio 2021) dove chiede azzeramento alimenti per figli maggiorenni (uno lavora a t.d. e l'altro no), azzeramento alimenti verso di me e rientro nella CASA che è di sua proprietà. Io attualmente abito sotto nei miei 50mq e averlo sopra sarà un inferno tanto che lui arriverà con la sua "donnina" di turno e farà scappare i ragazzi. I miei quesiti sono questi:
- gli impianti sono COMUNI e io voglio renderli autonomi (lui si è sempre rifiutato anche nell'altra causa ma si lamenta di pagare le bollette al 50%) - chiaro che io non pagherò più per i suoi 250 mq. Quindi posso installare una mia caldaia, dividere impianto elettrico e idrico rendendo la mia abitazione INDIPENDENTE (nonostante purtroppo ci siano un sacco di beni in comune (terreno - balcone - caldaia, ecc.)? Come devo fare legalmente? Così io potrò affittare la mia parte o venderla.
- i mobili che sono nella sua casa di 250mq sono stati acquistati quasi tutti da me negli ultimi 20 anni e chiaramente se il GIUDICE dirà che lui può rientrare nella sua casa io non voglio lasciarglieli. Come faccio a portarli via? Devo dimostrare con assegni e fatture che ho pagato io? Devo avvisarlo che toglierò i mobili prima che lui rientri?
- se dalla sentenza di appello emerge che lui deve rientrare quanto tempo avrò io per togliere le mie cose?
- posso fare in modo che lui non rientri con un'altra donna in casa visto che ci saranno i ragazzi ancora ad abitare li oppure no?
- inutile dire che durante l'alternanza lui ha fatto assenze continue, non si è mai occupato dei ragazzi, mai preparato cene/pranzi e soprattutto con uno da 5 mesi non rivolge neanche più la parola e lui viene sempre da me al piano di sotto.
La casa è sempre sporca e non ha mai pagato le spese straordinarie intervenute in questi anni e che invece ho dovuto pagare io. In appello lui ha chiesto di tenere i ragazzi tanto la mamma è solo al piano di sotto e di avere anche un assegno per loro, ma è possibile? È possibile che lui richieda indietro tutti i soldi che mi ha dato sinora per me e per loro?
- inoltre dal 2016 lui mi deve i soldi dei ragazzi nella misura del 70%, chiesti più volte da me e dal mio legale ma mai dati. Devo fare ennesimo atto di decreto ingiuntivo per averli? Sono passati 5 anni non cadono in prescrizione?
Scusate le tante domande ma voglio essere preparata a una sentenza che sicuramente avendo figli maggiorenni e non essendo titolare della casa dovrò soccombere, ma voglio tutelarmi per i mobili, lampadari e altre cose da me pagate e soprattutto per gli impianti da rendermi autonoma.
Attendo vs. preventivo per le risposte del caso. Grazie
cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/03/2021
Rispondiamo alle numerose domande nello stesso ordine in cui sono state poste.
Iniziamo col dire che è sicuramente possibile, a seguito della divisione dell'immobile in due unità abitative appartenenti a distinti proprietari, rendere autonomi gli appartamenti; anzi, in alcuni casi è proprio la normativa di settore (come per l’impianto idrico) che impone contatori separati per proprietà separate.
A ciò si aggiunga che, ad esempio, il nuovo testo dell’art. 1118 c.c. consente espressamente il distacco del condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
Rimane fermo l’obbligo di contribuire pro quota alle spese riguardanti le parti rimaste di proprietà comune (nel quesito non si parla solo della problematica degli impianti, ma si accenna anche al terreno e a terrazze e balconi; naturalmente la verifica della suddivisione di eventuali spese va fatta caso per caso, accertando anche la natura effettivamente comune della parte in questione).
Quanto ai mobili presenti nella ex casa coniugale, risulta dal quesito che il regime patrimoniale è quello della separazione dei beni.
La norma cui fare riferimento è costituita dall’art. 219 c.c., che consente a ciascun coniuge di provare con ogni mezzo, nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene. Naturalmente, è necessario dimostrare di aver effettuato il relativo acquisto: il secondo comma della norma, infatti, precisa che, se nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva di un bene, questo è considerato di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.
Tale disposizione, secondo la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, 18554/2013), riguarda proprio le controversie relative a beni mobili.
Quanto alle modalità di asporto dei mobili, sarà bene avvisare il coniuge, nonché concordare con lui l’accesso all’immobile per il ritiro qualora nel frattempo sia stata revocata l’assegnazione della casa familiare.
Nel caso in cui la sentenza di appello, da emettersi nel giudizio di separazione, effettivamente revochi l’assegnazione della casa alla moglie (ipotesi tutt’altro che scontata, ma su cui non disponiamo di ulteriori elementi non conoscendo gli atti del processo), la Cassazione ha stabilito che “nel giudizio di separazione dei coniugi, il provvedimento che ordina la revoca dell'assegnazione della casa familiare, ancorché privo della condanna per il coniuge ex affidatario all'allontanamento, costituisce comunque titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile” (Sez. III Civ., sentenza 31/01/2012, n. 1367).
Dunque, quanto all’obbligo di liberare l’immobile, la sentenza è esecutiva fin dalla sua pubblicazione. Tuttavia, anche qualora il coniuge inizi una procedura esecutiva per il rilascio dell’immobile, viene dato un certo tempo all’altro per “organizzarsi”: è prevista, innanzitutto, come in ogni procedimento di esecuzione forzata, la notifica di un atto di precetto, con cui si dà un termine non minore di dieci giorni (art. 480 c.p.c.).
Inoltre, anche decorsi i dieci giorni dalla notifica del precetto, non si procede immediatamente a liberare l’immobile, ma si concede un ulteriore preavviso (attraverso la notifica di un atto chiamato, appunto, preavviso di rilascio, ex art. 608 c.p.c.).
Ad ogni modo, nella pratica di solito si concordano tra le parti tempi e modi del rilascio, prima di arrivare a procedere tramite ufficiale giudiziario.
Quanto alla domanda successiva (se si possa impedire al coniuge separato di condurre, in quella che diventerebbe la propria abitazione, una nuova compagna), la risposta è negativa, tanto più che i figli sono ormai maggiorenni.
Le domande seguenti riguardano la “collocazione” dei figli, la richiesta da parte del coniuge di un assegno di mantenimento e l'ammissibilità di una richiesta di restituzione, sempre da parte del marito.
Ma andiamo con ordine.
Non è possibile rispondere qui sulla richiesta relativa alla collocazione dei figli, né su quella relativa alla domanda di assegno di mantenimento, in primo luogo perché non si conoscono gli atti del giudizio (domande ed eccezioni delle parti, prove svolte e documenti prodotti, eventuali provvedimenti del giudice, ecc.), né disponiamo in questa sede di tutte le altre informazioni necessarie, soprattutto quelle riguardanti la situazione economica e reddituale di ciascun coniuge.
Si tenga però presente che i figli sono maggiorenni e saranno loro e non un giudice a decidere con quale dei genitori convivere, o di abitare altrove quando saranno economicamente autosufficienti.
Quanto alla paventata richiesta di restituzione di “tutti i soldi” dati finora per la moglie e per i figli, il quesito non è molto chiaro: se, infatti, si intendono le somme spese durante il matrimonio per il mantenimento della famiglia, esse non sono assolutamente ripetibili (cioè non ne può essere chiesta la restituzione), in quanto spese sostenute in adempimento dei doveri familiari (si vedano gli artt. 143 e 147 c.c.).
Se, invece, ci si riferisce alla eventuale revoca (anche parziale) di assegni di mantenimento già corrisposti, la Cassazione (Sez. VI - 1 Civ., ordinanza 16/09/2019, n. 23024) ha precisato che “la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione”.
Quindi, se si tratta di “soldi già dati” (per usare l’espressione contenuta nel quesito), appare estremamente improbabile che il marito possa ottenerne la restituzione (tanto più che la preoccupazione espressa nel quesito riguarda addirittura la totalità delle somme).
Per finire, se il marito, purtroppo, continua a non pagare la propria quota di spese straordinarie (così interpretiamo la domanda, dal momento che si parla della percentuale del 70%), occorre procedere o sulla base di decreto ingiuntivo o - in ipotesi limitate - direttamente in via esecutiva sulla base della sentenza, secondo il distinguo operato da Cass. Civ., Sez. III, sentenza 23/05/2011, n. 11316: “il provvedimento con il quale in sede di separazione personale fra i coniugi sia posto a carico del genitore, ex art. 155, comma 2°, c.c., l'obbligo di contribuire, sia pure pro quota, alle spese straordinarie relative ai figli non costituisce titolo esecutivo e, in caso di mancata ottemperanza dell'obbligato, richiede un ulteriore intervento del giudice volto ad accertare l'effettiva sopravvenienza ed entità degli specifici esborsi cui si riferisce la condanna. Tale principio non vale in relazione alle spese mediche e scolastiche ordinarie, il cui esborso deve considerarsi normale, secondo nozioni di comune esperienza; in tali ipotesi, il provvedimento costituisce titolo esecutivo e la determinazione del credito è rimessa al creditore procedente, il quale può provvedervi allegando idonea documentazione di spesa rilasciata da strutture pubbliche, ovvero da altri soggetti che siano specificamente indicati nel titolo o concordati preventivamente tra i coniugi”.
Normalmente, comunque, la strada seguita è quella del decreto ingiuntivo.
Quanto al termine di prescrizione, il rimborso delle spese in parola deve ritenersi soggetto alla prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.); infatti la prescrizione quinquennale (art. 2948 c.c.) opera con riferimento alle prestazioni di natura periodica, come avviene appunto per le singole mensilità dell’assegno di mantenimento (che vengono appunto corrisposte a scadenze fisse).

D. chiede
mercoledì 02/11/2022 - Sicilia
“Buonasera. Se mio marito è andato via di casa, per poter procedere alla separazione e fare l’addebito per tradimento e abbandono del tetto coniugale deve essere lui a mandare la lettera per primo o devo essere io? Altra cosa: è possibile fare causa per danni morali ed esistenziali? E soprattutto quali tipi di cause è possibile fare? Vorrei proprio un elenco di tutte le possibili cause perché mi creda che dopo 18 anni di vita insieme ed essergli stata fedele sempre e per di più con i problemi psichici che aveva se le merita tutte. Grazie per la risposta”
Consulenza legale i 09/11/2022
L’art. 143 del c.c. stabilisce che dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.
Ne consegue che il tradimento costituisce violazione del dovere di fedeltà, sancito appunto dalla norma; così come l’allontanamento dalla casa coniugale, in mancanza di una valida giustificazione, comporta, quanto meno, la violazione del dovere di coabitazione.

La violazione dei doveri derivanti dal matrimonio fa sì che si possa chiedere l’addebito della separazione (art. 151 del c.c.); l’addebito ha conseguenze essenzialmente sul diritto al mantenimento (infatti il coniuge cui sia addebitabile la separazione non ha diritto al mantenimento, art. 156 del c.c.), nonché in materia successoria (l’addebito della separazione comporta la perdita dei diritti successori, art. 548 del c.c.).
Tuttavia, ai fini dell’addebito non è sufficiente la violazione dei doveri coniugali, ma è necessario che tale violazione sia stata la causa della rottura del rapporto di coppia: "in tema di separazione personale, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posta dall'art. 143 cod. civ. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall'essere intervenuta quando era già maturata ed in conseguenza di una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale” (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 20/08/2014, n. 18074). Si tratta di un accertamento che va compiuto dal giudice caso per caso.
Ciò vale anche per la violazione del dovere di fedeltà: occorre infatti verificare se il tradimento abbia causato l’intollerabilità della convivenza e dunque la crisi del rapporto coniugale o sia avvenuto, invece, in un momento in cui la coppia si trovava già in crisi.

La violazione dei doveri coniugali può essere fonte anche di obbligo risarcitorio, sempre che ne sussistano i presupposti, come affermato da giurisprudenza costante: si veda Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 23/02/2018, n. 4470, secondo cui “i doveri derivanti ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 del c.c.”.
L'azione per ottenere il risarcimento del danno deve essere, appunto, "autonoma", cioè il risarcimento non può essere chiesto nello stesso procedimento di separazione, come precisato anche da Cass. Civ., Sez. I, sentenza 08/09/2014, n. 18870: "le domande di risarcimento dei danni e di separazione personale con addebito sono soggette a riti diversi e non sono cumulabili nel medesimo giudizio”.
La condanna al risarcimento del danno, comunque, può essere pronunciata anche in assenza di addebito della separazione, come chiarito da Cass. Civ., Sez. I, sentenza 15/09/2011, n. 18853.

Naturalmente, le risposte fornite in questa sede hanno necessariamente carattere generale, poiché non conosciamo i dettagli della vicenda; consigliamo pertanto di rivolgersi ad un legale esperto in diritto di famiglia per conoscere le azioni in concreto proponibili nei confronti del coniuge, precisando che non c’è una regola che stabilisca chi debba chiedere per primo la separazione: nel nostro caso, se dovesse farlo il marito, la moglie potrà costituirsi in giudizio e richiedere eventualmente l’addebito in via riconvenzionale.

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