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Non c'è addebito se la crisi coniugale è pre-separazione

Famiglia - -
Non c'è addebito se la crisi coniugale è pre-separazione
Non viene riconosciuto l'addebito se la separazione è la conseguenza di una grave crisi coniugale anteriore alla domanda di scioglimento del matrimonio.
Il Tribunale di Torre Annunziata, con la sentenza n. 2643 del 19 ottobre 2016, si è occupata di un interessante caso in materia di diritto di famiglia e addebito della separazione (art. 151 del c.c.).

Nel caso esaminato dal Tribunale, una donna aveva agito in giudizio al fine di separarsi dal marito. La donna sosteneva che la separazione fosse da addebitarsi al coniuge poichè responsabile della fine del matrimonio.

Il marito non si opponeva a tale richiesta ma, a sua volta, sosteneva che la medesima fosse da addebitarsi, invece, alla moglie.

Il Tribunale, pronunciandosi in primo grado, riteneva di dover aderire solo parzialmente alle argomentazioni svolte dalla moglie, rigettando le domande di addebito della separazione.

In particolare, il Tribunale evidenziava come fosse “incontrovertibilmente provato il venir meno di quei presupposti di intenti comuni e sentimenti su cui si fonda il rapporto coniugale e, nel contempo, una crisi dello stesso di tale gravità da escludere la verosimile possibilità della ricostruzione di una serena vita coniugale”.

Infatti, era stato provato “il clima di tensione e di distacco determinatosi ormai irreversibilmente tra le parti”, dimostrato anche dalla “gravità delle accuse che le parti hanno mosso nei confronti della controparte (violazione degli obblighi di assistenza e di fedeltà, e violenze morali e materiali subite)”.

Questi elementi evidenziavano, secondo il giudice, l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, nonché la sussistenza di tutte le condizioni richieste dall’art. 151 del c.c. ai fini della pronuncia della separazione.

Per quanto riguarda la pronuncia sull’addebito, il Tribunale non riteneva sufficiente la prova dell’accertamento “della sussistenza di condotte contrarie ai doveri nascenti dal matrimonio” (art. 143 del c.c.), in quanto, “per poter addebitare ad uno dei coniugi la responsabilità della separazione occorre, invece, accertare la sussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti costituenti violazione dei doveri coniugali accertati a carico di uno o entrambi i coniugi e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza”.

In sostanza, occorre, secondo il giudice, “che il materiale probatorio acquisito consenta di verificare se la violazione accertata a carico di un coniuge sia stata la causa unica o prevalente della separazione, ovvero se preesistesse una diversa situazione di intollerabilità della convivenza”.

Nel caso di specie, la ricorrente aveva evidenziato che “sin dai primi anni del matrimonio, il marito aveva assunto nei suoi confronti un atteggiamento violento e dispotico, anche in presenza dei figli minori, e si era sottratto ai suoi doveri coniugali sostenendo di dover assolvere ai propri impegni di lavoro quale dipendente della circumvesuviana, a quelli relativi alla propria attività di meccanico e ai propri hobbies (fotografia, elettronica, ballo, ecc.)”.

La ricorrente aveva, inoltre affermato, che il marito l’aveva più volte tradita, che l’aveva percossacon schiaffi e calci”, che “aveva assunto comportamenti persecutori e prepotenti ai suoi danni”, tanto da indurla a “dormire in camere separate a causa delle sue molestie anche sessuali”.

Il marito, tuttavia, aveva ribattuto, contestando le affermazioni della donna ed evidenziando come il fallimento del matrimonio fosse dovuto “al comportamento della moglie che aveva privato il coniuge, i figli e i nipoti del proprio contributo, personale ed affettivo”.

Secondo il marito, in particolare, la moglie “non aveva mai avuto un senso materno, aveva mostrato con tempo disinteresse verso la famiglia e il marito, che invece la accontentava in tutto, e aveva dissipato i risparmi familiari in acquisti futili; nell’estate del 2000 aveva confessato di aver intrapreso una relazione extraconiugale con tale Sergio di Roma, coniugato con prole (…); la ricorrente inoltre aveva parlato del marito a conoscenti e amici definendolo “il verme”, affermando falsamente che aveva tendenze omosessuali; in occasione della morte del padre non gli aveva dato alcun sostegno morale ed, inoltre, non aveva più provveduto a preparare i pasti e a curare il vestiario del marito, della famiglia e della casa, conducendo una vita autonoma ed indipendente; dal maggio 2013 si era rifiutata di avere rapporti sessuali con il marito”.

Inoltre, il marito sosteneva di aver scoperto che “la moglie aveva dagli inizi del 2013 una relazione sentimentale (…), che manifestava pubblicamente”.

Tali deduzioni, secondo il giudice, dimostravano che “tra i coniugi sussisteva una forte crisi matrimoniale in epoca precedente alla proposizione della domanda di separazione” e che la separazione stessa fosse “una conseguenza del progressivo sgretolamento dell’unità familiare” e non potesse essere “ricondotta specificamente ad uno dei comportamenti lamentati dai coniugi”.

Poiché, dunque, “la dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio, cui sia ricollegabile l’irreversibile crisi del rapporto fra coniugi”, il Tribunale riteneva che, nel caso in esame, non fosse stata raggiunta “la prova che la crisi abbia trovato tale origine essendo maturata invece negli anni”.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale si limitava a pronunciare la separazione tra i coniugi, senza addebitarla ad alcuno dei due.


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