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Accertamento della paternità: legittima l’acquisizione dei campioni biologici presso l’ospedale da parte del CTU

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Accertamento della paternità: legittima l’acquisizione dei campioni biologici presso l’ospedale da parte del CTU
L’impiego di campioni biologici in giudizio costituisce un interesse pubblico prevalente rispetto al divieto di trattamento dei dati personali.
Nel corso di un giudizio di accertamento della paternità naturale, un consulente tecnico d’ufficio, incaricato di eseguire il test di paternità, si era avvalso del materiale biologico del presunto padre reperito presso una struttura ospedaliera che lo deteneva.
Deceduto il presunto padre nel corso del processo, si era costituito in giudizio il suo erede, eccependo la nullità della CTU e la conseguente inutilizzabilità dei dati genetici raccolti illegittimamente, perché ritenuti acquisiti in violazione della normativa in tema di privacy (D.Lgs. n. 196/2003).

Il tribunale aveva accolto la domanda del figlio naturale e la decisione era stata confermata anche dalla Corte d’appello di Venezia. L’erede aveva perciò proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 16 del Codice della Privacy (abrogati dal D.Lgs. 10 agosto 2018 n. 101, ma che all’epoca dei fatti ancora applicabili), dell’art. 13 Cost., dell’art. 8 CEDU, nonché dell’art. 191 c.p.p.

La Cassazione si è espressa con la sentenza n. 8459/2020, respingendo il ricorso. La Suprema Corte ha osservato che, secondo quanto previsto dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR, Regolamento UE 2016/679), l’acquisizione di dati personali avvenuta in violazione delle norme sul trattamento dei dati è illecita, dal momento che le informazioni identificative della qualità di una persona fisica costituiscono oggetto del diritto assoluto alla protezione dei dati personali, il quale è ricompreso tra le libertà fondamentali della persona.

Tuttavia, lo stesso GDPR definisce i limiti di tale diritto, attribuendo la prevalenza al trattamento dei dati personali se questo è eseguito per ragioni di giustizia: all’art. 9, par. 2, lett. f) dispone, infatti, che il divieto di trattamento non si applica nei casi in cui il trattamento sia “necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali”.

Secondo la Cassazione, tra le operazioni di trattamento di cui all’art. 4, n. 2) GDPR rientra anche la conservazione del materiale biologico da parte della struttura sanitaria pubblica, conservazione che deve considerarsi lecita perché giustificata dal fine istituzionale dell'ente pubblico; quest’ultimo ha l’obbligo di archiviare determinati dati per il perseguimento di interessi pubblici prevalenti, tra i quali rientra l'impiego dei campioni biologici in un giudizio.

Alla luce di ciò, la Suprema Corte ha stabilito che il CTU, in qualità di ausiliario nominato dal giudice, è legittimamente autorizzato all’acquisizione del materiale biologico detenuto presso le strutture sanitarie, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., che gli consente di svolgere l’incarico affidatogli anche procedendo all’assunzione di informazioni presso terzi.

Infine, per quanto riguarda l’asserita violazione dell’art. 191 c.p.p., la Cassazione ha escluso la possibilità di applicare anche nel processo civile, direttamente o per analogia, tale norma processuale penale, in ragione della diversa rilevanza degli interessi coinvolti nei due giudizi e dell’utilizzo, nel processo civile, anche di prove atipiche.


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