La disposizione in esame delinea modi, forme, tempi e limiti della partecipazione del
consulente tecnico al processo, partecipazione che assume i connotati di un subprocedimento incidentale al giudizio nel quale si inserisce.
Tutta l'attività svolta dal consulente è informata, in via generale, ai principi della oralità, immediatezza ed economia processuale e può estrinsecarsi in:
a) assistere alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore;
b) fornire, in udienza ed in
camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede (
art. 62 del c.p.c.);
c) formulare un parere orale in camera di consiglio alla presenza delle parti (
art. 197 del c.p.c.);
d) assistere alla discussione davanti al collegio (art. 197 c.p.c).
In tutte i casi in cui il consulente tecnico sia chiamato a volgere attività da solo, si pone il problema di delimitare i suoi poteri di indagine, in particolare in relazione alla possibilità di accertare, di propria iniziativa, ogni circostanza necessaria per assolvere il
mandato conferito, acquisendo dati ed elementi conoscitivi di rilevanza probatoria.
Sotto questo profilo il dato normativo delimita abbastanza l'operato del consulente, subordinando alla previa
autorizzazione giudiziale le facoltà di domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi ed eseguire piante, calchi o rilievi; viene inoltre sancito, al secondo comma dell’
art. 90 delle disp. att. c.p.c., il divieto per lo stesso di ricevere scritti difensivi oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze delle parti.
Principi fondamentali che regolano i poteri del consulente tecnico d'ufficio sono i seguenti:
a) non necessita di autorizzazione del giudice per assumere chiarimenti ed informazioni;
b) può, di propria iniziativa, compiere indagini che non gli sono state espressamente devolute e attingere notizie non rilevabili dagli atti processuali su fatti e situazioni che formano oggetto del suo incarico.
Nell’esercizio di tali poteri, tuttavia, incontra le seguenti limitazioni:
a) deve trattarsi di verifiche, informazioni ed indagini strettamente necessarie per espletare in maniera esauriente il mandato conferito;
b) gli accertamenti eseguiti di propria iniziativa e le notizie da lui assunte possono riguardare soltanto fatti di carattere tecnico accessori, non fatti che devono essere allegati e provati dalle parti;
c) il consulente ha l'obbligo di indicare le fonti del proprio accertamento, e ciò al fine di permettere alle parti ed al giudice il controllo sulla loro attendibilità.
Ovviamente, alle dichiarazioni che egli assume dai terzi non può attribuirsi valore di deposizioni testimoniali, in quanto assunte senza il rispetto dello schema procedimentale e del principio dispositivo che governano la prova per testimoni (avranno soltanto efficacia meramente indiziaria).
Le parti, dal canto loro, nel rispetto del dovere di comportamento secondo lealtà e probità sancito dall'
art. 88 del c.p.c., sono tenute a collaborare con l'ausiliario di ufficio, tant’è che la condotta dalle stesse tenuta durante le operazioni può integrare argomento di prova ex
art. 116 del c.p.c., utilizzabile ai fini del convincimento del giudice.
Pur avendo l'incarico del consulente natura strettamente personale, lo stesso, di propria iniziativa e senza necessità di autorizzazione del giudice, può avvalersi dell'opera di collaboratori o assistenti per l'adempimento sia di incombenze di carattere materiale che per attività di natura intellettuale (come il compimento di ricerche volte alla acquisizione di dati e sussidi tecnici che esulano dalla sua competenza).
In questo caso, infatti, l'attività prestata dai collaboratori svolge il ruolo di fonte strumentale dell'accertamento del consulente tecnico e l'omessa autorizzazione del giudice all'ausilio degli stessi determina soltanto la non rimborsabilità delle spese sostenute, di cui dovrà farsi carico il c.t.u.
In particolare, il consulente potrà affidare ad altri il compimento di operazioni peritali quando:
a) la scelta del consulente tecnico di ufficio non sia determinata dalla sua particolare specializzazione e qualificazione professionale;
b) l'attività affidata al terzo non riguardi l'intero svolgimento delle operazioni peritali;
c) il consulente si preoccupi di valutare criticamente le conclusioni dello specialista, richiamandole e facendole proprie nell'elaborato peritale.
Nel rispetto del fondamentale principio del contraddittorio, il legislatore ha inteso assicurare l'effettiva possibilità di intervento delle parti allo svolgimento delle attività peritali, al fine di esercitare il diritto di difesa per mezzo della proposizione di osservazioni e istanze.
Per tale ragione il codice disciplina un articolato sistema, volto a garantire la dialettica partecipazione dei litiganti alle operazioni di consulenza, con la previsione di un duplice obbligo di avviso gravante sugli ausiliari del giudice, ossia:
-
la comunicazione alle parti a carico del consulente tecnico di ufficio (art. 90, 1° co., disp. att.);
-
la comunicazione ai consulenti tecnici di parte a carico del cancelliere (art. 91, 2° co., disp. att.).
Le predette comunicazioni obbligatorie vanno effettuate esclusivamente nell'ipotesi in cui il c.t.u. (sempre previa autorizzazione) agisca da solo, cioè esegua le operazioni senza la presenza del giudice.
In caso di prosecuzione delle indagini (cioè quando queste non possono esaurirsi in una sola occasione), in linea di principio non è dovuto alcun avviso alle parti, in quanto il contraddittorio tecnico è già instaurato e costituisce onere delle parti presenziare alle attività di consulenza e tenersi al corrente del loro ulteriore sviluppo.
Occorre precisare che l'obbligo di avviso riguarda unicamente le indagini tecniche vere e proprie, rimanendo di conseguenza escluse tutte le altre attività di natura meramente conoscitivo-intellettiva compiute dall'ausiliare in epoca anteriore, contemporanea o anche successiva alle operazioni.
La giurisprudenza interpreta in maniera rigorosa la prescrizione, prevista dal primo comma dell’
art. 90 delle disp. att. c.p.c., sul contenuto minimo dell'avviso da inviare alle parti, affermando che esso deve indicare, in maniera chiara, il tempo (completo di giorno ed ora) ed il luogo (inteso come città, via e numero civico) di inizio delle operazioni.
Se la comunicazione non viene effettuata mediante dichiarazione inserita nel verbale di udienza, la stessa dovrà essere eseguita mediante
biglietto di cancelleria, notificato a mezzo dell'
ufficiale giudiziario.
Sono comunque valide forme equipollenti di comunicazione, rimesse alla cura del consulente, purché consentano alle parti di assistere alle indagini e svolgere le proprie difese (es. una lettera
raccomandata con avviso di ricevimento, mentre qualche perplessità sussiste sulla validità di un avviso orale o telefonico).
Nessuna comunicazione, comunque, è dovuta alla parte contumace, ancor più che si tratta di atto non incluso nella tassativa elencazione dell'
art. 292 del c.p.c..
Con l'
ordinanza di nomina del c.t.u., il
giudice istruttore assegna alle parti un termine per nominare un loro consulente tecnico (così
art. 201 del c.p.c.), ossia una persona che, in quanto possiede le medesime conoscenze specialistiche dell'ausiliare officioso, potrà essere in grado di controllarne effettivamente l'operato, così salvaguardando il diritto di difesa delle parti (l'art. 91 disp. att. predispone un meccanismo per assicurare la partecipazione del c.t.p. alle indagini peritali).
In questo caso vige un principio di libertà della forma di tale comunicazione, ispirato al consueto parametro del conseguimento dello scopo; pertanto, il precetto normativo dell'art. 91 disp. att. si ritiene adempiuto allorquando per qualsiasi via idonea sia pervenuta al c.t.p. la notizia dello svolgimento delle operazioni, in modo tale da consentire a quest'ultimo di parteciparvi.
La parte, per il tramite del difensore o del proprio consulente, può sottoporre all'ausiliare due tipi di scritti:
a) osservazioni, cioè valutazioni sulla metodologia da seguire nelle indagini, apprezzamenti sui risultati conseguiti o su criteri di giudizio;
b) istanze, contenenti sollecitazioni al c.t.u. per il compimento di determinate indagini o esami.
Nei casi in cui il consulente agisce in presenza del giudice, quest'ultimo opera un controllo diretto ed immediato sul corretto espletamento delle mansioni, risolvendo eventuali contestazioni sollevate.
Se, invece, il c.t.u. sia stato autorizzato a compiere le indagini da solo, lo stesso assume, in luogo del giudice istruttore, la direzione delle operazioni, ma non potrà ovviamente sostituirsi a lui nelle delibazioni di contenuto prettamente giuridico; per tali ipotesi l'
art. 92 delle disp. att. c.p.c. disciplina un subprocedimento incidentale, che si apre nel corso delle attività di consulenza, al fine di decidere su questioni insorte relative ai poteri del c.t.u. o ai limiti dell'incarico conferitogli.
La difformità delle attività del consulente dal modello procedimentale previsto dal codice di rito non determina, di per sé sola considerata, incidenze che possono inficiare la consulenza; potrà costituire causa di invalidità soltanto se ed in quanto cagioni, in concreto, una lesione del diritto di difesa delle parti o un
vulnus al principio del contraddittorio.
In ogni caso, si tratterà di vizi da valutare secondo i normali principi generali in tema di nullità degli atti processuali (artt. 156 ss. c.p.c.) e dunque, in base al criterio della indispensabilità del requisito mancante e della sanatoria per conseguimento dello scopo.
Tutti i vizi inficianti la consulenza tecnica di ufficio integrano, comunque, delle nullità relative, suscettibili come tali di
sanatoria ex
art. 157 del c.p.c..
L'
eccezione di nullità della consulenza, tempestivamente sollevata, deve essere espressamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti considerare rinunciata.