Cass. civ. n. 30324/2024
Ai fini della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., la valutazione dell'imputabilità dell'impedimento alla parte deve effettuarsi con riferimento allo sforzo di diligenza alla stessa richiesto. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva addebitato alla parte il ritardo nel deposito telematico di documenti, effettuato il giorno dopo quello di scadenza, sebbene fosse festivo, in una situazione di obiettiva interruzione dei servizi telematici nei due giorni precedenti).
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In caso di impossibilità di deposito telematico della documentazione per cause esterne alla volontà della parte, come l'interruzione del servizio, il giudice di merito deve valutare attentamente l'oggettività dell'impedimento e non addossare automaticamente la responsabilità alla parte per mancato rispetto del termine.
Cass. civ. n. 21896/2024
La rimessione in termini, ai sensi dell'art. 153, 2° comma, c.p.c., può essere concessa solo in presenza di una causa non imputabile alla parte che ha determinato la decadenza, caratterizzata dall'assoluta impossibilità e non da mere difficoltà nell'osservanza delle disposizioni processuali.
Cass. civ. n. 21860/2024
Allo spirare del termine perentorio di cui all'art. 588 c.p.c., in difetto di tempestiva istanza di proroga ai sensi dell'art. 154 c.p.c., il creditore assegnatario decade dalla possibilità di chiedere l'assegnazione del bene pignorato. Tuttavia, il creditore tardivamente istante può comunque beneficiare della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., qualora la decadenza sia imputabile a causa non a lui ascrivibile.
Cass. civ. n. 21602/2024
In materia di contenzioso tributario, l'istituto della rimessione in termini, previsto dall'art. 153, comma 2, c.p.c., è applicabile. Tuttavia, tale istituto non trova applicazione quando l'evento straordinario, come la morte del difensore, si verifica dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, poiché non incide sull'osservanza del termine perentorio per la proposizione dell'appello.
Cass. civ. n. 21282/2024
La rimessione in termini ai sensi dell'art. 153 cod. proc. civ. presuppone che la parte si attivi immediatamente al palesarsi della necessità di svolgere un'attività processuale ormai preclusa e non è sufficiente che l'istanza sia depositata solo prima dell'udienza utile alla deliberazione della stessa.
Cass. civ. n. 19837/2024
La rimessione in termini ai sensi dell'art. 153, secondo comma, c.p.c., richiede che la parte sia incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile, e non può essere concessa sulla base di allegazioni generiche quali l'impossibilità di presidiare i locali commerciali o lutti familiari, non rilevando tali circostanze come giustificazioni idonee se non accompagnate da adeguata prova.
Cass. civ. n. 19395/2024
L'eccezione di compensazione, fondata su un fatto costitutivo verificatosi successivamente alla scadenza delle preclusioni assertive, è ammissibile, e può essere valutata dal giudice, solo ove venga dedotta previa motivata applicazione dell'istituto generale della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., posto a tutela dei principi costituzionali sulle garanzie difensive e sul giusto processo.
Cass. civ. n. 18435/2024
La rimessione in termini, sia nella norma dettata dall'art. 184-bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell'art. 153, comma 2, c.p.c., come novellato dalla l. n. 69 del 2009, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello, secondo cui l'errore del difensore nella lettura del menu a tendina del PCT e nella selezione di un tribunale diverso da quello competente, determinante la tardiva costituzione in giudizio, non potev integrare gli estremi dell'errore scusabile idoneo a giustificare la rimessione in termini).
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La tardiva costituzione in giudizio comporta la decadenza dalla possibilità di articolare mezzi istruttori, compresa la prova testimoniale, e non giustifica la rimessione in termini per errore imputabile alla sola volontà del difensore. (artt. 153 e 416 c.p.c.)
Cass. civ. n. 16552/2024
In tema di ricorso per cassazione, l'errore nel deposito telematico dell'atto - eseguito ad un indirizzo PEC non più attivo - deve ritenersi scusabile se è provocato da un software e l'utente non è in grado di prevenirlo o intercettarlo con l'ordinaria diligenza esigibile da un individuo medio, non potendosi pretendere un grado di competenza tecnica specialistica in un settore ancora connotato da forte tecnicismo e difficile intuizione delle relative modalità di funzionamento. (Nella specie, la S.C. ha affermato la tempestività del deposito telematico del controricorso effettuato ad un indirizzo, generato automaticamente dal software "SL-pct", non più attivo perché sostituito da altro, avendo il controricorrente effettuato un nuovo deposito entro un breve lasso di tempo dall'avvenuta consapevolezza dell'insuccesso del primo tentativo, che aveva generato una RdAC formalmente regolare).
Cass. civ. n. 15997/2024
La tempestività del deposito telematico va verificata con riferimento al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia; tuttavia, in caso di "errore fatale" non gestibile che comporta il rigetto della busta da parte della cancelleria, l'avvocato depositante può ricorrere all'istituto della "remissione in termini" previsto dall'art. 153 comma 2 c.p.c., purché sia stato documentato il messaggio RdAC entro il termine perentorio.
Cass. civ. n. 6907/2024
La richiesta di rimessione in termini per l'esercizio delle difese deve essere adeguatamente motivata, indicando le ragioni per le quali la decisione impugnata sarebbe in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla prevalente dottrina.
Cass. civ. n. 5821/2024
In tema di rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., la causa non imputabile presuppone l'esistenza di un evento che presenti il carattere dell'assolutezza e non della mera difficoltà; pertanto, tale istituto non trova applicazione quando l'impedimento può essere risolto attraverso la reiterazione nei termini dell'attività.
Cass. civ. n. 5759/2024
Per ottenere la rimessione in termini ex art. 153, comma 2, cod. proc. civ., la parte richiedente deve dimostrare di non aver potuto esercitare tempestivamente il potere processuale per una causa a lei non imputabile, perché estranea alla sua volontà.
Cass. civ. n. 5514/2024
L'istituto della rimessione in termini, previsto dall'art. 153, secondo comma c.p.c., opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione e richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà che presenti i caratteri dell'assolutezza, e non già di un'impossibilità relativa, né tantomeno di una mera difficoltà.
Cass. civ. n. 5168/2024
Le preclusioni rispetto all'introduzione in causa di nuovi fatti a fondamento dell’eccezione di nullità vengono meno quando la conoscenza dei fatti che sostanziano tale eccezione sia sopravvenuta rispetto alla pronuncia di primo grado e ciò in lineare applicazione del principio generale previsto dall'art. 153, comma 2, cod. proc. civ.
Cass. civ. n. 4667/2024
L'omessa pronuncia sull'istanza di rimessione in termini integra di per sé un vizio del procedimento senza che sia necessaria la deduzione di uno specifico nocumento, atteso che il solo esame della richiesta avrebbe potuto condurre a una diversa decisione del giudice circa la decadenza in cui è incorsa la parte.
Cass. civ. n. 36369/2023
La decadenza da un termine processuale, incluso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell'omessa comunicazione della data dell'udienza di trattazione e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all'art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte di quest'ultima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa.
Cass. civ. n. 32296/2023
La presenza di un errore, non imputabile al depositante, che provoca l'impossibilità per il sistema di accettare il deposito, legittima questi alla istanza di rimessione in termini ai fini della rinnovazione del deposito ove possa ritenersi che questi siano decorsi incolpevolmente a causa dell'affidamento riposto nell'esito positivo del deposito stesso. Ne consegue che in caso di esito negativo del procedimento culminante con l'accettazione da parte del cancelliere (c.d. "quarta PEC"), la tempestività del deposito telematico di un atto processuale postula la necessità della sua rinnovazione, previa rimessione in termini ex art. 153, 2° co., c.p.c.
Cass. civ. n. 31592/2023
Ai fini della valutazione dell'ammissibilità del deposito telematico dell'appello, il giudice può verificare d'ufficio il contenuto della busta telematica e, laddove constati l'illeggibilità dei relativi files, per causa non imputabile all'appellante, è tenuto a rimetterlo in termini per la rinnovazione dell'incombente.
Cass. civ. n. 31438/2023
L'ordine di integrazione del contraddittorio implica e presuppone la notifica di un atto pienamente valido, ossia dotato dei requisiti previsti dall'art. 163, comma 3, c.p.c., giacché la sussistenza di un termine decadenziale è incompatibile con la possibilità di una sanatoria, salvo che la mancata ripresa, immediata e tempestiva, del procedimento notificatorio, onde evitare l'estinzione del giudizio, sia dovuta a causa non imputabile alla parte.
Cass. civ. n. 25228/2023
In tema di rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., la causa non imputabile presuppone l'esistenza di un evento che presenti il carattere dell'assolutezza e non della mera difficoltà e non è, pertanto, integrata ove l'impedimento riguardi la patologia del rapporto interno tra la parte e il proprio difensore. (Nella specie, la S.C. ha rigettato l'istanza di rimessione nel termine per la proposizione del ricorso per cassazione, fondata sulla circostanza che il precedente difensore, che aveva assistito la parte nel giudizio d'appello, non avesse mai comunicato, né a quest'ultima né al nuovo difensore, di aver ricevuto la notifica della sentenza di secondo grado).
Cass. civ. n. 24631/2023
In materia di termini processuali, la disposizione dell'art. 81-bis, comma 3, disp. att. c.c. (introdotta dall'art. 1, comma 465, della l. n. 205 del 2017), nel dare rilevanza, ai fini della fissazione del calendario del processo, al documentato stato di gravidanza del difensore (cui sono equiparati l'adozione nazionale e internazionale nonché l'affidamento del minore), non contempla un generalizzato legittimo impedimento dell'avvocato che si trovi nelle condizioni sopra indicate, ma ha valenza esclusivamente endoprocedimentale, non potendo conseguentemente essere invocata per ottenere la sospensione dei termini per proporre impugnazione, in relazione ai quali opera comunque l'istituto generale di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c., ove ne ricorrano i presupposti. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, comma 3, c.p.c.).
Cass. civ. n. 20601/2023
Nel rito del lavoro, qualora l'appellante notifichi il ricorso privo del decreto di fissazione dell'udienza di discussione, il vizio relativo alla "vocatio in ius" è sanato dalla costituzione dell'appellato, che ha diritto alla rimessione in termini per la proposizione dell'appello incidentale dalla quale sia eventualmente decaduto in conseguenza del suddetto vizio.
Cass. civ. n. 19384/2023
L'istituto della rimessione in termini, previsto dall'art. 153, comma 2, c.p.c., come novellato dalla l. n. 69 del 2009, opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione e richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà che presenti i caratteri dell'assolutezza e non della mera difficoltà. (Nella specie, la S.C. ha escluso che il malfunzionamento della rete informatica dello studio professionale, addebitata dal ricorrente ad un "virus" informatico che avrebbe criptato tutti i dati ed impedito l'accesso all' "account" di posta elettronica, non consentendo di visionare la notifica della sentenza impugnata, addotto dal difensore a giustificazione dell'istanza di rimessione in termini, fosse riconducibile ad un fattore estraneo alla parte, avente i caratteri dell'assolutezza e idoneo, in via esclusiva, a causare la tardività dell'impugnazione).
Cass. civ. n. 11029/2023
La rimessione in termini di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c. presuppone due elementi e, cioè, l'esistenza di un fatto ostativo esterno alla volontà della parte (non determinato da quest'ultima) e l'immediata reazione al manifestarsi della necessità di svolgere l'attività processuale ormai preclusa; conseguentemente, anche in ragione dei caratteri di celerità ed immediatezza che contraddistinguono il processo tributario, l'istanza di rimessione in termini (nello specifico, la "scusabilità" dell'errore) dev'essere sottoposta a un vaglio particolarmente severo da parte del giudice tributario di merito, evitando che sia impiegata come espediente processuale per rimediare all'inosservanza di un termine decadenziale espressamente previsto dalla legge.
Cass. civ. n. 9541/2023
In tema di notificazione, una volta disposta la rinnovazione e concesso un termine perentorio ai sensi dell'art. 291 c.p.c., è preclusa al giudice la possibilità di assegnazione di un secondo termine per la notifica, stante la perentorietà di quello già concesso, salvo che la parte abbia tempestivamente espletato l'adempimento posto a suo carico e l'esito negativo del procedimento notificatorio sia dipeso da causa alla medesima non imputabile. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte territoriale che, dopo aver correttamente disposto la rinnovazione della notifica dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, stante il mancato perfezionamento del relativo procedimento, aveva reiterato tale ordine per ben due volte, nonostante il notificante non avesse dimostrato di essersi autonomamente attivato entro i termini di scadenza del primo termine assegnato).
Cass. civ. n. 7510/2023
In caso di comunicazione a mezzo PEC di un provvedimento giurisdizionale dalla cancelleria al difensore, la circostanza che la e-mail PEC sia finita nella cartella della posta indesiderata ("spam") della casella PEC del destinatario non costituisce causa incolpevole della decadenza nella quale sia incorsa la parte, idonea a giustificare la rimessione in termini, in quanto il titolare dell'account di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi del corretto funzionamento della propria casella postale e di utilizzare dispositivi di vigilanza e di controllo, dotati di misure anti intrusione, oltre che di controllare prudentemente la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come "posta indesiderata". (In applicazione del principio la S.C. ha confermato la statuizione di improcedibilità dell'impugnazione per tardività in una fattispecie in cui la comunicazione di cancelleria del decreto di fissazione dell'udienza di discussione dell'appello, da notificarsi a pena di decadenza all'appellato unitamente al ricorso, era stato inserito nella cartella "spam" in quanto posta indesiderata).
Cass. civ. n. 4642/2023
Nel processo tributario di primo grado, la produzione di documenti è riservata esclusivamente alle "parti" che si siano costituite nel giudizio con le modalità e nei termini stabiliti. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva rigettato il ricorso del contribuente contro una cartella di pagamento, utilizzando un documento - la fotocopia della cartolina di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito, relativa alla notifica dell'atto impositivo presupposto - prodotto dal concessionario, non costituito, all'udienza di discussione).
Cass. civ. n. 3316/2023
In tema di esdebitazione, relativamente ad una procedura fallimentare aperta anteriormente alla novella di cui al d.lgs. n. 5 del 2006, il termine annuale di decadenza per la proposizione della domanda ex art. 143 l.fall., in caso di mancata notifica del provvedimento di chiusura del fallimento, non decorre dalla pubblicazione dello stesso sul registro delle imprese, bensì dal momento in cui il predetto decreto diviene definitivo, con lo spirare del "termine lungo" di cui all'art. 327 c.p.c., non giustificandosi pertanto la rimessione in termini prevista dall'art. 153, comma 2, c.p.c.
Cass. civ. n. 2473/2023
Il ricorso per cassazione non è improcedibile ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., per omesso deposito della sentenza impugnata nel fascicolo informatico, ove il ricorrente alleghi e dimostri l'impossibilità del deposito per cause dovute ad un malfunzionamento del sistema e formuli istanza di rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., entro un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso, poiché il ricorrente non aveva dimostrato la non imputabilità della causa dell'omissione ed aveva formulato l'istanza di rimessione in termini con la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., depositata in prossimità dell'udienza e solo dopo aver ricevuto la comunicazione della proposta di improcedibilità ex art. 380 bis c.p.c.).
Cass. civ. n. 21304/2019
L'istituto della rimessione in termini richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte o al suo difensore, perché cagionata da un fattore estraneo alla volontà degli stessi, tale potendosi considerare anche lo stato di malattia del difensore costituito da un malessere improvviso che determini un totale impedimento a svolgere l'attività professionale. (Fattispecie in tema di definizione agevolata in cui la S.C. ha accolto l'istanza di sospensione del processo tributario ex art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 proposta due giorni oltre il termine di legge dal difensore colpito, nella notte anteriore alla scadenza, da un malore grave, improvviso ed imprevedibile che aveva reso impossibile il deposito tempestivo).
Cass. civ. n. 6102/2019
Nel processo tributario, come in quello civile, il provvedimento di rimessione in termini, reso sia ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., che del vigente art. 153, comma 2, c.p.c., presuppone una tempestiva istanza della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza da un'attività processuale per causa ad essa non imputabile. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata per avere il giudice, di propria iniziativa, in mancanza di istanza dello stesso, rimesso in termini il contribuente, non costituitosi nel giudizio di appello).
Cass. civ. n. 4135/2019
La rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni che si sono succedute (artt. 184 bis e 153 c.p.c.), ossia per errore cagionato da fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, che presenti i caratteri dell'assolutezza e non della mera difficoltà e si ponga in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza, non è invocabile in caso di errori di diritto nell'interpretazione della legge processuale, pur se determinati da difficoltà interpretative di norme nuove o di complessa decifrazione, in quanto imputabili a scelte difensive rivelatesi sbagliate. (Principio affermato in relazione ad un ipotesi in cui il difensore aveva rinunciato ad impugnare il lodo per errori di diritto, ritenendo tale possibilità esclusa dalla lettera dell'art. 27 del d.l.vo n. 40 del 2006 anche in riferimento a convezione arbitrale risalente, come nella specie, a data anteriore all'entrata in vigore della norma, interpretazione smentita dalla S.C. solo successivamente all'impugnazione del lodo medesimo).
Cass. civ. n. 30512/2018
L'istituto della rimessione in termini, astrattamente applicabile anche al giudizio di cassazione, presuppone, tuttavia, la sussistenza in concreto di una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell'assolutezza - e non già un'impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà - e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione. (Nel caso di specie, non sono stati ravvisate le condizioni per la rimessione in termini invocata dalla ricorrente, che, nell'impugnare tardivamente per cassazione la sentenza che aveva dichiarato lo stato di adottabilità delle figlie minori - benché la decisione fosse stata regolarmente comunicata all'indirizzo pec del suo difensore - allegava la difficoltà a conoscerla, in ragione del proprio stato di detenzione, del suo essere apolide di fatto e della scarsa dimestichezza con la lingua italiana).
Cass. civ. n. 6664/2017
L’incapacità di intendere e di volere della parte non è causa di sospensione del processo (nella specie, il procedimento di opposizione alla dichiarazione dello stato di adottabilità), con la conseguenza che, in caso di tardività dell’impugnazione, l’unico rimedio è costituito dalla richiesta di rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, comma 2, c.p.c.
Cass. civ. n. 23430/2016
La rimessione in termini, disciplinata dall'art. 153 c.p.c., non può essere riferita ad un evento esterno al processo, impeditivo della costituzione della parte, quale la circostanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, giacché attinente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell'art. 83 c.p.c., che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo, e non già, quindi, spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte dichiarata contumace, o, addirittura, comportare la revoca, in grado d'appello, di tale dichiarazione.
Cass. civ. n. 12544/2015
In tema di contenzioso tributario, l'istituto della rimessione in termini, previsto dall'art. 184 bis c.p.c. (abrogato dall'art. 46 della l. n. 69 del 2009, e sostituito dalla norma generale di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c.), è applicabile al rito tributario, operando sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali "interni" al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l'impugnazione dei provvedimenti sostanziali. (Nel caso in esame, la S.C. ha, tuttavia, rigettato il ricorso, escludendo che lo stato di malattia sopravvenuta ed il successivo decesso del difensore, incaricato della riassunzione del giudizio dieci mesi prima rispetto alla scadenza del termine, potessero integrare causa di non imputabilità della decadenza).
Cass. civ. n. 12405/2015
Nel procedimento civile, l'istanza di rimessione in termini può essere contestuale all'atto scaduto, nessuna disposizione imponendo alla parte di avanzare la richiesta separatamente ed anteriormente. (Principio enunciato circa un ricorso in opposizione ex art. 5 ter della legge 24 marzo 2001, n. 89, recante contestuale istanza di rimessione nel termine di impugnazione).
Cass. civ. n. 7393/2013
Lo smarrimento del fascicolo d'ufficio e di quello di parte, relativi al giudizio di primo grado, non può considerarsi causa impeditiva della proposizione dell'impugnazione entro il termine di cui all'art. 327 cod. proc. civ., tale da giustificare una richiesta di rimessione in termini, potendo la parte chiedere al giudice la ricostituzione di detti fascicoli e l'eventuale integrazione dei motivi d'appello.
Cass. civ. n. 6304/2013
Qualora il giudice dell'impugnazione ravvisi, anche d'ufficio, la grave difficoltà per l'esercizio del diritto di difesa, determinata dal non avere il cancelliere reso conoscibile la data di deposito della sentenza prima della pubblicazione della stessa, avvenuta a notevole distanza di tempo ed in prossimità del termine di decadenza per l'impugnazione, la parte può essere rimessa in termini, ai sensi dell'art. 153, secondo comma, c.p.c., ed, a tal fine, il difensore è legittimato, anche nel corso della discussione orale, a produrre i documenti da cui emerga la data di pubblicazione della sentenza.
Cass. civ. n. 9792/2012
L'istituto della rimessione in termini, di cui all'art. 184 bis c.p.c. (nella formulazione anteriore all'abrogazione disposta dall'art. 46 della legge 18 giugno 2009, n. 69, operante nella specie "ratione temporis"), dovendo essere letto alla luce dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e delle garanzie difensive, trova applicazione non solo nel caso di decadenza dai poteri processuali di parte interni al giudizio di primo grado, ma anche nel caso di decadenza dall'impugnazione per incolpevole decorso del termine. Ne consegue che deve ritenersi incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile, in relazione al termine di venti giorni dalla comunicazione, previsto dall'art. 170 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, la parte che abbia dimostrato che il decreto di pagamento delle spettanze dell'ausiliario del giudice era stato spillato ad un biglietto di cancelleria, rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica, riguardante altro procedimento, avendo ciò precluso all'interessato la completa conoscenza del provvedimento ai fini dell'esercizio della facoltà di opposizione, senza che possa ritenersi equipollente, per la decorrenza di detto termine, la conoscenza che la parte abbia avuto "aliunde" del decreto di liquidazione, in quanto allegato alla richiesta di pagamento recapitata dall'ausiliario.
Cass. civ. n. 4841/2012
La rimessione in termini prevista dall'art. 153, comma 2, c.p.c. (ovvero, in precedenza, dall'art. 184 bis dello stesso codice) deve essere domandata dalla parte interessata senza ritardo e non appena essa abbia acquisito la consapevolezza di avere violato il termine stabilito dalla legge o dal giudice per il compimento dell'atto.(In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto inammissibile l'istanza di fissazione di un nuovo termine per la rinnovazione di una notificazione non andata a buon fine, proposta a distanza di un anno e mezzo dall'infruttuoso tentativo della prima notifica).
Cass. civ. n. 27086/2011
L'intervento regolatore delle Sezioni Unite, derivante da un preesistente contrasto di orientamenti di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, induce ad escludere che possa essere ravvisato un errore scusabile, ai fini dell'esercizio del diritto alla rimessione in termini ai sensi dell'art. 153 c.p.c. o dell'abrogato art. 184 bis c.p.c., in capo alla parte che abbia confidato sull'orientamento che non è prevalso.
Cass. civ. n. 23561/2011
La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall'art. 184 bis c.p.c., quanto in quella di più ampia portata prefigurata nel novellato art. 153, secondo comma, c.p.c., presuppone la tempestività dell'iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un'attività processuale ormai preclusa. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato inammissibile per tardività la domanda di manleva proposta da un convenuto nei confronti di altro convenuto solo in sede di precisazione delle conclusioni, non risultando specificato se il primo, ricorrente in cassazione, avesse, o meno, avanzato immediata istanza di rimessione in termini, ai fini della proposizione di quella domanda, in conseguenza di quanto già emerso a seguito di un'ordinanza istruttoria di esibizione documentale).
Cass. civ. n. 19836/2011
La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall'art. 184 bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell'art. 153, secondo comma, c.p.c., come novellato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà. (Nella specie la S.C. ha negato la sussistenza del nesso causale tra la situazione di forza maggiore e le carenze del ricorso per cassazione, posto che la sopravvenuta possibilità di consultare i fascicoli d'ufficio e di parte, prima impedita dal terremoto accaduto nella città dell'Aquila, non aveva determinato variazioni nei motivi d'impugnazione, ma solo nella formulazione dei quesiti di diritto rispetto ai quali la concreta disponibilità di copia degli atti non poteva ritenersi avere avuto alcuna incidenza eziologica).
Cass. civ. n. 15144/2011
Il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (c.d. "overruling"), il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera - laddove il significato che essa esibisce non trovi origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale - come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale "ora per allora", nel senso di rendere irrituale l'atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all'orientamento precedente. Infatti, il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all'interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicché essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la "lex temporis acti", ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell'atto compiuto in correlazione temporale con l'affermarsi dell'esegesi del giudice. Tuttavia, ove l'"overruling" si connoti del carattere dell'imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante "ex post" non conforme alla corretta regola del processo) e l'effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che - in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l'effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito - deve escludersi l'operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'"overruling" nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l'apparenza di una regola conforme alla legge del tempo. Ne consegue ulteriormente che, in siffatta evenienza, lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall'"overruling". (Fattispecie relativa a mutamento di giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine al termine di impugnazione delle sentenze del TSAP; nella specie, la tutela dell'affidamento incolpevole della parte, che aveva proposto il ricorso per cassazione in base alla regola processuale espressa dal pregresso e consolidato orientamento giurisprudenziale successivamente mutato, si è realizzata nel ritenere non operante la decadenza per mancata osservanza del termine per impugnare e, dunque, tempestivamente proposto il ricorso stesso).
Cass. civ. n. 8127/2011
Il principio secondo cui, alla luce della norma costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo incorre in un errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ex art. 184 bis cod. proc. civ., si applica solamente nell'ipotesi in cui il mutamento giurisprudenziale abbia reso impossibile una decisione sul merito delle questioni sottoposte al giudice scelto dalla parte e non quando la pretesa azionata sia stata compiutamente conosciuta dal giudice dotato di giurisdizione secondo le norme vigenti al momento dell'introduzione della controversia, come all'epoca generalmente interpretate, atteso che in tale ipotesi il ricorrente, senza poter lamentare alcuna lesione del suo diritto di difesa, già pienamente esercitato, mira ad ottenere un nuovo pronunciamento sul merito della questione. (Nella specie, relativa all'impugnazione della sanzione disciplinare della destituzione ai sensi dell'art. 58 del r.d. n. 149 del 1931 per il personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in concessione, il TAR aveva rigettato il ricorso, con conseguente formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione che non era mai stata oggetto di contestazione; nelle more del giudizio di impugnazione, le S.U., innovando sul punto, avevano affermato che la materia a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 29 del 1993 era devoluta al giudice ordinario e il Cons. Stato aveva affrontato d'ufficio la questione - pur ormai preclusa - affermando, in ogni caso, la giurisdizione del giudice amministrativo; contro questa decisione il ricorrente ha proposto ricorso ex art. 362 cod. proc. civ., che la S.C. ha dichiarato inammissibile).
Cass. civ. n. 7003/2011
La rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall'art. 184 bis cod.proc. civ. che in quella di più ampia portata contenuta nell'art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte perchè dettata da un fattore estraneo alla sua volontà del quale è necessario fornire la prova ai sensi dell'art. 294 cod. proc. civ. Ne consegue che non rientrano in tale categoria le scelte discrezionali della parte, quale quella di non eccepire la prescrizione di un diritto finchè sono in corso trattative con la controparte.
Cass. civ. n. 5260/2011
La rimessione in termini, disciplinata dall'art. 184 bis c.p.c., "ratione temporis" applicabile, non può essere riferita ad un evento esterno al processo, impeditivo della costituzione della parte, quale la circostanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, giacchè attinente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell'art. 83 c.p.c. che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo, e non già, quindi, spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte dichiarata contumace, o, addirittura, comportare la revoca, in grado d'appello, di tale dichiarazione.
Cass. civ. n. 2799/2011
Il principio secondo cui, alla luce della norma costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo incorre in un errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ex art. 184 bis c.p.c., non si applica nel caso in cui la giurisprudenza ha fornito l'interpretazione di una nuova norma entrata in vigore anteriormente al deposito del ricorso, senza in alcun modo innovare una posizione pregressa. (In applicazione del principio la S.C. ha respinto l'istanza avanzata dal ricorrente, ex art. 378 c.p.c., di essere rimessa in termini per non avere formulato il quesito previsto dall'art. 366 bis c.p.c. in modo corretto, ed in particolare senza la sintesi originale ed autosufficiente della censura, in quanto tale modalità di formulazione del quesito era stata ritenuta indispensabile dalla giurisprudenza, formatasi dopo la proposizione del ricorso).
Cass. civ. n. 17704/2010
L'istituto della rimessione in termini di cui all'art. 184 bis c.p.c. (nella formulazione anteriore all'abrogazione disposta dall'art. 46 della legge 18 giugno 2009, n. 69) applicabile "ratione temporis", deve essere letto alla luce dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e delle garanzie difensive; tale istituto, pertanto, può trovare applicazione non solo nel caso di decadenza dai poteri processuali di parte interni al giudizio di primo grado, ma anche nel caso di decadenza dall'impugnazione per incolpevole decorso del termine.
Cass. civ. n. 14627/2010
Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ai sensi dell'art. 184 bis c.p.c., "ratione temporis" applicabile, anche in assenza di un'istanza di parte, se, esclusivamente a causa del predetto mutamento, si sia determinato un vizio d'inammissibilità od improcedibilità dell'impugnazione dovuto alla diversità delle forme e dei termini da osservare sulla base dell'orientamento sopravvenuto alla proposizione del ricorso.
Cass. civ. n. 2899/2005
Il termine perentorio fissato dal giudice per il compimento di atti processuali (nella specie, per la rinnovazione della notifica dell'appello incidentale, ex art. 291 c.p.c.) non può essere sospeso o prorogato, neanche per accordo delle parti, senza che l'interessato abbia provato una difficoltà a lui non imputabile.
Cass. civ. n. 1014/2003
L'art. 184 bis c.p.c. (introdotto dall'art. 19 della legge 26 novembre 1990, n. 353 e modificato quanto al primo comma dall'art. 6 del decreto legge 18 ottobre 1995, n. 432, convertito nella legge 29 dicembre 1995, n. 534) consente, nella sua attuale formulazione, alla parte che sia incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile, di chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termine nello svolgimento dell'attività processuale dalla quale è decaduta; la qualificazione dei fatti addotti come «causa non imputabile», operata dalla parte, non è però vincolante per il giudice, il quale può ritenere che l'evento addotto dalla parte non sia in rapporto causale con il verificarsi della decadenza. In questo caso, il giudice non è tenuto a motivare sotto il profilo della imputabilità o meno del fatto alla parte, essendo esclusa in radice la possibilità della rimessione in termini.
Cass. civ. n. 11279/2000
La rimessione in termini è un istituto certamente non incompatibile con il rito del lavoro che, prima della novella introdotta dalla legge n. 353 del 1990 (in vigore dal 30 aprile 1995), trovava il suo fondamento nell'art. 421 c.p.c., e, a seguito dell'entrata in vigore della suddetta riforma, trova riscontro nella nuova formulazione dell'art. 184 bis c.p.c. che in analogia con quanto previsto per la parte contumace dall'art. 294 c.p.c. dispone che «la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini».
Cass. civ. n. 13188/1999
Il principio per cui, quando una domanda debba essere proposta entro un termine perentorio nei confronti di più contraddittori, è sufficiente la tempestiva proposizione anche nei confronti di uno solo di essi, dovendo poi il giudice provvedere e ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri, opera solo nei casi in cui il giudizio ha inizio (o ex novo, o in una fase o in grado nuovo), non già quando avendo, avuto luogo tale inizio con pretermissione di taluni litisconsorti e avendo il giudice ordinato l'integrazione del contraddittorio, la parte onerata abbia evocato in giudizio solo alcuni litisconsorti, così solo parzialmente osservando il suddetto ordine, non potendo, in tal caso, essere consentita l'assegnazione di un ulteriore termine per il completamento della già disposta integrazione, sia perché difetterebbe in tale ipotesi il presupposto che rende applicabile l'art. 102 c.p.c. (cioè l'introduzione ex novo del giudizio), sia perché l'assegnazione di un ulteriore termine equivarrebbe alla concessione di una proroga del termine perentorio precedentemente fissato, proroga espressamente vietata dall'art. 153 c.p.c.