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Articolo 1662 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Verifica nel corso di esecuzione dell'opera

Dispositivo dell'art. 1662 Codice Civile

Il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato(1).

Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto [1454], salvo il diritto del committente al risarcimento del danno.

Note

(1) Il diritto di controllo consiste nella facoltà di vigilanza sulle modalità di esecuzione dell'opera. In ogni caso il committente non può ledere l'autonomia esecutiva dell'appaltatore.

Ratio Legis

Il potere di controllo concesso al committente si giustifica in quanto egli è il destinatario finale dell'opera (1661 c.c.); in particolare, con tale controllo il committente verifica lo stato dell'immobile anche in relazione alle parti di esso per le quali la verifica sia ormai preclusa alla consegna (ad esempio, le opere di isolamento dell'immobile che poi vengono coperte dall'intonaco).
Il secondo comma è volto a tutelare ulteriormente il committente, consentendogli di fissare come essenziale il termine per adeguarsi alle condizioni contrattuali (v. 1457 c.c.).

Spiegazione dell'art. 1662 Codice Civile

Il sistema della verifica

Il primo comma del presente articolo non ha bisogno di chiarimenti, data la sua semplicità e chiarezza.
È tuttavia da notare che le periodiche visite alle quali ha diritto il committente non debbono essere tali da sconvolgere l'ordinario andamento dei lavori; né debbono essere eseguite con spirito vessatorio o defaticante, perché la loro eccessività, risolvendosi in definitiva in una perdita di tempo può dare diritto all'assuntore non solo di consegnare l'opera finita in ritardo rispetto al termine contrattuale, ma di chiedere anche uno speciale compenso per aumento di spese generali. Naturalmente i limiti dell'una e dell'altra tolleranza varieranno da caso a caso, secondo l'importanza del lavoro e delle relative verifiche, e di conseguenza si risolve in un apprezzamento di fatto la constatazione intesa ad accertare se vi sia stato abuso da parte del committente nel pretendere quei dati accertamenti o se, per converso, data l'entità dell'opera o pur anco il modo difettoso col quale procedono i lavori, gli accertamenti si debbano ritenere congrui, pur con la loro complessità.


L'intimazione del termine

Il secondo comma dell'articolo ha analogia, molto larga del resto, con la rescissione degli appalti per opere pubbliche.
Non avendo i poteri che sono propri delle varie amministrazioni statali, il committente privato, prima di potere dichiarare risoluto il contratto, deve seguire la procedura delineata dal codice; così occorre prima accertare che i lavori non procedono secondo le condizioni del contratto ed a regola d'arte; dopo fissare un termine all'appaltatore perché si conformi alle prescritte condizioni e da ultimo, in caso di inadempienza, chiedere all'autorità giudiziaria che accerti, con l'avvenuta inadempienza, la risoluzione del contratto. In pari tempo il committente può anche invocare l'eventuale risarcimento dei danni.

Le prime contestazioni naturalmente cadranno sugli accertamenti, perché questi, essendo eseguiti dal committente o dal suo tecnico, possono non essere accettati dall'assuntore. Il dibattito servirà a chiarire le rispettive ragioni, ma è evidente che il mancato accordo non potrà sboccare in altro se non nella richiesta avanti l'autorità giudiziaria della risoluzione del contratto.


Conseguenze delle verifiche

Indipendentemente dalla ipotesi della risoluzione del contratto e delle contestazioni, è doveroso pure esaminare quali siano le conseguenze delle disposte verifiche. Esse liberano l'appaltatore per tutto quello che è stato riscontrato regolare e ciò tanto nel caso che il committente comunichi all'assuntore il risultato delle verifiche quanto in quello che lo taccia. Diremo di piu: se il committente rileva delle imperfezioni e non le comunica a tempo debito all'assuntore, non può, in sede di verifica finale, contestare queste manchevolezze e le successive se il suo silenzio è stato causa del prolungarsi di un indirizzo nocivo al buon compimento dei lavori.

Tuttavia il risultato favorevole delle eseguite verifiche non esime l'appaltatore da responsabilità se, nel prosieguo dei lavori, la cattiva esecuzione porta danni alle opere già eseguite e verificate. Per portare un esempio estremo e che forse potrà, per la sua eccessività, apparire assurdo ma che giova a rendere chiaro il concetto, supponiamo che siano stati costruiti i primi piani di un edificio e che il committente abbia fatte le relative verifiche, dando un benestare all'assuntore. Questi, continuando i lavori, carica eccessivamente i piani superiori, danneggiando questi ed i piani inferiori già verificati. È evidente che le precedenti verifiche vengono inficiate dal fatto nuovo ed esse perdono in tutto o in parte, secondo le circostanze, il loro valore.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

475 L'articolo 539 dello schema, nuovo rispetto al codice e al progetto della Commissione reale, codifica un principio che la dottrina e la giurisprudenza desumono già dal sistema del codice.
Anche prima del compimento dell'opera bisogna, infatti, riconosce al committente un potere di vigilanza e di controllo sull'andamento dei lavori, con la conseguenza che se l'appaltatore non provvede all'esecuzione dell'opera con la dovuta diligenza, il committente, senza attendere la fine dei lavori, può, dopo aver costituito in mora l'altra parte, chiedere la risoluzione del contratto con le conseguenze relative.

Massime relative all'art. 1662 Codice Civile

Cass. civ. n. 24314/2022

Nei rapporti afferenti all'esecuzione dell'appalto, la data di ultimazione dell'opera nel suo complesso prescinde dalle attività accessorie, come gli interventi di smontaggio del cantiere, e dalle attività prodromiche alle successive operazioni di verifica e collaudo, tra cui rientrano le prestazioni occorrenti per ovviare ai vizi e ai difetti.

Cass. civ. n. 32991/2019

In tema di appalto per interventi di ricostruzione e di immobili a seguito di eventi sismici, per i danni derivanti da omessa, parziale o carente riattazione, è configurabile la responsabilità, non solo dell'appaltatore, ma anche dell'amministrazione committente, alla luce degli obblighi sulla medesima incombenti con riferimento alla fase iniziale di progettazione dei lavori, a quelle successive dell'esecuzione e dell'ultimazione delle opere appaltate e a quella finale dell'accertamento della conformità delle opere stesse a quelle progettate con conseguente loro collaudo.

Cass. civ. n. 11194/2019

In tema di danni cagionati a terzi dall'esecuzione di opere appaltate, la regola per la quale risponde il solo appaltatore, ove abbia operato in autonomia con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, e il solo committente, nel caso in cui si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l'appaltatore al rango di "nudus minister", mentre rispondono entrambi, in solido, qualora la suddetta ingerenza si sia manifestata attraverso direttive che abbiano soltanto ridotto l'autonomia dell'appaltatore, trova applicazione anche nei rapporti interni tra le parti del contratto di appalto, nell'ipotesi in cui una di esse, sussistendo una responsabilità (esclusiva o concorrente) dell'altra, agisca in rivalsa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che, in sede di rivalsa azionata dal committente nei confronti dell'appaltatore, aveva riscontrato, conformemente all'art. 1227, comma 2, c.c., una corresponsabilità del committente per aver condiviso la scelta operativa di demolire i muri perimetrali della struttura)

Cass. civ. n. 27640/2018

In tema di appalto, gli effetti recuperatori della risoluzione in ordine alle prestazioni già eseguite operano retroattivamente, in base alla regola generale prevista dall'art. 1458 c.c., verificandosi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, una totale "restitutio in integrum". Ne consegue che, nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell'appaltatore, quest'ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato.

Cass. civ. n. 6931/2007

In tema di appalto, in caso di mancata ultimazione dei lavori, il committente può chiedere il completamento dell'opera ex art. 1453 , primo comma, cod. civ., oppure può domandare la risoluzione del contratto in base alla stessa norma, indipendentemente dall'esercizio della facoltà di verificare lo stato dei lavori e di fissare all'appaltatore un termine per il completamento di essi, prevista dall'art. 1662 cod. civ. (Cassa e decide nel merito, App. Bari, 19 Dicembre 2002).

Cass. civ. n. 2821/1999

In tema di factoring è opponibile al factor-cessionario da parte del debitore ceduto la risoluzione per inadempimento a norma dell'art. 1662, secondo comma c.c., avente efficacia ex tunc (nel caso di specie) la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva affermato in termini generali il principio dell' inopponibilità della risoluzione del contratto di appalto al cessionario di crediti inerenti a tale rapporto, allorché quest'ultimo si sia estinto successivamente alla conoscenza o all'accettazione della cessione da parte del ceduto.

Cass. civ. n. 3239/1998

Gli artt. 1667, 1668, 1669 c.c., che disciplinano la responsabilità dell'appaltatore sul presupposto della realizzazione e consegna dell'opera commessa, non escludono l'applicabilità della disciplina generale dei contratti in base alla quale, in caso di omessa ultimazione dei lavori, il committente, ai sensi dell'art. 1453, primo comma, c.c., può chiederne il completamento, indipendentemente dall'esercizio della facoltà — e non onere — del committente di controllare lo svolgimento dei lavori e di assegnare un termine per il rispetto delle condizioni stabilite, previsto dall'art. 1662 c.c., per consentire, all'inutile decorso di esso, di domandare la risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 9064/1993

L'art. 1662 c.c., il quale consente al committente di controllare l'esecuzione dell'opera nel suo svolgimento e di fissare all'appaltatore un congruo termine per ovviare alle difformità ed ai difetti riscontrati, prevede una mera facoltà e non un onere a carico del committente, in quanto ha la sola funzione di consentirgli di provocare l'automatica risoluzione del contratto al momento dell'inutile compimento del decorso del termine. Ne consegue che il mancato esercizio di tale facoltà non comporta alcuna decadenza dal diritto di ottenere l'eliminazione dei difetti a lavori ultimati, la quale si verifica soltanto in caso di accettazione senza riserve dell'opera per i vizi palesi o di tardiva denuncia dopo la consegna dell'opera per i vizi occulti.

Cass. civ. n. 2653/1993

In tema di appalto, il particolare rimedio risolutorio previsto dall'art. 1662 comma secondo c.c. oltre a costituire una deroga alla norma generale sulla risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c. perché si riferisce ad una obbligazione in corso di attuazione, differisce da quello previsto per il caso di inadempimento finale dall'art. 1668 comma secondo c.c., perché la risoluzione è ammessa anche quando l'opera non sia del tutto inadatta alla sua destinazione e quindi anche quando l'inadempimento sia temporaneo e di scarsa importanza e si presenti pertanto solo allo stato di pericolo.

Cass. civ. n. 6218/1992

Nel contratto di appalto, il committente ha diritto, ai sensi dell'art. 1662 c.c., di controllare e sorvegliare a proprie spese lo svolgimento dei lavori scegliendo non solo i tempi ed i modi della verifica ma anche le persone attraverso cui effettuarla senza che l'appaltatore possa limitare questi diritti, richiedendo che la verifica sia eseguita da particolari categorie di esperti. Pertanto, incorre nell'inadempimento legittimante la risoluzione del contratto l'appaltatore che si oppone alla verifica della esecuzione dell'opera di costruzione di una imbarcazione (nella specie, da diporto) pretendendo che essa sia affidata a tecnici del Registro Navale, il cui potere di controllo tecnico delle costruzioni marittime per fini di tutela degli interessi pubblici connessi alla sicurezza della navigazione (ai sensi dell'art. 235 c.n.) non esclude o limita i poteri di controllo e verifica che, per altri fini, spettano al committente dell'opera.

Cass. civ. n. 316/1982

Tanto nel contratto d'appalto, quanto in quello d'opera colui che si è obbligato a compiere l'opera non solo deve portare l'incarico a termine a regola d'arte,ma deve anche e quanto meno controllare che il lavoro eseguito sia idoneo al raggiungimento del risultato voluto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1662 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

U. G. chiede
venerdì 30/06/2023
“Buongiorno,
di seguito i fatti:
- Il condominio in cui vivo ha deliberato nel 2021 opere legate al bonus facciate 90%.
- L’amministratore del condominio è stato nominato responsabile dei lavori.
- Il geometra che ha redatto il capitolato è stato nominato direttore dei lavori.
- Rispetto al capitolato alcune opere non sono state eseguite ed altre sono state eseguite in maniera difforme.
- I condomini hanno segnalato le difformità all’amministratore (che ricopre anche il ruolo di responsabile dei lavori) che si è limitato a chiedere delucidazioni al direttore dei lavori, che non dà alcuna risposta.
Di seguito il quesito:
- l’onere del controllo che i lavori siano eseguiti come da capitolato spetta all’amministratore o al responsabile dei lavori e quale tra queste due figure avrebbe dovuto esercitare il controllo sulla correttezza delle opere durante lo svolgimento dei lavori?”
Consulenza legale i 07/07/2023
Il comportamento che sta tenendo l’amministratore di condominio è sostanzialmente corretto.
Nell’ambito del D.Lgs n.81/08, il responsabile dei lavori è quella figura che assume su di sé quelle responsabilità relative alla sicurezza dei lavoratori che in caso di sua assenza sarebbero attribuite direttamente al committente, ovvero nel caso specifico direttamente ai condomini. In caso di lavori in condominio è prassi frequente che questo ruolo venga assunto dall’amministratore di condominio.

Nel caso prospettato tuttavia, nulla centrano le norme sulla sicurezza nei posti di lavoro, Qui infatti vi è un committente che contesta al proprio appaltatore un non esatto adempimento delle opere a lui commissionate. La vicenda è quindi squisitamente civilistica e disciplinata dalle norme del codice civile sull’appalto di cui agli artt. 1655 e ss. del c.c.

In particolare gli artt. 1662 e 1665 del c.c. attribuiscono la facoltà al committente di verificare la realizzazione dell’opera commissionata sia durante la sua realizzazione che dopo la sua conclusione. Ovviamente se l’appalto è svolto in condominio, è assolutamente normale che la verifica venga effettuata dall’amministratore in quanto naturale rappresentante del condominio e quindi della committenza, come è altrettanto normale che ogni richiesta e osservazione in merito venga rivolta al direttore dei lavori.

Nella cantieristica tale figura ha infatti le necessarie competenze tecniche per vigilare in nome e per conto del committente sulla corretta esecuzione dell’opera impartendo anche tutte le direttive necessarie affinché i lavori siano svolti a regola d’arte; il direttore dei lavori inoltre è quella figura che certifica l’ultimazione dell’opera alla impresa costruttrice.

In virtù quindi del contratto d’opera professionale ex art. 2222 del c.c. intercorrente tra il committente (condominio) e il direttore dei lavori (geometra), quest’ultimo è responsabile, eventualmente in solido con l’impresa appaltatrice, della non corretta realizzazione dell’opera commissionata.


Dario M. R. chiede
giovedì 26/11/2020 - Lombardia
“Salve.
Nel maggio 2019 chiedo ad una ditta edile di eseguire e consensualmente chiedere permessi di costruzione poi ottenuti, per una ristrutturazione, di cui allego il capitolato presentato in comune ed accettato. Purtroppo, a mia insaputa l'addetto ai serramenti nell'agosto del 2019 aveva già provvedeva a sostituire tutti i serramenti ma sopravvalutandoli di almeno due terzi come si evince dal capitolato. Ho contestato tale fattura, avendo per l'occasione ottenuto mutuo ipotecario per ristrutturazione. Anche il perito della banca oltreché tutti gli specialisti (tra cui periti) confermano che i prezzi a me fatturati per i serramenti sono almeno il triplo del normale. In data luglio 2020 il titolare della ditta serramenti mi obbliga ad un colloquio non amichevole presso lo studio del suo legale facendomi sottoscrivere cambiali e un documento dove mi obbliga a pagargli i 60000 che nessuna banca riconosce come spesa giustificata. Certo della bontà dei vari periti del tribunale di Bergamo interpellati che con tabelle alla mano mi scriveranno perizia, ora io assurdamente non posso proseguire i lavori di ristrutturazione per non danneggiare i serramenti messi erroneamente sia nella tempistica dei lavori che nel modo. Quindi devo togliere i serramenti messi abusivamente con un sovraccarico di spese. Come mi posso muovere ora davanti a tale situazione (dato che presumo di essere stato protestato per il mancato pagamento di quella esosa parcella dei serramenti con lavori mal fatti)?

Consulenza legale i 08/12/2020
La fattispecie che si chiede di analizzare presenta purtroppo alcuni punti di contraddizione, che si risolvono negativamente nei confronti di chi pone il quesito.

Primo passo da compiere è quello di cercare di inquadrare correttamente il rapporto giuridico che si è venuto ad instaurare tra le parti, il quale dall’esame del capitolato sembra essere di una certa natura, mentre dall’analisi di come si è successivamente sviluppato assume natura e caratteri diversi.
Leggendo il capitolato che le parti hanno convenuto e sul quale, si presume, sia stato raggiunto l’accordo, sembrerebbe trattarsi di un “contratto di appalto c.d. chiavi in mano”, in quanto, facendo specifico riferimento proprio alla parte relativa agli infissi (punti 17, 18, 19 e 20), il preventivo di spesa redatto dall’appaltatore contempla la loro fornitura e posa in opera, specificando anche il tipo di materiale e la loro finitura (…alluminio completi di vetri e relativi accessori ed ogni altro occorrente…).

Ciò che non si riesce a comprendere è come mai, malgrado la conclusione di un contratto di tale tipo, scaturente dall’accettazione di quel preventivo ed a cui può attribuirsi natura giuridica di appalto misto a vendita, il committente si sia successivamente trovato ad avere rapporti diretti con il fornitore della materia (in particolare degli infissi), nei confronti del quale ha assunto direttamente l’obbligazione del pagamento del corrispettivo per i beni che gli sono stati trasferiti.
Tra i documenti fatti pervenire a questa Redazione, infatti, si ritrova una fattura, datata 20.04.2020, avente ad oggetto la fornitura e posa in opera dei serramenti contestati per il prezzo complessivo di euro 60.000, dalla quale risulta come cedente il fornitore e come cessionario committente colui che pone il quesito.

Ciò si pone in aperto contrasto con il tipo di contratto che le parti avevano concluso, per effetto del quale il committente non avrebbe dovuto avere alcun rapporto diretto con i fornitori dei beni occorrenti per la ristrutturazione, ma soltanto con l’appaltatore, con conseguente esclusione del venire ad esistenza di ogni obbligazione nei confronti di soggetti diversi dallo stesso appaltatore.
A rendere ancora più incerto il rapporto contrattuale intercorso tra le parti, complicando così ulteriormente la situazione, ha poi contribuito il successivo comportamento tenuto dallo stesso committente nei confronti dell’azienda fornitrice degli infissi, in quanto sarebbe stato indispensabile, anziché limitarsi a contestare la fattura, diffidare sin da subito il titolare di quella ditta alla rimozione dei beni forniti, disconoscendo la sussistenza di alcun rapporto contrattuale con lo stesso.

Al contrario, il committente ha prima contestato la fattura, per poi riconoscere l’esistenza di un suo debito diretto nei confronti dell’azienda fornitrice degli infissi, rilasciando perfino in suo favore un titolo esecutivo a seguito della sottoscrizione delle cambiali per un importo pari a quello risultante in fattura.
A tale comportamento, purtroppo, non può che riconoscersi natura giuridica di riconoscimento di debito, seppure sicuramente queste non erano le intenzioni del committente, con l’ulteriore conseguenza che si è venuto anche a modificare tacitamente il rapporto contrattuale già instaurato con l’appaltatore originario, quantomeno per la parte relativa alla fornitura degli infissi, alla quale, si ripete, l’appaltatore si era obbligato personalmente.

Da questa serie di eventi, così come descritti nel quesito e trasfusi sul piano della loro valenza giuridica, ne discende l’impossibilità di avvalersi dei rimedi che il codice civile prevede in favore del committente agli artt. 1659 e 1660 c.c.
In particolare, la prima di tali norme richiede che ogni variazione rispetto al progetto originario debba essere preventivamente autorizzata per iscritto, disponendosi poi al successivo art. 1660 del c.c. che, anche qualora tali variazioni dovessero rendersi necessarie per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte e siano di notevole entità, il committente avrebbe in ogni caso il diritto di recedere dal contratto corrispondendo all’appaltatore un equo indennizzo.

Questa è la lettura che, purtroppo, si ritiene potrebbe dare il giudice innanzi al quale verrebbe portata la questione.
Stando così le cose, si tratta adesso di cercare di vedere in che modo si possa uscire fuori da questa situazione, sicuramente non voluta consapevolmente.
Un rimedio a cui può pensarsi è quello previsto dall’art. 1662 c.c., norma che riconosce al committente il c.d. diritto di verifica nel corso dello svolgimento dei lavori.
Avvalendosi di tale diritto, si potrà procedere a verifica dell’opera, con l'intervento di un tecnico di propria fiducia a cui far redigere una relazione, per poi contestare all’appaltatore che l’esecuzione dell’opera non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto, in particolare lamentando la posa in opera di infissi di valore ben superiore a quello risultante dal preventivo di appalto.
Nella stessa missiva di contestazione, si andrà a fissare un termine entro cui il committente dovrà conformarsi alle condizioni convenute nel capitolato d’appalto, con la conseguenza che, trascorso inutilmente il termine indicato, il contratto dovrà intendersi risoluto, fatto salvo il diritto dello stesso committente al risarcimento del danno (come espressamente disposto dall’ultima parte dell’art. 1662 c.c.).
E’ probabile, e ci si augura, che dinanzi ad una intimazione di tale tipo il committente si ravveda di come, in effetti, il suo comportamento non sia stato aderente alle condizioni contrattuali convenute, potendo in tale comportamento intravvedersi una sua responsabilità per mancata esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 del c.c..

Per quanto concerne il dubbio circa il reale valore degli infissi, l’unico mezzo giuridico di cui, nell’immediato, ci si può avvalere è l’accertamento tecnico preventivo, disciplinato dall’art. 696 del c.p.c..
Attraverso tale istituto giuridico, infatti, è possibile chiedere al giudice, competente per l’eventuale giudizio di merito, che sia disposto un accertamento tecnico volto a verificare la qualità degli infissi che sono stati installati, e ciò onde acquisire una prova già precostituita di cui potersi avvalere in giudizio.
Anche sotto questo profilo, purtroppo, c’è un dato di fatto che sicuramente avrà un peso negativo nella valutazione del giudice, ossia il fatto che la fattura sia stata in un primo momento contestata, ma successivamente sia stato raggiunto un accordo con il fornitore, in favore del quale sono state emesse anche le cambiali.

Sarebbe stato quantomeno opportuno, se pur si aveva intenzione di raggiungere un accordo, far risultare dallo stesso che ci si obbligava al pagamento senza riconoscere il debito e con espressa riserva di ripetere quanto pagato in adempimento di quell’obbligazione all’esito di un successivo giudizio per ripetizione di indebito, giustificando tale riserva di ripetizione sulla base dell’assunto che la relativa obbligazione doveva non solo farsi ricadere sull’appaltatore, ma anche essere contenuta nella misura convenuta nelle condizioni di appalto.


Anonimo chiede
lunedì 15/01/2018 - Lombardia
“Buongiorno.
sono un architetto incaricato da una società immobiliare per la progettazione e la direzione lavori (sono quindi direttore dei lavori - la pratica edilizia è ancora attiva) per l'esecuzione di un complesso residenziale in V.. La società sta litigando per questioni contrattuali con la società a cui è stato dato l'appalto di costruire il complesso residenziale.
Il costruttore non mi permette l'accesso al cantiere: ne a me ne alla proprietà. Dalle mie conoscenze la diffida, che vi allego (del legale della società costruttrice) è a mio parere infondata. Vi chiedo una consulenza legale in merito a: 1)
io posso accedervi quando lo ritengo giusto (quindi a mia discrezione) e se la proprietà può fare lo stesso?; 2) se io posso avere un mazzo di chiavi del cantiere per garantirmi l'accesso.
lettera del legale di cui sopra:


Spett.le XXX,
riscontro la Vostra dell' 11 gennaio 2018 inviata al mio Assistito per
esporre quanto segue:
nei contratti di appalto il committente deve assicurare all'appaltatore
la possibilità di eseguire il lavoro affidatogli, sicchè l'inadempimento
di tale obbligo, nella specie il mancato pagamento del dovuto, è idoneo
di assumere rilevanza ex art. 1460 c.c. il quale prevede che nei
contratti a prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può
rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione se l'altro non
adempie. Del tutto legittima è quindi la messa in mora e la sospensione
dei lavori sino al saldo del dovuto.
Assolutamente insufficiente, talchè il rinvio alle disposizioni generali
del contratto, il rimedio previsto dall'art. 6.5 del contratto
riguardante unicamente la penale in caso di ritardo nel pagamento.
L'art. 16.1 lettera e) , da Voi richiamato, prevede la risoluzione del
contratto quando "l'appaltatrice senza irragionevole motivo sospendesse
l'esecuzione delle prestazioni oggetto del presente contratto per un
periodo superiore a 15 giorni di calendario".
In virtù di quanto sopra richiamato non può essere considerata "senza
irragionevole motivo" la sospensione lavori da parte di Immobiliare XXXX
ma invece legittimata dal Vostro inadempimento e conseguentemente
nessuna risoluzione del contratto deve intendersi verificata.
Nel caso di specie, si ripete, la sospensione dei lavori è del tutto
legittima vista la Vostra inadempienza contrattuale e pertanto Vi
diffido dall'entrare in cantiere con la DL senza autorizzazione, che non
viene accordata, da parte di Immobiliare XXX.
Cordiali saluti




Consulenza legale i 22/01/2018
Non esiste alcuna specifica norma nel codice civile, all’interno della disciplina sull’appalto, che contenga una risposta al quesito, ovvero che stabilisca se l’appaltatore possa o meno impedire l’accesso al cantiere da parte della Direzione lavori o della committenza.
Occorre quindi ragionare sul ruolo delle varie figure coinvolte nell’appalto, precisando subito, tuttavia, che molto dipende anche dal tipo di appalto (è evidente, infatti, che se si trattasse di una ristrutturazione, alla committenza non potrebbe certo essere impedito l’accesso al cantiere, essendo proprietaria dell’immobile).
Nel caso di specie si tratta di nuova costruzione, per cui il dubbio è legittimo.

Va detto che l’appaltatore esegue l’opera a proprio rischio e con i propri mezzi: egli è quindi sicuramente e direttamente responsabile del proprio cantiere, dei propri strumenti e dei propri lavoratori.
Tuttavia, la responsabilità del cantiere non fa capo solamente all’appaltatore, perché esistono tutta una serie di figure ugualmente coinvolte, ognuna delle quali ha le responsabilità proprie del ruolo svolto, che si uniscono a quelle di tutti gli altri ruoli presenti per far “funzionare” in primis la macchina della sicurezza, secondo il piano operativo stabilito.

Distinguiamo le due figure: direzione lavori e committenza.

Il Direttore dei lavori, in particolare, nell'ambito del contratto di appalto (pubblico e privato) è la figura professionale di fiducia del committente (attenzione, non è un preposto, ovvero una sorta di “sostituto” del datore di lavoro/committente, ma solo un rappresentante “tecnico”): egli, anche se non è obbligato alla presenza continua in cantiere, svolge la propria attività nella fase di realizzazione dell’opera, allo scopo di controllare lo svolgimento regolare dei lavori, l'esecuzione a perfetta regola d'arte in conformità ai relativi progetti e contratti, oltre ad essere garante nei confronti dell'amministrazione comunale dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all'esecuzione dei lavori.
Tra i compiti, infatti, del direttore dei lavori vi è l’obbligo di vigilare (è la cosiddetta “alta sorveglianza”) su tutte le fasi esecutive dell’opera e quello di segnalare formalmente al committente ed all’appaltatore le situazioni anomale e gli inconvenienti che si verificano in corso d’opera, oltre a compiti specificatamente richiamati nel T.U. sulla sicurezza per particolari attività: “Rientra negli obblighi del direttore dei lavori il compito di "alta sorveglianza" delle opere che, pur non richiedendo una presenza constante ed assidua nel cantiere, non può non risolversi quanto meno nel controllo della realizzazione dell'opera nelle sue varie fasi e nella verifica, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa in ordine al rispetto delle regole dell'arte, alla previsioni contrattuali ed alla corrispondenza dei materiali impiegati”. (Trib. Treviso Sez. III, 29/05/2017).

Ciò detto, si ritiene che l’atteggiamento assunto dall’appaltatore nel caso di specie implichi l’assunzione di una precisa responsabilità.

Impedendo che il Direttore Lavori entri in cantiere, infatti, – nel caso si verifichi qualunque eventualità che possa recare danno ai lavoratori o a terzi o comportare rischi ai sensi delle norme pubblicistiche o privatistiche (anche se il cantiere è fermo: ad es, in caso di crollo colposo di costruzioni conseguente ad evento sismico, si veda Cass. pen. Sez. IV, 08/07/2016, n. 2378) - il Direttore dei lavori potrà ritenersi esente da ogni colpa.

Nel caso specifico di cui al quesito, dunque, - al di là della fondatezza nel merito delle ragioni dell’appaltatore (eccezione di inadempimento a fronte dei mancati pagamenti) - la strategia che si ritiene più opportuna a tutela della Direzione lavori è quella di comunicare ad entrambe le figure contrattuali (committenza ed appaltatore) – per iscritto, tramite raccomandata o pec – che, a fronte dell’impossibilità di avere accesso al cantiere per l’atteggiamento ostativo dell’appaltatore – ci si ritiene esonerati da ogni responsabilità inerente al ruolo e, di conseguenza, ogni eventuale conseguenza pregiudizievole derivante dal mancato svolgimento delle proprie funzioni di sorveglianza e garanzia sarà addebitabile ad esclusivi fatto e colpa dell’appaltatore stesso.

Per quel che riguarda la committenza, si ritiene che la risposta al quesito possa rinvenirsi nell’art. 1662 cod. civ., il quale stabilisce il diritto del committente di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne lo stato. Tuttavia, va tenuto presente che secondo gli studiosi i controlli e le verifiche possono essere compiuti nei soli limiti in cui risultino giustificati, diversamente l’appaltatore potrebbe opporsi.
Nel caso di specie, in effetti il cantiere è fermo e il committente ha comunque nominato una figura ad hoc per la sorveglianza sui lavori, che è appunto il Direttore dei lavori: “In materia di affidamento di lavori di manutenzione straordinaria, il committente può esercitare direttamente forme di controllo tecnico sebbene, normalmente, le stesse siano demandate al direttore dei lavori proprio nella sua qualità di rappresentante del committente preposto a sorvegliare l'esatta esecuzione delle opere. Il committente ha, inoltre, diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato ai sensi dell'art. 1662, primo comma del codice civile (…)” (Trib. Bari Sez. IV, 13/05/2014).
Ciò per dire che, ad avviso di chi scrive, nell’ottica dell’eccezione di inadempimento sollevata dall’appaltatore, forse l’atteggiamento di quest’ultimo potrebbe trovare una qualche giustificazione.

La giurisprudenza purtroppo non aiuta nel nostro caso, anche se esiste un’isolata pronuncia che lascerebbe intendere che il comportamento dell’appaltatore sia giustificato con riguardo alla committenza ma non altrettanto con riguardo alla Direzione Lavori: “L'accesso al cantiere interessato da un appalto non è consentito neppure al committente privato ma esclusivamente al direttore di lavori che da lui sia stato nominato, che è l'unico soggetto che ha la veste giuridica per interloquire tecnicamente con l'impresa.” (Trib. Salerno Sez. I, 06/10/2010).

Per rispondere, infine, anche all’ultima domanda – ad avviso di chi scrive il Direttore dei Lavori ha il diritto di accesso al cantiere ma non necessariamente ad una copia delle chiavi: se gli viene consegnata evidentemente avrà più libertà di movimento, ma in caso contrario l’importante è che gli si consenta di svolgere il proprio ruolo.

Per tutti i motivi sopra illustrati, per concludere, se per la Direzione Lavori si ritiene pacifico il diritto di accesso e, in caso di diniego dell’appaltatore, quest’ultimo potrebbe incorrere in gravi responsabilità – aggiuntive rispetto a quelle che già si è assunto – con riguardo alla committenza l’atteggiamento ostativo dell’appaltatore potrebbe essere valutato dal Giudice con minor rigore perché non è così pacifico che il diritto di ingerenza sia esercitabile tout court, ovvero anche in assenza di valida giustificazione.