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Valore probatorio di SMS ed email

Valore probatorio di SMS ed email
Messaggi di testo e di posta elettronica formano piena prova se colui contro il quale viene prodotto non ne contesta la conformità ai fatti o alle cose rappresentate.
Con l’ordinanza n.19155/2019, la I Sezione Civile della Cassazione torna sul valore probatorio di messaggi SMS ed email.
Questi i fatti di causa.
Una donna aveva chiesto ed ottenuto dal Giudice di Pace l’emissione di decreto ingiuntivo, nei confronti dell’ex compagno, per il pagamento di una somma a titolo di rimborso delle spese straordinarie sostenute dalla ricorrente nell’interesse del figlio minore, nato dalla relazione sentimentale dei due.
A seguito di opposizione proposta dall’uomo, il Giudice di Pace revocava il decreto ingiuntivo.
Il Tribunale però, investito dell’appello, riformava la sentenza di primo grado e rigettava la proposta opposizione.
In particolare, secondo il giudice di secondo grado, dagli “SMS” prodotti dalla donna ed inviati a quest’ultima dall’ex compagno - documenti questi non contestati tempestivamente (se non, tardivamente, in comparsa conclusionale), quanto a provenienza e contenuto, dall’opponente - emergeva l’adesione di quest’ultimo all’iscrizione del minore all’asilo nido ed all’accollo da parte del padre della metà della retta dovuta, accordo comunque rispondente all’interesse del figlio.
Avverso la sentenza di appello l’opponente proponeva ricorso per cassazione articolato su tre motivi.
Nel dettaglio, il ricorrente lamentava:
1) che il Tribunale avesse riconosciuto efficacia probatoria, quale scrittura privata, a tre messaggi telefonici riprodotti meccanicamente, attribuendoli erroneamente al medesimo ricorrente, quale presunto autore, pur essendo privi di sottoscrizione e del numero di cellulare del soggetto che li aveva inviati e del soggetto che li aveva ricevuti;
2) che il Tribunale non avesse rilevato che l’opponente, all’udienza di prima comparizione delle parti dinanzi al Giudice di Pace, aveva tempestivamente contestato “le produzioni” della donna e, quindi, l’unico documento prodotto dalla stessa con la costituzione in giudizio, contestazione questa sufficiente, trattandosi di documenti privi di sottoscrizione che non dovevano essere formalmente disconosciuti ai sensi dell'art. 214 del c.p.c. e dell'art. 215 del c.p.c. c.p.c.;
3) che il Tribunale avesse attribuito efficacia probatoria piena alla riproduzione meccanica dei tre messaggi telefonici e non efficacia meramente indiziaria, in presenza di contestazione della parte contro cui era stata prodotta, con conseguente erronea valutazione del contenuto degli stessi messaggi.
La Corte ha esaminato per primo il secondo motivo, ritenendolo pregiudiziale.
In proposito, la Corte ha ricordato una propria recente pronuncia (Cass. 5141/20119), secondo cui “lo “short message service” (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 del c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l’eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 2, poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni”.
Secondo altra pronuncia della Suprema Corte (Cass.11606/2018), pure menzionata nell’ordinanza in esame, in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, “il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Ed ancora, sempre in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., la Corte ha rammentato che il disconoscimento idoneo a fare perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta.
Alla luce di tali principi, i giudici di legittimità hanno ritenuto di condividere le conclusioni raggiunte dal giudice d’appello, il quale aveva attribuito rilevanza al contenuto di tre SMS (la cui trascrizione era stata prodotta dalla donna, in sede di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), ritenuti di chiaro tenore in ordine all’impegno del padre di accollarsi la metà delle spese relative alla retta dell’asilo-nido, osservando che l’invio ed il contenuto di tali messaggi non erano stati contestati dall’opponente, comparso personalmente all’udienza di prima comparizione, senza rilevare alcunché, se non tardivamente ed inammissibilmente, con la comparsa conclusionale. Inoltre, non era sufficiente una generica contestazione del documento, atteso che il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali, anche di documenti informatici aventi efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2712 c.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta.
Oltretutto - aggiunge la Corte - nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi” (cioè della dispensa dall'onere della prova riguardo ai fatti non contestati), spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte.
Il primo motivo è stato, pertanto, ritenuto assorbito nel secondo.
Quanto al terzo motivo, la Corte lo ha dichiarato inammissibile.
Infatti, per il Supremo Collegio, l’art. 116 c.p.c.. prescrive che il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti. Dunque la sua violazione è concepibile solo se il giudice di merito valuta una determinata prova, ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria, ovvero se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando detta norma.
La Cassazione ha, pertanto, respinto il ricorso.


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