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Che valore hanno nel processo sms ed e-mail?

Che valore hanno nel processo sms ed e-mail?
Nel processo civile gli strumenti informatici quali sms ed e-mail costituiscono piena prova, salvo disconoscimento chiaro, circostanziato ed esplicito.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19155 del 13 giugno 2019, si è occupata dell’attuale quanto problematico tema della valenza probatoria di sms ed e-mail nel processo civile.
Tali strumenti informatici, costituendo prove nuove e non appartenenti alla tradizione del processo civile, vengono dalla giurisprudenza da tempo assimilati a quelle “riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose” menzionate dall’art. art. 2712 del c.c..
Il caso di specie riguardava un padre separato a cui era stato ordinato di pagare la sua quota di retta dell’asilo nido del figlio. Tale prescrizione trovava giustificazione sulla base di diversi sms nei quali veniva mostrata adesione all’iniziativa dell’iscrizione, presa dalla madre del bambino.
Nella motivazione della sentenza si legge un richiamo fatto alla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione secondo la quale “lo ‘short message service (sms) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime.” Lo stesso viene osservato con riguardo alle e-mail, anch’esse riconducibili all’ambito di applicazione di cui all’art 2712 c.c.
Dai fatti di causa è emerso che né l’invio né il contenuto degli sms nei quali il padre assecondava l’iniziativa della moglie di iscrivere il bambino all’asilo nido, accollandosi la metà delle spese, erano stati contestati. L’opponente, infatti, nulla aveva rilevato in sede di prima comparizione, e si era limitato a contestare il contenuto dei messaggi di testo nella comparsa conclusionale, e quindi tardivamente.
Tuttavia, osservano a tal riguardo i giudici, non sarebbe stata sufficiente una “generica contestazione”, essendo invece necessario effettuare un disconoscimentochiaro, circostanziato ed esplicito”, anche allegando elementi che possano comprovare la non corrispondenza tra ciò che è stato riprodotto e la realtà dei fatti.
In ogni caso, affermano gli ermellini respingendo il ricorso, l’eventuale disconoscimento della conformità delle risultanze probatorie ai fatti “non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall’art. 215 comma 2 c.p.c. poichè, mentre nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.


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