L'integrità psicofisica è oggetto di un diritto inviolabile della persona, conformemente a quanto previsto dall'art. 32 Cost.. E non basta riconoscere il danno biologico per risarcire una persona coinvolta in un incidente stradale. Lo ricorda la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 27102 del 9 ottobre scorso, un provvedimento che riafferma un principio essenziale: la vittima ha diritto a un risarcimento pieno ed integrale, che tenga conto non soltanto delle lesioni fisiche, ma anche della sofferenza interiore e del turbamento emotivo prodotti dall'evento.
	
I giudici di piazza Cavour hanno tratto spunto da un caso pratico relativo a un sinistro, avvenuto a Belluno. Una donna fu - infatti - vittima di un incidente, venendo investita da un furgone mentre attraversava la strada. Il tribunale, in primo grado, aveva respinto la sua domanda di risarcimento, ritenendola interamente responsabile dell'accaduto. In secondo grado l'esito giudiziario fu ribaltato. Infatti, a seguito di una diversa ricostruzione delle dinamiche del sinistro, la Corte d'Appello riconobbe una responsabilità di tipo concorrente, ossia 70% a carico del passante e 30% del conducente. La donna ottenne, così, un risarcimento pari a diverse decine di migliaia di euro per danno non patrimoniale, poi ridotto a circa un terzo per effetto del concorso di colpa col guidatore.
	
La vittima, però, proseguì oltre la disputa e si rivolse alla Cassazione, con apposito ricorso. In particolare, in questa sede lamentava che il giudice di secondo grado non avesse distinto e riconosciuto il danno morale accanto al danno biologico. Ebbene, per la Suprema Corte occorre nettamente differenziare questi ultimi che - nel caso concreto - erano ricorrenti entrambi, appartenendo alla più ampia categoria del danno non patrimoniale menzionato dal legislatore, all'art. 2059 del c.c..
	
In sintesi:
I giudici di piazza Cavour hanno tratto spunto da un caso pratico relativo a un sinistro, avvenuto a Belluno. Una donna fu - infatti - vittima di un incidente, venendo investita da un furgone mentre attraversava la strada. Il tribunale, in primo grado, aveva respinto la sua domanda di risarcimento, ritenendola interamente responsabile dell'accaduto. In secondo grado l'esito giudiziario fu ribaltato. Infatti, a seguito di una diversa ricostruzione delle dinamiche del sinistro, la Corte d'Appello riconobbe una responsabilità di tipo concorrente, ossia 70% a carico del passante e 30% del conducente. La donna ottenne, così, un risarcimento pari a diverse decine di migliaia di euro per danno non patrimoniale, poi ridotto a circa un terzo per effetto del concorso di colpa col guidatore.
La vittima, però, proseguì oltre la disputa e si rivolse alla Cassazione, con apposito ricorso. In particolare, in questa sede lamentava che il giudice di secondo grado non avesse distinto e riconosciuto il danno morale accanto al danno biologico. Ebbene, per la Suprema Corte occorre nettamente differenziare questi ultimi che - nel caso concreto - erano ricorrenti entrambi, appartenendo alla più ampia categoria del danno non patrimoniale menzionato dal legislatore, all'art. 2059 del c.c..
In sintesi:
- il danno biologico riguarda la lesione all'integrità psicofisica, accertata dal punto di vista medico;
 - il danno morale, invece, rappresenta il dolore, la paura, la frustrazione, la perdita di serenità che la persona prova in conseguenza dell'incidente.
 
	Ignorare quest'ultima componente, spiega la Corte, significa non risarcire completamente il pregiudizio subìto dalla vittima. Nella sua decisione, la Cassazione richiama alcuni capisaldi del nostro ordinamento, tra cui l'art. 2054 del c.c. - che disciplina la responsabilità nella circolazione dei veicoli - e l'art. 1227 del c.c., che regola il concorso di colpa del danneggiato.
	
In materia, di orientamento è la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26972/2008, per la quale il danno non patrimoniale comprende diverse componenti (biologico, morale e dinamico-relazionale), che il giudice di merito deve valutare scrupolosamente e unitariamente. In particolare, deve distinguerle nella motivazione della sentenza, per rendere chiaro a che cosa si riferisce la somma riconosciuta a titolo di risarcimento.
	
Inoltre, dal punto di vista pratico, la liquidazione del danno non patrimoniale avviene secondo le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, riconosciute dai giudici di piazza Cavour come criterio di riferimento nazionale. In particolare, il risarcimento del danno - in casi come questo - è agevolato, perché tali tabelle prevedono la possibilità di includere, anche in via presuntiva, la sofferenza morale scaturente dal fatto. In termini pratici, questo vuol dire che - salvo diversa motivazione - il magistrato deve sempre considerare quella componente psicologica e motivare in modo puntuale la liquidazione anche del danno morale. Quest'ultimo non è una sorta di voce accessoria, ma una componente essenziale del pregiudizio subìto, che andrà esplicitata - nel calcolo del risarcimento - da parte del magistrato.
	
Nel caso in esame, la Corte d'Appello - pur avendo correttamente ricostruito i fatti e ripartito la colpa - aveva liquidato soltanto la voce di danno biologico, senza chiarire se la somma comprendesse anche dolore e sofferenza interiore. Per questo motivo, la Cassazione ha ritenuto la decisione viziata da un errore di diritto, rinviando la causa alla Corte d'Appello che, in diversa composizione, procederà a una nuova liquidazione conforme ai criteri delle tabelle milanesi. Nella decisione il giudice di merito terrà conto anche del danno morale.
	
Concludendo, in mancanza di una accurata valutazione di tutte le voci di danno in gioco, ogni sentenza di merito è suscettibile di cassazione, proprio come accaduto nel caso di Belluno. Chi subisce un incidente ha diritto a essere risarcito non soltanto per la menomazione fisica, ma anche per il disagio psicologico che ne deriva. Una sofferenza che, pur non misurabile oggettivamente con strumenti medici, è pur sempre una componente reale del danno alla persona, tutelata dalla legge e dalla giurisprudenza.
In materia, di orientamento è la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26972/2008, per la quale il danno non patrimoniale comprende diverse componenti (biologico, morale e dinamico-relazionale), che il giudice di merito deve valutare scrupolosamente e unitariamente. In particolare, deve distinguerle nella motivazione della sentenza, per rendere chiaro a che cosa si riferisce la somma riconosciuta a titolo di risarcimento.
Inoltre, dal punto di vista pratico, la liquidazione del danno non patrimoniale avviene secondo le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, riconosciute dai giudici di piazza Cavour come criterio di riferimento nazionale. In particolare, il risarcimento del danno - in casi come questo - è agevolato, perché tali tabelle prevedono la possibilità di includere, anche in via presuntiva, la sofferenza morale scaturente dal fatto. In termini pratici, questo vuol dire che - salvo diversa motivazione - il magistrato deve sempre considerare quella componente psicologica e motivare in modo puntuale la liquidazione anche del danno morale. Quest'ultimo non è una sorta di voce accessoria, ma una componente essenziale del pregiudizio subìto, che andrà esplicitata - nel calcolo del risarcimento - da parte del magistrato.
Nel caso in esame, la Corte d'Appello - pur avendo correttamente ricostruito i fatti e ripartito la colpa - aveva liquidato soltanto la voce di danno biologico, senza chiarire se la somma comprendesse anche dolore e sofferenza interiore. Per questo motivo, la Cassazione ha ritenuto la decisione viziata da un errore di diritto, rinviando la causa alla Corte d'Appello che, in diversa composizione, procederà a una nuova liquidazione conforme ai criteri delle tabelle milanesi. Nella decisione il giudice di merito terrà conto anche del danno morale.
Concludendo, in mancanza di una accurata valutazione di tutte le voci di danno in gioco, ogni sentenza di merito è suscettibile di cassazione, proprio come accaduto nel caso di Belluno. Chi subisce un incidente ha diritto a essere risarcito non soltanto per la menomazione fisica, ma anche per il disagio psicologico che ne deriva. Una sofferenza che, pur non misurabile oggettivamente con strumenti medici, è pur sempre una componente reale del danno alla persona, tutelata dalla legge e dalla giurisprudenza.