C'è una nuova sentenza del Tribunale di Milano che, di fatto, cambia l'equilibrio tra chi ama fare le ore piccole e il diritto al riposo. Il rumore notturno non è soltanto un fastidio, perché - quando supera i limiti di tollerabilità e l'amministrazione comunale non interviene adeguatamente, per impedirne il superamento - può trasformarsi in una vera e propria violazione di diritti fondamentali dell'individuo. E per l'ente pubblico scattano conseguenze economiche da non sottovalutare, come recentemente chiarito dalla sentenza n. 9566 del giudice meneghino.
La pronuncia è di certo degna di nota, perché fissa un non trascurabile precedente giurisprudenziale, condannando l'amministrazione comunale a risarcire i residenti, per i danni causati dalla movida molesta. Infatti, i rumori notturni, prodotti da chi si intrattiene con gli amici e fa baldoria, possono essere fonte di danno per chi vuole riposare nella propria abitazione.
Ricapitolando, in breve, la vicenda concreta, dal 2016 gli abitanti del quartiere Lazzaretto-Melzo denunciavano una situazione diventata insostenibile. Musica ad alto volume, urla e schiamazzi, assembramenti e frastuono continuo proveniente dalle strade e dalle aree pubbliche impedivano non soltanto il sonno, ma ledevano il diritto alla quiete all'interno della proprie mura domestiche.
Ebbene, nel giudizio di merito, la magistratura in particolare ha acclarato che la fastidiosa movida era fonte di:
La pronuncia è di certo degna di nota, perché fissa un non trascurabile precedente giurisprudenziale, condannando l'amministrazione comunale a risarcire i residenti, per i danni causati dalla movida molesta. Infatti, i rumori notturni, prodotti da chi si intrattiene con gli amici e fa baldoria, possono essere fonte di danno per chi vuole riposare nella propria abitazione.
Ricapitolando, in breve, la vicenda concreta, dal 2016 gli abitanti del quartiere Lazzaretto-Melzo denunciavano una situazione diventata insostenibile. Musica ad alto volume, urla e schiamazzi, assembramenti e frastuono continuo proveniente dalle strade e dalle aree pubbliche impedivano non soltanto il sonno, ma ledevano il diritto alla quiete all'interno della proprie mura domestiche.
Ebbene, nel giudizio di merito, la magistratura in particolare ha acclarato che la fastidiosa movida era fonte di:
- disturbi gravi e continuativi del riposo notturno;
- peggioramento delle condizioni di salute;
- sensazione di insicurezza generale;
- degrado urbano, con danneggiamenti a edifici e automobili;
- deprezzamento degli immobili residenziali.
Nonostante le numerose segnalazioni da parte di cittadini ormai esausti ed esasperati, in giudizio è stato altresì acclarato che il Comune non aveva adottato misure efficaci per contenere il fenomeno. Perciò, la movida continuò e proprio questa inerzia e passività si è rivelata decisiva ai fini della condanna.
In particolare, sono stati numeri e prova tecnica a inchiodare l'amministrazione alle sue responsabilità. Infatti, il piano di classificazione acustica comunale assegnava alla zona la classe IV, che - in aderenza alle linee guida dell'OMS - prevede 55 decibel come limite massimo nelle ore notturne, da non superare neanche per brevi periodi. Tuttavia, in corso di causa, la consulenza tecnica d'ufficio ha rilevato picchi fino a 73,5 decibel in alcune strade della zona, con superamenti costanti dei limiti di tollerabilità sia all'esterno sia all'interno delle abitazioni, anche a finestre chiuse. Al contempo, i dati raccolti hanno evidenziato l'origine antropica del rumore, ossia la sua provenienza da persone e assembramenti raccolti nelle strade pubbliche, oltre che nei bar e locali.
Considerando inoltre che, per l'OMS, 40 decibel costituiscono la soglia ideale per il sonno, nel caso milanese le soglie risultavano ampiamente violate, a diretto danno della cittadinanza.
Come accennato, il Comune è stato così ritenuto responsabile per danni. Anzi, uno degli aspetti chiave della sentenza riguarda proprio l'inquadramento giuridico della responsabilità dell'ente. In particolare, il giudice ha spiegato che:
In particolare, sono stati numeri e prova tecnica a inchiodare l'amministrazione alle sue responsabilità. Infatti, il piano di classificazione acustica comunale assegnava alla zona la classe IV, che - in aderenza alle linee guida dell'OMS - prevede 55 decibel come limite massimo nelle ore notturne, da non superare neanche per brevi periodi. Tuttavia, in corso di causa, la consulenza tecnica d'ufficio ha rilevato picchi fino a 73,5 decibel in alcune strade della zona, con superamenti costanti dei limiti di tollerabilità sia all'esterno sia all'interno delle abitazioni, anche a finestre chiuse. Al contempo, i dati raccolti hanno evidenziato l'origine antropica del rumore, ossia la sua provenienza da persone e assembramenti raccolti nelle strade pubbliche, oltre che nei bar e locali.
Considerando inoltre che, per l'OMS, 40 decibel costituiscono la soglia ideale per il sonno, nel caso milanese le soglie risultavano ampiamente violate, a diretto danno della cittadinanza.
Come accennato, il Comune è stato così ritenuto responsabile per danni. Anzi, uno degli aspetti chiave della sentenza riguarda proprio l'inquadramento giuridico della responsabilità dell'ente. In particolare, il giudice ha spiegato che:
- l'amministrazione comunale, in quanto gestore delle strade e degli spazi pubblici, è soggetta anch'essa all'applicazione dell'art. 844 del c.c. esattamente come un privato proprietario;
- la norma civilistica vieta le immissioni di rumori che superino la normale tollerabilità, valutata in base alla condizione dei luoghi, ai parametri tecnici e al rumore di fondo;
- è irrilevante che l'ente non sia l'autore materiale del rumore;
- l'obbligo di intervenire nasce dal diritto di proprietà e dalla gestione del bene pubblico.
Ecco perché il giudice civile ha ordinato al Comune di far cessare o ridurre le immissioni rumorose. Al contempo, ha disposto una misura coercitiva ai sensi dell'art. 614 bis del c.p.c., con una sanzione economica per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione.
La pronuncia in oggetto è interessante anche sotto un altro profilo. Infatti, non è necessario che i cittadini chiamino in causa i gestori dei locali. Il Comune è legittimato passivo autonomo, in quanto proprietario delle vie da cui giungono le immissioni.
La responsabilità risarcitoria è stata provata perché, nel caso di Milano, il Tribunale ha ritenuto dimostrata la colpa omissiva del Comune, valorizzando i poteri-doveri previsti dalla legge 447/1995 sull'inquinamento acustico, dal Testo unico degli enti locali e dalla normativa di settore, l'inefficacia delle misure adottate e la mancata attivazione di ulteriori iniziative esigibili secondo il criterio giurisprudenziale del "più probabile che non".
Non solo. Il rumore notturno viene qualificato come una lesione dei diritti costituzionali alla salute, all'inviolabilità del domicilio e al pacifico godimento della proprietà. I giudici sono molto chiari, perché nella sentenza spiegano che rumori di quella intensità "impediscono di dormire, generando una situazione di stanchezza cronica che pregiudica lavoro, incombenze quotidiane, svago e relazioni sociali". Non si tratta quindi di un semplice disagio, ma di un pregiudizio serio, attuale e - quindi - risarcibile in via equitativa.
Il Tribunale ha, inoltre, chiarito che il danno extracontrattuale non è in re ipsa. Infatti, in circostanze come queste, va sempre provato, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti. Il riconoscimento del diritto al risarcimento - pari in totale a circa 250mila euro - ha tenuto conto, altresì, del deprezzamento degli immobili: chi investe in una casa ha diritto a una qualità minima della vita. Perciò, se il quartiere diventa invivibile di notte, il danno non è solo personale, ma anche patrimoniale. E va riconosciuto.
Contro la sentenza il Comune di Milano ha annunciato il ricorso, ma la decisione è immediatamente esecutiva per quanto riguarda l'obbligo di ridurre il rumore e il pagamento delle somme dovute.
Concludendo, collocandosi in un panorama giurisprudenziale ormai consolidato, la sentenza n. 9566 lancia un messaggio chiaro a tutte le amministrazioni locali: favorire le attività commerciali notturne e le relazioni sociali non può avvenire a discapito della salute e del diritto al riposo dei residenti. Con questa pronuncia, il bilanciamento tra divertimento e diritti fondamentali ha ora confini più netti. E il Comune deve rispondere, al pari di un privato, se non si adopera tempestivamente per tutelare i cittadini dalle immissioni rumorose della movida.