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Azione di ripetizione dell’indebito da parte del correntista e ripartizione dell’onere della prova

Azione di ripetizione dell’indebito da parte del correntista e ripartizione dell’onere della prova
La Corte di Cassazione riafferma il principio secondo cui in materia di azione di ripetizione dell’indebito avverso l’istituto di credito spetta al correntista l’onere della prova.
La Corte di Cassazione, prima sezione civile, con ordinanza n. 2555 del 27 gennaio 2023, ha riaffermato il principio di diritto secondo cui nelle controversie in materia di ripetizione dell’indebito (art. 2033 del c.c.) avverso l’istituto di credito da parte del correntista, è su quest’ultimo che grava l’onere della prova. In particolare, il cliente correntista deve dimostrare in giudizio non solo il fatto positivo, circa il pagamento di una somma di denaro a favore dell’istituto di credito, bensì anche quello negativo, corrispondente all’eccedenza della prestazione effettuata rispetto a quella in realtà dovuta all’istituto di credito.

Al fine di comprendere la decisione in esame, è necessario partire da premesse ermeneutiche di carattere generale.
In generale, occorre ricordare che in tema di ripetizione di indebito, l’onere della prova è a carico dell’attore: quest’ultimo, difatti, deve dimostrare non solo l’avvenuto pagamento a favore della controparte (attraverso l’allegazione degli estratti conto), bensì anche l’assenza di una ragione giustificatrice a suo sostegno (Cass. 27 novembre 2018, n. 30713). Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, il principio processualistico in esame trova applicazione anche qualora tra le parti vi sia un pregresso rapporto contrattuale (Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948): anche in tal ultimo caso, al fine di dimostrare l’esistenza di un indebito oggettivo, è sull’attore danneggiato che grava l’onere di provare la prestazione indebitamente effettuata a favore dell’altra parte. Non grava, pertanto, sul convenuto l’onere della prova circa la giustificatrice della prestazione ricevuta, ovvero la prova negativa della loro natura di indebito oggettivo.

I principi in esame trovano applicazione anche in materia bancaria, rispettivamente nei rapporti tra cliente correntista ed istituto di credito: è sul primo, difatti, che grava l’onere della prova circa la ripetizione delle somme indebitamente percepite dall’istituto di credito, in caso di declaratoria di nullità delle clausole del contratto bancario per interessi ultra legali (art. 1284 del c.c.), ovvero anatocistici (art. 1283 del c.c.).
Nella prassi, molteplici sono oramai le controversie bancarie relative alla restituzione delle somme indebitamente percepite dagli istituti di credito, attraverso modalità contrattuali contra legem. In particolare, ad oggi sempre più frequenti sono le vertenze bancarie in materia di interessi anatocistici, ovvero interessi ultra-legali, perfezionati all’interno dei contratti di mutuo e finanziamento con la clientela. Ciò in quanto in passato la legislazione bancaria era meno restrittiva di quella attuale, permettendo così agli istituti di credito di redigere contratti con la clientela a condizioni molto favorevoli agli istituti di credito, e di converso, sfavorevoli per i clienti (si pensi alla capitalizzazione trimestrale degli interessi a favore degli istituti di credito, oggi considerate nulle dalla giurisprudenza di legittimità, cfr Cassazione, SS.UU., sent. 24418/2010).
Il legislatore, tuttavia, ad oggi non impedisce la redazione di contratti bancari a condizioni maggiormente favorevoli per gli istituti di credito: sono, pertanto, ancora ammessi contratti bancari con interessi anatocistici, ovvero ultra legali, purché rispettosi dei limiti di legge.
Quanto agli interessi anatocistici, l’ art. 1283 c.c., pur vietando il fenomeno dell’anatocismo (ossia, in base al quale gli interessi scaduti producono, a loro volta, interessi), lo consente tuttavia “per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza”. La disposizione codicistica è confermata anche dall’120tunicbanc, il quale consente la produzione di interessi su interessi, previa comunicazione alla clientela, a norma dell' art. 119 del T.U. bancario.
In relazione agli interessi ultra - legali, questi sono possibili, se pattuiti per iscritto, a norma dell’art. 1284 c.c., il quale statuisce che “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”. A confermare suddetta possibilità è anche l’art. 117 del T.U. bancario, il quale, al comma 4, statuisce che: “I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”. Limite agli interessi ultra-legali è il tasso di usura (art. 644 del c.p.): a norma dell’art. 1815 del c.c., comma 2 (norma relativa al contratto di mutuo, ma estesa in via generale) i contratti che prevedono tassi usurari si considerano gratuiti, e pertanto, nessuna somma a titolo di interessi è dovuta alla controparte contrattuale.

Così che, qualora il cliente correntista agisca avverso l’istituto di credito per la declaratoria di nullità delle clausole contrattuali che prevedono interessi anatocistici, ovvero ultra - legali, al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge, deve provare, al fine della restituzione delle somme indebitamente percepite dall’istituto di credito, l'inesistenza di una giusta causa dell'attribuzione patrimoniale compiuta in favore della banca convenuta. In particolare, la sentenza in esame, sulla scia della precedente giurisprudenza di legittimità, ha precisato che: “alle controversie tra Banca e correntista, introdotte su domanda del secondo allo scopo di contestare il saldo negativo per il cliente e di far rideterminare i movimenti ed il saldo finale del rapporto, alla luce della pretesa invalidità delle clausole contrattuali costituenti il regolamento pattizio e, così, ottenere la condanna della Banca al pagamento delle maggiori spettanze dell'attore, quest'ultimo è gravato del corrispondente onere probatorio, che attiene agli aspetti oggetto della contestazione”. La prova dell'indebito oggettivo può derivare anche da meri argomenti di prova, così come previsto dall' art. 116 del c.p.c., da desumersi, in generale, anche dal contegno tenuto delle parti nel corso del processo.


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