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Automobilista si imbatte in un quad nei pressi di un incrocio e non rallenta: si configura l'omicidio colposo?

Automobilista si imbatte in un quad nei pressi di un incrocio e non rallenta: si configura l'omicidio colposo?
È colpevole di omicidio colposo aggravato chi investe un persona in un incrocio se, pur avendo la precedenza, non rallenta.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15238/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla configurabilità o meno del delitto di omicidio colposo aggravato in capo all’automobilista che, in corrispondenza di un incrocio, abbia causato la morte di alcune persone che erano a bordo di un altro mezzo, nel caso in cui, pur avendo la precedenza, non abbia rallentato.

La questione sottoposta al vaglio degli Ermellini era nata dalla condanna per omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, inflitta ad un automobilista, all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, in seguito alla morte delle persone che si trovavano a bordo di un quad, il quale, di notte, si era immesso improvvisamente nell’incrocio occupato dall’auto dell’imputato, il quale, però, non aveva rallentato.

Di fronte alla conferma, in appello, della propria condanna, l’imputato ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, innanzitutto, l’omessa valutazione, da parte dei giudici di merito, della condotta da lui concretamente tenuta, considerato che, con i propri motivi d’appello, egli aveva prospettato l’inevitabilità dell’evento, in quanto l’immissione in strada del quad a bordo del quale si trovavano le persone decedute a seguito dello scontro, era avvenuta dopo che lui aveva già pienamente usufruito del proprio diritto di precedenza. Secondo l’automobilista, infatti, l’evento avrebbe dovuto essere interamente attribuito alla condotta improvvida del conducente del quad, la quale lo aveva reso inevitabile, a prescindere dalla velocità da lui tenuta, in quanto l’immissione sulla strada del mezzo delle vittime era avvenuta quando la sua auto aveva già interamente impegnato l’incrocio, rendendo impossibile qualsiasi manovra di emergenza e facendo, così, risultare inevitabile l’evento.

Con il secondo motivo di ricorso si eccepiva, poi, la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dall’acquisizione della relazione del consulente tecnico della difesa, nonché dall’espletamento di una perizia tecnica, al fine di valutare la condotta dell’imputato tenendo conto della necessità di verificare la prevedibilità e l’evitabilità dell’evento.

Con il terzo motivo si lamentava, infine, la violazione degli articoli 157, 589 e 589 bis del c.p., nonché l’illogicità della motivazione fornita dalla Corte territoriale, con riferimento al mancato rilievo dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Il ricorrente evidenziava, infatti, come il comma 2 dell’art. 589 del c.p., il quale stabiliva il raddoppio dei termini di prescrizione, fosse stato abrogato, divenendo un’ipotesi di reato a sé stante, nonché come non vi fosse identità di ratio con la nuova fattispecie autonoma di omicidio stradale, di cui all’art. 589 bis del c.p. Si rilevava, altresì, come l’elemento soggettivo di tale ultima fattispecie risultasse avere un contenuto diverso rispetto all’ipotesi di omicidio colposo aggravato di cui al comma 2 dell’art. 589 del c.p., richiedendo l’imputabilità dell’evento alla negligenza del conducente nel rispetto delle norme sulla circolazione stradale.
Alla luce di ciò, dunque, secondo l’imputato, i giudici di merito avrebbero dovuto applicare, nei suoi confronti, l’ultimo comma dell’art. 589 del c.p., rilevando, altresì, l’avvenuta estinzione del reato per prescrizione.

Il ricorrente ha, altresì, lamentato la mancata applicazione della circostanza attenuante prevista dal comma 7 dell’art. 589 bis del c.p., di cui, a suo avviso, sussistevano tutti i presupposti.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, giudicando privi di fondamento i motivi di doglianza proposti.

Quanto al primo motivo di ricorso, gli Ermellini hanno descritto la motivazione fornita dalla Corte d’Appello come pienamente idonea a dar conto della prevedibilità dell’evento e, con essa, anche della riconducibilità della sua verificazione alla condotta inosservante delle regole di prudenza e dei limiti di velocità tenuta dall’imputato, considerato che, se la sua velocità fosse stata inferiore al limite massimo e adeguata alla situazione dei luoghi, lo scontro non si sarebbe verificato. Dai rilievi eseguiti nel caso de quo era, invece, emerso che l’imputato, al momento dell’accaduto, procedeva, di notte, ad una velocità di 100 km/h, senza rallentare nemmeno in prossimità di un incrocio.

In relazione, poi, al secondo motivo di ricorso, con cui l’imputato aveva eccepito l’omessa assunzione di prove decisive, costituite dall’acquisizione della relazione del consulente tecnico della difesa e dalla disposizione di una perizia, gli Ermellini hanno evidenziato come la mancata effettuazione di un accertamento peritale non possa costituire motivo di ricorso per Cassazione. La perizia, infatti, non può essere fatta rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, considerato che l’art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, c.p.p., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr. Cass. Pen., SS.UU., n. 39746/2017).

Quanto al mancato rilievo dell'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, i giudici di legittimità hanno, innanzitutto, evidenziato come, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 41/2016, l’art. 589, comma 2, c.p., applicabile ratione temporis alla condotta contestata, comminasse, a fronte dell’omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, la pena della reclusione da due a sette anni, integrando una circostanza aggravante ad effetto speciale. Quanto, invece, alla fattispecie di omicidio stradale, introdotta all’art. 589 bis del c.p. dalla l. n. 41/2016, i giudici di legittimità hanno ribadito come essa costituisca un’autonoma ipotesi di reato (Cass. Pen., n. 29721/2017).

Gli Ermellini hanno, pertanto, evidenziato come i giudici di merito non abbiano commesso alcun errore nel computo del termine di prescrizione, posto che tra l’art. 589, comma 2, c.p. e l’art. 589 bis c.p. vi è piena continuità normativa, in quanto il fenomeno successorio che si è verificato risulta caratterizzato da un’evidente continuità tra l’ipotesi aggravata, formalmente abrogata, e l’analoga nuova previsione introdotta dalla l. n. 41/2016, la quale non comporta, quindi, alcun problema si successione di leggi penali nel tempo, ex art. 2 del c.p.
La precedente circostanza aggravante, che rappresenta oggi un elemento costitutivo della nuova ipotesi autonoma di reato, risulta, difatti, riprodotta pedissequamente nel testo della nuova disposizione, dovendosi, quindi, escludere che dall’introduzione di quest’ultima possa derivare l’eliminazione sopravvenuta della circostanza aggravante. Quest’ultima, dunque, è stata correttamente applicata dalla sentenza di merito emessa in relazione al caso di specie, in quanto, secondo un fenomeno di continuità normativa, è tutt’ora vigente ed efficace sotto la rubrica dell’art. 589 bis del c.p.

Quanto, infine, alla doglianza relativa al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, c.p., la Cassazione l’ha giudicata anch’essa inammissibile, sia a causa della sua genericità, consistendo nella mera enunciazione della censura, sia perché formulata per la prima volta con il ricorso in Cassazione, sia, ancora, perché attinente ad una valutazione di merito.


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