Questa la vicenda processuale.
All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Ancona, nel pronunciare il divorzio tra due coniugi, aveva dichiarato inammissibili le domande volte a ottenere l’affidamento e il mantenimento della figlia - maggiorenne con disabilità - pur disponendo la conservazione dell’assegnazione della casa familiare nell’interesse della ragazza, come già stabilito in sede di separazione.
In secondo grado la Corte marchigiana confermava quanto statuito dal Tribunale, ivi compresa l’assegnazione dell’abitazione, non essendo venuta meno - a parere della Corte territoriale - l’esigenza di garantire alla figlia la continuità dell’ambiente domestico in cui era cresciuta.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona proponeva ricorso per cassazione il padre della ragazza.
Con il primo motivo di ricorso questi deduceva la violazione degli artt. 337 sexies, comma 1 c.c. e 337 septies, comma 2 c.c., avendo il giudice di merito - ad avviso del ricorrente - confermato l’assegnazione della casa coniugale alla madre, pur in mancanza di una stabile convivenza di quest’ultima con la figlia, che risultava inserita in una struttura residenziale adibita all’assistenza e alla cura di persone con disabilità psichica.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale motivo. Vediamo perché.
In primo luogo, gli Ermellini fanno notare come la figlia fosse in condizioni di disabilità grave. Trattasi di circostanza emersa pacificamente nel giudizio, non contestata da alcuna delle parti.
Non vi è dubbio, pertanto, che nel caso di specie sia operante l’art. 337-septies c.c., comma 2, ai sensi del quale ai figli maggiorenni portatori di disabilità grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Ciò - spiega la Corte, richiamando alcune precedenti pronunce - significa che al figlio maggiorenne gravemente disabile si applicheranno non solo le disposizioni riguardanti i diritti/doveri di visita, cura e mantenimento da parte del genitore non convivente (escluse le norme sull’affidamento, condiviso o esclusivo), ma altresì le norme in tema di assegnazione della casa familiare.
I giudici di Piazza Cavour, infatti, non dubitano della possibilità di assegnare la casa familiare al genitore convivente col figlio disabile grave, assegnazione che - anche in questo caso, come per i figli minori - è volta a garantire al figlio la continuità di vita nel suo ambiente familiare.
La Corte ripercorre, poi, brevemente principi già espressi in materia di assegnazione della casa familiare.
Innanzitutto, la relativa statuizione deve essere adottata tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli - minorenni o maggiorenni non autosufficienti - a restare nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti in costanza del matrimonio tra i genitori.
Ne consegue che la revoca di tale assegnazione presuppone, viceversa, l’accertamento del venir meno dell’interesse dei figli alla conservazione di tale habitat domestico.
Inoltre, nel caso di figli maggiorenni non autosufficienti, la nozione di convivenza, rilevante ai fini dell’assegnazione della casa familiare ex art. 337-sexies c.c., implica la stabile dimora del figlio presso la casa stessa, consentendosi solo (sempre ai fini dell’assegnazione) eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi.
Tali principi - specifica la S.C. - operano anche quando il figlio sia maggiorenne e portatore di disabilità grave.
Pertanto, il giudice è tenuto a verificare caso per caso, con accertamento da compiersi in concreto e nell’attualità, che la casa familiare rappresenti davvero l’habitat domestico per il figlio gravemente disabile.
Deve, in sintesi - spiega la Cassazione nella pronuncia in esame - risultare l’esistenza, al momento della decisione, di quel collegamento tra il figlio, la casa familiare e il genitore convivente, che sia in grado di giustificare l’assegnazione dell’abitazione a quest’ultimo.
Nel caso deciso dalla Corte di Appello di Ancona, la funzione di habitat domestico svolta dalla casa familiare era stata ritenuta sussistente nonostante la figlia fosse, ormai da molti anni, ricoverata in strutture residenziali assistenziali.
Mancava, quindi, la prova della attualità di tale funzione di habitat domestico: l’assegnazione della casa familiare era stata conservata in virtù di un eventuale, futuro rientro della figlia nell’abitazione.
Riassumendo, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, in presenza di figli maggiorenni con disabilità grave, si richiede un collegamento tra il figlio medesimo, la casa e il genitore assegnatario; tale collegamento deve essere attuale, cioè deve esistere al momento della decisione, e non meramente ipotetico ed eventuale.
La S.C. ha dunque cassato con rinvio la sentenza impugnata, enunciando il seguente principio di diritto:
“In tema di statuizioni riguardanti i figli maggiorenni portatori di disabilità grave, l’assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori richiede la verifica del legame tra il figlio, la casa familiare e il genitore che vive in essa insieme al figlio, provvedendo alla sua assistenza, in base ad un accertamento che deve essere effettuato in concreto e nell’attualità, senza che abbiano rilievo possibili future sistemazioni”.