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Articolo 147 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Società con soci a responsabilità illimitata

Dispositivo dell'art. 147 Legge fallimentare

(1) La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV [2291-2324 c.c.] e VI [2452-2461 c.c.] del titolo V del libro quinto del codice civile (2), produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili (3).

Il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata (4) anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata (5).

Il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, deve disporne la convocazione a norma dell'articolo 15 (6).

Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi (7).

Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile (8).

Contro la sentenza del tribunale è ammesso reclamo a norma dell'articolo 18.

In caso di rigetto della domanda, contro il decreto del tribunale l'istante può proporre reclamo alla corte d'appello a norma dell'articolo 22 (9).

Note

(1) Articolo così sostituito con d.lgs. 5/2006.
La Corte Costituzionale con sentenza 2 - 16 luglio 1970 n. 142 ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), nelle parti in cui: a) non consente ai soci illimitatamente responsabili l'esercizio del diritto di difesa nei limiti compatibili con la natura del procedimento di camera di consiglio prescritto per la dichiarazione di fallimento; b) nega al creditore interessato la legittimazione a proporre istanza di dichiarazione di fallimento di altri soci illimitatamente responsabili nelle forme dell'art. 6 del regio decreto predetto".
(2) Il riferimento è alla società in nome collettivo (s.n.c.), società in accomandita semplice (s.a.s.) e alla società in accomandita per azioni (s.a.p.a.).
(3) Quindi, ad esempio, il socio accomandatario nella società in accomandita per azioni.
Va rilevato che nella società in accomandita semplice anche il socio accomandante può fallire, se viola il divieto di compiere atti di gestione dell'impresa: tale condotta è infatti sanzionata con l'assunzione della responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali.
La norma chiarisce che il socio può essere sia persona fisica che giuridica, pertanto possono fallire le società - sia di capitali che di persone - che abbiano una partecipazione in altra società, tale da comportare l'assunzione della responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte dalla società dichiarata fallita.
(4) La Corte costituzionale, con sentenza 21 luglio 2000 n. 319 aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo in commento, nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di società fallita potesse essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi avessero perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata.
Il legislatore con la riforma del 2006 ha adeguato la normativa alla pronuncia della Consulta.
(5) Il secondo comma delinea i limiti temporali e le condizioni per l'estensione del fallimento agli ex soci o al socio già illimitatamente responsabile.
(6) La Corte Costituzionale con sentenza 20 - 27 giugno 1972 n. 110 ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 147 comma primo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede che il tribunale debba ordinare la comparizione in camera di consiglio dei soci illimitatamente responsabili nei cui confronti produce effetto la sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata, perchè detti soci possano esercitare il diritto di difesa".
(7) La Corte Costituzionale con sentenza 21 - 28 maggio 1975 n. 127 ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (cosiddetta legge fallimentare), nella parte in cui nega al fallito la legittimazione a chiedere la dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili".
Il legislatore ha adeguato la norma nel 2006.
(8) Questo comma costituisce la positivizzazione di un orientamento giurisprudenziale consolidato.
(9) L'ultimo comma è stato ritoccato dal decreto correttivo 169/2007.

Ratio Legis

La norma in commento risulta di fondamentale importanza, perché prevede l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili della società fallita. Il fallimento in estensione è automatico.
La ratio della norma è quella di tutelare i creditori della società ma anche i creditori del socio fallito, che vengono posti nella posizione di concorrere al pari degli altri.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

11 L’articolo 11 del decreto legislativo reca disposizioni correttive del Titolo II, Capo X della legge fallimentare.
Nell’articolo 147, sesto comma, della legge fallimentare la sostituzione della parola "appello" con la parola "reclamo" è conseguente alla modifica apportata all’art. 18.

Massime relative all'art. 147 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 1778/2013

In ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (ai sensi dell'art. 147 legge fall.), il curatore del fallimento sociale è legittimato ad agire in revocatoria contro atti del socio, in quanto la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, senza alcuna possibilità di partecipazione al fallimento sociale, mentre il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero anche in quello del socio, che ha natura derivativa e prescinde dall'insolvenza di questi, sicché, tra l'altro, l'accrescimento del patrimonio del socio, in conseguenza dell'accoglimento di azioni revocatorie, produce risultati positivi agli effetti del soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società.

Cass. civ. n. 22256/2012

Il principio secondo cui nel procedimento per estensione del fallimento a norma dell'art. 147 legge fall., come, più in generale, in ogni procedimento per la dichiarazione di fallimento, sono parti necessarie i debitori dei quali si chiede il fallimento ed i creditori direttamente od indirettamente istanti non è applicabile alla stessa società debitrice, che abbia chiesto il fallimento, né al suo socio accomandatario, poiché essi sono già parti nel giudizio per la dichiarazione di fallimento ex art. 15, secondo comma, legge fall., in quanto debitori, sicchè la loro qualifica di istanti non ne giustifica una legittimazione diversa ed autonoma nel giudizio di estensione del fallimento.

L'art. 147 legge fall., nel testo risultante dalla novella di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, prevede per le sole società in nome collettivo e quelle in accomandita (semplice o per azioni) l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile. Esso, pertanto, implicitamente ribadisce l'incompatibilità del fallimento del socio con il principio, connaturato alle società di capitali, della limitazione della sua responsabilità, anche con riferimento ai casi in cui, per vicende particolari, detta limitazione possa venir meno, ma al contempo non esclude - al contrario affermandola, trattandosi di socio illimitatamente responsabile ex art. 2320, primo comma, cod. civ. - la fallibilità del socio accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società.

Cass. civ. n. 6003/2011

Il fallimento del socio receduto non deve avvenire necessariamente con la procedura di estensione ex art. 147, secondo comma, legge fall., poiché, quando la sua esistenza è già nota prima della dichiarazione di fallimento della società, questo, ai sensi del primo comma, produce il fallimento di tutti i soci illimitatamente responsabili; pertanto, in tal caso non sussiste esercizio di un potere d'impulso d'ufficio da parte del giudice, con accertamenti in fatto eccedenti l'oggetto della domanda, né ne è compromessa la terzietà in quanto, accogliendo l'istanza volta alla dichiarazione di fallimento della società, il giudice stabilisce le conseguenze che ad essa la legge ricollega, tra cui anche il fallimento del socio illimitatamente responsabile.

Cass. civ. n. 5764/2011

In tema di dichiarazione del fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone, il principio di certezza delle situazioni giuridiche - la cui generale attuazione la Corte costituzionale ha inteso assicurare con la pronuncia di incostituzionalità del primo comma dell'art. 147 legge fall., nella parte in cui non prevede l'applicazione del limite del termine annuale di cui all'art. 10 legge fall. dalla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile - impone che la decorrenza di detto termine per il socio di fatto receduto non possa farsi risalire alla data del suo recesso, né, tanto meno, a quella della dichiarazione di fallimento della società, poiché l'evento fallimentare non scioglie il vincolo societario, ma piuttosto a quella in cui lo scioglimento del rapporto sia portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Occorre, pertanto, in concreto, tener conto della data della eventuale pubblicizzazione del recesso o di altro evento da cui i creditori ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano colpevolmente ignorato.

Cass. civ. n. 23344/2010

In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società di fatto e dei suoi soci illimitatamente responsabili, l'attuazione del diritto di difesa posto dall'art. 15 legge fall. richiede che l'instaurazione del contraddittorio coinvolga i presupposti essenziali della dichiarazione stessa ed abbia carattere preventivo rispetto alla pronuncia, essendo sufficiente che ai predetti soci sia contestata l'esistenza della società, la loro partecipazione ad essa e lo stato di insolvenza della società; non è invece indispensabile che sia anche contestato loro il modo con cui la società ha in concreto operato, nè l'eventuale sussistenza di altri soci.

Cass. civ. n. 14580/2010

Ai fini dell'estensione del fallimento del titolare dell'impresa familiare agli altri componenti della stessa è necessario il positivo accertamento dell'effettiva costituzione di una società di fatto, attraverso l'esame del comportamento assunto dai familiari nelle relazioni esterne all'impresa, al fine di valutare se vi sia stata la spendita del "nomen" della società o quanto meno l'esteriorizzazione del vincolo sociale, l'assunzione delle obbligazioni sociali ovvero un complessivo atteggiarsi idoneo ad ingenerare nei terzi un incolpevole affidamento in ordine all'esistenza di un vincolo societario, mentre non assume rilievo univoco né la qualificazione dei familiari come collaboratori dell'impresa familiare, né l'eventuale condivisione degli utili, trattandosi d'indicatori equivoci rispetto agli elementi indefettibili della figura societaria costituiti dal fondo comune e dalla "affectio societatis".

Cass. civ. n. 13468/2010

La prestazione di garanzia in favore di una società in accomandita semplice ed il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali (quand'anche indebito o addirittura illecito) non integrano l'ingerenza del socio accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice - con l'assunzione della responsabilità illimitata, a norma dell'art. 2320 c.c., e la conseguente estensione al socio del fallimento della società, ai sensi dell'art. 147 della legge fall. - in quanto la prima attiene al momento esecutivo delle obbligazioni ed il secondo non costituisce un atto di gestione della società.

Cass. civ. n. 7273/2010

Il principio della consecuzione processuale tra le procedure di concordato preventivo e di fallimento non può essere applicato con riferimento ai creditori personali dei soci illimitatamente responsabili di società di persone, in quanto l'efficacia del concordato preventivo della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili riguarda esclusivamente i debiti sociali. Ne consegue che ai fini dell'opponibilità di eventuali ipoteche al fallimento o del computo degli interessi sui crediti vantati nei confronti dei singoli soci, non rileva la data di ammissione della società di persone al concordato preventivo, ma quella della successiva dichiarazione di fallimento, ai sensi dell'art. 147 della legge fall., dei soci illimitatamente responsabili.

Cass. civ. n. 2711/2009

L'art 147 della legge fall. (nel testo anteriore al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), nella parte in cui commina l'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, si riferisce a quelle società che, in base al tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo tale da comportare, nonostante l'autonomia patrimoniale - o, addirittura, la personalità giuridica, come nella società in accomandita per azioni - la responsabilita illimitata e solidale dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le obbligazioni sociali, secondo una "ratio" che imputa l'insolvenza a titolo di responsabilità oggettiva sulla base dell'accettazione del rischio di impresa: la norma non è quindi estensibile ai soci occasionalmente responsabili delle obbligazioni contratte per accadimenti specifici e storicamente delimitabili, come nel caso di socio unico di società per azioni, ai sensi dell'art. 2362 cod. civ. (nel testo anteriore al d.lgs. n. 6 del 2003), disposizione di natura eccezionale ed impositiva, in capo all'unico azionista, di una responsabilità "lato sensu" fideiussoria "ex lege", ma solo in via temporanea.

Cass. civ. n. 17953/2008

Il fallimento delle società di persone non determina lo scioglimento del vincolo sociale, poiché l'esclusione di diritto del socio che sia dichiarato fallito, prevista dall'art. 2288 c.c., applicabile alle società di fatto in virtù del disposto dell'art. 2297 c.c., tende a preservare la società in bonis dagli effetti dell'insolvenza personale del socio e non opera, quindi, nell'ipotesi in cui il fallimento del socio sia effetto di quello della società, in forza della responsabilità illimitata del primo per le obbligazioni della seconda. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento della società impedisse la dichiarazione di fallimento del socio ai sensi dell'art. 147 legge fall.).

Cass. civ. n. 16594/2008

Se, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore apparentemente individuale, risulti che egli era socio di una società di fatto esercente la stessa impresa, una volta dichiarato il fallimento della società e di altri soci non è più possibile per questi ultimi contestare la sussistenza dei presupposti di fallibilità dell'imprenditore individuale, deducendone la natura di piccolo imprenditore, dovendo tale qualità essere fatta valere con l'opposizione alla prima dichiarazione di fallimento, alla quale i soci sono legittimati come controinteressati ; ne consegue che, una volta dichiarato il fallimento in estensione ex art. 147 legge fall., la contestazione può riguardare solo la sussistenza della società di fatto e la qualità di socio del convenuto in estensione.

Cass. civ. n. 7965/2008

In tema di estensione del fallimento della società regolare al socio illimitatamente responsabile dopo la sentenza n. 319 del 2000 della Corte costituzionale — che ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 147 legge fall. nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei predetti soci potesse essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi avessero perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata — il recesso del socio, se anteriore di oltre un anno alla dichiarazione di fallimento, conduce all'accoglimento anche d'ufficio dell'opposizione al fallimento in forza del principio di certezza delle situazioni giuridiche, che pone la necessità di un limite temporale all'assoggettabilità al fallimento del socio di società commerciale. (Il principio è stato affermato dalla S.C. in una fattispecie anteriore alla vigenza del D.L.vo n. 5 del 2006).

Cass. civ. n. 9445/2007

Il fallimento del socio receduto non deve avvenire necessariamente con la procedura di estensione ex art. 147, secondo comma, L. fall., poiché, quando la sua esistenza è già nota prima della dichiarazione di fallimento della società, questo, ai sensi del primo comma, produce il fallimento di tutti i soci illimitatamente responsabili.

Cass. civ. n. 23669/2006

La illimitata responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni sociali, ai sensi dell'art. 2313 c.c., trae origine dalla sua qualità di socio e si configura pertanto come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale, in sede di esecuzione individuale, di cui all'art. 2304 c.c., richiamato dal successivo art. 2318. Il socio illimitatamente responsabile non può, quindi, essere considerato terzo rispetto all'obbligazione sociale, ma debitore al pari della società per il solo fatto di essere socio tenuto a rispondere senza limitazioni. Tale situazione di identità debitoria emerge con evidenza in sede fallimentare, ove il fallimento della società di persone produce con effetto automatico, ai sensi dell'art. 147 L. fall., il fallimento dei soci illimitatamente responsabili e il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero anche nel fallimento dei singoli soci (art. 148, comma terzo, L. fall.). Alla stregua di tali postulati, l'atto con cui il socio accomandatario rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può essere considerato costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma va qualificato quale atto di costituzione di garanzia per una obbligazione propria con la conseguenza che il creditore che, in relazione a un credito verso la società, in seguito fallita, sia titolare di garanzia ipotecaria prestata dal socio accomandatario, ha diritto di insinuarsi in via ipotecaria nel passivo del fallimento di quest'ultimo, assumendo egli la veste di creditore ipotecario del fallito, non già di mero titolare d'ipoteca rilasciata dal fallito quale terzo garante di un debito altrui.

Cass. civ. n. 19304/2006

La cessazione per qualsiasi causa dell'appartenenza alla compagine sociale del socio di società di persone, cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell'art. 2290 c.c., non è opponibile ai terzi, poiché essa non produce i suoi effetti al di fuori dell'ambito societario; conseguentemente, la cessazione non pubblicizzata non è idonea ad escludere l'estensione del fallimento del socio pronunciata ai sensi dell'art. 147 legge fall., né assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario, per quanto concerne i terzi, a quel momento è ancora in atto.

Cass. civ. n. 21721/2005

Nel giudizio di opposizione alla sentenza con cui è stata disposta l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili è litisconsorte necessario, oltre al curatore del fallimento della società, quello del fallimento individuale che dal primo deriva, il quale ha titolo a resistere sia nell'ipotesi in cui si discuta dell'esistenza e della fallibilità della società, presupposto del singolo fallimento, sia nell'ipotesi in cui sia contestata la qualità di socio dell'opponente o la sua permanenza nella compagine sociale in tempo utile per l'estensione della procedura ai sensi del combinato disposto degli artt. 10, 11 e 147 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267.

Cass. civ. n. 21326/2005

Il principio di unitarietà delle procedure concorsuali — fondato sul rilievo che presupposto comune delle stesse è l'insolvenza, anche quando, come nell'amministrazione controllata, essa si traduca in una temporanea difficoltà che solo ex post risulti corrispondente ad un vero e proprio stato di decozione — attribuendo alla sentenza dichiarativa di fallimento la natura di atto terminale del procedimento, in alternativa al naturale sviluppo delle procedure minori, comporta che, ai fini della verifica in ordine al decorso del termine annuale di cui agli artt. 10 ed 11 della legge fallimentare, nel caso in cui la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore defunto o cessato faccia seguito alla mancata omologazione o alla risoluzione o all'annullamento del concordato preventivo, cui l'imprenditore sia stato ammesso, deve tenersi conto della data di ammissione alla procedura minore. Tale regola, tuttavia, non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui si tratti di estendere il fallimento di una società, ammessa al concordato preventivo, ai soci illimitatamente responsabili che medio tempore siano receduti o deceduti, o siano stati esclusi dalla compagine sociale: gli effetti del concordato preventivo, infatti, riguardano esclusivamente l'impresa, comportando la parziale esdebitazione del suo titolare e soltanto di lui, e, qualora si tratti di una società, non si estendono alle obbligazioni dei singoli soci, sicché, rispetto a questi ultimi, ai quali il fallimento si estende in via eccezionale e come ripercussione dell'insolvenza della società, non può operare il principio di consecuzione che ne giustifica il coinvolgimento ab imis nella procedura concorsuale, ed il decorso del termine annuale dev'essere valutato con riguardo al momento in cui ha luogo l'estensione del fallimento.

Cass. civ. n. 18927/2005

In tema di dichiarazione del fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone, il principio di certezza delle situazioni giuridiche — la cui generale attuazione la Corte costituzionale ha inteso assicurare con la pronuncia di incostituzionalità del primo comma dell'art. 147 legge fall. nella parte in cui non prevede l'applicazione del limite del termine annuale dalla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile (sentenza n. 319 del 2000) — impone che la decorrenza di detto termine per il socio occulto receduto non può farsi risalire alla data del suo recesso (né, tanto meno, a quella della dichiarazione di fallimento della società, dato che l'evento fallimentare non scioglie il vincolo societario), ma piuttosto a quella in cui lo scioglimento del rapporto sia stato portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, di guisa che occorre, in concreto, tener conto della data della eventuale pubblicizzazione del recesso o di quella in cui i creditori ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano colpevolmente ignorato.

Cass. civ. n. 7075/2005

In tema di dichiarazione di fallimento del cd. socio occulto di una società irregolare (c.d. società “di fatto”), è manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, legge fall., sollevata, in riferimento all'art. 3, Cost., nella parte in cui, per la dichiarazione di fallimento di detto socio, non prevede un limite temporale, decorrente dalla data del recesso dalla società, sia in quanto, come affermato dalla Corte costituzionale (ord. n. 321 del 2002), le situazioni del socio receduto da una società regolarmente costituita e registrata e quella del socio occulto di una società irregolare non sono comparabili, sia in quanto il principio di certezza delle situazioni giuridiche — la cui generale attuazione la Corte costituzionale ha inteso assicurare con la pronuncia di incostituzionalità del primo comma dell'art. 147 legge fallim. nella parte in cui non prevede l'applicazione del limite del termine annuale dalla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile (sentenza n. 319 del 2000) — impone di ritenere che la decorrenza di detto termine per il socio occulto receduto debba farsi risalire esclusivamente alla data in cui lo scioglimento del rapporto sia stato portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, con la conseguenza che occorre, in concreto, tenere conto della data della eventuale pubblicizzazione del recesso o di quella in cui i creditori ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano colpevolmente ignorato.

Cass. civ. n. 10293/2003

Potendo lo straniero, nonostante tale sua condizione, assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile di una società italiana, egli soggiace (pena, altrimenti, una ingiustificata sua immunità), a tutte le implicazioni proprie di siffatta qualità, tra cui il fallimento in via di estensione di quello della società, dichiarato dal competente tribunale fallimentare italiano. Sotto tale profilo, la giurisdizione italiana è una mera conseguenza del meccanismo regolato dall'art. 147 della legge fallimentare, senza che sia necessario far riferimento alle norme e ai criteri contenuti nella legge n. 218 del 1995 sul nuovo diritto internazionale privato.

Cass. civ. n. 3338/2003

Dichiarato, a seguito del fallimento di società commerciale, il fallimento in estensione del socio illimitatamente irresponsabile (Recte: responsabile - N.d.R.) e ritenuto irrilevante, da parte del giudice del merito, il decorso del limite temporale dell'anno dalla cessazione dell'attività, la sopraggiunta declaratoria di illegittimità costituzionale, in parte qua, tanto dell'art. 10 quanto dell'art. 147 legge fall. (sent. n. 319 del 2000) impone — allorché il motivo di censura attenga al profilo dell'avvenuta decorrenza del termine — la cassazione della sentenza impugnata, affinché il giudice del rinvio si uniformi alla pronuncia di incostituzionalità, compiendo l'accertamento in fatto, in precedenza omesso, in ordine al rispetto del prescritto limite temporale ai fini dell'assoggettabilità a fallimento.

Cass. civ. n. 1852/2001

Le questioni non ricomprese nel thema decidendum del giudizio d'appello — coincidente con le questioni effettivamente devolute con i motivi d'impugnazione o, se di queste siano l'antecedente logico, con quelle rilevabili d'ufficio, su cui non sia intervenuta pronuncia in primo grado — non sono rilevabili d'ufficio in sede di legittimità e, in quanto introducono un nuovo tema di contestazione, non possono neppure essere dedotte dalla parte quandanche non implichino nuovi accertamenti di fatto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale si deduceva la mancanza di un presupposto soggettivo del fallimento a seguito della sentenza n. 319 del 2000 della Corte Costituzionale — che ha dichiarato illegittimo l'art. 147 l. fall. ove prevedeva il fallimento dei soci illimitatamente responsabili anche dopo decorso un anno dalla perdita della responsabilità illimitata —, ritenendo che la questione, dedotta in appello, del compimento di atti di gestione da parte del socio accomandante fosse del tutto indipendente da quella della perdita da oltre un anno della qualità di socio, così qualificando nuova quest'ultima questione).

Cass. civ. n. 15596/2000

Presupposti dell'estensione del fallimento della società al socio receduto illimitatamente responsabile devono ritenersi l'esistenza dello stato di insolvenza della società all'epoca della dichiarazione di fallimento e l'esistenza di obbligazioni sociali che abbiano concorso a determinare tale stato all'epoca del recesso, senza che spieghi, in contrario, influenza la circostanza che, medio tempore (nel tempo, cioè, intercorrente tra la dichiarazione di fallimento della società e la dichiarazione di fallimento in estensione del socio receduto), lo stato di dissesto della società sia stato rimosso, trovando l'estensione del fallimento al socio receduto il suo fondamento necessario e sufficiente nella prima procedura, con riguardo alla quale soltanto va valutata, in via esclusiva, la sussistenza o meno dello stato di insolvenza della società.

Cass. civ. n. 8660/2000

È configurabile un diritto del socio dichiarato fallitoexart. 147, comma primo, l. fall. a veder coinvolti nella esecuzione concorsuale gli altri soci solidalmente ed illimitatamente responsabili che, non noti, non siano stati già dichiarati falliti contestualmente al fallimento della società.

Cass. civ. n. 1230/1999

L'estensione del fallimento della società di persone al socio illimitatamente responsabile è funzionalmente ed inderogabilmente devoluta al tribunale che ha dichiarato il fallimento della società medesima ai sensi dell'art. 147 della legge fallimentare. Tale competenza sussiste anche per il fallimento degli altri soci della società già dichiarata fallita.

Cass. civ. n. 405/1999

Nell'ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento abbia avuto come presupposto un dibattito sulla qualità di «socio tiranno», viola il principio del rispetto del contraddittorio, stabilito nell'art. 15 L. fall., la sentenza emessa all'esito del giudizio di opposizione con la quale venga riconosciuta al fallito la qualità di imprenditore individuale secondo lo schema della holding personale.

Cass. civ. n. 1225/1998

In tema di fallimento, l'accertamento della esistenza di una società di fatto successivo alla dichiarazione di fallimento di uno solo dei presunti soci e la conseguente estensione del fallimento stesso a tutti i soci illimitatamente responsabili consente, a questi ultimi, la proposizione dell'opposizione di cui al combinato disposto degli artt. 18 e 147 L. fall., senza che, in tale giudizio di opposizione, all'originario fallito possa essere riconosciuta veste di litisconsorzio necessario, considerato che il diritto di difesa di quest'ultimo trova adeguata tutela — oltre che nelle facoltà di chiedere egli stesso l'estensione del fallimento, di comparire in camera di consiglio, di far valere le proprie ragioni compatibilmente con i limiti imposti dalla natura del procedimento — nella possibilità di partecipare al giudizio di opposizione spiegando in esso intervento volontario ex art. 105, secondo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 1106/1995

Se, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore apparentemente individuale, risulti che egli era socio di una società di fatto, anche se occulta, esercitante la stessa impresa, deve essere dichiarato il fallimento della società e di altri soci occulti, senza che sia necessario provare l'insolvenza di questi ultimi, essendo il loro fallimento conseguenza automatica del fallimento della società (art. 147, comma 1, L. fall.). (Nella specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale si era pronunciata a favore dell'estensione del fallimento di un costruttore ad una società di fatto occulta tra le cui attività, di acquisto di suoli e vendita di unità immobiliari, non risultava però compresa quella di costruzione che veniva dal primo effettuata a favore della società attraverso contratti di appalto).

Cass. civ. n. 9617/1993

Il soggetto nei cui confronti sia stata presentata istanza per l'estensione del fallimento, già dichiarato nei confronti di altri soggetti, non ha diritto alla consultazione dell'intero fascicolo della procedura concorsuale, contenente anche atti e documenti diversi dall'istanza di estensione e dagli atti a questa allegati, tranne che la richiesta si riferisca ad atti e documenti consultabili da chiunque ovvero a quelli per il cui esame sussista un interesse diretto ed attuale, in relazione a specifiche esigenze difensive, da valutarsi dal giudice delegato previa motivata istanza dell'interessato.

Cass. civ. n. 9589/1993

Il fallimento di una associazione non riconosciuta avente lo status di imprenditore commerciale non comporta né che gli associati siano imprenditori commerciali, né che il fallimento dell'ente produca il fallimento di tutti gli associati, poiché tale effetto si produce solo nei riguardi degli associati che siano illimitatamente responsabili secondo la disciplina propria delle associazioni non riconosciute, ossia, a norma dell'art. 38 c.c., per le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.

Cass. civ. n. 1308/1993

Nel procedimento di estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile, ai sensi dell'art. 147 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, è ammissibile l'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, in quanto il procedimento medesimo comporta l'esercizio di potestà giurisdizionale e l'esperibilità del regolamento non trova ostacolo nella precedente dichiarazione di fallimento, alla cui fase il detto socio è estraneo.

Cass. civ. n. 8924/1992

La trasformazione di una società di persone in società di capitali non comporta l'estinzione di un soggetto e la creazione di un altro soggetto, ma la semplice modificazione della struttura e dell'organizzazione societaria, che lascia immutata l'identità soggettiva dell'ente ed immutati i rapporti giuridici ad essa facente capo e mantiene inalterata ad ogni effetto, per le obbligazioni anteriori alla trasformazione, la responsabilità illimitata dei soci derivante dal precedente assetto giuridico, salvo che i creditori abbiano aderito alla trasformazione. Ne consegue che detti soci sono soggetti, ai sensi dell'art. 147 l. fall., alla automatica estensione personale del fallimento della società preesistente e ciò senza che debba ricorrere in loro la qualità di imprenditore o che si realizzi il requisito della insolvenza relativamente alla singola sfera soggettiva e, ancora, senza che operi la regola del termine annuale di cui all'art. 10 l. fall.

Cass. civ. n. 6559/1990

Nell'ambito dell'istituto «dell'impresa familiare» di cui all'art. 230 bis c.c., caratterizzato dall'assenza di un vincolo societario e dalla insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i familiari e la persona del capo (quale riconosciuto dai partecipanti in forza della sua anzianità e/o del suo maggiore apporto all'impresa stessa), vanno distinti un aspetto interno, costituito dal rapporto associativo del gruppo familiare quanto alla regolamentazione dei vantaggi economici di ciascun componente, ed un aspetto esterno, nel quale ha rilevanza la figura del familiare — imprenditore, effettivo gestore dell'impresa, che assume in proprio i diritti e le obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi e risponde illimitatamente e solidamente con i suoi beni personali, diversi a quelli comuni ed indivisi dell'intero gruppo, anch'essi oggetto della generica garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. Ne consegue che il fallimento di detto imprenditore non si estende automaticamente al semplice partecipante all'impresa familiare.

Cass. civ. n. 4561/1988

In tema di successione ereditaria di minore, l'art. 489 c.c., il quale prevede la decadenza dal beneficio d'inventario solo al compimento di un anno dalla maggiore età, comporta che, entro tale termine, il minore stesso non acquista la qualità di un erede puro e semplice ma resta nella veste di chiamato all'eredità, qualora il suo legale rappresentante, dopo aver accettato con beneficio, non abbia provveduto alla redazione dell'inventario nel tempo prescritto dall'art. 485 c.c. Pertanto, ove la successione riguardi la partecipazione ad una società di persone, deve escludersi che il fallimento della società, dichiarato in pendenza del suddetto termine, possa implicare il fallimento del minore in qualità di socio, senza che rilevi il verificarsi dell'indicata decadenza in epoca posteriore, né il compimento, da parte del legale rappresentante, di atti di gestione della impresa durante la procedura di accettazione dell'eredità.

Cass. civ. n. 5579/1981

Qualora il fallimento del socio sia conseguenza ope legis del fallimento sociale (art. 147 legge fallimentare), la revoca del fallimento della società, in sede di opposizione, non comporta la revoca del fallimento del socio, ove si accerti — anche d'ufficio — che l'impresa erroneamente attribuita alla società risulti essere individuale del socio, il quale rivesta la qualità d'imprenditore e versi in stato d'insolvenza, dal momento che i poteri d'ufficio di cui è dotato il tribunale fallimentare persistono anche nel giudizio di opposizione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 147 Legge fallimentare

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

P. S. chiede
giovedì 31/03/2022 - Toscana
“Buongiorno,
fallimento dichiarato il 30/11/2021. In data 06/05/2021 un ramo d’azienda (panificio), per il quale a suo tempo fu corrisposto un prezzo di €. 50.000, è ritornato nella disponibilità della società FALLITA con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. per inadempimento. In data 02/09/2021 lo stesso ramo d'azienda veniva nuovamente ceduto ad una SRLS il cui amministratore Unico è l'ex socio accomandante della società FALLITA receduto dalla FALLITA in data 23/12/2019 per un prezzo di €. 2.990. Per voi esistono gli estremi per un'azione revocatoria fallimentare? Come posso giustificarla al Giudice? Posso richiedere il fallimento dell'ex socio accomandante quale socio occulto dell'operazione visto che è uscito dalla compagine sociale oltre l'anno precedente al fallimento (art. 10 l.f.)? Grazie”
Consulenza legale i 08/04/2022
In relazione alla revocatoria fallimentare, la legge fallimentare distingue gli atti posti in essere dal fallito dettando regimi diversi a seconda che la revoca riguardi gli atti a titolo gratuito (art. 64 della l. fall.), i pagamenti (art. 65 della l. fall.) o gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie (art. 67 della l. fall.).

Presupponendo la cessione d’azienda come un atto a titolo oneroso, il caso esposto pare rientrare nella previsione di cui all’art. 67 della l. fall., il quale, per tali categorie di atti, al comma 1, distingue quattro categorie di atti compiuti dal fallito nell'anno o nei sei mesi anteriori al fallimento, per le quali può esercitarsi azione revocatoria, a meno che l'altra parte provi di non essere a conoscenza dello stato d'insolvenza del debitore: gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti; nonché i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Il comma 2 dell'art. 67 della l. fall. indica, invece, come revocati, “se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore”, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Secondo la Suprema Corte, peraltro, se un’azienda dichiarata fallita, nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento effettua una cessione d’azienda o ramo d’azienda, il curatore può esperire un’azione revocatoria in relazione alla vendita e ottenere la retrocessione del ramo venduto; ai fini della revocabilità, è necessario che l’azienda abbia venduto il ramo ad un prezzo incongruo e in tempi sospetti (Cass. Civ., Sez. I, n. 803/2016).

Tanto premesso, si ritengono sussistenti i presupposti per esperire un’azione revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 della l. fall., la cui fondatezza può rinvenirsi tanto nel comma 1, n. 1, quanto nel comma 2.

In relazione al comma 1, n. 1, la cessione di ramo d’azienda attuata in data 02/09/2021 potrebbe essere considerato un atto a titolo oneroso eseguito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui l’obbligazione del fallito (la cessione del ramo d’azienda) supera di oltre un quarto il prezzo pagato; sarà necessario dimostrare proprio questa sproporzione di valore, questione non particolarmente complessa se il medesimo ramo era stato alienato in precedenza per € 50.000,00.
L’altra parte potrà sempre dimostrare che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore; anche tale questione, tuttavia, sembra ampiamente superabile, considerando che il terzo, in questo caso, è un ex socio accomandante della società fallita, receduto meno di due anni prima della dichiarazione di fallimento.

In via subordinata, potrebbe ritenersi integrata, altresì, la fattispecie di cui al comma 2 della medesima norma; la cessione d’azienda, infatti, è un atto a titolo oneroso compiuto nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
In questo caso, tuttavia, sarà il curatore a dover dimostrare che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore; prova, si ritiene, raggiungibile, proprio in quanto il terzo acquirente è un ex socio accomandante della società fallita, receduto meno di due anni prima.

Gli acquirenti che si vedono espropriati del ramo di azienda diventeranno creditori dell’azienda fallita, quindi potranno insinuarsi al passivo fallimentare.

In relazione alla seconda questione posta con il quesito, la possibile estensione del fallimento all’ex socio accomandante, si rendono necessarie alcune considerazioni.
Ai sensi dell’art. 2320 del c.c., “I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286.”
Pertanto, ove il socio accomandante sia decaduto dalla limitazione di responsabilità di cui al citato articolo 2320 c.c., risulta applicabile la disciplina di cui all'art. 147 della l. fall. e il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che, appunto, si sia ingerito nell'amministrazione della società.

In estrema sintesi si potrebbe mutuare un concetto espresso da una attenta pronuncia della Suprema Corte, la quale statuisce che "... per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice [...] non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga un'attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa ...". (Cass. Civ., n. 13468/2010)

Ai sensi dell’art. 147 della l. fall., in caso di fallimento della società, il fallimento dei soci illimitatamente responsabili non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata.
Il termine annuale di fallibilità, ex art. 147 della l. fall., non decorre dalla dichiarazione di fallimento, bensì dal momento in cui il socio occulto rende i creditori edotti, con idonee forme di pubblicità, dello scioglimento del suo rapporto sociale.
Tale principio può essere fatto valere anche nel caso di specie, poiché si tratta di socio illimitatamente responsabile che, tuttavia, assume la qualità di socio a responsabilità limitata ed è, dunque, comparabile alla posizione del socio occulto.

Nel caso di specie, oltre all’ingerenza dell’ex socio accomandante nella gestione della società fallita, che causerebbe la perdita del beneficio della responsabilità limitata, dovrà valutarsi anche il limite temporale di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale; ciò significa che se l’ex socio accomandate ha attuato le idonee forme di pubblicità per il suo recesso del 23.12.2019, il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell’ex socio dallo scioglimento del rapporto sociale sarebbe già decorso, con conseguente impossibilità di estensione di fallimento nei suoi confronti.