Cassazione civile Sez. I sentenza n. 22256 del 7 dicembre 2012

(2 massime)

(massima n. 1)

Il principio secondo cui nel procedimento per estensione del fallimento a norma dell'art. 147 legge fall., come, più in generale, in ogni procedimento per la dichiarazione di fallimento, sono parti necessarie i debitori dei quali si chiede il fallimento ed i creditori direttamente od indirettamente istanti non è applicabile alla stessa società debitrice, che abbia chiesto il fallimento, né al suo socio accomandatario, poiché essi sono già parti nel giudizio per la dichiarazione di fallimento ex art. 15, secondo comma, legge fall., in quanto debitori, sicchè la loro qualifica di istanti non ne giustifica una legittimazione diversa ed autonoma nel giudizio di estensione del fallimento.

(massima n. 2)

L'art. 147 legge fall., nel testo risultante dalla novella di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, prevede per le sole società in nome collettivo e quelle in accomandita (semplice o per azioni) l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile. Esso, pertanto, implicitamente ribadisce l'incompatibilità del fallimento del socio con il principio, connaturato alle società di capitali, della limitazione della sua responsabilità, anche con riferimento ai casi in cui, per vicende particolari, detta limitazione possa venir meno, ma al contempo non esclude - al contrario affermandola, trattandosi di socio illimitatamente responsabile ex art. 2320, primo comma, cod. civ. - la fallibilità del socio accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società.

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