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Articolo 15 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Procedimento per la dichiarazione di fallimento

Dispositivo dell'art. 15 Legge fallimentare

(1) Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.

Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti (2) per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento.

Il decreto di convocazione è sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del sesto comma. Il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all'indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'articolo 107, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso. L'udienza è fissata non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso e tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni (3).

Il decreto contiene l'indicazione che il procedimento è volto all'accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell'udienza per la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale dispone che l'imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata; può richiedere eventuali informazioni urgenti (4).

I termini di cui al terzo e quarto comma possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi (5).

Il tribunale può delegare al giudice relatore l'audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio.

Le parti possono nominare consulenti tecnici.

Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento (6), che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l'istanza.

Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila (7). Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 1.

Note

(1) Articolo così sostituito dal d.lgs. 5/2006 e poi modificato dal d.lgs. 169/2007.
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 2 - 16 luglio 1970, n. 141, ha dichiarato "la illegittimità costituzionale dell'art. 15 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui esso non prevede l'obbligo del tribunale di disporre la comparizione dell'imprenditore in camera di consiglio per l'esercizio del diritto di difesa nei limiti compatibili con la natura di tale procedimento". Il legislatore ha adeguato la norma.
(3) Comma così sostituito con D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221.
Si tratta di modifiche che intervengono sulle modalità di comunicazione e notificazione all'interno della procedura, con risparmio di tempo e di denaro. In particolare, è stata prevista la notifica telematica del ricorso per la dichiarazione di fallimento all'imprenditore, procedura che semplifica molto la notificazione ad un soggetto che spesso diventa irreperibile.
(4) Il tribunale ha sempre il potere inquisitorio di disporre d'ufficio indagini più approfondite o espletamento di prove ad integrazione o in aggiunta a quelle proposte dalle parti.
(5) Tra i mezzi idonei si includono il fax, la raccomandata con ricevuta di ritorno, etc.
(6) Tali provvedimenti possono essere emessi anche inaudita altera parte e mirano ad evitare che l'imprenditore sottoposto alla procedura possa occultare o far sparire beni del suo patrimonio.
Eventuali provvedimenti di sequestro o altri provvedimento cautelari potranno colpire solo i beni di proprietà del soggetto di chi si chiede il fallimento e dovranno essere supportati dai tipici elementi del fumus boni iuris (qui intesa come probabile fondatezza dell'istanza di fallimento) e del periculum in mora.
I provvedimenti cautelari possono essere emessi solo se vi è una istanza di parte, che di solito è già contenuta nel ricorso introduttivo.
(7) Il legislatore ha stabilito un limite per evitare l'apertura di una procedura fallimentare laddove i possibili ricavi dei creditori vengano pressoché erosi dai costi del processo.

Ratio Legis

Il legislatore ha voluto predisporre una procedura rapida e ha quindi optato per il procedimento in camera di consiglio.

Rel. ill. riforma fall. 2007

(Relazione Illustrativa al decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169)

2 L’articolo 2 del decreto legislativo reca modifiche al Titolo II, Capo I della legge fallimentare.
Il comma 4, riformula ex novo l’art. 15, per emendarlo di alcune improprietà
Il nuovo quarto comma, ferma la possibilità di poter richiedere eventuali informazioni urgenti, prevede che in ogni caso “il tribunale dispone che l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata”.
Il quinto comma prevede la possibilità che tutti i termini siano abbreviati dal presidente del tribunale per far fronte a situazioni di particolare urgenza, che è ben ipotizzabile possano verificarsi in materia. Per tali casi eccezionali si è previsto che lo stesso presidente possa disporre forme diverse di comunicazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, sempre salvaguardando il diritto di difesa: si è così recepita un’indicazione della prassi, razionalizzandola e circoscrivendola ai soli casi in cui il rispetto dell’iter normale potrebbe vanificare la tutela concorsuale dei creditori.
Al nono comma, la soglia sotto la quale non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento è stata elevata da venticinquemila a trentamila euro.

Massime relative all'art. 15 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 10952/2015

Ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall'art. 15, ultimo comma, legge fall. deve aversi riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati accertati non già alla data della proposizione dell'istanza di fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide sulla stessa.

In tema di requisiti dimensionali per l'esonero dalla fallibilità dell'imprenditore commerciale, ai fini del computo del triennio cui fa riferimento l'art. 1, secondo comma, lett. a), legge fall. (nel testo modificato dal d.l.vo 12 settembre 2007, n. 169) per la determinazione dell'attivo patrimoniale occorre fare riferimento agli ultimi tre esercizi antecedenti alla data del deposito dell'unica (ovvero della prima) istanza di fallimento.

Cass. civ. n. 2561/2014

Nell'ambito del procedimento prefallimentare, deve ritenersi consentita, in applicazione dell'art. 164, terzo comma, c.p.c. e in assenza di una previsione contraria o incompatibile dettata dalla disciplina speciale, la fissazione di una nuova udienza dopo la comparizione del debitore, il quale lamenti il mancato rispetto del termine di comparizione di cui all'art. 15, terzo comma, legge fall., con l'ulteriore possibilità, da parte del tribunale, di ridurre i termini a comparire in presenza di particolari ragioni di urgenza, così come previsto dal successivo quinto comma del citato articolo.

Cass. civ. n. 17205/2013

Ai sensi dell'art. 15, comma terzo, legge fall., nel testo modificato dal d.l.vo 9 gennaio 2006, n. 5, e dal successivo decreto correttivo 2 settembre 2007, n. 169, la notificazione al debitore del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza deve necessariamente avvenire nelle forme di cui agli artt. 136 e seguenti c.p.c. - salvo che non ricorra l'ipotesi dell'abbreviazione dei termini per ragioni di urgenza, prevista dall'art. 15, comma quinto, della legge fall. - sicché il ricorso alle formalità di notificazione di cui all'art. 143 c.p.c., per il caso delle persone irreperibili, presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l'ufficiale giudiziario dia espresso conto (mentre, nella specie, si era limitato a riferire che il debitore non viveva più in loco da tempo); ne consegue che, in mancanza di tali adempimenti, deve essere dichiarata la nullità della notificazione e, per violazione del contraddittorio, la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento, con conseguente obbligo per il giudice di appello di rimettere gli atti al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c., applicabile anche ai reclami camerali, quale deve considerarsi l'impugnazione avverso la dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. n. 15872/2013

Nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, il diritto di difesa dell'imprenditore insolvente va esercitato nei limiti compatibili con le regole del procedimento, che ha carattere sommario e camerale, sicché egli deve essere informato dell'iniziativa assunta nei suoi confronti e degli elementi su cui la stessa è fondata, in modo da poter svolgere compiutamente, eventualmente anche con l'assistenza di difensori, la propria difesa, rivelandosi, così, affatto irrilevante che quest'ultima sia svolta davanti al giudice relatore, anziché innanzi al collegio. (Fattispecie anteriore all'entrata in vigore del d.l.vo 9 gennaio 2006, n.5).

Cass. civ. n. 13643/2013

La produzione di copie informali di bilanci che non risultano approvati deve equipararsi alla mancata produzione dei bilanci stessi, sicché tale evenienza, integrando una violazione dell'art. 15, quarto comma, legge fall., come sostituito dal d.l.vo 12 settembre 2007, n. 169, si risolve in danno dell'imprenditore che intenda dimostrare l'inammissibilità della dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. n. 7181/2013

Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento di società con soci illimitatamente responsabili, l'obbligo di convocazione in camera di consiglio del socio (illimitatamente responsabile), sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 1972, trova giustificazione non in un generico interesse del socio stesso riferito alla dichiarazione di fallimento della società, ma nel fatto che detta dichiarazione produce anche il suo fallimento; ne consegue che, siccome la sentenza che dichiara il fallimento della società e dei soci contiene una pluralità di statuizioni (ossia una pluralità di dichiarazioni di fallimento), tra le quali esiste un rapporto di dipendenza unidirezionale (nel senso che la dichiarazione di fallimento del socio trova il suo presupposto nella dichiarazione di fallimento della società, la cui nullità travolge anche l'altra dichiarazione, mentre non è vero il contrario), in difetto di convocazione del socio, essendo violato il diritto di difesa dello stesso e non della società, la conseguente nullità riguarda il suo fallimento, non anche quello della società medesima

Cass. civ. n. 1098/2010

La regola, dettata dall'art. 157 c.p.c., secondo cui l'obbligo del giudice di esaminare l'eccezione di nullità relativa di un atto processuale presuppone che la medesima sia stata dedotta dalla parte, oltre che tempestivamente, con la specificazione delle ragioni d'invalidità, costituisce un principio generale, applicabile a tutti i processi speciali di cognizione, ivi compreso il procedimento per la dichiarazione di fallimento. Ne consegue che la nullità della "vocatio in ius" derivante dall'inosservanza del termine dilatorio di comparazione previsto dall'art. 15, terzo comma, della legge fall., resta sanata nel caso in cui il debitore non l'abbia specificamente dedotta nella memoria di costituzione, difendendosi nel merito.

Cass. civ. n. 22926/2009

Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, divenuto - per effetto delle modifiche all'art. 15 della legge fall. introdotte dal D.L.vo n. 5 del 2006, nel testo "ratione temporis" applicabile - un procedimento a cognizione piena, il rapporto cittadino-giudice si instaura con il deposito del ricorso, mentre la successiva fase, che si perfeziona con la notifica al convenuto del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, è finalizzata esclusivamente all'instaurazione del contraddittorio: pertanto, in caso di omissione della notifica o mancato rispetto del termine assegnato per il suo compimento, non ne deriva, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso stesso, ma solo la necessità di assicurare l'effettiva instaurazione del contraddittorio, realizzabile mediante l'ordine di rinnovazione della notifica emesso dal giudice, in applicazione dell'art. 162, primo comma, c.p.c., o mediante la costituzione spontanea del resistente, ovvero ancora, come nella specie, attraverso la rinnovazione della notifica eseguita spontaneamente dalla parte.

Cass. civ. n. 19214/2009

In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, non sussiste un diritto del debitore, convocato avanti al giudice, ad ottenere il differimento della trattazione per consentire il ricorso a procedure concorsuali alternative (nella specie, il concordato preventivo o l'accordo di ristrutturazione dei debiti), nè il relativo diniego da parte del giudice configura una violazione del diritto di difesa, in quanto tali iniziative (nella specie, nemmeno promosse con il deposito dei relativi atti) sono riconducibili all'autonomia privata, il cui esercizio dev'essere oggetto di bilanciamento, ad opera del giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici al cui soddisfacimento la procedura fallimentare è tuttora finalizzata.

Cass. civ. n. 6721/2008

In tema di dichiarazione di fallimento, il termine da assegnare al debitore perché compaia in camera di consiglio in sede di istruttoria non è rigidamente predeterminato e la sua congruità è affidata all'equo apprezzamento del giudice, dovendosi valutare la effettiva consapevolezza del debitore circa la questione oggetto del giudizio e la necessità di assicurargli una difesa adeguata. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo a fallimento di agente di cambio, dichiarato dopo che al medesimo era stato comunicato l'avviso per l'udienza prefallimentare fissata per il giorno seguente, con comparizione effettiva del debitore assistito da legale, senza il rilievo di eccezioni o riserve sulla predetta brevità, né sollecitazioni specifiche ad un differimento dell'udienza a tutela del proprio diritto di difesa).

Cass. civ. n. 6191/2008

In tema di procedimento officioso per la dichiarazione di fallimento, allorchè il debitore sia stato già sentito dal tribunale a norma dell'art. 15 legge fall., ove alla desistenza dal ricorso dell'unico creditore ricorrente segua un'iniziativa istruttoria del tribunale volta alla ricerca di prove sugli elementi della fallibilità, non occorre rinnovare la convocazione nè comunicare tali provvedimenti, essendo sufficiente, ai fini della tutela del diritto di difesa, che il debitore sia già stato posto nella condizione di chiarire tempestivamente al giudice ogni elemento utile per valutare la sua situazione e restando a suo carico l'onere di seguire gli sviluppi del procedimento; ne consegue che, in una fattispecie regolata dall'art. 6 legge fall. ed anteriore al D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5 (con il quale è venuto meno il potere d'ufficio del tribunale nell'iniziare il predetto procedimento), va confermata la sentenza che non ha disposto l'ulteriore convocazione del debitore per una nuova emergenza processuale, non avendo essa evidenziato fatti significativi, in relazione ai presupposti della fallibilità soggettivi ed oggettivi, positivi e negativi, posteriori all'inizio dell'unica istruttoria e sconosciuti al debitore.

Cass. civ. n. 9445/2007

Nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, alla convocazione del debitore in camera di consiglio si applica il principio di libertà delle forme proprio dei procedimenti camerali e la stessa è viziata solo se non abbia consentito al debitore di conoscere l'oggetto della convocazione e di difendersi; pertanto è irrilevante che la convocazione sia avvenuta mediante comunicazione e non anche mediante notificazione, come prescritto dal giudice, che il biglietto di cancelleria non indichi se la comparizione sia davanti al giudice delegato o al collegio, che non sia stata indicata espressamente la società il cui fallimento avrebbe comportato quello del socio illimitatamente responsabile quando il fallendo sia stato comunque in grado di acquisire compiuta conoscenza della procedura e delle sue possibili conseguenze.

Cass. civ. n. 21016/2006

Nel caso di dichiarazione di fallimento di una società entro l'anno dall'estinzione per fusione, il diritto ad essere sentito in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 15 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, spetta al legale rappresentante della società estinta, per le conseguenze che tale pronuncia può avere nei suoi confronti, nonché al socio illimitatamente responsabile, in quanto assoggettabile a fallimento personale, mentre non è obbligatoria l'audizione della società nata dalla fusione, pur rivestendo quest'ultima la qualità di successore a titolo universale della società sottoposta alla procedura concorsuale.

Cass. civ. n. 8091/2004

Nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, al fine di garantire al debitore l'effettivo esercizio del diritto di difesa, se è indispensabile che egli sia informato dell'iniziativa assunta nei suoi confronti, è altresì necessario che la relativa convocazione, per svolgere la funzione di garanzia che le è propria, sia da lui ricevuta prima della audizione nella sede giudiziale competente e contenga la precisa ed adeguata rappresentazione delle ragioni e delle finalità della stessa, affinché il debitore medesimo sia posto in grado di acquisire la compiuta conoscenza dei problemi e delle conseguenze che l'iniziativa comporta a suo carico e gli elementi necessari a contestare la sussistenza dei presupposti (soggettivi ed oggettivi, positivi e negativi) per la dichiarazione di fallimento, onde stabilire le opportune linee difensive.

Cass. civ. n. 6508/2004

L'esigenza di assicurare il diritto di difesa dell'imprenditore nella fase anteriore alla dichiarazione di fallimento deve ritenersi soddisfatta, avuto riguardo alla struttura sommaria e camerale del procedimento, ogni qualvolta l'imprenditore stesso sia comunque messo in grado di avere piena conoscenza della vicenda giudiziaria e di contraddire le ragioni poste a base dell'istanza di fallimento, mentre è estraneo alla disciplina del procedimento camerale in genere, e specialmente di quello (improntato a particolare speditezza) volto alla dichiarazione di fallimento, l'obbligo del giudice di concedere rinvii su richiesta di parte.

Cass. civ. n. 17185/2003

Nella fase che precede la dichiarazione di fallimento, il diritto di difesa dell'imprenditore insolvente, in considerazione del carattere camerale e sommario del relativo procedimento, può essere garantito con differenti modalità, quali l'audizione del debitore da parte dal Tribunale o del giudice relatore, ovvero mediante l'attribuzione della facoltà di presentare scritti difensivi e documenti; tuttavia, una volta stabilite dal Tribunale le modalità di esercizio di detto diritto, devono essere osservate le regole che concernono la modalità scelta. Pertanto, nel caso in cui il Tribunale abbia disposto la convocazione dell'imprenditore innanzi al giudice designato per l'istruttoria prefallimentare, qualora l'udienza fissata a detto fine sia stata rinviata d'ufficio, senza che risulti annotato sul ruolo d'udienza alcun provvedimento di rinvio, all'imprenditore deve essere data comunicazione della nuova udienza fissata per l'audizione, dovendo ritenersi inapplicabile l'art. 82, disp. att., c.p.c. — in virtù del quale, se il giudice istruttore non tiene udienza nel giorno fissato questa deve intendersi rinviata d'ufficio alla prima udienza successiva — poiché quest'ultima norma non è applicabile al procedimento camerale per la dichiarazione di fallimento, improntato da regole procedurali diverse dal rito ordinario, in considerazione delle esigenze di speditezza che lo connota e della sua natura inquisitoria.

Cass. civ. n. 15187/2000

In materia di dichiarazione di fallimento, la nullità derivante dalla mancata audizione del debitore può essere rilevata d'ufficio dal tribunale in sede di opposizione alla sentenza di fallimento ed essere dedotta per la prima volta come motivo d'appello, ma non può essere sollevata per la prima volta nel corso del giudizio d'appello ed in cassazione.

Cass. civ. n. 9156/1995

Ogni dichiarazione di fallimento assume effetti dal momento della pronuncia ed il rispetto del principio espresso dall'art. 15 legge fall. (nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 16 luglio 1970) richiede che l'instaurazione del contraddittorio coinvolga i presupposti specifici della singola dichiarazione di fallimento ed abbia carattere preventivo rispetto alla pronuncia stessa, sia che il procedimento sia promosso ad istanza di un creditore, sia che avvenga ad iniziativa di ufficio. Pertanto, nel caso in cui, in una prima dichiarazione di fallimento, siano emerse le qualifiche sia di socio che di imprenditore individuale di un soggetto e su di esse vi sia stato il contraddittorio e la pronuncia di fallimento personale, il venire meno di una qualifica in fase di opposizione non comporta la revoca del fallimento personale, che rimane tuttavia fondato sull'altra; se, invece, la dichiarazione di fallimento viene pronunciata solo in base ad una delle menzionate qualifiche, la revoca della dichiarazione di fallimento e l'eventuale iniziativa di ufficio per un nuovo fallimento, sulla base di un diverso presupposto in precedenza non contestato, assumono carattere di autonomia, sia sul piano della tutela della difesa, sia su quello degli effetti ricollegati in via conseguenziale (e non retroattiva) a ciascuna pronuncia.

Cass. civ. n. 5869/1993

Nel caso di dichiarazione di fallimento dell'imprenditore entro l'anno dalla morte, ai sensi dell'art. 10 legge fallimentare, non è obbligatoria l'audizione dell'erede nella fase istruttoria anteriore alla dichiarazione di fallimento, atteso che nessuno degli accertamenti rimessi al tribunale incide in modo immediato e diretto sulla posizione dell'erede ovvero gli reca un pregiudizio eliminabile soltanto attraverso la partecipazione del medesimo all'istruttoria prefallimentare. L'audizione dell'erede è, invece, obbligatoria qualora anch'egli sia imprenditore commerciale, o comunque lo diventi in seguito alla prosecuzione dell'impresa ereditaria.

Cass. civ. n. 6473/1983

L'esigenza di assicurare l'esercizio del diritto di difesa dello imprenditore prima della dichiarazione di fallimento deve essere soddisfatta sul piano sostanziale e non formale, nel senso che essa non postula necessariamente che il debitore compaia davanti al tribunale o al giudice delegato e renda dichiarazioni assunte a verbale, ma deve ritenersi assolta ogni volta che egli sia stato posto in grado di svolgere e documentare le sue ragioni in ordine al procedimento a suo carico. Non può pertanto ritenersi sussistente la necessità di una formale convocazione quando il debitore stesso abbia sollecitato la dichiarazione del proprio fallimento, rappresentando l'incapacità economica dell'impresa, sebbene il tribunale faccia nella sentenza riferimento ad una diversa iniziativa o ai suoi poteri d'ufficio, a meno che sulla richiesta del debitore non sia stata emessa una pronuncia negativa, ovvero i presupposti della dichiarazione di fallimento non emergano proprio e solo da elementi estranei alla richiesta medesima. *

Cass. civ. n. 2100/1980

La dichiarazione di fallimento non trova ostacolo nel mancato decorso del termine, per l'eventuale sanatoria della situazione di insolvenza, che sia stato concesso al debitore dall'ufficio fallimentare nella fase istruttoria sul ricorso per il fallimento medesimo, atteso che la concessione di tale termine, ricollegabile ad una prassi che non trova riscontro in norme di legge, non fa sorgere alcun diritto od aspettativa giuridicamente protetta.

Cass. civ. n. 42/1975

Alle sentenze straniere dichiarative di fallimento, quando manchi una convenzione internazionale che ne disciplina il riconoscimento con criteri di semplicità e di speditezza, è applicabile, in considerazione delle conseguenze giuridiche, di natura costitutiva ed esecutiva che ne derivano, l'ordinario procedimento di delibazione, previsto per il conferimento dell'efficacia in Italia alle sentenze di giudici stranieri. La disciplina risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 15 della legge fallimentare impone bensì la convocazione del debitore (salva l'ipotesi di particolari ragioni di cautela o urgenza), ma non presuppone necessariamente l'effettiva audizione dello stesso, che l'ufficio giudiziario non sarebbe in grado di assicurare nell'ipotesi di rifiuto a comparire ovvero nel caso di impossibilità di comunicazione dell'invito a comparire, per irreperibilità del destinatario. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha disatteso l'assunto di una dedotta contrarietà all'ordine pubblico italiano di una sentenza straniera di fallimento emessa, nell'irreperibilità del debitore, senza previa convocazione di quest'ultimo).

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Consulenze legali
relative all'articolo 15 Legge fallimentare

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P. D. C. chiede
mercoledì 22/12/2021 - Veneto
“Buongiorno, in merito alla Legge Fallimentare, premesso che l'Azienda Srl soddisfa i requisiti per essere soggetta al fallimento, la mia domanda è: può il creditore che vanta un credito di 14.000 euro, che non verrà soddisfatto nemmeno a seguito di decreto ingiuntivo, richiedere il fallimento del debitore oppure il suo credito non è sufficiente? L'art. 15 comma IX della suddetta legge dice "Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati (...) è complessivamente inferiore a euro trentamila." Questa soglia di trentamila si riferisce al credito di un singolo oppure all'ammontare totale dei crediti scaduti verso i fornitori? Grazie per l'attenzione, cordiali saluti”
Consulenza legale i 27/12/2021
L’art. 15 della l. fall., comma 9, statuisce che “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila”.
Il tenore della norma è chiaro nel riferire l’esclusione della fallibilità all’ipotesi in cui l’entità complessiva dei debiti scaduti e non pagati – e non il solo debito verso il creditore istante – sia inferiore ad Euro 30.000,00.
La minima entità del credito vantato, infatti, non influisce sulla legittimazione alla presentazione dell’istanza di fallimento, né integra la causa di esclusione della fallibilità di cui all’art. 15 della l. fall., comma 9, sopra riportato.

In seguito alla presentazione dell’istanza, si attiva la procedura per l’istruttoria prefallimentare, nella quale il giudice delegato provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, come previsto dal comma 6.

Sul punto è pacifica la giurisprudenza della Suprema Corte, la quale è concorde nel ritenere che per accertare il superamento della superiore soglia ostativa alla dichiarazione di fallimento, si deve avere riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare (Cass. civ., 14 novembre 2017, n. 26926; Cass. civ., 19 luglio 2016, n.14727) e accertati alla data in cui il tribunale decide sull'istanza di fallimento (sentenza Cass. civ., 27 maggio 2015, n.10952).

La stessa giurisprudenza di merito è concorde sul punto, nel ritenere che ai fini del raggiungimento della soglia di euro 30.000 di cui all'articolo 15, ultimo comma, legge fallimentare si tiene conto non solo degli importi dei crediti di cui all'istanza di fallimento ma anche di quelli risultanti dalle informazioni richieste d'ufficio dal tribunale ai sensi del quarto comma dello stesso articolo ed anche delle prove disposte dal tribunale o dal giudice delegato su istanza di parte o di ufficio (come disciplinato dall'art. 15 della l. fall., comma 6). (Corte d’Appello L'Aquila, 14 Febbraio 2012; concorde Corte d’Appello Catanzaro, 24 luglio 2013).

Antonio D. A. chiede
martedì 19/05/2020 - Lazio
“Ho ricevuto l'istanza di fallimento da parte di un mio ex dipendente licenziato il 15 maggio 2015, con TFR da liquidare di € 19.992,99 .... nonostante acconti verstai negli anni successivi documentati da estratti conti per un totale d € 11.715,00 quindi un avere a saldo di € 8.247,00 .......... lui insieme al suo legale per chiudere la pratica ne vuole 14.000 + spese legali.....
La società è ferma da giugno 2016 .... non ha piu' lavorato
secondo l'art 1 della legge fallimentare non ho i requisiti per il fallimento.... E' GIUSTO O NON E' COSI' ............... resto in attesa grazie e saluti”
Consulenza legale i 23/05/2020
Nel quesito viene sottolineato che non vi sonoi presupposti di cui all'art.1 della Legge Fallimentare affinché possa essere dichiarato il fallimento del soggetto e viene chiesta conferma di ciò.

Premesso che dal quesito non si possono evincere tutti gli elementi richiesti dall'articolo sopra menzionato al fine di giungere alla conclusione della non fallibilità del soggetto, si può, ad ogni modo, rilevare quanto segue.

Se l'ammontare complessivo dei debiti del soggetto è pari solamente a quanto si evince dal quesito (circa 8k), non si potrebbe addivenire alla dichiarazione di fallimento per carenza dei presupposti di cui all'art. 15 della Legge Fallimentare, atteso che i debiti del soggetto di cui si chiede il fallimento devono superare l'ammontare di euro 30.000,00.

Pertanto, la risposta al quesito, sulla base dei dati forniti, è che l'istanza di fallimento non può portare alla dichiarazione di fallimento per carenza dei presupposti di cui all'art. 15 della L.F.

Gianluca T. chiede
giovedì 10/11/2016 - Emilia-Romagna
“Il mio quesito è il seguente.

La società XY ha i requisiti soggettivi per fallire (fatturato oltre 200K). Circa il requisito oggettivo, ha debiti scaduti e non pagati, già oggetto di azione esecutiva, verso un fornitore, per soli 14.000€ mentre le scadenze nei confronti dell’erario (ritenute varie e IVA non versate alle scadenze) sono di oltre 70.000. Di questi 70.000, 19.000 sono stati oggetto di dilazione quando è arrivato l’avviso bonario, e si stanno regolarmente pagando con rate trimestrali. Per i rimanenti, 51.000 dovendo ancora arrivare l’avviso bonario dell’agenzia delle entrate, quindi non ancora contestati (ancorché le scadenze son stabilite per Legge) chiedo come son considerati. Perché se considerati debiti scaduti e non pagati sicuramente, sommandoli ai 14.000 del creditore istante, si superano i 30.000€ e l’azione del creditore può produrre il fallimento. Se invece si considerano solo i 14.000€ allora essendo sotto la soglia dei 30.000 il fallimento non viene dichiarato.”
Consulenza legale i 15/11/2016
L'avviso bonario è una comunicazione con la quale l'Agenzia delle Entrate informa il contribuente del controllo effettuato sulla sua dichiarazione dei redditi, evidenziando eventuali imposte e contributi che non risultano pagati.
Nel momento in cui, quindi, il contribuente riceve la notifica dell’avviso bonario, si trova già in una situazione di inadempimento, ovvero il debito tributario è già scaduto.

Non va confusa, infatti, la contestazione della richiesta tributaria (nella forma o nel contenuto), con l’inadempimento all’obbligo di pagamento delle somme entro un certo termine.
Un debito si considera scaduto quando è divenuto esigibile, ovvero quando è maturato il termine stabilito per il pagamento. Sotto questo profilo, i debiti risultanti da un avviso di addebito notificato sono sicuramente debiti “scaduti”.

Ai fini della dichiarazione di fallimento, pertanto, essi saranno da considerare “utili”:
- sia ai fini del computo di cui all’articolo 1 della Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942), laddove questa impone di considerare i debiti dell’imprenditore convenuto in giudizio, “anche non scaduti”;
- sia ai fini del requisito dettato dall’art. 15 della L. Fall. – cui si fa riferimento nel quesito - ovvero “Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila”.

Va specificato che nel corso dell’istruttoria prefallimentare il Giudice non può entrare nel merito del rapporto di credito, ma deve limitarsi ad accertare l’esistenza e la legittimità del titolo vantato dal creditore: “La verifica dello stato di insolvenza, quale situazione di impotenza economico patrimoniale idonea a privare l'imprenditore della possibilità di far fronte con mezzi normali ai propri debiti (nella specie, infruttuoso tentativo del creditore istante di incassare gli assegni consegnatigli dalla società debitrice; ammissioni della legale rappresentante di quest'ultima; ricorrenti perdite di esercizio nell'ultimo biennio; complesso di debiti, anche tributari, pur se non scaduti) prescinde dall'indagine sull'effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore, tanto che in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, la qualità di creditore, necessaria ai fini della proposizione del ricorso ex art. 6 legge fallimentare, si estende a tutti coloro che vantano un credito, nei confronti del debitore, ancorché non necessariamente certo, liquido ed esigibile” (Cassazione civile, sez. VI, 10/02/2015, n. 2566).

Pertanto il credito erariale evidenziato nell’avviso bonario, quand’anche non ancora formalmente “contestato” (da intendersi come “segnalato”, “richiesto”) con avviso bonario, sarà senz’altro valido “credito” ai fini dell’integrazione del citato presupposto di legge.

Per completezza, va infine segnalato che se l’imprenditore è consapevole che la somma richiesta con avviso bonario è, in realtà, già stata pagata all’erario, oppure ancora se ritiene che l’importo indicato sull’avviso sia in realtà inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto, egli dovrà tempestivamente utilizzare gli strumenti processuali che la legge gli mette a disposizione (giudizio di accertamento nei caso di semplice avviso bonario, opposizione nel caso di cartella esattoriale, ecc.) al fine di “paralizzare” la pretesa dell’erario.
Infatti, in sede di procedimento prefallimentare (articoli 15 e seguenti della L.Fall.), il Giudice non potrà dichiarare il fallimento qualora il credito sia in contestazione ed oggetto di un giudizio pendente avanti ad altro Giudice.
La verifica della legittimazione ad agire del ricorrente, ovvero l’accertamento della qualità di creditore in capo a chi agisce per richiedere la dichiarazione di fallimento, è presupposto fondamentale perché il Giudice possa pronunciarsi nel merito della domanda.
Risulta, infatti, necessario che tale accertamento venga fondato, così come statuisce la giurisprudenza sull’argomento, su dati che non possano essere poi smentiti nel proseguo del procedimento endofallimentare: “In tema di fallimento, quando è pendente davanti all'autorità giudiziaria il giudizio in ordine all'accertamento di una obbligazione deve escludersi che la stessa possa considerarsi esistente sino a che quella pronuncia di accertamento non sia stata emanata ed abbia acquisito la definitività del giudicato” (Tribunale Cagliari, sez. fallimentare, 04/01/2010, n. 6638).

In conclusione, nell’ipotesi del ricorso per la dichiarazione di fallimento fondato su un credito risultante da un titolo non definitivo e contestato avanti ad altro Giudice, va disposto il rigetto dell’istanza di fallimento per carenza della prova dell’esistenza del credito fondante la legittimazione del creditore ad avviare la procedura fallimentare.