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Articolo 146 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Amministratori, direttori generali, componenti degli organi di controllo, liquidatori e soci di società a responsabilità limitata

Dispositivo dell'art. 146 Legge fallimentare

(1) Gli amministratori e i liquidatori della società sono tenuti agli obblighi imposti al fallito dall'articolo 49. Essi devono essere sentiti in tutti i casi in cui la legge richiede che sia sentito il fallito (2).

Sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori:

  1. a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori [2392, 2393 bis, 2394, 2395 c.c.], i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori (3);
  2. b) l'azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall'articolo 2476, comma settimo, del codice civile.

Note

(1) Articolo così sostituito con d.lgs. 5/2006 per adeguare la norma alla nuova disciplina della governance societaria delineata dalla riforma del 2003.
(2) Dalla norma si deduce che gli organi della società rimangono in vita e sono tenuti a rispettare gli obblighi previsti per il fallito.
Il fatto che amministratori e liquidatori debbano essere sentiti al pari del fallito, implica che attraverso essi l'ente si esprime e sta in giudizio.
(3) La lettera a) presenta una formulazione sufficientemente aperta per potervi ricomprendere anche le azioni contro i componenti degli organi sociali della s.r.l. e nei confronti dei membri degli organi di controllo.
L'azione di responsabilità va esercitata dal curatore, quindi si ritiene che sia lui a dover dare prova del nesso di causalità tra il danno e la cattiva gestione da parte dei soggetti elencati dalla norma in commento.

Massime relative all'art. 146 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 17121/2010

In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, la riforma societaria di cui al d.l.vo n. 6 del 2003, che pur non prevede più il richiamo, negli artt. 2476 e 2487 c.c., agli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all'esercizio della predetta azione ai sensi dell'art. 146 legge fall., in quanto per tale disposizione, riformulata dall'art. 130 del d.l.vo n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l'interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.

Cass. civ. n. 13465/2010

Il curatore del fallimento di un consorzio con attività esterna non è legittimato ad esercitare, nei confronti degli amministratori del consorzio, l'azione di responsabilità eventualmente spettante a coloro che vantino pretese creditorie a valere sul fondo consortile e lamentino l'incapienza di questo, ovvero abbiano subito danni diretti per essere stati fuorviati dalla violazione dei criteri legali che presiedono alla redazione della situazione patrimoniale del consorzio, restando questa un'azione risarcitoria individuale nella titolarità di ciascun singolo creditore nei confronti dell'amministratore del consorzio, che è soggetto diverso dal fallito, e che non è, egli stesso, fallito. Invero, i consorzi, pur quelli con attività esterna, costituiscono enti ben diversi dalla società per azioni, sia dal punto di vista strutturale, sia per le finalità in relazione alle quali operano, e sia per il modo di essere della loro base economico-finanziaria, con conseguente impossibilità di un'applicazione analogica dell'azione di responsabilità dei creditori sociali contemplata dall'art. 2394 c.c. e, per l'ipotesi di fallimento, dal successivo art. 2394 bis c.c..

Il curatore del fallimento di un consorzio con attività esterna non è legittimato ad esercitare, nei confronti degli amministratori del medesimo consorzio, l'azione di responsabilità extracontrattuale per lesione dei diritti di credito, ai sensi dell'art. 2043 c.c., non trovando nel patrimonio del consorzio la titolarità di un'azione di responsabilità già spettante all'ente (dato che per l'art. 2608 c.c. gli amministratori rispondono verso i consorziati e non verso il consorzio), e non potendo invocare una norma speciale che gli attribuisca, sul modello dell'art. 2394 (ora 2394 bis) c.c., il potere di agire per conto dei creditori nei confronti di un soggetto diverso dal fallito, né potendo a tal fine giovarsi dell'art. 146 della legge fall., perché la speciale disciplina del capo X della legge fallimentare è circoscritta all'ipotesi di fallimento di società, onde sarebbe arbitrario riferirla anche alla diversa figura del consorzio.

Cass. civ. n. 25977/2008

L'azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 146 legge fall., ha natura contrattuale e carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. ; ne consegue che, mentre su chi la promuove grava esclusivamente l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, su amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità a sè del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi loro imposti ; pertanto, l'onere della prova della novità delle operazioni intraprese dall'amministratore successivamente al verificarsi dello scioglimento della società per perdita del capitale sociale, compete all'attore e non all'amministratore convenuto.

Cass. civ. n. 11018/2005

Il principio generale di solidarietà tra coobbligati di cui all'art. 2055, primo comma, c.c., benché sia stabilito espressamente in materia di responsabilità extracontrattuale, è applicabile anche in tema di responsabilità contrattuale, con la conseguenza che, nel caso di azione di responsabilità proposta dal curatore del fallimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali ex art. 146, legge fall., che cumula l'azione sociale (art. 2393 c.c.) e l'azione spettante ai creditori della società (art. 2394 c.c.), sussiste nei rapporti esterni la responsabilità solidale degli amministratori, indipendentemente dalla natura della responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) nei confronti dei creditori sociali (fattispecie nella quale, ratione temporis, sono stati applicati gli artt. 2393 e 2394 c.c. nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L.vo n. 6 del 2003).

Cass. civ. n. 20637/2004

In tema di azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci, per il cui esercizio da parte del curatore fallimentare l'art. 146 legge fall. richiede che sia sentito il comitato dei creditori, i vizi inerenti alla procedura di preventiva audizione del comitato dei creditori non possono essere fatti valere mediante una diretta impugnativa in sede contenziosa dell'atto posto in essere dal curatore, ma sono deducibili soltanto nell'ambito della procedura fallimentare, con reclamo avanti al tribunale fallimentare.

Cass. civ. n. 10937/1997

L'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci, esercitata dal curatore del fallimento, ex art. 146 L. fall., compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, visto unitariamente come garanzia e dei soci e dei creditori sociali; essa sorge, ai sensi dell'art. 2394, comma secondo, c.c., nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società e si trasmette al curatore nel caso di fallimento sopravvenuto. Ne consegue che la prescrizione quinquennale, di cui all'art. 2949, comma secondo c.c., decorre dal momento in cui si verifica l'insufficienza del patrimonio sociale: momento che, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, può essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. n. 3160/1995

Con riguardo a provvedimenti cautelari a carico degli amministratori o sindaci di società fallita, soggetti ad azione di responsabilità, la questione dell'applicabilità dell'art. 146 ultimo comma del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, ovvero dell'art. 669 ter c.p.c., che contemplano, rispettivamente, l'intervento del giudice delegato, ovvero del pretore o del giudice designato dal presidente del tribunale, integra un problema di competenza, deducibile con istanza di regolamento, nel rapporto fra pretore e giudice designato o delegato del tribunale, oppure fra giudici designati o delegati di tribunali diversi, non anche nel rapporto fra giudici dello stesso tribunale, restandosi in tal caso nell'ambito della ripartizione di compiti all'interno del medesimo ufficio giudiziario, fra componenti di esso con pari funzioni.

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Consulenze legali
relative all'articolo 146 Legge fallimentare

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Arianna O. chiede
lunedì 23/11/2020 - Marche
“Buonasera.
Società srl socio unico quote cedute dagli altri soci nel novembre 2019.
Dipendente si dimette il 30 luglio 2020. Causa covid non riesco a liquidare il TFR superiore ai 30 mila. Rischio il fallimento, ho i requisiti. parliamo di una PMI con due dipendenti. Scritture contabili non proprio a posto, nessun bene intestato alla società e nemmeno al legale rappresentante, conti correnti vuoti e continui finanziamenti alla società da parte del socio unico legale rappresentante derivati da vendita usufrutto immobile.
Beni mobili in leasing, magazzino di ricambi auto invendibile. Unico finanziamento in banca coperto da fideiussioni omnibus.
Vorrei capire cosa posso fare prima che il dipendente mi faccia dichiarare fallito e i rischi per il patrimonio di mio figlio che ha comperato a vitalizio la casa dei miei genitori soci un anno fa dell’azienda. Immobile su cui gravano due ipoteche e conto corrente su cui ho bonificato una certa cifra inerente la vendita del suddetto immobile. Tutto ciò prima che il dipendente si licenziasse. Grazie spero di essere stata esaustiva.”
Consulenza legale i 29/11/2020
Il perimetro del quesito riguarda le conseguenze, civili e penali, per l’amministratore, poi divenuto anche socio della s.r.l. a partire dal novembre 2019, in conseguenza di una eventuale dichiarazione di fallimento della medesima s.r.l.

Conducendo prima l’illustrazione delle conseguenze civili, occorre richiamare a tal proposito l’art. art. 146 della l. fall. della L.F., a mente del quale “sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall’articolo 2476, comma settimo, del codice civile".

La disposizione di cui sopra attribuisce al curatore fallimentare il potere di esercitare le azioni contro gli amministratori e/o i soci della società fallita nell’interesse della massa creditoria.

Il rischio più concreto riguarderebbe una possibile azione di responsabilità che il curatore intendesse promuovere per i danni causati dall’amministratore unico, piuttosto che in relazione alla posizione di socio, atteso che le quote sono state cedute di recente, in un momento in cui si chiudeva l’esercizio sociale riferito all’anno 2019 (il nuovo esercizio sociale non si è neppure concluso).

L’azione di responsabilità contro l’amministratore di una s.r.l. è disciplinata dall’art. 2476 c.c., in forza del quale quest’ultimo è ritenuto responsabile dei “danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società”, nonché per “l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale”.

Nel caso di specie, in mancanza di una approfondita analisi della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della s.r.l., si può solo accennare a tale rischio per l’amministratore in caso di fallimento. Le azioni di responsabilità, sia nei confronti dei soci che degli amministratori di una società fallita, da parte del curatore sono, infatti, sempre i principali rischi per i soggetti che ricoprono tale posizione nella società.

In aggiunta a quanto sopra, sussistono dei rischi anche con riferimento all''atto vitalizio stipulato dai genitori ex soci. Qualora, infatti, venisse promossa una azione di responsabilità da parte del curatore fallimentare anche contro gli ex soci, il medesimo curatore, al fine di ottenere maggiore garanzia patrimoniale, potrebbe promuovere anche una azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. per ottenere l'inefficacia dell'atto di vitalizio. Tuttavia, il curatore dovrà provare la consapevolezza da parte sia dei genitori ex soci che del nipote del pregiudizio che avrebbe arrecato l'atto vitalizio alle ragioni dei creditori sociali. Il termine entro cui il curatore potrà esperire l'azione revocatoria ordinaria è di 5 anni dal compimento dell'atto di vitalizio. Il rischio, invece, che possa essere esperita una azione revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 L.F. pare remota, atteso che l'atto di vitalizio (come evidenziato nel quesito) è stato sottoscritto già da un anno, cosicché saremmo fuori dal periodo "sospetto" di un anno anteriore alla dichiarazione di fallimento: arco di tempo previsto dalla norma citata perché possa essere esperita l'azione revocatoria fallimentare.

In relazione, invece, alle conseguenze penali, i rischi più concreti riguardano il profilarsi a carico dei suddetti soggetti dei reati di bancarotta.

I reati di bancarotta si articolano in due diverse fattispecie, quella fraudolenta ex art. 216 L.F. e quella semplice ex art. 217 L.F.

Il reato di bancarotta fraudolenta si articola a sua volta in tre diverse fattispecie:
- bancarotta fraudolenta patrimoniale, che si verifica quanto l’imprenditore distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, espone passività inesistenti;
- bancarotta fraudolenta documentale, che sussiste quando l’imprenditore sottrae, distrugge o falsifica, in tutto o in parte, in modo tale da procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li tiene in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari;
bancarotta fraudolente preferenziale, che si verifica in caso di pagamenti fatti allo scopo di preferire un creditore rispetto ad un altro.

Il reato di bancarotta semplice, invece, si verifica nel caso in cui sia stata ritardata la dichiarazione di fallimento da parte dell’imprenditore, con ciò aggravando il dissesto della propria società, oppure se il medesimo abbia compiuto operazioni manifestamente imprudenti per ritardare il fallimento etc.

Come può evincersi dall’elenco dei reati sopra indicati, le fattispecie sono molteplici e di conseguenza anche i rischi per i soci e gli amministratori di una società in caso di fallimento. Anche per tali profili penali, non avendo un quadro fattuale dettagliato della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica è impossibile fare qualsivoglia previsione circa la sussistenza di un reato piuttosto che di un altro.

Quello che però va sottolineato alla luce dei fatti descritti nel quesito è il rischio derivante dalla falsificazione delle scritture contabili (se ciò si è verificato nel caso di specie), qualora ciò renda impossibile ricostruire il patrimonio della società. In tal caso, infatti, si potrebbe profilare il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Giovanni F. chiede
lunedì 17/02/2020 - Sardegna
“Buongiorno, spero di rendere l'idea della situazione e quindi comprensibile la domanda.
Sono stato amministratore di una SRL fino al 31 gennaio 2012. La società ebbe una serie di problematiche varie che rallentarono i lavori di costruzione di un complesso immobiliare e conseguenti problemi finanziari che determinarono mancati pagamenti consistenti e protesti cambiari. In seguito i lavori furono bloccati definitivamente ma il nuovo amministratore riuscì a tacitare banche e fornitori attraverso parziali pagamenti periodici o altre commesse varie che arrivavano da altre società del gruppo. Nel 2017 vi fu però istanza di fallimento, con decreto datato 30/05/2018.
Vi chiedo informazioni riguardo la mia posizione rispetto ai creditori sociali e quindi possa essere ancora chiamato in causa o se invece ogni azione di responsabilità riconosciuta dal 146 L.F. sia ormai prescritta stante la cessazione dell'incarico da più di 5 anni (già dalla data del decreto di fallimento, non solo ad oggi). Vi ringrazio.”
Consulenza legale i 18/02/2020
La risposta al quesito comporta il richiamo al combinato disposto di cui all’art. 2394 del c.c. e all'art. art. 146 della l. fall., alla cui lettura si rimanda.

Ai sensi delle sopracitate disposizioni, le azioni di responsabilità per mala gestio contro gli amministratori di una srl possono esperite, in caso di fallimento, dal curatore entro il termine di prescrizione quinquennale.

La problematica sottesa al quesito formulato è il momento da cui far decorrere tale termine di prescrizione e, pertanto, comprendere se, nel caso di specie, possano ritenersi prescritte le azioni contro l’amministratore in carica sino al 31.01.2012.

Ebbene, tale termine decorre dal momento in cui il bilancio della srl abbia attestato una perdita ingente, rendendo oggettivamente percepibile per i creditori l’insufficienza patrimoniale della società. Tale momento, dunque, deve essere rinvenuto nella data di pubblicazione del primo bilancio d’esercizio da cui è emersa detta perdita.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha emesso il seguente principio: “In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, ai sensi dell'art. 2394 cod. civ., il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio è idoneo a offrire un'informazione rassicurante ed affidabile. Allorché, poi, nonostante la relazione dei sindaci al bilancio, in cui si evidenzi l'inadeguatezza della valutazione di alcune voci, l'assemblea deliberi comunque la distribuzione degli utili ai soci ai sensi dell'art. 2433 cod. civ. senza obiezioni, in quella sede, da parte degli organi sociali di gestione e di controllo, l'idoneità, o no, di detta relazione sindacale ad integrare di per sé l'elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale rimane oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito” (Corte di Cassazione, sentenza n. 21662 del 5 settembre 2018).

Come si può dedurre dal principio di diritto formulato dalla Suprema Corte, le azioni di responsabilità contro l’amministratore in carica sino al 31.01.2012 potrebbero, pertanto, ancora non ritenersi prescritte, laddove prima della dichiarazione di fallimento, che dal resoconto dei fatti sembra essere stata emessa nel maggio 2018, i bilanci non evidenziassero perdite di bilancio ingenti tali da rendere palese ai creditori sociali la situazione di insufficienza del patrimonio sociale. Se, infatti, non vi fossero tali evidenze dal bilancio, si deve presumere che tale conoscenza dello stato in cui versava la società per i creditori sociali sia avvenuta solamente al momento della dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che non possono ritenersi prescritte le azioni di responsabilità contro detto amministratore.

Diversamente, laddove emergessero tali evidenze dai bilanci, l'azione di responsabilità contro detto amministratore potrebbe essere prescritta.

Antonio C. chiede
sabato 20/10/2018 - Sicilia
“Sono Amministratore Unico di una s.r.l. Dichiarata fallita , la societa e’ attiva, nel caso di incidente mortale chi ne risponde legalmente ?”
Consulenza legale i 24/10/2018
Per rispondere compiutamente al parere va prima di tutto compreso a che titolo il datore di lavoro è responsabile degli infortuni sul lavoro occorsi ai dipendenti che operano nella sua azienda.

Il codice penale all’articolo 40 afferma che “non impedire un evento che si aveva l’obbligo di impedire, equivale a cagionarlo”. Sostanzialmente, e senza entrare in inutili tecnicismi, la normativa penale afferma con questa frase che in capo a determinati soggetti si instaura una cd. posizione di garanzia in base alla quale il soggetto è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti che, appunto, dovrebbero essere funzionali ad evitare un evento pericoloso, come la morte di un lavoratore.

Nell’ambito degli infortuni sul lavoro, questa posizione di garanzia si incardina proprio in capo al datore di lavoro (che ben potrebbe essere l’Amministratore Unico della società a meno che non vi siano specifiche deleghe di funzioni) che, in sostanza, ha l’obbligo giuridico di porre in essere una serie di obblighi e accorgimenti funzionali ad evitare gli infortuni dei dipendenti (si faccia l’esempio semplicissimo dell’indicazione dell’obbligo di indossare il caschetto protettivo o le scarpe antiscivolo).

Se il datore di lavoro non adempie a detti accorgimenti è responsabile dell’infortunio (non entriamo nel merito delle condotte abnormi del lavoratore che è un argomento connesso ma differente).

Va dunque compreso nel caso della società fallita chi riveste la qualifica di datore di lavoro.

Ebbene, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che nel caso di azienda fallita la posizione di garanzia si incardini in capo al curatore fallimentare che, in sostanza, diviene titolare di tutti i rapporti giuridici che fanno capo all’azienda (la giurisprudenza in questione fa riferimento alle morti da amianto in caso di omessa bonifica dell’azienda fallita). Per tale ragione dal momento in cui viene nominato il curatore fallimentare diviene il nuovo datore di lavoro e, in quanto tale, il nuovo responsabile di eventuali infortuni.

Si consideri tuttavia un elemento importante: spesso il Pubblico Ministero quando c’è una successione temporale di datori di lavoro contesta il reato ad entrambi i soggetti i quali, a quel punto, dovranno ipotizzare una strategia difensiva ad hoc a seconda dei tempi e modi della successione di cariche.