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Articolo 3 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 04/04/2024]

Questioni pregiudiziali

Dispositivo dell'art. 3 Codice di procedura penale

1. Quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice, se la questione è seria e se l'azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione [478, 479 c.p.p].

2. La sospensione è disposta con ordinanza soggetta a ricorso per cassazione [606 c.p.p.]. La corte decide in camera di consiglio [127, 611 c.p.p.].

3. La sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti [467, 559, 392, 354 c.p.p].

4. La sentenza irrevocabile del giudice civile [324 c.p.c.] che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel procedimento penale.

Ratio Legis

In tale articolo, come già nell' art. 2 c.p.p., il legislatore ha voluto manifestare l'esigenza di portare a compimento un processo in tempi ragionevoli; la devoluzione di determinate questioni pregiudiziali a differenti giudici (civili o amministrativi) è funzionale ad assicurare la coerenza dei giudicati.

Spiegazione dell'art. 3 Codice di procedura penale

Si è già visto nell'articolo 2 che il giudice penale ha l'obbligo di risolvere ogni questione da cui dipende la decisione, tranne nelle ipotesi in cui diversamente stabilito. Con tale formulazione il legislatore ha inteso attribuire al giudice penale il potere di risolvere in maniera autonoma qualsiasi antecedente logico – giuridico da cui possa dipendere la decisione.

La norma in esame codifica una delle eccezioni previste dal codice al principio della cognizione incidentale del giudice, stabilendo l'efficacia vincolante per il giudice penale delle decisioni relative allo stato di famiglia o di cittadinanza prese in altri giudizi civili.

Innanzitutto si prevede la possibilità (e non il dovere) di sospendere il processo penale al ricorrere di tre condizioni:
  • deve sussistere un effettivo rapporto di pregiudizialità tra lo decisione relativa allo stato di cittadinanza o di famiglia e la decisione del giudice penale (ad esempio per il riconoscimento di una circostanza aggravante che punisce maggiormente un reato commesso contro un parente);
  • la questione deve essere seria, e quindi non manifestamente pretestuosa e tesa a dilatare la durata del processo per via della sospensione;
  • l'azione civile deve essere già stata proposta (in realtà, nonostante la formulazione della norma, si intende sia in via civile che amministrativa).

Qualora difetti una delle condizioni suelencate, il giudice ha invece l'obbligo di decidere la questione in via incidentale, e tale decisione non assumerà efficacia vincolante in nessun altro processo, come previsto dall'articolo 2, comma secondo.

Nell'ipotesi in cui sia stata disposta la sospensione (con apposita ordinanza emessa in camera di consiglio), tale decisione è ricorribile per cassazione. Finché dura la sospensione, è possibile solo il compimento degli atti urgenti, che non ammettono dilazione.

Se il procedimento civile od amministrativo si conclude con efficacia di giudicato, orbene tale sentenza assume efficacia vincolante anche nel giudizio penale. Il giudice penale non potrà dunque discostarsi dalla statuizione altrove emessa, e dovrà giudicare sulla base di tale decisione (nel caso, dunque, in cui venga accertata la commissione del reato, dovrà ad esempio applicare la circostanza aggravante eventualmente prevista per il rapporto di parentela accertato nel giudizio civile).

Massime relative all'art. 3 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 27051/2008

Ai fini dell'integrazione del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il disconoscimento di paternità, sebbene accertato con sentenza passata in giudicato, opera ex nunc e non ex tunc atteso che il rapporto di discendenza cui fa riferimento la fattispecie incriminatrice è collegato ad una situazione ex lege non alla filiazione naturale, con la conseguenza che l'elemento materiale del reato non può ritenersi cancellato dal successivo accertamento dell'inesistenza del rapporto di filiazione.

Cass. pen. n. 19601/2008

Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

Cass. pen. n. 647/2008

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 295 cod. proc. civ. e 3 cod. proc. pen. (nella rispettiva formulazione applicabile, "ratione temporis", a controversia instaurata nel 1984), per la sospensione necessaria del giudizio civile non è sufficiente la sola proposizione della denuncia per falsa testimonianza o la trasmissione della relativa "notitia criminis" da parte del giudice civile, occorrendo anche, in base al secondo comma del citato art. 3 cod. proc. pen., che la conseguente azione penale sia effettivamente iniziata e che la cognizione del reato influisca sulla decisione della controversia civile. (Rigetta, Trib. Avellino, 4 Luglio 2003).

Cass. pen. n. 33326/2007

Il processo per il delitto di alterazione di stato, commesso mediante falsa attestazione della paternità nella formazione dell'atto di nascita, può essere sospeso in relazione alla controversia civile sulla questione di stato perché essa condiziona, in termini di pregiudizialità, la pronuncia sull'imputazione e la sentenza del giudice civile sul rapporto di paternità naturale esplica effetti vincolanti nel procedimento penale pur non sospeso,

Cass. pen. n. 38171/2006

L'art. 3 c.p.p., nella parte in cui non prevede che il procedimento penale possa essere sospeso per la pendenza di altro procedimento penale, manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, costituendo esso espressione di una ragionevole scelta del legislatore ispirata all'intento di garantire la massima autonomia di giudizio in ciascun procedimento penale, nell'ambito del quale deve essere sempre e comunque ricercata la verità, senza condizionamenti derivanti dagli elementi raccolti in altri procedimenti (principio affermato, nella specie, con riguardo alla pendenza di un procedimento penale per falsa testimonianza, di cui si assumeva la rilevanza ai fini del giudizio sulla responsabilità del soggetto che figurava imputato nel diverso procedimento nel corso del quale la questione di costituzionalità era stata sollevata).

Cass. pen. n. 13780/2002

Anche nel rito abbreviato è possibile la sospensione del procedimento, tanto in attesa della risoluzione di questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza (ai sensi dell'art. 3 c.p.p.), quanto in pendenza di giudizio su altre questioni pregiudiziali civili o amministrative di particolare complessità, come previsto dall'art. 479 stesso codice, atteso che non può ritenersi vincolante la lettera di tale articolo, la quale fa riferimento solo alla sospensione del dibattimento, considerato che detta sospensione non è finalizzata ad operare sul momento della acquisizione probatoria, ma su quello della decisione; invero, proprio della decisione pregiudiziale di altro giudice, il giudice penale attende la possibilità di acquisire, non ulteriori dati probatori, quanto elementi indispensabili al fine di pervenire ad una corretta soluzione.

Cass. pen. n. 5830/1999

Poiché a norma dell'art. 3, comma quarto, c.p.p., è riconosciuta efficacia di giudicato nel procedimento penale e, per il rinvio contenuto nell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956, anche nel procedimento di prevenzione, alle sentenze irrevocabili del giudice civile relative allo stato di famiglia o di cittadinanza, la sentenza dichiarativa di morte presunta, che non riguarda né lo status familiae, né lo status civitatis, né statuisce sul modo di essere di un rapporto giuridico o sulla modificazione di esso, ma soltanto sull'accertamento in via presuntiva, attraverso un procedimento logico, di un fatto naturale come la morte, non può avere efficacia nel procedimento penale e in quelli, come la procedura per l'applicazione delle misure di prevenzione, che sono regolati dalle norme del codice di procedura penale. (Fattispecie relativa ad applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, intervenuta con decreto successivo alla data della morte presunta del prevenuto, ma in conseguenza di decreto di applicazione della sorveglianza speciale di p.s., divenuto definitivo prima di quella data, nella ritenuta latitanza del prevenuto stesso).

Cass. pen. n. 2267/1997

In tema di pregiudiziale costituzionale, la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 consegue obbligatoriamente solo alla trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, che il giudice dispone previa delibazione della rilevanza nel procedimento in corso e della non manifesta infondatezza della questione sollevata; ove pertanto una questione di legittimità costituzionale sia stata rimessa alla Consulta in un procedimento diverso, non può configurarsi l'esistenza di una pregiudiziale in senso proprio con conseguente obbligo del giudice di sospendere - a pena di nullità - il giudizio in cui la medesima questione si sia riproposta, potendosi al più desumere, sulla base della disciplina generale delle questioni pregiudiziali quale positivamente realizzata dagli artt. 2 e 3 c.p.p., una semplice facoltà in tal senso da parte del secondo giudice, previa delibazione della questione in termini di «serietà». (Nel caso di specie, relativo all'impugnazione del provvedimento che aveva rigettato l'istanza di sospensione del procedimento in corso in attesa della risoluzione di una questione di legittimità costituzionale sollevata in altro giudizio, la Corte ha ritenuto la legittimità della decisione dei giudici di merito basata sulla considerazione che la Corte costituzionale aveva già reiteratamente disatteso le censure di legittimità della norma denunciata, prospettate sotto vari profili).

Cass. pen. n. 9441/1996

L'art. 479 c.p.p. (questioni civili o amministrative) rimette alla piena discrezionalità del giudice penale la decisione in ordine alla possibilità di disporre la sospensione del dibattimento fino a che la risoluzione della controversia civile, dalla quale dipende la decisione sull'esistenza del reato, non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato, laddove l'art. 19 c.p.p. 1930, prevedeva l'obbligatorietà della sospensione dell'azione penale. Invero, l'ambito di applicabilità dell'art. 3 c.p.p., relativo alle questioni pregiudiziali, è più limitato rispetto a quello delineato dall'abrogato art. 19 c.p.p., avendo escluso le controversie relative allo stato di fallito, con la conseguenza palese della semplice facoltatività del giudice di poter disporre la sospensione del dibattimento, facoltatività riconosciuta anche in presenza delle residue questioni pregiudiziali sullo stato di famiglia o di cittadinanza.

Cass. pen. n. 8060/1995

Perché possa disporsi la sospensione del procedimento penale in relazione a controversia civile sulla questione di stato, è necessario che l'illiceità penale dell'azione od omissione contestata all'imputato dipenda dal precedente stato di una persona e che, essendo tale stato controverso, la decisione della questione relativa sia destinata a costituire l'antecedente logico-giuridico della pronuncia sull'esistenza del reato. Non può disporsi la sospensione quando il fatto ascritto all'imputato coincida e si identifichi con quello da cui ha tratto origine lo stato che si assume falsamente attribuito a una persona. Ne consegue che, di fronte alla contestazione del delitto di cui all'art. 567 c.p., controvertendosi sullo stato che secondo l'accusa ha tratto origine proprio dalla falsità ascritta al prevenuto, non ricorrono i presupposti per l'operatività della sospensione del procedimento penale.

Cass. pen. n. 3943/1995

In virtù della disciplina delle questioni pregiudiziali, dettata dagli artt. 2 e 3 c.p.p., la sentenza dichiarativa di fallimento, pur se irrevocabile, non ha efficacia di giudicato nel processo penale. Essa si offre alla doverosa valutazione del giudice penale, al pari di qualsiasi altra indicazione probatoria ed in tali limiti può essere utilizzata per l'accertamento della verità sostanziale.

Cass. pen. n. 850/1994

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'obbligo, penalmente sanzionato, di corrispondere i mezzi vitali permane finché lo status dell'avente diritto al sostentamento non muti a seguito di sentenza passata in giudicato. Trattasi, infatti, di obbligazione ex lege a tutela dell'interesse primario del familiare in stato di bisogno, rafforzata dalla procedibilità d'ufficio del reato. La controversia sulla validità del vincolo parentale non costituisce questione pregiudiziale rispetto all'accertamento degli obblighi in questione e non legittima la sospensione del relativo procedimento penale in quanto gli effetti del vincolo stesso permangono finché questo non sia stato dichiarato giudizialmente cessato.

Cass. pen. n. 1845/1992

L'ambito di applicabilità dell'art. 3 c.p.p. (Questioni pregiudiziali) è più limitato rispetto a quello del corrispondente art. 19 del codice abrogato, restringendo la pregiudizialità ai soli casi di controversie «sullo stato di famiglia o di cittadinanza», con esclusione di quelle riguardanti lo status di fallito. La sospensione, sia secondo il citato art. 3 che secondo l'art. 479 del nuovo codice di rito, che disciplina i casi di controversie civili e amministrative pregiudiziali, è prevista non come un obbligo, ma come una semplice facoltà.

Cass. pen. n. 10849/1991

In mancanza di impugnazione, la sospensione del procedimento, anche se disposta fuori dei limiti consentiti, produce i suoi effetti propri, tra cui la sospensione del corso della prescrizione.

Cass. pen. n. 40404/200

Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la qualità di imprenditore assoggettabile alla procedura fallimentare (nella specie, di società cooperativa svolgente attività d'impresa) accertata con la sentenza dichiarativa di fallimento. (Rigetta, App. Lecce s.d. Taranto, 25 Settembre 2008).

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