Il concetto di trattativa
Le trattative integrano un'attività preparatoria di un futuro contratto; ma un'attività che non si inserisce necessariamente nell’iter formativo del contratto, potendo questo sorgere da una proposta, accettata senza alcuna discussione sulle sue clausole. Le trattative, inoltre, non culminano, come è stato sostenuto, nella formazione di una proposta, perché questa è opera di un solo soggetto, mentre le prime ricomprendono l'opera di più persone.
Trattativa è discussione, scambio d'idee, di punti di vista e di progetti, ricerca del punto di convergenza delle volontà dirette al contratto, composizione delle divergenze di interesse relativamente al contratto stesso, scambio di spiegazioni sulle opposte pretese, richiesta e concessione di modifiche al contenuto di esse, comune e progressiva elaborazione di clausole contrattuali. Soprattutto è da notare che le trattative importano una fase di negoziato del contenuto del contratto non qualificata dall'intenzione di obbligarsi, ma dalla sola intenzione di discutere le condizioni alle quali potrebbe essere concluso il contratto, di predisporre il contenuto di questo contratto; le parti intendono, vale a dire, saggiare semplicemente l'opportunità e la convenienza di costituire un rapporto contrattuale, esprimere e ricercare limiti di tale opportunità e convenienza, senza attribuirsi reciprocamente diritti, e mantenendo la loro attività in un valore meramente potestativo. I trattanti non sono perciò tenuti a spingere la loro attività fino alla conclusione, ad ogni costo, del contratto, ma possono sospendere le trattative, riprenderle, interromperle in piena libertà di determinazione. Si è affermato che fra i trattanti dove presumersi l'esistenza di un accordo avente per oggetto di elaborare i termini di un contratto e di operare fino a quando questo contratto si concluda o l'accordo non sia impossibile; ma nell'assunto secondo il quale i trattanti devono agire fino a quando l'accordo sia possibile c'è quel tanto che basti per considerarlo inaccoglibile, perché l'impossibilità di un accordo conclusivo della trattativa suole derivare dalla valutazione che la parte fa della inopportunità o della non convenienza di addivenire al contratto, e questa valutazione è eminentemente subiettiva, se è vero che è libera la volontà diretta al contratto. Ogni trattante sarebbe cioè tenuto a trattare fino a quando egli lo ritenesse possibile, avrebbe cioè un obbligo dal cui adempimento si potrebbe liberare con il solo atto della sua volontà; ora un vincolo con un contenuto del genere non avrebbe i caratteri della giuridicità.
Valore giuridico delle trattative
Le trattative sono suscettibili di preparare il futuro contratto, ma non ne sono, come la proposta e l'accettazione, elementi costitutivi; esse pertanto non possono far sorgere il contratto senza una determinazione finale che contenga la volontà di rimanere obbligati alle prestazioni di cui è oggetto il contratto stesso. Quand'anche le trattative risultino di fasi successive di cui ciascuna, completi punti singoli del contratto, su ciascuno di questi punti le parti non si intendono vincolate se non in quanto si raggiunga l'accordo su tutti gli altri, salvo che le parti abbiano inteso di procedere progressivamente alla formazione del contratto, ed esprimere senz'altro una volontà definitiva, sotto riserva dei punti ancora da trattare (v. supra, sub art. 1326, n. 4). Le parti non si intendono vincolate nemmeno a tener ferma la volontà espressa su ciascun punto; dalla quale possono recedere a fortiori nella fase delle trattative, se è loro lecito di revocare la proposta o l'accettazione, in cui è insita l'intenzione dell'autore di rimanere vincolato a ritener perfetto il contratto a seguito della cognizione dell'accettazione (v. supra, sub art. 1326, n. 3).
Conseguenza è che quei punti sui quali si è raggiunto l'accordo in sede di trattativa, non divengono contenuto del contratto se non in quanto sono contenuto della determinazione che fa sorgere il contratto stesso.
Le cose dette durante il periodo delle trattative potranno pere sempre servire a chiarire la volontà contrattuale, se essa è oscura e se non contrastano con ciò che sia stato convenuto su altro punto e con la volontà complessiva esprimentesi dal contratto, perché integrano quel contegno al quale l'art. 1362 dà valore determinante per la ricerca del significato della dichiarazione contrattuale.
A sua volta la sottoscrizione di minute riproduttive di tutti i patti contrattuali o di alcuni di essi non è indice sicuro della convergenza del consenso sui patti medesimi. La minuta normalmente è un appunto rivolto a enunciare in formule precise ciò che è stato espresso dalle parti a solo scopo di memoria, non ad esprimere la volontà di obbligarsi; ma non può certo escludersi, in relazione a singole fattispecie e con riferimento alle circostanze del caso, che le parti abbiano, mediante la sottoscrizione della minuta, inteso vincolarsi secondo il suo testo (v. ultra, sub art. 1351, n. 4).
Responsabilità per rottura delle trattative ed obbligo di buona fede
Una responsabilità del trattante per la rottura intempestiva delle trattative intervenuta senza giusta causa non sarebbe compatibile col già indicato carattere eminentemente potestativo della trattativa, che importa libertà di recedere, determinata e guidata dal puro interesse personale e subiettivo; in modo che non giustificherebbe, per la mancanza di ogni estremo di colpa nel fatto della desistenza, il risarcimento del danno subito dalla controparte a causa del recesso.
Talora tuttavia il comportamento di uno dei trattanti, per il suo significato obiettivo, è idoneo a creare affidamenti. In tal caso la rottura delle trattative che violi la fiducia ragionevolmente fatta sorgere nella controparte può, senza dubbio, dar luogo a risarcimenti, perché vi è sempre responsabilità quando si determina il venir meno di un affidamento creato che legittima sempre aspettative e costituisce sempre situazioni di buona fede, suscettibili di tutela giuridica. Le spese fatte nella fiducia della serietà dell'intenzione della controparte, le perdite subite per le necessità delle trattative, alle quali si accedeva nella presunzione di un risultato positivo dell'attività precontrattuale suscitata dal comportamento della controparte stessa, devono essere rimborsate e reintegrate come danno determinato da un agire colpevole.
Domina peraltro il comportamento delle parti durante le trattative una norma di condotta che impone di operare di buona fede (art. 1337), e che fa assurgere a doveri giuridici quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti fra consociati: obbligo di un contegno probo, leale e informato a chiarezza, obbligo di agire in serietà di intendimenti, obbligo di comportarsi in modo da non far gettito dell'interesse altrui senza la giustificazione della legittima tutela dell'interesse proprio: esempi di un agire in mala fede si hanno quando il trattante tenga a bada l'altra parte con lunghe trattative fino a quando gli riesca di fargli perdere l'occasione di altro buon affare, per poi recedere dopo ottenuto l'intento o quando una parte dà all'altra informazioni inesatte per convincerla a concludere il contratto. Nell'art. 1338 si coglie anche per la fase delle trattative una specificazione dell'obbligo generale di buona fede incombente su ogni trattante: comunicare all'altra parte le cause d'invalidità del contratto che fossero conosciute, è infatti un dovere di lealtà, dal quale non si può deflettere se si vuol condurre il proprio atteggiamento nello spirito del rispetto dell'altrui interesse, e quindi su una scia che è costume seguire nella vita di relazione, onde conferire carattere di correttezza ad ogni proprio comportamento. Altra specificazione dell'obbligo generale di buona fede è negli art. 1341 e 1342 (v. ultra, sub art. 1341 e 1342, n. 5).
Alla conoscenza dei vizi che potrebbero produrre l'invalidità del contratto deve equipararsi la ignoranza colposa dei medesimi (articolo 1338); e perciò, accanto all'obbligo di comunicare l'esistenza di tali vizi, deve intendersi riferito al trattante un obbligo di diligenza per ciò che concerne la conoscenza dei vizi, nel senso che ciascuno dei trattanti è tenuto ad accertare che il contratto al quale si riferiscono le trattative non abbia dei vizi che lo rendono nullo o annullabile e che facciano venir meno la fiducia posta dall'altra parte sulla possibilità di realizzare l'interesse che l'ha spinta a iniziare le trattative o a consentire di svolgerle.
Responsabilità in contraendo e fondamento della responsabilità ex articoli 1337 e 1338
L'obbligo di buona fede posto come norma di condotta non si estingue con il chiudersi delle trattative, ma accompagna anche l'attività successiva diretta alla formazione del contratto, e determina pure, durante la formazione stessa (anche se non vi siano state trattative precedenti), il dovere di ciascuna parte di operare verso l'altra con correttezza e lealtà. L'art. 1338, che considerammo specificazione del dovere di buona fede posto a carico dei trattanti (supra, n. 3), non esaurisce infatti la disciplina del comportamento di ciascuna parte verso l'altra durante i periodi precontrattuali, ma enuncia solo alcuni importanti doveri. Il collegamento degli articoli 1337 e 1338 è intimo; il secondo chiarisce il primo, ma il primo domina il secondo per la sua generalità, facendogli assumere una portata meramente esemplificativa, tanto è vero che si riferisce pure alla fase della formazione del contratto e non soltanto a quella delle trattative. Di più gli articoli 1337 e 1338 hanno in comune il fondamento giuridico.
Infatti, escluso che nei periodi precontrattuali si formi un rapporto contrattuale che abbia per oggetto la elaborazione e la formazione del contratto, deve ritenersi che negli articoli predetti si consideri un fatto (attività precontrattuale), al quale l'ordinamento ricollega determinati effetti giuridici, come è l'obbligo di operare di buona fede, con circospezione e con diligenza per evitare che sorga in altri una ragionevole fiducia riguardo ad un contratto che poi si palesa nullo o annullabile: la responsabilità che scaturisce dalla violazione di tali obblighi si fonda sulla colpa (culpa in contrahendo o in tractando), ed è responsabilità extracontrattuale, perché gli obblighi di cui agli articoli 1337 e 1338 si pongono in relazione al principio generale del neminem laedere.
Spetta al danneggiato dimostrare la colpa stessa, che non può presumersi per il fatto della conclusione di un contratto nullo o annullabile senza caratterizzare come obiettiva la responsabilità che ne risulta, ciò che non sarebbe giustificato.
Danni risarcibili
I danni risarcibili consistono nell'interesse negativo, non soltanto nell'ipotesi dell'art. 1338, ove il principio è nettamente affermato, ma anche nell'ipotesi dell'art. 1337, che, come l'art. 1338, dà luogo ad una responsabilità per mancata conclusione di un contratto.
Quali siano questi danni è stato chiarito a commento dell'art. 1328 (n. 5); ad esso rimandiamo.